Blueseed: al largo della California comparirà una “quasi nazione”
Fonte: L'Indipendenza, Quotidiano on line http://www.lindipendenza.com
di STEFANO MAGNI
Negli Stati Uniti la disoccupazione è aumentata dal 7,8% al 7,9% e la stampa progressista festeggia. Perché, tutto sommato, nell’ultimo mese sono stati creati 171mila posti di lavoro. E perché (e questo è incredibile), l’aumento degli iscritti alle liste di disoccupazione è visto come… un segnale di fiducia! Anche oltre Oceano, infatti, si dà per scontato che una buona parte dei disoccupati non sia neppure iscritta come tale, perché ha perso ogni speranza di cercare, oltre che di trovare, un nuovo impiego. Quell’aumento di 0,1 punti percentuali nel tasso di disoccupazione è dato, dunque, dai non lavoratori che hanno deciso di cercare. O di ricominciare a sperare.
Siamo così alla frutta? Non come in Italia, ovviamente. Negli Stati Uniti si parla di ripresa lenta. Da noi, invece, c’è proprio la recessione. Romney non ha tutti i torti quando sventola l’Italia (e la Grecia e la Spagna) come un “babau”: guardate dove possiamo arrivare, ha detto ai suoi elettori potenziali. La lentezza della ripresa negli Usa, così come la recessione dei Paesi mediterranei, sono causate dalla stessa piaga: spesa pubblica troppo alta, Stato troppo invadente, un debito pubblico pari o superiore al Pil. Ma c’è anche una causa invisibile e più profonda, che sfugge alle analisi economiche: la cultura statalista. L’idea che sia il governo a dover creare posti di lavoro, produrre beni e servizi, assumersi le responsabilità e i rischi dei suoi cittadini.
C’è chi dice “no” a questa cultura, prima ancora che al suo governo. Al di là di quei milioni di americani che, martedì prossimo, andranno a votare per le presidenziali e dovranno scegliere fra l’ultra-statalista Barack Obama e lo statalista moderato Mitt Romney (uno dei meno liberali fra i candidati repubblicani, secondo solo a Rick Santorum), un gruppo di 1000 imprenditori, il cui numero è in continua crescita, ha scelto di fondare una propria enclave. Il progetto si chiama Blueseed (“seme blu”) e uno dei suoi promotori è l’imprenditore visionario tedesco-americano Peter Thiel, già co-fondatore di PayPal e uno dei primi investitori nel social network Facebook. Si tratta di un’isola artificiale, costituita (secondo il progetto attuale) da una grande nave permanentemente ancorata in acque internazionali, ma distante solo una dozzina di miglia dalla Silicon Valley, in California, il luogo d’origine della new economy. Non si tratta (ancora) di una nazione a parte, ma di un luogo di produzione e di scambio. Il vantaggio di essere in acque internazionali, permetterebbe a imprenditori di tutto il mondo di iniziare l’attività su quell’isola artificiale, senza le restrizioni (a partire dal visto di lavoro) degli Stati Uniti. Per capirne l’utilità immediata, la pagina Facebook di Blueseed cita l’esempio di Asaf Darash, imprenditore israeliano di successo, fondatore della compagnia di informatica Regpack, appena espulso dagli Usa per un errore della burocrazia dell’immigrazione. Profitti, posti di lavoro in più, nuovi software… tutto buttato a mare per colpa di qualche scartoffia sbagliata. “Google e Yahoo! e Intel e tante altre famose compagnie – si legge sul sito Internet di Blueseed – sono state fondate anche da imprenditori immigrati ed hanno creato decine di migliaia di posti di lavoro, oltre a produrre servizi che usiamo tutti i giorni. Ma chi sa quante altre compagnie avremmo potuto avere, se i loro co-fondatori immigrati avessero ottenuto il permesso di restare nella Silicon Valley?”
Il progetto è esplicitamente dedicato alle start-up, alle nuove aziende. Specialmente quelle nate da idee rivoluzionarie. Ma potrebbe trasformarsi in qualcosa di più. Infatti l’isola artificiale non risponderà alle leggi americane, né per quanto riguarda le tasse, né per tutto il resto. La nave sceglierà una bandiera di comodo di un Paese con una tradizione giuridica anglosassone (come le Bahamas o le Isole Marshall), ma caratterizzato da una regolamentazione finanziaria, economica e fiscale molto più libertaria. Quanto al commercio con il resto del mondo, Blueseed si affiderà alla “lex mercatoria” di antica memoria: arbitrato fra privati.
La filosofia politica libertaria, allo Stato ha sempre contrapposto l’idea alternativa della privatopia. Dunque l’entità nata dalla proprietà privata e non imposta da un governo, i cui confini coincidono con le proprietà dei suoi abitanti e non con quelli tracciati da conflitti o trattati internazionali. Il problema è sempre stato il “dove” e il “come”. Piattaforme petrolifere abbandonate o navi itineranti sono già state usate, numerose volte, negli ultimi decenni, per ospitare “pirati” della radio o di Internet. Ma si sono rivelati sempre dei progetti effimeri e finiti male. Ayn Rand, nel suo romanzo filosofico “La rivolta di Atlante”, nel 1957 aveva immaginato una privatopia nascosta nelle Montagne Rocciose e sorta in uno scenario simile, in modo fin inquietante, a quello attuale. Nel romanzo era nata dalla volontà dello scienziato e imprenditore John Galt e aveva accolto centinaia di migliaia di uomini d’affari, intellettuali, artisti e menti creative di ogni genere, ormai strangolati da uno statalismo sempre più opprimente. La segretezza, secondo la fantasia dell’autrice, era necessaria. Perché, altrimenti, lo Stato avrebbe fagocitato quella privatopia e si sarebbe ripreso i suoi cittadini più talentuosi, con le buone o con le cattive.
La fine del progetto di città private in Honduras, imposta da una Corte Suprema locale ad ottobre, è l’ulteriore dimostrazione che lo Stato è sempre ostile all’idea di un’enclave libertaria nel proprio territorio nazionale. L’idea di costituire una privatopia sulle acque internazionali risolve, se non altro, il problema della territorialità. Ed evita la scomoda e pericolosa seccatura della segretezza. La tecnologia di questi ultimi due decenni consente di costruire navi grandi quanto città o addirittura isole artificiali sicure e vivibili. Anche dopo il sostanziale fallimento del primo progetto di “Freedom Ship” (1990), altri lavori sono in corso.
I due maggiori teorici del “Sea Steading” (proprietà originaria sul mare), Wayne Gramlich e Patri Friedman (nipote dell’economista, premio Nobel, Milton) da un decennio a questa parte stanno dimostrando, dati alla mano, che una privatopia sul mare sia realizzabile ed anche relativamente economica. Nel 2008, Gramlich e Friedman hanno fondato il Seasteading Institute, per diffondere queste idee e sostenere tutti i progetti in corso. La Blueseed, fra questi, pare proprio la realtà più promettente. La sua prima boa, da questo mese, si può già trovare su Google Maps. E i suoi ideatori promettono che entro la fine del 2013, o l’inizio del 2014, potrà essere inaugurata.
Gli Stati nazionali, da quel momento in poi, avranno a che fare con un nuovo soggetto, completamente inedito.
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