Garantirsi
le fonti è un imperativo talmente "politico" che, per farlo, ogni Paese
usa qualunque mezzo disponibile, pacifico o bellico che sia, come la
presenza americana in Medio Oriente dimostra. Un Paese senza energia non
può garantirsi trasporti, illuminazione, infrastrutture di ogni tipo e
nemmeno consentire alle proprie industrie di lavorare. Un Paese ricco di
materiali energetici, oltre ad utilizzarne una parte in loco, alimenta
le proprie finanze vendendoli sul mercato internazionale. E' quindi
ipocrita scandalizzarsi se anche la Russia utilizza le sue ricchezze
naturali per la propria politica estera.
Per non rimanere ricattata da un unico
fornitore, così come farebbe qualsiasi azienda privata, anche l'Italia
ha saputo diversificare le proprie fonti, suddividendo le importazioni
di gas e petrolio tra diverse aree geografiche. Uno dei fornitori, con
quasi il 30% del gas importato, era ed è la Russia attraverso il
gasdotto che passa per l'Ucraina. Purtroppo, le tensioni tra Kiev e
Mosca hanno portato nel recente passato per ben due volte a far sì che
questo Paese di puro transito ne sabotasse il passaggio, mettendo così a
rischio una parte importante dei nostri approvvigionamenti. Era
naturale allora che non solo la Russia, ma anche i nostri politici più
avveduti pensassero a un'alternativa che evitasse nel futuro il rischio
di nuove interruzioni. Si pensò allora a South Stream, un nuovo gasdotto
che, attraversando il Mar Nero, sarebbe arrivato direttamente nei
Balcani e, da lì, sulle nostre coste adriatiche.
2012, quando il gasdotto "South Stream" sembrava dovesse diventare realtà
Fu per motivi puramente politici che gli USA e la Commissione Europea
si opposero al progetto, fino a farlo fallire. Per noi fu uno smacco,
anche considerato il notevole investimento già effettuato dalla nostra
ENI e l'esecuzione dei lavori assegnata all'espertissima Saipem. Le
giustificazioni ufficiali più rilevanti furono due: l'Europa doveva
diminuire le proprie importazioni dalla Russia e non era opportuno
penalizzare l'Ucraina che aveva nel gasdotto già esistente (e tuttora
attuale) sia notevoli entrate per i diritti di transito, sia un'arma di
ricatto nei confronti di Mosca e dell'Europa tutta. Le sanzioni
economiche, contemporaneamente lanciate contro la Russia dopo lo
scoppiare della più recente crisi completavano il quadro. A noi non
toccò che subire. Tuttavia, nel frattempo, un progetto perfettamente
identico ma con la differenza di passare a nord anziché a sud fu
concordato tra Russia e Germania senza sollevare uguali obiezioni da
Bruxelles.
Perché a Berlino dovrebbe essere concesso ciò
che la stessa commissione ha negato a Roma? Perché alle aziende tedesche
e nord europee dovrebbe essere consentito il beneficio economico che
deriverebbe dal raddoppio di North Stream e non alle aziende italiane?
Questa è la domanda che Renzi ha correttamente posto durante l'ultimo
Consiglio Europeo. Ancora si attende risposta.
Evidentemente le parole di Renzi non erano animate da alcun
pregiudizio anti-russo e la dimostrazione è le più volte manifestata
contrarietà alla proroga delle sanzioni economiche. Nello stesso tempo,
pur riconfermando la nostra vicinanza con gli Stati Uniti, occorre che
ci sia detto chiaramente quali sono le vere ragioni della loro ostilità
nei confronti della Russia. Non abbiamo alcuna intenzione di intaccare i
nostri buoni rapporti con gli USA ma non vorremmo trovarci in una
situazione in cui gli americani pensino di tutelare i loro interessi
calpestando quelli degli alleati. A ben vedere, loro stessi dovrebbero
verificare se la nuova guerra fredda che hanno lanciato tuteli veramente
i loro reali interessi o se non si tratti, invece, di un altro errore,
gravido di conseguenze negative per tutti, come lo fu la guerra in Iraq.
Altresì, si chiede all'Europa di non essere una semplice accozzaglia
di Paesi al servizio dell'egoismo di una Germania dominante ma una reale
Istituzione super-partes che sappia individuare obiettivi comuni
nell'interesse di tutti. Nella telefonata dell'11 Gennaio avvenuta tra
Putin e il nostro Renzi, immagino che il Presidente del Consiglio abbia
ben chiarito questi aspetti e anche con Berlino abbia voluto
sottolineare come il nostro atteggiamento sia puramente costruttivo.
Ad oggi non sappiamo ancora quale sarà la
decisione finale di Bruxelles sulla questione, ma una cosa è certa: non è
offrendo all'Eni di entrare nel capitale di North Stream che la
situazione potrà essere risolta. Come ha molto ben detto
l'Amministratore Delegato De Scalzi, non è la sua vocazione e non è un
piatto di lenticchie acide che possa soddisfarci. Se
North Stream 2
sarà approvato, ben venga che sia la Saipem a essere chiamata a
eseguire la posa dei tubi e, d'altra parte, si tratta dell'azienda
europea più tecnologicamente avanzata nel settore. Tuttavia, se quel
gasdotto dovesse essere realizzato, sarà obbligatorio ridiscutere tutto
l'atteggiamento europeo nei confronti di Mosca.
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