Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

La trappola in cui cadde nel '41 Rudolf Hess, il delfino di Hitler, cambiò le sorti della guerra e del mondo Occidentale

Un documentario tedesco di una quindicina di anni fa, che guarda caso non circola e rimane ignoto all'opinione pubblica (che sia censurato?), rivela le vere ragioni ormai accertate del misterioso volo di Rudolf Hess in Scozia nel maggio del '41.
Il documentario è in pratica il frutto di un'inchiesta giornalistica molto seria e documentata, con tanto di testimonianze e ricerche d'archivio su documenti desecretati e con l'applicazione dell'analisi deduttiva, lo troverete al seguente link:



Exame de DNA encerra mistério sobre identidade de líder ... 
Rudolf Hess da giovane



Quanto riferito dal documentario-inchiesta sopra linkato, su uno dei più importanti eventi della Seconda Guerra Mondiale, volutamente sottovalutato e mistificato, non li troverete mai sui libri di storia e nelle pubblicazioni mainstream. Le responsabilità di scelte strategiche, militari e geopolitiche, che hanno influito sulla storia del mondo, prolungato la guerra di anni provocando decine di milioni di morti (soprattutto tra la popolazione civile, le maggiori vittime di ogni guerra), andrebbero attribuite diversamente e più equamente, i maggiori colpevoli finora indicati non erano i soli e quelli con le colpe maggiori sono finora rimasti nell’ombra, se non addirittura osannati, come Winston Churchill.

Risulta chiaro nel documentario che il volo di Hess, il numero due del regime, il delfino di Hitler, non è stato certamente un'iniziativa personale frutto della sua puerile vocazione a servire il suo idolo e della sua depressione psichica, come la versione ufficiale istituzionale e della storiografia mainstream continua a fornire, in tutte le pubblicazioni e servizi video ancora oggi trasmessi dai più importanti mass media mondiali. Mass media che in pratica lo descriverebbero come un povero ingenuo, sprovveduto e fuori di testa, che pensava di recarsi in volo da solo e all'insaputa di Hitler per trattare la pace con l'Impero Britannico (e a che titolo?). 
Se fosse stato solo un povero demente allora perché l’hanno condannato tanto severamente, tenendolo in carcere fino alla morte avvenuta a 93 anni nel 1987, quando i più feroci nazisti colpevoli di efferati crimini di guerra erano usciti dal carcere da almeno 20 anni? 
Perché tanta severità, che sfiora la tortura psichica, nei suoi confronti? Perché non consentirgli nemmeno il conforto di poter morire a casa con la sua famiglia?
E come avrebbe fatto un vecchio di 93 anni, praticamente infermo e bisognoso di ben due accompagnatori per muoversi, a suicidarsi strangolandosi al collo con un filo della luce? Infatti tutti gli esperti dopo aver esaminato la sua cartella clinica e dopo aver compiuto l'autopsia hanno escluso che possa essersi suicidato. Quindi l'hanno suicidato. E perché?
Perché qualche giorno prima Michail Gorbačëv aveva dichiarato pubblicamente di volergli concedere la grazia per consentirgli di poter vivere gli ultimi giorni con la sua famiglia. Quindi l'hanno ucciso per impedirgli di rivelare quello che sapeva, perché non era vero che avesse perso la memoria, lo tenevano in isolamento totale perché non parlasse con nessuno e lui sapeva che se avesse rivelato quello che sapeva sarebbe morto in carcere, e ha resistito per oltre 45 anni nel silenzio più assoluto. Non poteva certo prevedere che la ferocia dei suoi aguzzini si sarebbe manifestata in quel modo, senza alcuna pietà, anche dopo mezzo secolo. Probabilmente non avrebbe parlato neppure coi famigliari, per non metterli in pericolo, ma i servizi segreti inglesi non hanno voluto correre rischi e hanno provveduto di conseguenza.


Rudolf Hess in 1983, in the garden of Spandau. | {History ...
Rudolf Hess da vecchio

Quindi volendo sintetizzare, gli abilissimi servizi segreti inglesi nella primavera del '41 hanno teso una trappola ai tedeschi facendo loro credere che si potesse concordare una pace separata, consentendo all'Esercito tedesco di dedicarsi interamente all'aggressione alla Russia (chiudendo un fronte di guerra, in Occidente), in realtà Churchill non aveva nessuna intenzione di modificare i suoi piani di guerra, che prevedevano il coinvolgimento degli USA e della Russia a fianco degli inglesi fino alla totale distruzione della Germania, perché quest’obiettivo era il vero interesse dell'Impero Britannico, dominato dalla finanza anglosassone.

Con questo ovviamente non voglio certo deresponsabilizzare i nazisti, che andavano comunque fermati, ma c'è modo e modo, e quello scelto Churchill è stato il più sanguinoso, che è bene saperlo ha causato oltre il 95% delle vittime della guerra, che sono appunto morte dopo quella data, quel maggio del '41 con il volo di Hess sulla Scozia. Premesso che disponevano di servizi segreti così efficienti, gli inglesi avrebbero potuto sostenere la resistenza tedesca che aveva validi e autorevoli elementi anche negli alti comandi militari, nello Stato Maggiore di Hitler, avrebbero potuto organizzare un attentato alla vita di Hitler, invece di lasciarli soli, con le loro sole forze, fallendo com'è risaputo nel luglio del '44, con la conseguenza che migliaia di oppositori al regime di Hitler furono trucidati.

A un dominio se n'è sostituito un altro, più subdolo e insidioso: quello finanziario anglosassone, che per imporsi ha determinato un bagno di sangue e la distruzione dell'Europa per poter gestirne la ricostruzione e le fondamenta economiche coi loro canoni di potere e controllo, che hanno esercitato finora, soprattutto in Italia, paese privo di sovranità e autonomia decisionale.

Claudio Martinotti Doria


Il paradossale caso della casa di Hitler fa scoprire agli europei che era austriaco e non tedesco, forse scopriranno anche che la IIGM l'hanno vinta i sovietici.

Dopo aver scoperto con parecchi decenni di ritardo che Hitler era austriaco e non tedesco gli europei potrebbero anche scoprire con sbigottimento che la II Guerra Mondiale l'hanno vinta prevalentemente i sovietici e non gli angloamericani, come dimostrerebbe il conteggio delle vittime complessive tra civili e militari: 600mila tra gli anglosassoni e 26milioni tra i sovietici. Non mi stancherò mai di rammentare che se non si conosce la storia, e per farlo occorre documentarsi senza pregiudizi e ideologie, difficilmente si riesce a capire, interpretare correttamente e acquisire consapevolezza dei tempi che stiamo vivendo. Claudio

La targa memoriale con la scritta “Per la pace, la libertà e la democrazia. Mai più fascismo”, davanti alla casa dove nacque Adolf Hitler a Braunau, in Austria. Novembre 2019. (Andreas Gebert, Reuters/Contrasto)

La lite infinita sulla casa di Hitler 


Braunau è una ridente cittadina fluviale austriaca con case gotiche e tetti spioventi sulle rive dell’Inn, che la separa dalla vicina Baviera. Sfortuna vuole che qui nel 1889, in un edificio del quartiere Salzburger Vorstadt, sia nato Adolf Hitler, poco prima che i genitori si trasferissero a Passau, in Germania.
La storia della casa natale del führer nell’Alta Austria è lunga e complessa. Fu costruita nel 1826 come trattoria e nel corso degli anni ospitò uffici della dogana, una biblioteca e alcune aule di un istituto tecnico adiacente. Nel 1938, il segretario del partito nazista Martin Bormann acquistò l’edificio a prezzo maggiorato, descrivendolo come il “luogo che ogni tedesco dovrebbe visitare almeno una volta nella vita”. E fu così che la casa cominciò a diventare meta di pellegrinaggio per nostalgici da tutto il mondo. Hitler stesso tornò a Braunau una sola volta, il 12 marzo 1938, il giorno dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, in viaggio verso Linz.
Il governo austriaco, nel 1989, ha fatto erigere davanti al palazzetto una targa con la scritta “Per la pace, la libertà e la democrazia. Mai più fascismo”, ma la targa è stata spesso imbrattata con la vernice. Negli ultimi decenni la casa ingombrante è diventata oggetto di infiniti dibattiti, progetti e proposte. Nell’ottobre 2016, l’allora ministro dell’interno Wolfgang Sobotka aveva annunciato l’intenzione del governo di abbattere l’edificio, ma la proprietaria ha opposto una strenua resistenza rifiutando di venderla.
Non si annulla la storia con le ruspe
Solo quest’anno il tribunale ha fissato il valore dell’edificio a 810mila euro, mettendo fine alla lunghissima vicenda giudiziaria e aprendo la strada al cambio di proprietà. La vicenda ha parecchi aspetti grotteschi. Per evitare un uso indesiderato il governo ha preso in affitto la casa già dal 1972, pagando un canone di 4.800 euro al mese.
Tre anni fa il governo aveva chiesto concrete e realizzabili proposte per l’uso dell’edificio a una commissione di dodici storici ed esponenti della società civile che avevano scartato l’idea di trasformarlo in un museo, proponendo piuttosto un uso antimistificatorio come l’affidamento a un’associazione per persone disabili o la trasformazione in un supermercato. La maggioranza ha espresso la convinzione che l’abbattimento non risolverebbe il problema, ricordando il destino della casa di villeggiatura del führer nelle Alpi bavaresi. Il famoso Berghof fu distrutto nel 1952 con quintali di dinamite, ma i pochi resti rimasti nel bosco sono tuttora un luogo di culto per pellegrinaggi nazisti. Conclusione della commissione: “Non si può annullare la storia con le ruspe”.
Ora mezza Europa scopre con un certo stupore che Adolf Hitler non era tedesco, ma austriaco
Il politologo Andreas Maislinger ha proposto di trasformare l’edificio in un “luogo di riconciliazione”, invitando a un convegno rappresentanti di altre “eredità indesiderate” come Predappio e Mauthausen. Poche settimane fa c’è stato un nuovo colpo di scena: il governo ha annunciato a sorpresa che l’edificio conteso diventerà la sede della polizia distrettuale. Wolfgang Peschorn, ministro dell’interno, ha dichiarato: “Attraverso l’utilizzo di questa casa da parte della polizia intendiamo dare un segnale senza equivoci del fatto che questo edificio sarà per sempre sottratto alla memoria del nazionalsocialismo”.
E poche settimane fa il governo ha bandito un concorso europeo di architettura per l’immobile in questione. La vera intenzione sembra quella di modificare drasticamente l’aspetto dell’edificio in modo da cancellare ogni ricordo del palazzo che ospitò per pochi mesi la famiglia di Adolf Hitler.
Al governo di Vienna il dibattito sulla casa di Braunau non è mai piaciuto, perché ha messo in luce il ruolo ambiguo dell’Austria sotto il nazismo. E ora mezza Europa scopre con un certo stupore che Adolf Hitler non era tedesco, ma austriaco. Non è l’unica sorpresa riguardante il führer. In Germania recentemente è stato ripubblicato quello che decenni fa, con oltre 12 milioni di copie, era il libro più diffuso: il Mein Kampf. Naturalmente non si tratta dell’opera originale, la cui vendita è proibita, ma di un’edizione critica con 3.700 note aggiunte da un gruppo di storici. Non è un testo di facile lettura: due volumi di duemila pagine del peso di sei chili a un prezzo di 59 euro. Questo non ha impedito all’edizione di scalare la lista dei bestseller e piazzarsi per molte settimane al primo posto. Per non dimenticare.

L'isola di Bougainville ha votato per l'indipendenza dalla Papua Nuova Guinea, ennesima dimostrazione del desiderio di autodeterminazione dei popoli

L'isola di Bougainville fa parte geograficamente dell'arcipelago delle isole Salomone ed è un'isola molto grande (oltre 9.000 kmq) ma è sottoposta alla giurisdizione della Papua Nuova Guinea e solo in seguito ad una sanguinosa guerra civile che ha provocato la morte di circa il 10% della popolazione insulare, il governo centrale ha concesso il referendum consultivo. E' già a tutti gli effetti una regione autonoma, ma da decenni lotta per l'indipendenza, ma il governo centrale ha finora temporeggiato e infatti il referendum si è svolto con moltissimi anni di ritardo e si teme che molti altri anni passeranno prima che la Papua Nuova Guinea riconoscerà ufficialmente l'indipendenza, anche a causa del fatto che il referendum era solo consultivo e quindi non vincolante per la madre patria. Gli attuali 250mila abitanti dell'isola vulcanica e del suo piccolo arcipelago (composto da numerose isole di piccole dimensioni) stanno giustamente festeggiando l'esito del referendum, che in pratica è stato un plebiscito, hanno votato contro solo il 2% della popolazione, probabilmente funzionari statali ed élite sociale. Finora gli stati riconosciuti a livello internazionale sono 196, e ve ne sono un'altra decina che hanno un riconoscimento molto limitato e controverso, pur disponendo di indipendenza politica autoproclamata, e poi ve ne sono altre decine che stanno percorrendo la transizione verso l'indipendenza, come ad esempio la Groenlandia rispetto alla Danimarca, ma sono processi politici molto lenti, anche per gli enormi interessi che vi sono in gioco, per la cui risoluzione occorrono accordi bilaterali molto accurati. Di questo passo verso la metà del secolo in corso avremo probabilmente circa 250 stati nel mondo, di cui oltre la metà di piccole dimensioni, alcuni di poche decine di migliaia di abitanti, perlopiù isole oceaniche, ex colonie o governatorati. in controtendenza alla globalizzazione che imperversa in tutto il mondo, le istanze sociali e politiche popolari sono chiaramente rivolte alla ricerca di un'identità comunitaria aggregante che li motivi e crei nuove prospettive di vita e di speranza.
Claudio Martinotti Doria

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L’isola di Bouganville vota per l’indipendenza, è nata una nuova nazione?

© Sputnik . Denis Bolotsky - https://it.sputniknews.com/


Giubilo all’annuncio del risultato finale del referendum, l’isola di Bouganville sceglie a stragrande maggioranza per l’indipendenza dalla Papua Nuova Guinea. Ma il processo per ottenere riconosciuta l’indipendenza effettiva è ancora lungo – vediamo perché.
La regione autonoma di Bougainville ha votato in modo schiacciante a favore dell'indipendenza dalla Papua Nuova Guinea, aprendo la strada affinché la grande isola, e le minori che compongono il suo arcipelago, divengano la nazione più nuova del mondo.
Più di 180.000 persone a Bougainville, un’isola a 700 km al largo della costa orientale della Papua Nuova Guinea grande poco meno della Giamaica e poco più di Cipro, hanno partecipato a un referendum nel corso delle ultime settimane che è costato quasi 20 anni di preparazione.
Quasi il 98% dei partecipanti al referendum dello scorso 23 novembre ha votato per l'indipendenza e solo il restante, 3mila persone circa appena,  hanno optato per la rimanenza in Papua Nuova Guinea pur come ‘regione autonoma’. L’annuncio dei risultati degli scrutini finali, dato soltanto ieri dal capo Commissione referendaria Bertie Ahern, è stato accolto nel capoluogo Buka, che tutti chiamango già ‘capitale’, con applausi, giubilo, canti e balli.

Papua Nuova Guinea - Mappa

Perché il referendum e la richiesta di indipendenza

Nel 2001, il governo della Papua Nuova Guinea aveva promesso il voto come parte di un accordo di pace per porre fine a una devastante guerra civile decennale che aveva visto la morte di circa 20.000 persone, su una popolazione che era di 200.000.
"È ovvio che la gente si senta in vena di festeggiare e mi unisco a loro perché hanno tutti i diritti per farlo", aveva detto John Momis , Presidente della regione indipendentista, già uscendo dal seggio elettorale il mese scorso.
Pur la festa essendo iniziata, e una percentuale così alta di entusiasti indica che sarà difficile fermare tale determinazione popolare, è giusto ricordare che gli accordi presi al tempo con Papua indicano che il referendum non è vincolante. Papua Nuova Guinea e Bouganville dovranno ancora negoziare con la difficoltà aggiunta che la forza contrattuale rischia di rimanere con la nazione madre e il Parlamento che lì ha sede.
Lo stesso Ministro della Papua e Nuova Guinea per Bouganville, Sir Puka Temu, ha tenuto a ricordare ai media che sì, il risultato è “credibile”, però il referendum non è vincolante e che sarà il Parlamento nazionale ad avere “autorità finale” in materia. Temu ha anche affermato che il Primo Ministro della P.N. Guinea, James Marape, rilascerà una dichiarazione nei prossimi giorni sulla via da seguire.
"Per il resto della P.N.Guinea, questo è un risultato di grande importanza, si tratta di un annuncio politico di trasformazione e quindi si prega di concedere alla P.N.Guinea il tempo sufficiente per assorbire questo risultato".



Se da una parte le prime indicazioni provenienti dalle autorità della nazione madre non sembrino particolarmente negative ma solo temporeggiatrici, dall’altra c’è già chi teme che la P.N.Guinea non sia affatto intenzionata a perdere parte della sua nazione o stabilire un precedente capace di invogliare altre province a seguire la stessa strada di Bouganville.
Secondo alcuni osservatori il Governo centrale potrebbe portarla alle lunghe un intero decennio prima di cedere definitivamente la sovranità sull’isola che, per altro, ha una posizione strategica quale porta verso il Pacifico e importanti risorse naturali.
Dall’altra parte tuttavia, va da sé che proprio questa promessa di referendum aveva permesso di ristabilire la pace nell’isola e che una frustrazione delle aspettative indipendentiste non potrebbe che ricacciare tutti in un passato di sanguinose lotte, caos e disordini.
Il Presidente del governo autonomo di Bougainville, John Momis, ha tuttavia voluto usare toni di speranza dicendo che il Primo Ministro Marape è un uomo “intelligente, educato ed umile, pronto ad ascoltare" e che “siamo tutti pieni di aspettative e speranze. Se lavoriamo insieme il risultato sarà buono e ufficiale ... e soprattutto produrrà una pace duratura".

Il MES approvato durante il famigerato governo Monti danneggerà pericolosamente l'autonomia e l'economia di ogni stato



Il MES è stato approvato durante il famigerato governo Monti e approvato dai parlamentari senza che questi capissero cosa stavano facendo, come purtroppo succede spesso, causa la loro incompetenza e sudditanza agli ordini di scuderia. Oggi, che i media straparlano di modifiche al MES, come fossero migliorie, in realtà sono gravi peggioramenti ad una situazione già di per sé illegittima e incostituzionale, antidemocratica e autoritaria. Possibile che in Italia si sia perso ogni barlume di dignità e volontà di difendere gli interessi del paese? Claudio

Perché il Mes danneggia l’autonomia (e la sovranità) degli Stati


In Italia, a gran voce, molti politici e intellettuali chiedono, in buona o mala fede, la modifica delle clausole con cui l’Unione europea si appresta a riformare il Meccanismo europeo di sicurezza (Mes) in un senso a dir poco contrario al nostro interesse nazionale. Ma siamo ancora in tempo per farlo? Il Mes è un trattato internazionale approvato ben sette anni fa, ai tempi del governo Monti, dopo un negoziato di circa due anni, passato allora in sordina mentre Camera e Senato in Italia lo approvavano senza colpo ferire.
Le attuali disposizioni di modifica emendano, sicuramente in peggio, un trattato i cui impianti sono già stati stabiliti a quei tempi, comprese alcune delle clausole che permettono al Mes e ai suoi funzionari una vera e propria onnipotenza legislativa e personale. “Il Mes e i suoi funzionari godono di piena e perfetta immunità da ogni giurisdizione. Non possono essere oggetto di perquisizioni, ispezioni o altro da chicchessia”, ha dichiarato al quotidiano Italia Oggi il docente dell’Università Cattolica di Milano Alessandro Mangia, che ha poi proseguito:
I suoi documenti sono secretati. Gli organi di vertice non sono perseguibili per gli atti adottati nell’esercizio delle loro funzioni
Interessante poi è la lettura dell’Articolo 34 del trattato istitutivo del Mes che, è bene ripeterlo, precede l’attuale riforma. Esso dice esplicitamente che “i membri o gli ex membri del consiglio dei governatori e del consiglio di amministrazione e il personale che lavora, o ha lavorato, per o in rapporto con il Mes sono tenuti a non rivelare le informazioni protette dal segreto professionale. Essi sono tenuti, anche dopo la cessazione delle loro funzioni, a non divulgare informazioni che per loro natura sono protette dal segreto professionale”. Questo passaggio, dopo l’approvazione della norma sette anni fa, è diventata legge dello Stato italiano. In quel breve “in rapporto” è contenuto un vulnus alla trasparenza degli esecutivi nazionali. Quindi, ad esempio, se Giovanni Tria o Giuseppe Conte venissero interrogati sui contenuti delle discussioni tematiche del 2018 sulla riforma del Mes, sarebbero tenuti a un taciturno diniego di conferire alcuna risposta.

 Il board del Mes (Alberto Bellotto)

Il board del Mes (Alberto Bellotto) 

Il Mes crea dunque un sistema in cui: il Paese richiedente aiuto cede completamente il controllo del suo sistema finanziario ed economico ad un organo esterno, formalmente, all’architettura Ue; è costretto a condizionare la ricezione di finanziamenti a sanguinosi programmi di austerità; è vincolato a una ristrutturazione del debito ritenuta rovinosa anche da un economista di centro-sinistra moderato come Giampaolo Galli; consegna la sua sovranità a un organismo terzo i cui membri sono insanzionabili e, anzi, nemmeno vincolati, al pari dei membri delle istituzioni che con essi collaborano, a formulare un resoconto trasparente del movente delle loro azioni.
Mangia, nell’intervista, fa un esempio concreto di cosa significherebbe un intervento del Mes in Italia. Se uno choc del debito o una situazione di crisi costringessero Roma, terzo contributore del “fondo salva-Stati” a ricorrervi, “sarebbe il Mes, e non la Commissione, a valutare sulla base di meccanismi automatici l’opportunità di chiedere una ristrutturazione del debito pubblico”, a dettare le regole per ottenere questo finanziamento (pacchetti di austerità inclusi) e a determinare il contenuto finale del riallocamento del debito pubblico. Ignorando il piccolo dettaglio della realtà concreta, che vede circa il 70% dei buoni del Tesoro detenuti da banche o investitori nazionali. E stiamo tacendo, finora, dei problemi di legittimità costituzionale che ciò comporterebbe e che un accademico di spessore come Carlo Pelanda ha recentemente sollevato in relazione all’Articolo 47 della Carta sulla tutela del risparmio. Il Mes è un circolo vizioso senza uscita: e il problema maggiore è il fatto che le sue criticità più importanti non riguardano la riforma attuale sulle regole di ingaggio ma un pacchetto già accettato e firmato dai Paesi Ue.



L'Unione Europea si sta sempre più disgregando, ogni paese pensa solo a se stesso e cerca di ridurre i finanziamenti alla sovrastruttura europea, che sarà sempre più impotente e divergente.

L'Unione Europea si sta sempre più disgregando, ogni paese pensa solo a se stesso e cerca di ridurre i finanziamenti alla sovrastruttura europea, che sarà sempre più impotente e divergente.

Federico Giuliani  -  https://it.insideover.com/
 
 
È ormai uno scontro aperto quello tra la nuova leadership dell’Unione europea e la Germania, capofila di un buon numero di Paesi membri intenzionati a tagliare centinaia di miliardi di euro dal bilancio a lungo termine dell’Ue. Il Financial Times ha lanciato un’indiscrezione sottolineando come Bruxelles sia ormai in aperta rotta di collisione con Berlino, e come Ursula von der Leyen, nuovo presidente della Commissione europea, debba quotidianamente scontrarsi con proposte di tagli agli investimenti che rischiano di mettere in pericolo gli obiettivi strategici della nuova Ue. Non a caso, la tedesca, che dovrebbe conoscere il modo di ragionare del suo Paese, si è detta preoccupata per i “pesanti tagli” suggeriti per il bilancio proposto da Bruxelles e relativo al periodo compreso tra il 2021 e il 2027. Giusto per capire di cosa stiamo parlando, la Finlandia ha chiesto di limitare il bilancio all’1,07% del reddito nazionale lordo dell’intero blocco europeo, un livello più basso del tetto dell’1,11% presentato dalla stessa Commissione e dell’1,3% del Parlamento europeo. Il maggior contributore netto, la Germania, spinge invece per l’1%.

Tensioni in corso

Alla luce delle richieste di alcuni governi, von der Leyen ha detto chiaro e tondo che a quelle condizioni l’intera agenda dell’Ue – dal controllo delle frontiere alla politica di difesa comune passando per la lotta ai cambiamenti climatici – rischia di finire in fumo. In particolare, le richieste di riduzioni colpiranno alcuni punti cardine della strategia europea, come “la gestione delle frontiere dell’Ue” e i “fondi per un’economia green”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la Finlandia, che tra l’altro detiene la presidenza di turno dell’Ue. Helsinki ha suggerito di limitare il bilancio settennale dell’Ue all’1,07% del reddito nazionale lordo dell’Ue che, calcolatrice alla mano, significa avere tra le mani un importo inferiore di circa 133 miliardi di euro rispetto all’1,11% richiesto invece dalla Commissione europea. Il governo finlandese spinge per una drastica riduzione dei programmi di aiuti regionali, e questo ha provocato un brusco stop ai negoziati sul bilancio a causa delle “diffuse differenze” tra le varie capitali europee.

Un ostacolo dietro l’altro

Von der Leyen non ha intenzione di cedere di un millimetro, o almeno non vorrebbe farlo, perché sa bene che il bilancio dell’Ue è l’ombra dell’agenda che lei stessa ha presentato il giorno del suo insediamento alla guida della Commissione. Ritoccare il bilancio comporterebbe modificare anche quella stessa agenda, con importanti cambiamenti nelle politiche da attuare da qui ai prossimi anni. Come se non bastasse, l’Unione Europea deve fare i conti con la Brexit e l’addio del Regno Unito, che in passato era uno dei maggiori finanziatori della spesa richiesta per far quadrare i conti comunitari. Il presidente della Commissione europea insiste sul fatto che l’Europa deve realizzare “gli obiettivi concordati insieme”. Il problema è che non esiste una sola Europa ma molte Europe, ognuna delle quali attenta a tutelare solo e soltanto i propri interessi. Condizioni del genere hanno fin qui impedito a von der Leyen di realizzare i suoi obiettivi, tra i quali spicca la creazione di un Fondo di transizione da 100 miliardi di euro che dovrebbe aiutare i Paesi ad adattare le rispettive industrie a un’economia a basse emissioni di carbonio. L’annuncio del citato fondo, che doveva già esser stato presentato, è stato rimandato almeno fino a gennaio. C’è poi un altro fondo, dal valore di circa 35 miliardi di euro, che avrebbe dovuto invece supportare quei Paesi maggiormente colpiti dalla transizione al verde nell’ambito della nuova politica green prefissata dall’Europa. Abbiamo usato il condizionale perché, al momento, anche questo progetto è stato accantonato.