Quello che emerge dirompente in questo articolo è tra l’altro
la profonda differenza reattiva e di prospettiva delle autorità giapponesi dopo
Fukushima, rispetto a quelle ucraine dopo Chernobyl. Non mi riferisco
ovviamente agli aspetti tecnici, scientifici ed operativi della gestione dell’emergenza,
che sono stati pessimi in entrambi i casi, con l’aggravante per i giapponesi
che erano trascorsi 25 anni da Chernobyl e quindi dovevano essere molto più
preparati e competenti. Mi riferisco alla gestione delle arre urbane
contaminate. In Giappone si intende bonificare una cospicua parte dell’area
urbana contaminata ed evacuata a causa dell’incidente nucleare, per far tornare
gli abitanti nelle loro abitazioni (per quanto sia lecito dubitare dell’esito e
dell’opportunità sanitaria dell’operazione, che anche solo dal punto di vista
logistico richiederebbe decine di anni e costi proibitivi). In Ucraina si è
preferito evacuare definitivamente ed interdire per sempre tutta l’area
contaminata, con ampio margine di
prudenza e sicurezza nella perimetrazione. Occorre in proposito tener
conto non solo della differenza cronologica dei reciproci incidenti ma delle
enormi differenze di dimensione ed
antropizzazione dei due paesi. Il Giappone ha 130 milioni di abitanti ed è poco
più grande della metà dell’Ucraina, con circa 6800 isole che compongono l’arcipelago,
di cui le più grandi e popolate sono perlopiù montuose per cui la popolazione è
concentrata nelle città, alcune sono tra le più grandi metropoli del mondo. Similmente
ad Hong Kong non possono permettersi di rinunciare a territori abitabili, a
meno che di costruire sul mare (e non è una battuta, l’hanno già fatto) ... L’Ucraina
è grande quasi il doppio del Giappone ed è interamente continentale, con soli
45 milioni di abitanti, può permettersi di rinunciare all’0,2 per cento della
sua superficie, che è appunto l’area attorno alla centrale nucleare in cui è
vietato l’accesso. Sulla questione delle ripercussioni sanitarie causate dall’incidente
e che riguardano oltre il 20 per cento della popolazione giapponese che si
ritiene sia stata esposta alle radiazioni, non aggiungo altro rispetto a quanto
riportato dall’articolo, Chernobyl docet. Claudio Martinotti Doria
Fonte: http://comune-info.net/2016/01/fukushima-oggi/
Fonte: http://comune-info.net/2016/01/fukushima-oggi/
Fukushima oggi, dove il tempo si è fermato
23 gennaio 2016
|
di Robert Hunziker
In tutto il mondo il termine “Fukushima” è diventato sinonimo di disastro nucleare e di assenza di soluzione dei problemi. Ai giorni nostri Fukushima è probabilmente una delle catastrofi meno comprese poiché nessuno sa né come riparare al danno né la vera entità del problema stesso. Essa si trova infatti in un territorio pressoché inesplorato dove la fusione del nocciolo regna indisturbata. Come un genitore eccessivamente premuroso la Tepco si limita a monitorare la situazione continuando però a compiere errori.
Col passare del tempo emergono lentamente frammenti d’informazione dalla prefettura di Fukushima. Recentemente, per esempio, la città è stata visitata da Arkadiusz Podniesinski, il noto fotografo documentarista di Chernobyl e le immagini da lui scattate ritraggono uno scenario di distruzione preoccupante che non lascia alcuna speranza per il futuro. La fatiscente centrale nucleare di Fukushima Daiichi si staglia sinistramente sullo sfondo delle nostre vite al pari dell’immagine della distruzione impersonificata da Godzilla col suo “soffio atomico.”
Nel commento di Podniesinski (dicembre 2015) sono evidenti le responsabilità dell’incidente nucleare
“non sono né i terremoti né gli tzunami i responsabili del disastro alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, l’errore è umano. Il rapporto redatto dal comitato eletto dal parlamento giapponese incaricato di investigare sul disastro non lascia dubbi a riguardo. L’incidente si poteva prevedere ed evitare. Come nel caso di Chernobyl è stato principalmente un errore umano la causa della devastazione”.
Quattro anni dopo l’incidente oltre 120.000 residenti non possono ancora tornare alle loro case. Le aree radioattive sono contrassegnate dal colore rosso che indica il più alto livello di contaminazione, la zona rossa >50mSv/y, all’interno di essa non c’è in atto nessun’opera di decontaminazione. È impensabile che i vecchi abitanti della città possano mai ritornarvi, anche se il governo lascia intendere diversamente.
Le radiazioni si accumulano. In linea di massima un essere umano è in grado di sopravvivere per un’ora all’esposizione di 1 Sv/h o 1000 mSv/h. Il livello di radiazioni massimo raccomandato agli esseri umani è inferiore a 500 mSv. Una radiografia al torace per intenderci produce 0,10 mSv. Il limite standard mondiale per coloro che operano nel nucleare è di 20mSv/annui (fonte: manuale di sopravvivenza alle radiazioni). Eppure a Fukushima, a causa dell’emergenza, i lavoratori sono esposti fino a 100 mSv prima di abbandonare il sito.
Nelle zone contrassegnate dal colore arancione i livelli di radiazioni sono compresi tra i 20 e 50mSv/annui, valori troppo alti per ripopolare la zona, anche se un’opera di decontaminazione è già in corso. Agli antichi residenti è permesso visitare le proprie case per qualche ora, rigorosamente di giorno, ma di gente non se ne vede poi molta. Parte dei suoi vecchi abitanti non intende farvi ritorno e gran parte delle case in legno di città e villaggi sono totalmente abbandonate a loro stesse.
Le aree meno contaminate sono contrassegnate dalla zona verde (<20msv annui="" decontaminazione="" di="" e="" evacuazione="" l="" opera="" ordine="" p="" presto="" qui="" revocato.="" stata="" ultimata="" verr="">
Circa 20.000 lavoratori ripuliscono terreno e strade, strofinano manualmente le pareti, i tetti e le grondaie casa per casa e il materiale radioattivo e contaminato viene stoccato in grossi sacchi neri accatastati nella campagna circostante. I sacchi neri radioattivi vengono caricati sui camion e scaricati nei sobborghi dove si aggiungono ad altre migliaia e migliaia di sacchi neri impilati. Vista dall’alto questa distesa temporanea di rettangoli neri geometricamente disposti a perdita d’occhio appare come la trapunta di un gigante. Il governo afferma che entro trent’anni i sacchi radioattivi verranno smaltiti, ma come?
Quest’imponente processo di decontaminazione non escluderebbe potenziali rischi. Le prime aree ad essere decontaminate saranno le zone intorno alle abitazioni, alle campagne e una fascia di dieci metri in corrispondenza delle strade. Altre aree come montagne e foreste non saranno invece toccate e questo potrebbe costituire un problema perché incendi e piogge pesanti potrebbero trasportare gli isotopi radioattivi verso le zone decontaminate. Secondo Podniesinski l’anno scorso una cosa simile è già successa due volte a Chernobyl.
Per poter visitare le città all’interno della zona vietata e della zona rossa è necessario un permesso per ciascuna città. I richiedenti devono avere motivi legittimi per potervi accedere e le strade sono rigorosamente sorvegliate. Podniesinski passò due settimane a Fukushima nel tentativo di trovare il giusto contatto per ottenere il permesso. Infine date le sue numerose visite a Chernobyl e le sue esperienze pregresse riuscì ad ottenere l’autorizzazione. Con un camice semitrasparente di protezione, copriscarpe blu, maschera e dosimetro il fotografo ha visitato la città di Futaba all’interno della zona vietata. Con una popolazione di 6.113 abitanti la città di Futaba confinava con la centrale di Fukushima ed è una delle aree maggiormente colpite dalle radiazioni per cui la decontaminazione è da considerarsi impensabile al momento e, probabilmente, per sempre.
La città era un importante centro di attività commerciali legate alla pesca e all’agricoltura, in particolare il commercio di garofani era la sua maggiore risorsa. La mattina del 12 marzo 2011 la cittadina venne fatta evacuare in massa. È interessante notare che, secondo le foto scattate, il municipio di Futaba era una struttura di mattoni rossi a quattro piani, moderna, con ampie finestre e decorazioni nere e slanciate che ci aspetteremmo di vedere in una qualsiasi città media degli Stati uniti piuttosto che in un’antica cittadina giapponese, un tempo centro dell’antico distretto di Futaba (periodo Edo tra il 1603 e il 1868).
Uno slogan appeso sulle strade principali recita “Energia nucleare per un futuro radioso”. Podniesinski fu invitato a visitare Futaba con Mitsuru e Kikuyo Tani, rispettivamente di 74 e 71 anni. L’hanno portato a quella che una volta era la loro casa, alla quale tornano una volta al mese, per qualche ora, per controllare se il soffitto ha crepe e se reggono gli infissi ed eventualmente effettuare qualche piccola riparazione. La loro gita mensile è puramente sentimentale, Futaba è la città delle loro origini, ma nei loro cuori sanno che ormai non è altro che un ricordo del passato che indugia, ma che non tornerà mai più.
A Futaba all’improvviso il tempo si è fermato e non è cambiato più niente da quel fatidico giorno. Le foto mostrano edifici in lento declino e macchine ricoperte di arbusti e piante rampicanti. Sembra di vedere una scena della serie televisiva The Walking Dead, dove a terrorizzare la città sono gli zombie e non le radiazioni. L’immagine è quella senza vita di una città tetra e infestata, immortalata come se il mondo intero si fosse all’improvviso fermato. Con un lungo camice bianco simile a quello di un chirurgo, copriscarpe blu, guanti aderenti,, cuffia sui capelli e mascherina, Kikuyo Tani è ritratta seduta sui talloni all’entrata della sua vecchia casa. Nei suoi occhi un’espressione di profonda rassegnazione e, mentre il suo sguardo assente e inespressivo si guarda intorno, emerge una desolazione che solo la fotografia è in grado di ritrarre. La sua fronte e i suoi occhi penetranti sono l’unica cosa viva dentro un’altra immagine infestata e senza vita.
Un’altra foto interessante mostra un tridimensionale Colonnello Sanders a grandezza umana con il suo caratteristico vestito bianco, fiero, in piedi vicino a un KFC in un centro commerciale vuoto. Anche qui è stato catturato l’attimo: una quiete sinistra, un carrello della spesa abbandonato e liquidi riversati sul pavimento a testimonianza del fatto che la gente lasciò tutto quello che stava facendo per scappare via, abbandonando la spesa negli anni.
L’imponente opera di pulizia della prefettura di Fukushima include 105 tra città, paesi e villaggi. A differenza di Chernobyl dove le autorità hanno dichiarato una zona con divieto di abitazione di 1.000 kmq e spostato 350.000 persone, permettendo così alle radiazioni di disperdersi col tempo, il Giappone sta cercando di riportare Fukushima a quello che era un tempo. Ma il materiale radioattivo raccolto nei sacchi neri sarà un problema esasperante che si protrarrà per anni.
A tal proposito le autorità giapponesi hanno commissionato la costruzione di un’imponente discarica all’esterno della centrale nucleare di Fukushima Daiichi che dovrebbe contenere tra i 16 e i 22 milioni di sacchi di detriti, pari a riempire 15 stadi da baseball. Sfortunatamente i sacchi pieni di materiale radioattivo sono diventati più di un semplice mal di testa, sono una forte emicrania. Un camion ne riesce a trasportare 6-8 alla volta, questo significa che ci vogliono decenni per spostare tutto il materiale. A questo si aggiunge il fatto che il trasporto e lo stoccaggio dei detriti potrebbe col tempo deteriorare i sacchi che dovrebbero essere quindi sostituiti con sacchi nuovi dando così vita a un ciclo infinito. Il lavoro con le macerie radioattive potrebbe diventare in Giappone un impiego generazionale, così come fu per la seconda e terza generazione di lavoratori che completarono le grandi cattedrali d’Europa come Notre Dame di Parigi dove le fondamenta vennero gettate nel 1163 e l’opera di costruzione terminò nel 1250.
Secondo il rapporto Fukushima redatto l’ 11 marzo 2015 dalla Croce Verde di Ginevra, fondata dall’ex presidente sovietico Mikhail Gorbachev, sono 32 milioni i giapponesi vittime del disastro nucleare. I criteri della Croce Verde si basano sull’esposizione diretta alle radiazioni così come sui fattori di stress avvertiti dalla popolazione in seguito all’incidente, con gravi conseguenze a breve e lungo temine, come disturbi neuropsicologici e tumori.
“Secondo le stime, l’80 per cento delle radiazioni si è depositata nell’oceano mentre il restante 20 per cento si è disperso principalmente in un raggio di 50 chilometri a nord ovest dello stabilimento nucleare nella prefettura di Fukushima. I rischi di tumore legati alle radiazioni riversate nell’oceano sono bassi anche se si sono riscontrate tracce di radiazioni a nord del continente americano, in particolare nella parte settentrionale della costa ovest degli Stati Uniti. Il rischio generale di contrarre il cancro è aumentato, in particolare per coloro che al tempo del disastro erano bambini. La loro salute sarà sempre a rischio, conseguenza delle radiazioni rilasciate dalla centrale nucleare di Fukushima Daiichi,”( Croce Verde Svizzera, comunicato ai media, Zurigo, 11 marzo 2015). Il rapporto Fukushima venne redatto dalla Croce Verde Svizzera sotto la direzione del professor Jonathan M. Samet, direttore dell’Istituto Mondiale della Sanità all’università della California del sud (Usc).
Malgrado ciò, i sostenitori dell’energia nucleare, tra i quali alcuni climatologi, sostengono che il nucleare potrebbe risolvere il problema dell’effetto serra in quanto gli incidenti sono talmente sporadici da poterla considerare una forma di energia a basso rischio. Questo pensiero non prende tuttavia in considerazione un aspetto fondamentale e cioè che quando il disastro avviene, si ripercuote su milioni di persone per vite intere. Una disgrazia come Chernobyl o Fukushima equivale, in danni, a innumerevoli migliaia di disastri provocati da energie rinnovabili come quella eolica o solare.
20msv>
Nessun commento:
Posta un commento