La lite infinita sulla casa di Hitler
Braunau è una ridente cittadina fluviale austriaca con case gotiche e tetti spioventi sulle rive dell’Inn, che la separa dalla vicina Baviera. Sfortuna vuole che qui nel 1889, in un edificio del quartiere Salzburger Vorstadt, sia nato Adolf Hitler, poco prima che i genitori si trasferissero a Passau, in Germania.
La storia della casa natale del führer nell’Alta Austria è lunga e complessa. Fu costruita nel 1826 come trattoria e nel corso degli anni ospitò uffici della dogana, una biblioteca e alcune aule di un istituto tecnico adiacente. Nel 1938, il segretario del partito nazista Martin Bormann acquistò l’edificio a prezzo maggiorato, descrivendolo come il “luogo che ogni tedesco dovrebbe visitare almeno una volta nella vita”. E fu così che la casa cominciò a diventare meta di pellegrinaggio per nostalgici da tutto il mondo. Hitler stesso tornò a Braunau una sola volta, il 12 marzo 1938, il giorno dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, in viaggio verso Linz.
Il governo austriaco, nel 1989, ha fatto erigere davanti al palazzetto una targa con la scritta “Per la pace, la libertà e la democrazia. Mai più fascismo”, ma la targa è stata spesso imbrattata con la vernice. Negli ultimi decenni la casa ingombrante è diventata oggetto di infiniti dibattiti, progetti e proposte. Nell’ottobre 2016, l’allora ministro dell’interno Wolfgang Sobotka aveva annunciato l’intenzione del governo di abbattere l’edificio, ma la proprietaria ha opposto una strenua resistenza rifiutando di venderla.
Non si annulla la storia con le ruspe
Solo quest’anno il tribunale ha fissato il valore dell’edificio a 810mila euro, mettendo fine alla lunghissima vicenda giudiziaria e aprendo la strada al cambio di proprietà. La vicenda ha parecchi aspetti grotteschi. Per evitare un uso indesiderato il governo ha preso in affitto la casa già dal 1972, pagando un canone di 4.800 euro al mese.
Tre anni fa il governo aveva chiesto concrete e realizzabili proposte per l’uso dell’edificio a una commissione di dodici storici ed esponenti della società civile che avevano scartato l’idea di trasformarlo in un museo, proponendo piuttosto un uso antimistificatorio come l’affidamento a un’associazione per persone disabili o la trasformazione in un supermercato. La maggioranza ha espresso la convinzione che l’abbattimento non risolverebbe il problema, ricordando il destino della casa di villeggiatura del führer nelle Alpi bavaresi. Il famoso Berghof fu distrutto nel 1952 con quintali di dinamite, ma i pochi resti rimasti nel bosco sono tuttora un luogo di culto per pellegrinaggi nazisti. Conclusione della commissione: “Non si può annullare la storia con le ruspe”.
E poche settimane fa il governo ha bandito un concorso europeo di architettura per l’immobile in questione. La vera intenzione sembra quella di modificare drasticamente l’aspetto dell’edificio in modo da cancellare ogni ricordo del palazzo che ospitò per pochi mesi la famiglia di Adolf Hitler.
Al governo di Vienna il dibattito sulla casa di Braunau non è mai piaciuto, perché ha messo in luce il ruolo ambiguo dell’Austria sotto il nazismo. E ora mezza Europa scopre con un certo stupore che Adolf Hitler non era tedesco, ma austriaco. Non è l’unica sorpresa riguardante il führer. In Germania recentemente è stato ripubblicato quello che decenni fa, con oltre 12 milioni di copie, era il libro più diffuso: il Mein Kampf. Naturalmente non si tratta dell’opera originale, la cui vendita è proibita, ma di un’edizione critica con 3.700 note aggiunte da un gruppo di storici. Non è un testo di facile lettura: due volumi di duemila pagine del peso di sei chili a un prezzo di 59 euro. Questo non ha impedito all’edizione di scalare la lista dei bestseller e piazzarsi per molte settimane al primo posto. Per non dimenticare.
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