E da noi i nostri politicanti e le forze dell’ordine
perseguitano lo sfigato che teneva qualche cannabis indica in vaso, perché sono
convinti che sia preludio alle droghe pesanti …
Antidolorifici da sballo
Negli Usa dilaga la dipendenza dai farmaci
“pain killer”. Che anziché l’estasi promettono la calma chimica. Spesso mortale.
E ora anche in Europa...
di Elisabetta Muritti
In America li chiamano painkiller, gli
ammazzadolore. Sono gli oppioidi, farmaci potenti prescritti ai malati
oncologici, a chi patisce dolori cronici o postoperatori severi. Ma hanno
cominciato ad ammazzare anche chi il male lo sente nell’anima, più che nel
corpo, diventando droga su misura per questi tempi di disperazione banale, low
cost, senza fiori del male da cogliere e orizzonti “altri” da esplorare. Così
l’America fa i conti con un dramma finora rimosso, e cioè l’impressionante
catena di decessi e dipendenze provocati fondamentalmente da due principi
attivi, l’ossicodone, che Oltreoceano miete più vittime di eroina e cocaina
insieme, contenuto nei farmaci OxyContin, Percodan (da noi venduto come Depalgos)
e Percocet, e l’idrocodone, “amato” dal dottor House e da Eminem, presente nel
Vicodin (non si vende in Italia ma si compra in rete). Altrettanto pericoloso
il fentanile, somministrato con cerotti transdermici.
Dati allarmanti, in più
cattiva coscienza: a consentire quella che è definita una pestilenza è stato il
connubio di compiacenza e interessi. Dai medici che percepiscono percentuali
dalle case farmaceutiche per le ricette, alla prescrizione di analgesici da
cavallo pure per il mal di denti; dal business della sofferenza (Purdue Pharma
ha riformulato l’OxyContin, dopo una penale di 646 milioni di dollari pagata
nel 2007 per aver minimizzato, con marketing e congressi, i rischi di
assuefazione) ai pellegrinaggi in Florida (i cosiddetti “OxyContin Express”),
Stato costellato di “cliniche del dolore”. I numeri parlano: nell’ultimo
decennio 15mila americani ogni anno sono morti di overdose (le pasticche sono
frantumate e inalate o iniettate, la polverizzazione è più difficile col neo
OxyContin), In 17 Stati i painkiller sono oggi la causa numero uno dei decessi
violenti. Il consumo di ossicodone è cresciuto del 152% in 6 anni, e i pusher
lo vendono a 50 dollari la pastiglia.Tra 2004 e 2009 i suicidi con
antidolorifici sono raddoppiati tra i maschi di 35-49 anni e triplicati tra gli
ultracinquantenni...
E sebbene il gossip ci elenchi i vip morti per antidolorifici, Heath
Ledger, Michael Jackson, Anna Nicole Smith, in realtà questa
tossicodipendenza ha mutato indirizzo e identikit della vittima tipica, non più
il ghetto metropolitano ma i quartieri residenziali, non più il giovane nero ma
il bianco di mezz’età. Molti farmacisti, presi di mira da rapine a mano armata,
si attrezzano e appendono i cartelli «Non vendiamo painkiller». E si attrezza
la Food and Drug Administration, che tira il freno a mano di produzione e
distribuzione dei farmaci non autorizzati a base di ossicodone.
La peste, intanto - ha scritto
il Guardian - comincia a contagiare l’Europa: in Inghilterra in 10 anni le
ricette per questi medicinali sono quadruplicate, e i “painkiller” si
diffondono fra adolescenti in cerca di sballo “legale”, abituati a frugare nel
comodino dei genitori e in farmacie on-line che monitorano le ondivaghe
riformulazioni dei farmaci (saldi dei prodotti qua o là non più autorizzati),
senza contare l’acquisto sottocosto di flaconi che arrivano da chissà dove,
senza etichetta né bugiardino. E in Italia? Dobbiamo far tesoro delle brutte
esperienze degli altri. Perché - premesso che la regolamentazione sanitaria in
Europa è meno “disinvolta” che negli Usa - anche qui i numeri s’impennano: un
italiano su 4 cerca il medico per mitigare il male e, tra 2010 e 2011, il
numero delle confezioni di oppioide è salito del 30%.
«Crescita fisiologica, dice Riccardo
C. Gatti, medico, psicoterapeuta e specialista in psichiatria,
direttore del Dipartimento delle dipendenze della Asl di Milano. «Ma
attenzione, non è vero che se il farmaco è prescritto non fa male, come non è
vero che se fa male non va prescritto» (il nostro paese vanta solo dal 2010 la
legge 38 che garantisce cure palliative e terapia del dolore al malato). «Il
punto - prosegue Gatti - è che il dolore esige competenza, e questa manca. Non
ripetiamo l’errore commesso con gli ansiolitici». E analizza il panorama
italiano, dominato (dati Istat 2011, che raccontano un aumento di appeal degli
antidolorifici nella fascia d’età 35-64 anni) da minor tolleranza verso il
dolore fisico e da consumi domestici o “nascosti” dei farmaci, anche per
sfuggire alla repressione e al giudizio sociale, da adolescenti che cercano lo
sballo efficiente ma economico piuttosto che il piacere: «È cambiato
l’atteggiamento verso la droga: si è passati dalla fase Ottanta-Novanta,
quand’era estraniazione e devianza, ai Novanta-primi anni del millennio, ovvero
il doping per far sesso e carriera, alla fase diciamo 2012-2013, in cui è
consumata in senso utilitaristico, senza aderire a stili di vita, perché i
nativi digitali vogliono facile, subito, gratis, scaricabile. Una vale l’altro,
mi serve oggi, domani sarò normale, non faccio il tossico, la cultura
dell’illegale non mi piace... ».
Consultare il Prevo.Lab,
area previsionale sull’evoluzione dei fenomeni di abuso dell’Osservatorio
regionale sulle dipendenze, di cui Gatti responsabile, è illuminante: vi si racconta
di dati ufficiali che, a tutto il 2010, parlavano di diminuzione dei
consumatori di droga “tradizionale”, ma anche di nuove sostanze reclamizzate in
rete (gli stupefacenti sintetici, le “designer drugs”), e di pochi soldi a
disposizione pure per lo sballo. E poi di depressione epocale e ottimismo teen,
che spingono a strafarsi non per entrare in una dimensione iperbolica ma per
godere di un benessere calmo. È la post-normalizzazione dei consumi, incarnata
da una generazione che non ha chiaro il concetto di tossicodipendenza e non ne
conosce le implicazioni etiche e sociali: i nativi digitali sono nativi
esperienziali. «Una cultura nuova, dove gli antidolorifici entrano sempre di
più», dice Gatti. Ma gli oppioidi, spiega una ricerca pubblicata dal magazine
online Neuropsychopharmacology, sono anche una “sostanza gateway”: chi ha
iniziato con l’ossicodone ha 5 volte più probabilità di passare ad altre
dipendenze rispetto a chi debutta con la cannabis. E qui si nasconde un nuovo
rischio, anche italiano. Perché le organizzazioni criminali che fanno business
con le droghe classiche hanno le stesse preoccupazioni di ogni altro grande
mercato, e tentano di “fidelizzare” il cliente. E per fidelizzare i nativi
digitali, magari passati per l’abuso di oppioidi legali, la sostanza adatta è
l’eroina. «Tra 2012 e 2015, soprattutto tra gli studenti, in Italia è previsto
un aumento del consumo di eroina (37% in 3 anni!), fumata e non iniettata, non
emarginante, meno cara. Pensiamoci: in Italia oggi tutto l’interesse è rivolto
a un’altra dipendenza, l’azzardo; nessuno parla più di droga e, ogni volta che
qui si tace, poi arriva l’emergenza».
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