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"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

A controllare la sovranità dell’Italia, in primis l’impero USA e lo stato di Israele, senza dimenticare il Regno Unito, sempre ricorrendo al ricatto.

Lo scandalo dello spionaggio del Mossad in Italia e la sottomissione della Seconda Repubblica a Israele

di Cesare Sacchetti

La repubblica di Cassibile non è fondata sul lavoro, ucciso tra l’altro dall’ordoliberismo protestante, ma sullo spionaggio.

La intera fragile struttura della democrazia liberale italiana prevede ciclicamente che si allestiscano degli apparati di spionaggio e sorveglianza illegale per monitorare determinati personaggi di rilievo e provare in seguito ad accendere la macchina dei ricatti che serve ai padroni di tale sistema politico per continuare ad avere il potere.

Tutto si fonda sul ricatto. Il sistema si premura di raccogliere informazioni scomode su determinati personaggi del mondo della politica e della finanza e poi minacciare questi di divulgare tali segreti se dovessero fare qualche resistenza alle decisioni dei poteri occulti che hanno in mano le sorti della democrazia.

Si badi bene. Tale meccanismo non è una deviazione dal funzionamento delle democrazia liberale, ma una sua diretta conseguenza in quanto in tale sistema ad avere in mano le sorti del potere sono le massonerie, di ogni genere e grado, i detentori del capitale, ovvero l’alta finanza rothschildiana, e varie potenze straniere che dal 1943 in poi hanno avuto in mano la sovranità del Paese, su tutti l’impero americano e in seguito, come si dirà a breve, lo stato di Israele.

A questo giro, siamo di fronte ad un eterno ritorno dell’uguale. Siamo di fronte ad un altro scandalo di spionaggio che vede coinvolta una rete clandestina di sorveglianza fondata attorno ad una società di Milano, la Equalize, diretta da Enrico Pazzali, presidente della Fiera di Milano, ed un ex poliziotto, Carmine Gallo, già membro dei servizi segreti.

Il minimo comun denominatore in tale vicende è la costante presenza di agenti o ex agenti infedeli che o da dentro il corpo o passati a funzione di consulenti privati, si prestano a reperire quelle informazioni illegali ai loro committenti.

La lista dei clienti di Equalize contiene tanti pezzi dell’establishment italiano, a partire da ENI, Erg, Barilla, o la Heineken che erano interessate non solo a monitorare, illegalmente, i loro lavoratori ma anche a tracciarne le comunicazioni alla ricerca di quelle talpe che passavano delle veline riservate alla stampa, in cambio ovviamente di cospicue parcelle alla società milanese, che, nel caso di ENI, raggiungevano persino i 377mila euro, e nel caso di Erg invece 117.500 euro.

Fin qui si è nel campo di uno spionaggio aziendale e industriale illegale, ma Equalize era molto più di questo.

Equalize serviva come una sorta di cintura di trasmissione di servizi segreti israeliani per raccogliere informazioni sulle varie figure politiche italiane e avere accesso così a quelle informazioni “ingombranti” che consentivano poi allo stato di Israele di accendere la sua macchina dei ricatti e costringere così i politici ricattati a eseguire i voleri israeliani.

Lo stato ebraico non è certo nuovo a tali pratiche. Si può dire che la storia ricattatoria di Israele è molto più antica e risale ancora prima alla creazione dello stato ebraico, quando, ad esempio, negli anni della prima guerra mondiale, l’avvocato di origini ebraiche, Samuel Untermyer, si recava alla Casa Bianca per informare l’allora presidente Wilson che la lobby sionista aveva in mano le lettere di una sua spasimante e che, se si fosse rifiutato di entrare in guerra a fianco della Gran Bretagna, tale materiale sarebbe stato divulgato alla stampa, pregiudicando così le sue possibilità di guadagnarsi un secondo mandato.

Nulla è cambiato, come si vede, in tale logica. Tutto è rimasto immutato. Il sionismo continua ad eseguire le stesse tecniche ricattatorie soltanto che oggi si serve di una tecnologia molto più avanzata che gli consente di penetrare nella vita di un politico o di un altro personaggio pubblico di rilievo per carpire ciò che può essere utile allo stato ebraico.

Ad essere spiati dal Mossad, a questo giro, ci sarebbero stati, tra gli altri, l’attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e Guido Crosetto, i quali si sono già stracciati le vesti gridando alla “minaccia contro la democrazia” quando i due sono stati nel corso di tutta la loro carriera politica dei fedeli servitori di Israele, e, se non lo fossero stati, non sarebbero nemmeno lì dove sono ora.

Come si può quindi indignarsi se lo stato ebraico spia ogni singolo recesso di questa repubblica a sovranità limitata o inesistente, quando si è di fatto dei suoi agenti che hanno sempre servito gli interessi israeliani per tutta la loro carriera?

Mai Meloni, Crosetto o gli altri politici italiani si sono opposti al sionismo e ai suoi piani di dominio del Medio Oriente, in quanto come tutti i politici della Seconda Repubblica sono sottomessi alla volontà dello stato ebraico.

Israele domina la Seconda Repubblica di Mani Pulite

Il passaggio che si è compiuto dalla Prima Repubblica alla Seconda non ha fatto altro che allargare le maglie di questo Paese, già sottoposto al dominio dell’anglosfera, alla infiltrazione di Israele e dell’impero americano, che è stato per tutta la sua durata una diretta emanazione della lobby sionista.

La Prima Repubblica aveva certamente un suo perimetro di azione ristretto, ma ben più largo del raggio di azione della Seconda, i cui componenti sono meri passacarte che ricevono ordini da eseguire pedissequamente senza alcun riguardo per gli interessi dell’Italia e del suo popolo.

Viene detto che i simboli sono importanti, e quale maggiore simbolismo c’è di quello che ha visto l’installazione davanti al Parlamento italiano nel 1998 di una menorah ebraica, che poi indecenti e sedicenti “revisori dei fatti” hanno provato a negare, quando persino gli esponenti della comunità ebraica quali Fabio Perugia, hanno ammesso che quella è una menorah.

Oppure sempre per restare in tema di simboli, si potrebbe anche ricordare come da circa 30 anni a questa parte, a piazza Barberini, a Roma, puntualmente si tenga ogni anno la cerimonia dell’accensione del menorah ebraico per celebrare la festività talmudica della Hannukah sotto lo sguardo vigile dei rabbini della setta di Chabad Lubavitch che “sogna” l’avvento del messia ebraico e dell’impero israeliano.

La festa della Hanukkah a Roma

Si celebrano apertamente le feste ebraiche, si legge e si esalta il Talmud, libro nel quale sono contenuti tremendi insulti contro Cristo e la Vergine, e poi si professa ipocritamente la cosiddetta “laicità” dello Stato, e ormai i lettori dovrebbero avere ben chiaro che il laicismo e la laicità altro non sono che un cavallo di Troia della massoneria e dell’ebraismo che servono a scristianizzare l’Italia e a farle adottare invece un’altra religione, quella appunto del talmudismo.

La politica in Italia si ritrova ad essere di conseguenza una emanazione della volontà sionista, soprattutto da dopo il 1992 perché i poteri transnazionali della finanza avevano bisogno di liberarsi della precedente classe politica, troppo autonoma per lo loro esigenze, e metterne un’altra al loro posto completamente asservita alle esigenze di questi poteri.

Il golpe del 1992 in Italia attraverso una magistratura sottomessa a questi apparati è servito ad attuare tale trasferimento e a spostare il baricentro della Prima, poggiato su ottimi rapporti con i Paesi arabi, verso invece un sostegno incondizionato verso lo stato ebraico.

Il sionismo, al tempo stesso, voleva e vuole però essere sicuro che nessuno si discosti dai suoi interessi ed ecco la necessità, per così dire, di montare una centrale di sorveglianza clandestina che serviva ad accedere ai segreti e agli illeciti commessi dai vari politici.

Di cosa si lamentano dunque le “vittime” dello spionaggio se poi quando si tratta delle celebrazioni ebraiche sono i primi a fare la fila per entrare in sinagoga e a mettersi la kippah in testa?

Costoro sono vittime di loro stessi. Sono vittime della loro volontà di sottoporsi ad Israele e ne pagano, giustamente, le conseguenze.

Gli israeliani si sono mossi in Italia come si sono mossi nel resto delle democrazie liberali in Occidente. Si sono serviti di Equalize e del suo gruppo di Hacker, tra i quali ci sarebbero Nunzio Calamucci, Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli.

Proprio Calamucci assieme ad un ex carabiniere, Vincenzo De Marzio, si sarebbero attivati per compiacere la volontà di Israele, attraverso una richiesta di sorveglianza verso presunti “hacker russi” e le attività del gruppo Wagner, la milizia al servizio del Cremlino utilizzata nelle operazioni militare russe.

A voler spiare anche i russi sono gli uomini della massoneria ecclesiastica del Vaticano che piuttosto che predicare il Vangelo e difendere la tradizione cattolica in Italia, si preoccupavano di individuare un presunto braccio destro di Putin in Italia, a dimostrazione che la Chiesa, da dopo il Concilio e con l’attuale pontificato bergogliano, si è ritrovata ad essere del tutto allineata con quelli che un tempo invece erano suoi nemici, su tutti lo stato di Israele e l’anglosfera.

L’inchiesta è una conseguenza della guerra tra bande in corso?

Appare però ancora più interessante la tempistica con la quale si è messa in moto questa inchiesta. Il gruppo di spioni era all’opera apparentemente almeno dal 2018, anno di nascita di Equalize, e le prime indagini sarebbero partite soltanto lo scorso anno su impulso della direzione distrettuale antimafia di Milano.

Nella infinita mole di articoli dei media mainstream ci sono un po’ ovunque disseminate le stesse informazioni, ma non si spiega, o forse non si vuole spiegare, come mai i magistrati della DDA milanese si siano improvvisamente attivati contro questo gruppo di spionaggio che probabilmente era conosciuto anche prima del 2023, ma prima però non risulta che si sia mossa foglia contro questa società e i suoi hacker.

Equalize evidentemente faceva comodo a molti nello stato profondo italiano così come faceva ancora più comodo ai committenti esteri, veri e propri supervisori, di questa repubblica eterodiretta, tra i quali c’è ovviamente il citato stato di Israele.

Non crediamo che qualcuno sia improvvisamente caduto sulla via di Damasco e abbia scoperto questa rete talmente estesa che appare surreale che non fosse nota già alla magistratura negli anni precedenti, tanto più se si pensa che apparentemente persino un magistrato, Carla Romana Raineri, già capo di gabinetto della giunta Raggi a Roma, e giudice civile proprio a Milano, si sarebbe rivolta a questo gruppo per sorvegliare una sua famigliare.

Forse si stanno rompendo gli ingranaggi del sistema precedente. Forse si è una in una generale fase di dimissione e di caduta dei precedenti equilibri che permette di mettere in moto delle inchieste che prima non si potevano mettere in moto.

La repubblica di Cassibile è in crisi sistemica, e adesso le sue bande, orfane delle precedenti protezioni angloamericane, sembra che si diano da fare con inchieste incrociate per colpirsi a vicenda nella speranza, vana, di restare in piedi dopo la tempesta che sta spazzando via sia l’anglosfera sia lo stato di Israele che si ritrova a sua volta isolato dopo il divorzio con gli Stati Uniti, la cui politica dopo Trump si è separata da quella israeliana.

La garanzia americana è venuta meno per tutti, e ora siamo un po’ nella fase del si salvi chi può. Adesso le bande sono sole, deboli e sempre più inferocite le une contro le altre.

Noi pensiamo che ormai gli indugi siano stati rotti e che dopo il fallimento della farsa pandemica e la nuova geopolitica che ha portato alla fine del mondialismo, sia iniziata una generale fase di resa dei conti, ad ogni livello della democrazia liberale italiana, dalla magistratura alla politica senza dimenticare ovviamente la massoneria nella quale infuria una vera e propria guerra fratricida nella quale i suoi protagonisti si sono persino minacciati di morte.

Altri cassetti si apriranno. Altri segreti rimasti sepolto a lungo usciranno.

Adesso è il tramonto della Seconda Repubblica i suoi membri si sbraneranno fino alla fine pur di provare a uscire indenni da questa nuova fase della storia.

la Spagna ha rimosso molte dighe per “ripristinare gli ecosistemi fluviali e la biodiversità come disposto dall’Agenda 2030 dell’ONU e del WEF.

 

Valencia “epicentro globale della città intelligente”…

LE DIGHE RIMOSSE ATTORNO A #Valencia I punti blu indicano tutte le dighe rimosse intorno a Valencia. Questo è qualcosa che i media mainstream  tacciono accuratamente. L’obiettivo era una maggiore biodiversità.

Negli ultimi 20 anni, la Spagna ha rimosso attivamente le dighe per “ripristinare gli ecosistemi fluviali e migliorare la biodiversità”. Come dettato dall’agenda 30 delle Nazioni Unite e del WEF.  La Spagna è stata leader in questa iniziativa. Solo nel 2021 ha rimosso 108 dighe. Più della metà delle 239 dighe smantellate in Europa quell’anno.

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Il “DRE Progress Report 2022” offre un resoconto sullo stato della rimozione delle barriere fluviali in Europa, evidenziando l’impatto positivo di tali operazioni nel ripristinare l’ecosistema dei fiumi. Questo report analizza i progressi fatti nel 2022 nel contesto della legge europea per il ripristino della natura e altre direttive, con l’obiettivo di aumentare la connettività fluviale e raggiungere 25.000 km di fiumi liberi entro il 2030.

Tra i paesi più attivi, la Spagna ha rimosso numerosi ostacoli, seguita da Svezia e Francia. In totale, sono state rimosse 325 barriere in 16 paesi europei, di cui il 73% costituite da sbarramenti bassi come briglie, e queste rimozioni hanno riconnesso circa 832 km di habitat. Il report mette in evidenza alcune iniziative di rilievo, come la rimozione di dighe idroelettriche obsolete in Norvegia, Finlandia e Francia, che hanno liberato chilometri di fiumi, favorendo la migrazione di specie ittiche importanti come il salmone atlantico e l’anguilla europea. Inoltre, paesi come Lussemburgo e Lettonia hanno partecipato per la prima volta alla rimozione di barriere.

Nonostante il progresso, alcune politiche nazionali in Germania e Francia contrastano con gli obiettivi di ripristino dei fiumi dell’UE, poiché continuano a sostenere piccoli impianti idroelettrici. Il documento esamina anche il ruolo dei fondi europei, come il Programma LIFE, nel finanziare questi progetti.

Il report chiude promuovendo la rimozione delle barriere come pratica standard di ripristino ecologico e fornisce risorse per incoraggiare e assistere ulteriori iniziative simili in tutta Europa

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La Spagna ha abbattuto 108 dighe (dams). Nell’insieme, i paesi europei ne hanno distrutte 239…

 

Vaccini Covid a mRNA, ematologo Corrado Perricone: “Causano cancro, i tassi di cancro saliranno vertiginosamente tra i vaccinati

 

Vaccini Covid a mRNA, ematologo Corrado Perricone: “Causano cancro, in 3 anni +18.400 diagnosi. La proteina Spike altera il DNA”

 
Di Corrado Perricone, ilroma.net

La Fondazione Mediterraneo concorda che il numero abnorme dei casi dei pazienti affetti da cancro è aumentato in maniera esponenziale in seguito alla vaccinazione ad mRNA. Tutto ciò si evince anche dai dati della letteratura internazionale che testimoniano come tali vaccini abbiano determinato patologie cancerogene in tutti gli apparati. In Italia in tre anni dal post pandemia l’incremento di casi di cancro è stato di 18.400 diagnosi, verosimilmente la causa di tale incremento è basata sugli studi di due scuole diverse: uno studio su base immunitaria, l’altro su base genetica.

Secondo il prof. Joseph Tritto, microchirurgo, esperto di biotecnologie e nanonotecnologie nonché presidente della Wabt (World Academy of Biomedical Sciences and Technologies) gli anticorpi IgG4 prodotti dopo l’inoculo sono corresponsabili della malattia iperprogressiva (HPD) o addirittura del cosiddetto turbo cancro (da BMJ).

L’induzione di anticorpi antivirali igG4 è bifunzionale: possono essere protettivi ma possono essere direttamente patogeni. Questa reazione immunitaria esacerbata si verifica essenzialmente nei pazienti più anziani, con suscettibilità genetica, ed in quelli con comorbilità. La tolleranza indotta dal vaccino può potenzialmente avere diverse conseguenze negative e non intenzionali, perchè la tolleranza alla proteina spike potrebbe inibire il sistema immunitario dal rilevare ed attaccare l’agente patogeno, ovviamente tutto ciò nel contesto della soppressione immunitaria indotta dal vaccino.

Il rischio di un incremento dell’IgG4 è correlato quando l’IgG4 è superiore a 700 mg/dL. Secondo uno studio di scienziati svedesi dell’Università di Stoccolma, il vaccino, sopprimendo il meccanismo naturale di riparazione del DNA nel corpo, noto come NHEJ (Non Homologous End Joining), rende le persone altamente suscettibili a mutazioni cancerose devastanti anche se esposte a livelli molto bassi di radiazioni ionizzanti come l’esposizione alla luce solare.

Con NHEJ soppresso dalla proteina spike, il corpo non può riparare il DNA danneggiato e le cellule mutano senza controllo, devastando l’intero corpo e provocando la disintegrazione genetica dell’organismo.

Lo studio mostra che l’efficienza di NHEJ crolla in presenza della proteina spike del vaccino covid ad mRNA. Nessun organismo vivente sul pianeta può sopravvivere senza integrità genetica. Mentre le persone normali e sane possono riparare il danno al DNA causato da bassi livelli di esposizione a radiazioni ionizzanti, le persone vaccinate riescono a malapena ad eseguire le riparazioni.

Pertanto i tassi di cancro saliranno vertiginosamente tra i vaccinati. È molto improbabile poi che gli individui vaccinati siano in grado di produrre una prole vitale a causa del danno al DNA.

Per concludere possiamo ipotizzare che solamente coloro che non si sono sottoposti al vaccino covid ad mRNA sono esenti anche da danni futuri potendo conservare l’integrità genetica.

01.01.2024

Corrado Perricone. Ematologo e già Responsabile del Centro di Immunoematologia dell’AORN Santobono-Pausilypon, già componente del Consiglio Superiore della Sanità. Responsabile del comitato scientifico della Fondazione Mediterraneo.

Fonte –  https://www.ilroma.net/news/opinioni/842867/perche-il-vaccino-anticovid-19-ad-mrna-puo-causare-il-cancro.html

Medvedev: Le elezioni USA non contano, la guerra in Ucraina non si fermerà e Trump rischia di essere assassinato se interviene


Medvedev: Le elezioni americane non contano, la guerra in Ucraina non si fermerà e Trump rischia di essere assassinato se interviene

Soltanto alcuni giorni dopo che la Russia ha lanciato una massiccia esercitazione di preparazione alla forza nucleare, l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza del paese, Dmitry Medvedev, afferma che il risultato elettorale degli Stati Uniti non ha alcuna importanza, perché entrambi i candidati credono che “la Russia deve essere sconfitta”. ” ed ha aggiunto che, se anche Donald Trump venisse eletto e volesse tentare di intervenire, rischierebbe di essere assassinato.

Medvedev ha commentato questo ai suoi circa 1,4 milioni di abbonati su Telegram .

L’intero messaggio è tradotto:

“ Il mondo intero è congelato in trepidante attesa dei risultati delle elezioni presidenziali nel lontano paese degli “Stati Uniti”.
Non c’è motivo di nutrire grandi aspettative al riguardo.

  1. L’esito delle elezioni non cambierà nulla per la Russia, questo perché entrambi i candidati condividono lo stesso consenso bipartisan secondo cui “la Russia deve essere sconfitta”.
  2. Kamala è stupida, inesperta e facile da controllare, poiché sarà terrorizzata da tutti coloro che la circondano. Tutte le vere decisioni verranno prese da un gruppo di ministri e consiglieri di alto livello e (indirettamente) dagli Obama.
  3. Un Trump a basso consumo energetico , che vomita cliché come “offrirò loro un accordo” e “ho un ottimo rapporto con…”, sarà costretto a conformarsi al sistema e alle sue regole. Non fermerà la guerra. Né in un giorno, né in tre giorni, né in tre mesi. E se ci provasse, potrebbe diventare il nuovo JFK.
  4. L’unica cosa che conta è quanti soldi il nuovo POTUS può estrarre dal Congresso per finanziare la guerra di qualcun altro in un paese lontano. Soldi per alimentare il complesso militare-industriale americano e per riempire le tasche della feccia banderista in Ucraina.
  5. Ecco perché, se vogliamo accontentare entrambi i candidati alla più alta carica americana, la cosa migliore che possiamo fare il 5 novembre è continuare a colpire il regime nazista a Kiev! »

Allo stesso tempo, Medvedev ha ribadito all’agenzia di stampa russa RT che l’adesione dell’Ucraina alla NATO potrebbe portare alla terza guerra mondiale .

” Poco prima della sua morte, in età molto avanzata, lui (Kissinger) ha suggerito, come con rammarico, che non avevamo altra scelta se non quella di accogliere l’Ucraina nella NATO”, ha dichiarato all’agenzia di stampa. “ Penso che avesse torto ancora una volta. Non esiste una tale predeterminazione. Perché scegliere tra certe promesse e la possibilità di scoppiare una terza guerra mondiale, la scelta è ancora abbastanza ovvia .

“L’adesione di lunga data dell’Ucraina alla NATO era uno degli obiettivi del piano di vittoria che il presidente ucraino Volodymr Zelenskyj ha presentato durante una visita negli Stati Uniti a settembre.

L’ambasciatrice di Kiev presso l’alleanza, Nataliia Galibarenko, ha dichiarato in ottobre che il governo ucraino voleva ricevere un invito formale ad aderire all’alleanza prima che il presidente Joe Biden lasci l’incarico a gennaio.

Pur sostenendo che l’alleanza sta invadendo la Russia, Mosca spesso fa riferimento alla prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla NATO per giustificare le sue azioni. Kiev afferma che deve aderire alla NATO per resistere a qualsiasi futura aggressione russa ”. –Newsweek

Medvedev ha anche detto a RT che Mosca crede che le attuali istituzioni politiche americane ed europee manchino della “ previdenza e acutezza mentale ” di Kissinger e dovrebbero prendere sul serio gli avvertimenti nucleari del Cremlino.

” Se parliamo dell’esistenza del nostro Stato, come ha detto molte volte il presidente del nostro Paese, il vostro umile servitore lo ha detto, lo hanno detto altri, ovviamente non avremo tutto “ma nessuna scelta “, ha detto, secondo Sky News e The Sun , aggiungendo che gli Stati Uniti e l’Occidente ” sbagliano ” se pensano che Putin non ricorrerà alle armi nucleari se la NATO cerca di infliggere una sconfitta alla Russia nella guerra in Ucraina.

“ Se il nuovo leader [americano] si dedicherà fieramente a gettare benzina sul fuoco del conflitto tra Russia e Ucraina, sarà una pessima scelta ”, aggiungendo: “ Perché è la strada verso l’inferno ”.

Questa è davvero la strada verso la Terza Guerra Mondiale ”, ha continuato. “ Chi decide di continuare la guerra commetterà un errore molto pericoloso ”.

Missili russi ipersonici Vanguard

Nota: In sostanza si può interpretare l’avvertimento di Medvedev, circa l’indifferenza verso il risultato delle elezioni negli USA, nel senso che chi comanda e decide non sarà comunque il presidente USA, quale che sia, ma il “Deep State”che opera dietro le quinte e che in questo momento persegue la sconfitta della Russia per mantenere l’egemonia unilaterale del gruppo di potere dominante.
Questa secondo noi la giusta interpretazione a cui mi permetto di aggiungere: Medvedev è uno che ha capito tutto e ci avverte.

Fonte: Aube Digitale

Traduzione e nota: Luciano Lago

Gli attacchi di Israele all’Iran sono stati un gravissimo errore di Netanyahu. Israele non ha una strategia militare a lungo termine


Gli attacchi di Israele all’Iran sono stati un errore apocalittico di Netanyahu. Ecco perché

Di Martin Jay
Ci rendiamo conto che Israele non ha una strategia militare a lungo termine, ma solo escursioni a breve termine che prosciugheranno sia le sue risorse sia il morale dei suoi soldati in prima linea.

Mentre il mondo intero attende con ansia il risultato delle elezioni americane tra pochi giorni, molti aspettano anche di vedere quali saranno le implicazioni del recente attacco di Israele all’Iran.
Nonostante Joe Biden gli abbia detto che non poteva colpire installazioni militari, ha agito contro il consiglio del suo principale sponsor e ha fatto proprio questo.

Forse non c’è mai stato un esempio migliore di fallimento della diplomazia occidentale di questo incidente, dato che mentre Israele mente al suo stesso popolo e al mondo occidentale tramite organi di informazione più che felici di raccontare storie sulla realtà degli attacchi, l’Iran ora deve considerare una serie di opzioni su come rispondere. Ma sicuramente risponderà.

Eppure questo atto singolare è probabilmente il più sconsiderato finora da parte di Netanyahu. Mai prima d’ora il primo ministro israeliano si era sbilanciato così tanto e aveva fatto una mossa del genere che non solo spinge gli Stati Uniti sull’orlo di una guerra con l’Iran, ma mette anche in luce la questione esistenziale di Israele stesso.

Il prossimo attacco all’infrastruttura militare di Israele potrebbe essere il colpo di grazia per Israele per funzionare come unità militare costringendo gli Stati Uniti, o il prossimo presidente, a intervenire con i critici di Trump che hanno già sottolineato che deve una serie di favori ai sionisti che sicuramente chiameranno.

Netanyahu è disperato nel voler mantenere in vita le guerre su tutti i fronti semplicemente per poter rimanere rilevante. Ma ciò di cui si parla a malapena è lo stato di Israele stesso, con un’economia a pezzi. Quanto lontano si spingerà il prossimo presidente degli Stati Uniti nel sostenere la nuova guerra di Israele con l’Iran, sia in termini di spesa militare che di nuova linfa all’economia che ha visto 40.000 aziende fallire dal 7 ottobre 2023 e quasi un milione di israeliani lasciare il paese.

Netanyahu ora è come un giocatore di poker che ha esaurito tutti i suoi punti al tavolo e ha in mano due coppie. Come può anche solo credere di poter affrontare l’Iran quando persino a Gaza e in Libano sta perdendo soldati a un ritmo di cui dovrebbe preoccuparsi lui ei suoi generali. Sì, ha colpito Hezbollah e ne ha ridotto le capacità, ma non ha nemmeno lontanamente eliminato il proxy iraniano che continua a inviare missili e droni su Israele, costringendo gli israeliani a correre nei loro rifugi antiaerei ancora oggi.

La decisione di colpire l’Iran è sicuramente nata da un atto di un grossolano dilemma politico. Tuttavia, l’atto in sé si è ritorto contro a un livello che né lui né il suo entourage avrebbero potuto immaginare.
La maggior parte degli obiettivi non è stata nemmeno significativamente danneggiata con una percentuale molto bassa di missili israeliani che hanno superato la difesa aerea iraniana, che è così efficiente che persino l’aeronautica militare israeliana ha avuto troppa paura di volare effettivamente nello spazio aereo iraniano. Molti in Occidente saranno ingannati dalla propaganda della lobby israeliana e dall’impressionante macchina delle pubbliche relazioni che si è trattato di una grande vittoria e che molti siti sono stati colpiti, indipendentemente dal fatto che l’IDF non possa fornire un singolo brandello di prova video per sostenere affermazioni così ridicole, come ha fatto in precedenza a Gaza e in Libano.

Ma la vera sconfitta di Israele sotto Netanyahu deve ancora arrivare. L’Iran ha ora tutte le prove concrete di cui ha bisogno per elaborare una strategia e colpire Israele ancora più duramente di prima. L’attacco errato all’Iran da parte di Netanyahu non è tanto misurato dal danno minore che ha causato a un paio di siti di armi. È da come ora il mito della forza militare di Israele è stato sfatato una volta per tutte. Per decenni Israele ha rivendicato la superiorità su tutti gli altri, compreso l’Iran, e questo è stato dato per scontato dai giornalisti occidentali di parte che hanno mantenuto vivo il sogno. Sorprendentemente, l’attacco a Israele da parte dell’Iran il 1° ottobre ha mostrato persino agli israeliani che i loro sistemi di difesa aerea erano irrimediabilmente inadeguati contro i missili ipersonici dell’Iran. Questo avrebbe dovuto essere sufficiente a raffreddare le teste calde che cavalcano Netanyahu. A questo punto, il messaggio che ha trasmesso all’ONU, secondo cui “non c’è posto in Iran che i missili di Israele non possono raggiungere” avrebbe dovuto essere preso per oro colato e interpretato letteralmente. Raggiungere i siti iraniani è una cosa. Distruggerli è un’altra.

Ora, mentre la polvere si deposita e Israele attende la risposta dell’Iran, anche il secondo mito secondo cui la capacità di attacco di Israele era altamente efficace contro le difese aeree dell’Iran è stato sfatato. Sembra che ora Netanyahu abbia ceduto perché non ha più bluff da giocare al tavolo da poker. A meno che, naturalmente, non sta deliberatamente convincendo il suo stesso paese a una strategia suicida in cui l’Iran profanerà completamente l’esercito di Israele lasciando agli Stati Uniti poca scelta se non quella di installarsi su larga scala. Questa strategia suicida non può essere esclusa, ma sembra difficile da credere.

La verità è che fino a quando Israele non ha colpito l’Iran, non sapeva se i suoi missili e aerei avevano la capacità di penetrare il sistema di difesa aerea iraniano, sostenuto pesantemente dalla Russia che gli aveva inviato i sistemi S-400 ad agosto .

Per il momento la stampa israeliana, come un atto di patriottismo disperato che si può solo supporre, si è abbandonata a una raffica di fake news sulla distruzione dei sistemi di difesa aerea dell’Iran e sulle fabbriche di missili. Ma l’esultanza non durerà a lungo. Stranamente, gli stessi media stanno diventando più pragmatici sulle operazioni di Israele in Libano che vanno avanti da ben più di un mese e in soli due giorni sono riusciti a rispedire in Israele oltre 80 sacchi per cadaveri, respingendo una narrazione che sta già iniziando a mettere in discussione la decisione di attraversare il confine libanese. Il Jerusalem Post, in un editoriale, ammette in realtà che la campagna sta perdendo credibilità a causa del numero di vite perse dei soldati dell’IDF. “Anche il numero di soldati uccisi nel Libano meridionale sembra aumentare invece di diminuire nel tempo”, afferma. “Gli attacchi contro Hezbollah, come l’uccisione dei comandanti di Radwan a settembre e l’eliminazione del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, avrebbero dovuto indebolire il comando e il controllo del gruppo”.

L’articolo è una notevole ammissione che la strategia di Israele è mal concepita e mal pianificata, proprio come l’invasione del 2006. Ma far uscire i soldati dell’IDF dal Libano meridionale sarà molto più difficile che mandarli lì, dato che Netanyahu ha infilato il braccio in un vespaio. Israele non può prendere in considerazione una guerra di logoramento contro Hezbollah, dato che persino Netanyahu sa di non poter vincere. I suoi unici mezzi per segnare punti sono gli assassinii e i bombardamenti sui civili nel sud di Beirut, una strategia che molti definirebbero terrorismo. La sua squadra di scagnozzi militari non ha imparato la lezione che i bombardamenti aerei non sono un fattore decisivo in una guerra contro un’organizzazione di guerriglia disciplinata.
Ha fallito in Iraq. Ha fallito anche in Vietnam. Ancora una volta, vediamo che Israele non ha una strategia militare a lungo termine, solo escursioni a breve termine che prosciugheranno sia le sue risorse che il morale dei suoi soldati in prima linea.

Fonte originale: Strategic Culture Foundation

Traduzione: Luciano Lago

Vucic: Stiamo costruendo le nostre relazioni con la Russia perché non è stata la Russia a bombardarci e a toglierci il Kosovo


Vucic: Stiamo costruendo le nostre relazioni con la Russia perché non è stata la Russia a bombardarci e non è stata la Russia a toglierci il Kosovo

Il Presidente della Serbia ha commentato le relazioni con l’Occidente e la Russia, nonché la questione relativa alla pressione dell’Occidente in termini di “necessità di sostenere le sanzioni anti-russe”. Aleksandar Vucic ha nuovamente affermato che Belgrado non imporrà sanzioni alla Russia e ha spiegato la differenza tra le relazioni della Serbia con l’Occidente e la Federazione Russa.

Vucic: Lei capisce che ogni paese persegue i propri interessi. Dobbiamo tenerne conto, proprio come gli altri paesi devono tenere conto che la Serbia ha i propri interessi. Secondo il presidente serbo, i rapporti di partenariato con la Russia si basano sul fatto che la Russia non ha combattuto contro la Serbia.

Vucic:

Non è stata la Russia a bombardarci. Non è stata la Russia a toglierci il Kosovo. E dobbiamo fare questa distinzione e capirla”.

Il presidente serbo ha sottolineato che la Serbia ha fatto una scelta europea, ma non rinuncerà alle relazioni reciprocamente vantaggiose con la Russia. Secondo il presidente serbo, nel mondo moderno non può esserci alcun pregiudizio che gli interessi del vostro paese risiedano nella partnership con alcuni e nel confronto costante con altri. Vucic considera questo un segno di un pensiero obsoleto e basato sui blocchi.

Fonte: Top War

Traduzione: Luciano Lago

Bruxelles prega per una vittoria di Kamala Harris, non vogliono perdere il loro privilegiato ruolo di servitori e governatori delle colonie

 

Europa col fiato sospeso: perché Bruxelles prega per una vittoria di Kamala

Un successo di Trump la costringerebbe a guardarsi allo specchio e a fare i conti con ipocrisie e contraddizioni, mettendo in discussione la sua “comfort zone” da scroccona


Kamala Harris (ABC)

 

Le elezioni Usa sono ormai alle porte, e l’Europa attende l’esito con il fiato sospeso. Il risultato non sarà determinante solo per gli Stati Uniti, ma avrà un impatto significativo anche sul Vecchio Continente, toccando temi cruciali come sicurezza, relazioni commerciali e cooperazione transatlantica. La maggioranza nelle istituzioni europee e nell’opinione pubblica spera in una vittoria di Kamala Harris, considerata garante della stabilità e della continuità nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico.

Il sondaggio

Secondo un sondaggio YouGov condotto in sette Paesi europei (Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Spagna, Svezia e Danimarca), Harris è largamente preferita a Trump. Solo in Italia Harris non raggiunge la maggioranza assoluta, pur rimanendo la candidata preferita. Il supporto è particolarmente elevato nei paesi nordici, con l’81 per cento degli intervistati danesi a favore di Harris. Le preferenze si concentrano tra gli elettori centristi e di sinistra, anche se la candidata democratica raccoglie consensi sorprendenti anche nell’elettorato di estrema destra, come i Democratici Svedesi e parte dei sostenitori di Marine Le Pen in Francia.

Questa preferenza non riflette necessariamente un sostegno incondizionato a Harris (che, in fondo, nessuno in Europa conosce bene), quanto piuttosto i timori europei per un nuovo mandato Trump. Harris è vista come una figura di continuità, portatrice di un approccio simile a quello di Biden nel coordinare la Nato e, attraverso di essa, gli alleati Ue, per mantenere una linea di pieno supporto a Kyiv nel conflitto contro la Russia.

A Bruxelles si confida che una presidenza Harris favorisca una cooperazione costruttiva con l’Ue, soprattutto su regolamentazioni di IA, tecnologia e clima. Tuttavia, l’effettiva capacità di Harris di agire su dossier delicati come gli aiuti all’Ucraina e i rapporti commerciali dipenderà dalla composizione del nuovo Congresso Usa (oltre che per presidente e vicepresidente, si vota anche per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e di 34 seggi del Senato su 100).

Trump, rischio o opportunità?

La preferenza europea per Harris si spiega col fatto che Trump è percepito come un elemento destabilizzante per gli equilibri attuali. Conosciuto per la sua avversione per gli alleati Nato “scrocconi” e per il “parassitismo” europeo, il suo approccio potrebbe comportare scontri più aperti. Gli alleati di Trump, come Elon Musk e altri magnati della Silicon Valley, potrebbero spingerlo a ostacolare aggressivamente le regolamentazioni tecnologiche dell’Ue, mentre lo stesso ex presidente ha ipotizzato nuovi dazi commerciali contro l’Europa. In politica estera, Trump ha dichiarato di voler concludere rapidamente la guerra in Ucraina, probabilmente con un compromesso che cristallizzi la situazione attuale.

Secondo alcuni retroscena, Bruxelles sarebbe pronta a reagire in modo coordinato e determinato a un nuovo mandato di Trump. Dopo i contrasti commerciali del 2018, l’Ue ha iniziato a progettare strategie difensive in vista di una possibile escalation dei dazi, pensando a misure che possano costringere gli Stati Uniti a sedersi al tavolo delle trattative.

Anche i singoli Stati membri stanno studiando le loro contromisure: la Francia ha già attivato una task force presso il Ministero degli esteri, mentre Parigi sottolinea l’importanza di una maggiore autonomia europea nelle politiche di difesa. Hanno fatto un certo rumore le affermazioni di Benjamin Haddad, ministro delegato agli affari europei del governo Barnier, che ha affermato: “Non possiamo lasciare la sicurezza dell’Europa nelle mani degli elettori del Wisconsin ogni 4 anni” e “Usciamo dalla negazione collettiva. Gli europei devono prendere in mano il proprio destino, indipendentemente da chi sarà eletto presidente”.

In un momento di grande debolezza politica ed economica della Germania, che ha di poco sfiorato la recessione tecnica ed è retta da una coalizione di governo in bilico, la Francia cerca di porsi alla guida di un fronte comune Ue perché teme che Trump possa sfruttare le divisioni tra Stati membri in caso di guerra commerciale, una tattica simile a quella tentata (peraltro senza molto successo) dal Regno Unito durante la Brexit per dividere il fronte europeo.

Il rischio di fratture interne all’Ue

Tuttavia, questi retroscena non tengono conto di due fattori molto importanti. Il primo è la grande leva che gli Stati Uniti hanno nei confronti dell’Europa, di cui, di fatto, garantiscono la sicurezza, in primis in chiave anti russa. Il secondo è che l’Unione europea e i suoi Stati membri non sembrano nelle condizioni di reggere lo scontro.

Il settore automobilistico, comparto industriale essenziale del Vecchio Continente, in particolare, è in grave crisi: con i dazi fino al 20 per cento sulle auto europee minacciati da Trump, la Germania e altri paesi produttori come la Spagna e la Polonia subirebbero un colpo durissimo. Questa pressione economica arriverebbe in un momento delicato per l’industria europea dell’auto, già scossa da annunci di ristrutturazioni e licenziamenti massicci da parte di Volkswagen e Audi.

Nell’ambito della difesa, la preoccupazione principale è che Trump trasformi la Nato in un’alleanza basata più su rapporti bilaterali ispirati al principio di condizionalità che sulla solidarietà collettiva, costringendo ogni Paese europeo a rafforzare i propri legami commerciali con gli Stati Uniti per assicurarsi la protezione. Questa prospettiva suscita allarme in Paesi come la Germania, che da decenni ha delegato parte della propria difesa agli Usa, approfittando, allo stesso tempo, di un considerevole surplus commerciale nei confronti di Washington.

Trump ha accennato a un piano per risolvere rapidamente il conflitto ucraino, senza mai rivelarne i dettagli. La sua strategia potrebbe implicare l’uso degli aiuti militari come leva negoziale, aumentando o riducendo il sostegno per imporre concessioni a Mosca o Kyiv, ed il congelamento della situazione attuale sul terreno, con un sacrificio territoriale a danno dell’Ucraina. Soprattutto, l’attuazione del piano, che potrebbe prevedere l’istituzione e sorveglianza di una “zona demilitarizzata”, ed i relativi costi, sarebbero affidati in gran parte agli alleati europei.

L’impatto di una vittoria di Trump non si fermerebbe alla politica estera. Un secondo mandato Trump potrebbe aumentare la divaricazione tra la maggioranza Ursula che governa a Bruxelles, e l’orientamento di molti governi di Stati membri Ue, che già si appoggiano a partiti di destra per mantenere la maggioranza, come dimostrano i casi di Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi e Slovacchia. Questi partiti sono accomunati, con diverse gradazioni, da una linea euro-critica se non euroscettica, e una vittoria di Trump potrebbe amplificare queste tendenze.

La sfida che l’Europa non vuole affrontare

In fondo, l’Europa spera in una vittoria di Harris perché un successo di Trump la costringerebbe a guardarsi allo specchio e a fare i conti con le proprie ipocrisie e contraddizioni. Sotto la rassicurante ombra americana, l’Ue, in particolare, ha potuto portare avanti una narrativa di autonomia e coesione che, in realtà, poggia su una forte dipendenza dagli Stati Uniti in materia di difesa e sicurezza.

Una presidenza Trump metterebbe in discussione questa zona di comfort, imponendo agli Stati europei di affrontare questioni spinose come il loro impegno nella Nato, la reale solidarietà tra Stati membri Ue, e la coerenza delle politiche industriali e commerciali di Bruxelles. Con Trump alla Casa Bianca, gli Stati europei non potrebbero contare su un partner di maggioranza sempre accomodante, e sarebbero chiamati a rispondere in modo più chiaro e incisivo alle sfide globali. Forse è proprio questo il motivo per cui il Vecchio Continente, neppure troppo nascostamente, prega per una vittoria di Harris.

Maia Sandu, rieletta in Moldavia grazie al contributo del voto dall’estero, la popolazione interna non la vuole perché teme le sue intenzioni guerrafondaie

Politica /

In Moldavia, due settimane dopo, si torna al punto di partenza al ballottaggio presidenziale: vince la presidente Maia Sandu, rieletta per un secondo mandato; lo fa grazie al contributo decisivo della cospicua diaspora dall’estero, che ribalta un verdetto sfavorevole sul fronte interno; la vittoria avviene sulla scia di un’anomala serie di accuse che nella giornata di domenica 3 novembre, quando il voto è andato in scena, hanno fatto parlare di “ingerenze russe” a favore dell’avversario di Sandu, l’ex procuratore Alexandr Stoianoglo, esponente del Partito Socialista.

Stoianoglo ha ottenuto un risultato notevole: dato sotto il 15% al primo turno, è arrivato secondo col 28% contro il 40% di Sandu e nel voto in patria si è classificato primo, conquistando il 51,19% dei suffragi contro il 48,81% della presidente uscente. Solo i voti dall’estero, in cui Sandu ha vinto con circa l’80%, che rappresentano un quinto degli aventi diritto hanno ribaltato l’esito. E ora paradossalmente Sandu dovrà gestire il peso dei suoi due successi, quello del referendum per mettere in Costituzione il percorso di avvicinamento all’Ue e quello delle presidenziali, dalle accuse di governare con la Moldavia reale contro. E, ci permettiamo di affermare, spaccare il Paese tra una Moldavia moderna, desiderosa di abbracciare l’Occidente, e una componente profonda dello Stato e delle sue periferie condizionata dalla Russia e per questo retrograda non basterà.

Del resto, Sandu ha già parlato di ingerenze russe nel voto – poi vinto – sull’adesione all’Ue e lo stesso hanno fatto ieri fonti di governo. Ma davvero oltre 700mila moldavi che hanno votato contro le sue proposte possono essere derubricati a agenti del Cremlino? O davvero un capo di Stato può avere così tanta sfiducia verso la popolazione che rappresenta, nella sua interezza, da ritenerla così facilmente condizionabile?

Non sa Sandu che, così facendo, finisce solo per legittimare accuse, palesemente infondate, diffuse nelle frange più radicali dei suoi oppositori, che la presentano come una figura non autonoma, un burattino di George Soros e pongono dubbi sul suo passato alla Banca Mondiale per mettere in campo critiche alla sua capacità di rappresentare il Paese?

La Moldavia è un Paese dall’identità fragile e ancora in via di definizione. Molte delle sue componenti sociali non vedono con maggior benevolenza alla Russia piuttosto che all’Occidente e temono l’integrazione europea per motivi ideologici ma per un ricordo dei tempi che furono, quando il legame con l’Unione Sovietica era sintomo di una relativa stabilità, o perché consci che un’accelerazione improvvisa dello sbarco in Europa potrebbe certamente destabilizzare le periferie del Paese, innanzitutto tramite una spinta all’emigrazione di massa che non è da escludere. Nella sua battaglia di potere Sandu ha semplificato, tirando dritto: Occidente contro Russia, tertium non datur. Ma il fatto che abbia vinto grazie ai voti esterni al Paese e denunciato presunte ingerenze di Mosca la rende fragile sul fianco opposto. E indebolisce il suo potere all’inizio del secondo, decisivo mandato.

Chi ha rimosso le dighe in Spagna? Hanno contribuito al disastro di Valencia? Anche questa è una conseguenza delle politiche green?

 

Nei giorni scorsi ho visto diversi video, e letto svariati articoli, che suggeriscono come la rimozione sistematica delle vecchie dighe in Spagna abbia contribuito al disastro di Valencia.

Il concetto che sta alla base di questa accusa è molto semplice: qualunque invaso, artificiale o naturale che sia, può servire da “serbatoio” nel caso di pioggia eccessiva. E’ evidente che, quando su una vallata si riversano improvvisamente milioni di metri cubi di acqua, la presenza di uno o più invasi può servire a rallentare la discesa a valle di quest’acqua, almeno fino a quando non si siano riempiti del tutto.

Di certo è curioso che proprio la Spagna sia il “paese leader” in Europa nella rimozione delle dighe negli ultimi 20 anni.

Negli ultimi anni il governo spagnolo ha investito la bellezza di 2.500 milioni di euro nella rimozione delle vecchi dighe, con la giustificazione che “non servono più”. Secondo lo stesso articolo, “l’eliminazione di questo tipo di infrastrutture ha provocato inondazioni nella valle del fiume Voltoya, del fiume Cega, e in decine di località ubicate nella comunità valenciana. Secondo esperti in materia, la rimozione di queste barriere riduce la capacità dei fiumi di controllare la crescita dell’acqua, aumentando il rischio per le popolazioni locali e distruggendo ecosistemi stabili”.

Talmente importante sembra essere la rimozione delle vecchie dighe, che esiste addirittura un progetto europeo, chiamato Dam Removal Europe per la rimozione delle dighe in tutta Europa. Dalla pagina del sito, dove compare una fotografia piena di gente “entusiasta” per l’abbattimento delle dighe, leggiamo: “Dam Removal Europe (DRE) è un movimento di amanti dei fiumi, volontari, attivisti, biologi, agenzie ambientaliste e altre entità coinvolte nel management dell’acqua e nella restaurazione dell’ecosistema delle fonti d’acqua”.

Devo essere sincero, quando io vedo tutto questo “entusiasmo green” e tutto questo “amore per la natura”, specialmente se accompagnati dalla parola “Europa”, mi si drizzano le antenne. Ma forse sono solo io che sono complottista.

Massimo Mazzucco

Altri articoli:

https://www.sport.es/es/noticias/actualidad/son-presas-derribadas-espana-ultimos-111106063

https://adelanteespana.com/el-gobierno-ha-invertido-2-500-millones-de-euros-en-demoler-las-presas-que-construyo-franco

Le entrate tributarie, il risparmio degli italiani e... BlackRock. Una sintetica riflessione su dove finisce il risparmio e le sue ripercussioni politiche e sociali

 

Le entrate tributarie, il risparmio degli italiani e... BlackRock


di Alessandro Volpi


Una considerazione che penso sia utile aver presente. Le entrate tributarie sono in Italia pari a circa 550 miliardi di euro l'anno che servono a finanziare la spesa corrente, a cominciare da quella del Welfare. Il risparmio che gli italiani affidano ai primi 10 gestori ogni anno supera i 2200 miliardi. Rispetto a questo dato è necessario porsi due domande.

La prima. Ma chi sono tali gestori? il primo è BlackRock con 473 miliardi, seguito da Vanguard, con 276. Nei primi dieci compaiono anche Jp Morgan con 236 miliardi, Union Investment con 207 e Fidelity con 204, tutti e tra partecipati da Black Rock e Vanguard. Il solo gruppo "italiano" è Intesa, in cui è presente BlackRock. Peraltro vale solo la pena ricordare che nel 2021 BlackRock gestiva poco più di 100 miliardi, oggi una massa oltre 4 volte più grande.

La seconda domanda riguarda dove vengono indirizzati i risparmi italiani da questi fondi: per oltre il 60% negli Stati Uniti e per meno del 20% in Italia. Alla luce di ciò emerge la considerazione a cui si accennava in apertura. Le sorti degli italiani e delle italiane dipendono sempre meno dalla spesa pubblica finanziata dalle entrate tributarie, che dovrebbe garantire i servizi universalistici, e sempre più dai risultati garantiti da fondi americani che acquistano titoli americani.

Siamo sempre meno cittadini italiani e sempre più soggetti finanziarizzati a stelle e strisce; naturalmente un simile meccanismo non può che alimentare le disuguaglianze tra chi può mettere nei fondi grandi cifre e chi è costretto, dalla ritirata del Welfare, a metterci ben poco.

Sono numerose e gravi le situazioni avverse che affliggono la popolazione USA, alcune ignote e impensabili e soprattutto pericolose

 

Cosa c’è che non va nella nazione americana?

LA SITUAZIONE ATTUALE DEGLI USA VISTA DA ITA.LIANI

Alla vigilia delle elezioni americane è interessante sapere quale sia la situazione interna degli USA secondo quanto riferiscono osservatori che li conoscono bene per esserci vissuti o averli visitati a lungo. Citeremo quanto hanno scritto due di queste persone e anche citazioni bibliografiche.

RICCARDO RUGGERI, dirigente industriale ed economista, ha scritto un suo “Cameo” in cui afferma:

* conoscere l’America vera di oggi vuol dire rendersi conto che da un quarto di secolo è presente una specie di rivoluzione popolare fredda contro la classe dominante: si può dire che da anni essa è in uno stato di “guerra civile fredda” fra la classe dominante configurata sempre più come “patrizia” e il popolo costretto a tornare “plebe”…se vince “The Donald” contro Kamala Harris (una figurina Panini politicamente irrilevante in una dimensione planetaria) l’America si libera per sempre dei clan dei Clinton, degli Obama, del “woke”. Aspetto positivo per un futuro (sano) dell’Occidente.

MARCO ZACCHERA, ex-parlamentare del MSI e di A.N., già componente della Commissione Esteri e visitatore abituale degli USA, ha scritto sul suo “Punto” settimanale dell’1/11/24:

* sono rientrato da un tour negli USA di tre settimane ed essi mi sono apparsi spenti, demotivati, in crisi…Le polemiche sull’aborto tra liberalizzatori e censori appaiono assurde perché un’infinità di ragazzine abortisce soprattutto perché non ha una minima idea sulla contraccezione e rispetto all’Italia mi sembra una realtà indietro di 40 anni…Un Paese che si rovina con alimenti pieni di additivi e zuccheri, si riempie d’integratori, nei supermercati trova porzioni di cibo oscenamente grandi e tali da portarli fatalmente all’obesità…Agli incroci tanta gente chiede la carità, visibilmente disperata e fatta di droghe. In giro, troppa gente fisicamente “brutta”, grassa e cadente…Un’ondata migratoria dal sud del continente che non è costituita solo da poveracci ma anche da bande di delinquenti venezuelani, colombiani, messicani e salvadoregni che si sono organizzate e armate e al cui confronto la vecchia mafia italoamericana di un tempo sembra uno sbiadito club di educandi…Un’America che appare un Paese sempre più vecchio, con infrastrutture ormai inadeguate…Un’America in cui non si celebra più il Columbus Day perché Colombo è considerato razzista e si abbattono i suoi monumenti (33 negli ultimi due anni) …Intanto, i corsi universitari sono riservati in maggioranza per le “minoranze (ovvero per tutti, salvo i bianchi americani) e dove conta sempre meno il merito e sempre più l’appartenenza etnica. Un razzismo al contrario, spesso ridicolo e ingiusto, in un clima avvelenato, puzzolente, pieno di violenza.

A questi due commentatori aggiungo la citazione del libro scritto dal giornalista/scrittore FEDERICO RAMPINI, inviato da “Repubblica” all’estero, attualmente collaboratore del “Corriere della Sera” e residente a New York da molti anni, intitolato “SUICIDIO OCCIDENTALE”, edito da Hoepli. Esso è stato così presentato dall’autore: “è il tentativo di svegliare gli italiani prima che sia troppo tardi perché le mode americane arrivano sempre da noi”: in esso, descrive la situazione degli USA con le stesse modalità e considerazioni suesposte e in modo ancor più approfondito.

Il 2 novembre l’Ambasciatore GIOVANNI CASTELLANETA, che è  stato anche consigliere diplomatico di Berlusconi, ha scritto un articolo su “Il Messaggero” dove sostiene:

* l’economia americana è florida e innovativa, ma è priva della forza lavoro necessaria per sostenere il sistema manifatturiero…Con i venti si guerra che soffiano nel mondo, gli USA avrebbero bisogno di sostenere la loro produzione di armamenti ma semplicemente non ne hanno la capacità…da qui la tendenza ad intervenire molto meno rispetto ad alcuni decenni fa.

Sono queste le motivazioni su cui si basa lo slogan di Trump “facciamo tornare di nuovo l’America grande” (MAGA). Speriamo che le prossime elezioni invertano queste tendenze, soprattutto quelle sociali e culturali, anche per evitare le influenze sull’Europa, come ha detto Rampini !

Dalla pagina Facebook di Nazareno Mollicone.

Se lo chiede anche  un americano:

Mentre ci avviciniamo alla conclusione di questo ciclo elettorale, sembra esserci solo una cosa su cui tutti gli americani sono d’accordo, siano dem o rep

Vale a dire che c’è qualcosa di molto sbagliato nella nostra nazione.

Nell’ultimo sondaggio Gallup, solo il 22 percento afferma di essere soddisfatto della direzione del paese. Il dato più alto degli ultimi 16 anni è stato il 45 percento a febbraio 2020.

Quindi, nonostante i cambiamenti nel controllo del partito avvenuti nel corso di questi anni, la sensazione che qualcosa non vada nel Paese persiste.

Per quanto riguarda queste elezioni, solo il 39 per cento afferma di stare meglio rispetto a quattro anni fa, mentre il 52 per cento afferma di non stare meglio.

La maggior parte degli americani non ha nemmeno fiducia nelle fonti da cui trae le notizie. Solo il 31 percento afferma di avere molta o discreta fiducia nei mass media. La prima volta che Gallup ha posto questa domanda, nel 1972, il 68 percento ha espresso fiducia nei mass media.

Una percentuale record di americani, l’80%, afferma che il Paese è “fortemente diviso” sui valori più importanti.

In un sondaggio del New York Times/Siena College, solo il 49 percento afferma che “la democrazia americana fa un buon lavoro nel rappresentare il popolo”. E il 76 percento afferma che “la democrazia americana è attualmente sotto minaccia”.

Tutti concordano che qualcosa non va, ma non emerge alcun consenso su quale sia esattamente il problema.

È possibile individuare la causa del cinismo e della disillusione che attanagliano la psiche della nostra nazione?

A mio avviso il problema è l’allontanamento della nazione dai suoi principi fondanti.

Per dirla in un altro modo, non abbiamo scelta se avere fede o credenza. Ma abbiamo scelta su cosa credere.

Il cambiamento radicale che ha avuto luogo in America è lo sradicamento della Bibbia come punto di partenza per distinguere il bene dal male. [è la tesi di Emmanuel Todd: lo spirito protestante,  che è stato il motore del progresso americano,  gli Stati Uniti, è stato sostituito dal woke, ndr.                                                +

Abbiamo barattato la nostra fede in Dio con la fede nel governo.

Nel 1950, Gallup riporta che lo 0 percento degli americani affermava di non avere religione. Nel 1970, questa percentuale era salita al 3 percento. E nel 2023, era salita al 22 percento.

Nello stesso periodo, nel 1950, il governo federale ha consumato il 14,2 percento del nostro PIL. La stima del Congressional Budget Office è che nel 2024 quella percentuale sarà del 23,9 percento.

Il preambolo della nostra Costituzione spiega che il suo scopo è “assicurare a noi stessi e ai nostri posteri le benedizioni della libertà”.

La nostra Costituzione non è stata presunta essere la fonte della nostra libertà. Siamo già liberi in virtù, come osservato nella Dichiarazione di Indipendenza, di essere stati creati così dal nostro Dio.

La nostra Costituzione è stata concepita per limitare l’interferenza del governo nella capacità di uomini e donne liberi e timorati di Dio di vivere la propria vita come ritengono opportuno.

La linea guida del comportamento, del giusto e dello sbagliato, è quella che ci è stata trasmessa dal nostro Creatore attraverso la Bibbia.

In questa situazione l’America è cresciuta ed è diventata grande.

Tuttavia, il successo porta con sé il peccato dell’orgoglio, e iniziamo ad attribuire il nostro successo alla nostra intelligenza piuttosto che alla nostra fede e responsabilità personale. Mentre un numero crescente di americani si è allontanato da Dio, si è rivolto sempre di più al governo.

Il triste paradosso è che, quando gli americani si rivolgono al governo, abrogano proprio quella libertà che i padri fondatori avevano immaginato che il governo dovesse garantire.

Il risultato è una minore crescita economica, la disgregazione della famiglia americana e la scomparsa dei bambini.

Crescita del governo, crescita del debito federale e niente figli non sono la formula per un paese con un futuro.

Credo che questo sia ciò che gli americani stanno percependo e che sta producendo tutti questi sentimenti negativi e pessimismo.

Dobbiamo ritornare alla visione dei nostri fondatori.

Una nazione libera, sotto Dio. E una Costituzione che assicura “le benedizioni della libertà”. Altrimenti, nonostante gli alti e bassi, la nazione non realizzerà il suo grande potenziale.

* * *

MB:  è  la plutocrazia giunta alla sua fase terminale, autodistruttiva della stessa grandezza americana..

IN USA le banche ti chiudono il conto se sei trumpiano (o cristiano):

Figuratevi il bene che ciò fa all’economia

Scritto da Jeffrey Tucker tramite The Epoch Times,

Tra le tante tendenze preoccupanti c’è il problema del debanking. È sottostimato. Le vittime non amano parlarne, nemmeno tra familiari e amici.

Se ne parla raramente nei forum pubblici. Solo gli specialisti ne scrivono. Ma è una minaccia per tutti nel modo più intensamente efficace. La pratica nega alle persone l’accesso alle basi della vita e tuttavia non c’è appello, nessun processo, nessun metodo di sfida e nessuna soluzione.

Fino all’ultima biografia di Melania Trump non sapevamo che lei e suo figlio Barron erano vittime del debanking , la pratica di chiudere il conto bancario di una persona sulla base di una decisione non firmata e non spiegata, in cui al titolare del conto viene semplicemente comunicato che tutti i servizi vengono negati.

A quanto pare anche Melania e Barron sono stati cancellati dalla loro stessa banca.

“Sono rimasta scioccata e sgomenta nell’apprendere che la mia banca storica ha deciso di chiudere il mio conto e negare a mio figlio l’opportunità di aprirne uno nuovo”, ha scritto.

Il Free Press commenta : “Sono state debankate anche diverse organizzazioni di beneficenza cristiane, tra cui Indigenous Advance Ministries, un’organizzazione di beneficenza con sede a Memphis che svolge attività filantropica per gli orfani in Uganda, e Family Council, un’organizzazione pro-life con sede in Arkansas. Secondo i legislatori democratici, anche molti arabi e sud-asiatici americani, considerati “ad alto rischio” perché musulmani, sono stati debankati”.

Non esiste  un “diritto umano” ad avere un conto in banca e le banche hanno ogni diritto legale di decidere con chi vorrebbero fare affari. Possono interrompere i servizi clienti per chiunque in qualsiasi momento e non hanno alcun obbligo legale di spiegare o consentire appello.

Ciò che confonde le cose è che le banche potrebbero non necessariamente voler espellere i titolari di conti, ma sono spinte a farlo dai loro stessi standard di conformità. Se vedono un conto aziendale impegnato in attività che sembrano anche solo leggermente sospette, come gestire criptovalute o spostare denaro in modi strani o accettare troppi depositi da una fonte sconosciuta, il sistema stesso potrebbe segnalare il conto e il processo viene quindi avviato senza alcun decisore umano.   l’account è  rimosso senza che nessuno in banca ne sia a conoscenza. In questo caso, gli algoritmi stanno governando le persone, un problema che è diventato estremamente serio in una serie di aree.

Vederli improvvisamente tagliati fuori è come cadere nell’abisso.  Per qualche ragione, i poteri forti hanno deciso che il tuo conto non è uno di quelli che vogliono e questa è la fine. Non c’è nessuno da citare in giudizio perché nessuno ha fatto nulla di sbagliato. Concedere servizi bancari è a discrezione della banca, punto.

https://www.zerohedge.com/political/future-debanking