Il
reggimento operazioni speciali "Azov", conosciuto a livello mediatico
come battaglione "Azov" e spesso definito “paramilitare”, è in realtà un reparto militare
ucraino, con compiti militari e di polizia, inquadrato nella Guardia nazionale
dell'Ucraina. E’ accusato di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità,
per aver ucciso deliberatamente dei civili disarmati e inermi, bombardando
villaggi privi d’installazioni militari negli anni successivi al colpo di stato
in Ucraina del 2014, soprattutto nel Donbass. E’ l’equivalente di alcuni
reparti paramilitari che hanno combattuto in Bosnia negli anni ’90 nelle guerre
balcaniche compiendo azioni di “pulizia etnica”. E’ composto di circa un
migliaio di uomini di diversa provenienza (non solo ucraini) ma con la stessa
ideologia neonazista. Il fatto che il governo ucraino lo abbia riconosciuto e
inserito formalmente nei ranghi dell’Esercito lo rende responsabile e complice
delle azioni commesse: i cosiddetti “compiti sporchi”, fomentando disordini e
violenza, seminando terrore e provocando reazioni che alzino la tensione bellica.
Forte coi deboli e debole coi forti, sono i classici reparti composti da utili
idioti che pensano che la guerra sia un gioco, al servizio di élite che li
strumentalizzano a loro esclusivo vantaggio. Un governo che lo riconosca e lo
utilizza come ha fatto l’Ucraina non è degno di essere neppure considerato,
mentre invece l’UE e la NATO lo hanno sostenuto e finanziato vergognosamente. Claudio
La
legione straniera che rischia di incendiare il Donbass
26
luglio 2019
Era
il 1999 e, mentre volgeva al termine l’ultimo capitolo delle guerre iugoslave,
la politologa Mary Kaldor acquistava notorietà internazionale attraverso il
libro “New and Old Wars”, in Italia edito come “Le nuove guerre. La violenza
organizzata nell’età globale”. Secondo la Kaldor, i Balcani occidentali erano
stati il terreno di sperimentazione di una forma di guerra post-clausewitziana,
destinata a plasmare gli affari bellici nel nuovo secolo, e sostanzialmente
basata sui seguenti elementi: scontro fra Stati ed entità non-statali, forte
enfasi da parte dei belligeranti sulla questione dell’identità, coinvolgimento
di gruppi criminali, mercenari, ultrà ed estremisti per creare milizie
paramilitari di supporto agli eserciti regolari, e finanziamento del conflitto
attraverso traffici illeciti e reti di donazione transnazionali alimentate da
magnati, privati, cittadini ordinari interessati alla causa.
La
lunga strada verso la legione straniera nera
A
20 anni esatti di distanza dalla pubblicazione di quel libro, si può affermare
che la previsione della Kaldor era accurata e la prova di ciò è quanto sta
accadendo nel Donbass. Nell’Ucraina orientale ufficialmente non si combatte più,
anche se le violazioni del cessate il fuoco, gli sconfinamenti, e le operazioni
belliche su piccola scala sono all’ordine del giorno. La Russia è parzialmente
riuscita nel suo obiettivo: frenare l’inglobamento del paese nell’orbita
euroamericana attraverso la creazione di un conflitto a bassa intensità
alternante fasi di riavvio e congelamento a seconda dell’interesse contingente.
Si
tratta di una strategia già sperimentata con successo in altri paesi
storicamente sotto influenza russa divenuti oggetto delle mire occidentali nel
post-guerra fredda. Lo è stato in particolare in Moldavia e Georgia, al cui
interno si trovano delle realtà virtualmente indipendenti, largamente
supportate da Mosca, che sono rispettivamente la Transnistria, l’Abcasia e l’Ossezia
del Sud.
Ma
ci sono forze seriamente intenzionate a riaprire la questione del Donbass e
chiuderla in favore di Kiev, veri e propri protagonisti delle nuove guerre. Il
battaglione Azov – nato come formazione militare composta da volontari
provenienti da ogni parte del mondo ed in seguito inquadrato nella Guardia
Nazionale – e Settore Destro -l’espressione politica dell’avversione verso
Mosca dilagante negli ambienti paramilitari – non hanno mai nascosto
l’importanza dei legami transnazionali, promuovendo attivamente l’arruolamento
di volontari (e mercenari). E ora starebbero lavorando alla creazione di una
sorta di “legione straniera nera“.
Si
discuterà di questo progetto a Zagabria a settembre, durante la conferenza
annuale del Gruppo di Supporto Intermarium. E la scelta del luogo non è
casuale. Sin dallo scoppio della guerra nell’Ucraina orientale, la Croazia si è
confermata come uno dei principali bacini di reclutamento di volontari
filoucraini – almeno 30 avrebbero combattuto per il battaglione Azov nei primi
due anni del conflitto. Sono proprio i reduci delle guerre iugoslave accomunati
da un passato antiserbo e dalla fede in un cattolicesimo belligerante e
velatamente anti-ortodosso che hanno alimentato le partenze di giovani
volontari e stabilito reti di cooperazione tanto impegnate nella difesa dei
confini quanto nella lotta per comuni denominatori, come ad esempio il
suprematismo bianco e l’odio antirusso.
Ora,
questi sentimenti potranno essere meglio sfruttati nel campo di battaglia.
Potrebbero essere potenzialmente decine di migliaia i simpatizzanti
dell’estrema destra, europea ma non solo, interessati a passare all’azione ma
che non dispongono dei mezzi necessari e non hanno “strutture” a cui
rivolgersi. L’obiettivo degli organizzatori è proprio quello di realizzare una
piattaforma comunicativa a livello transeuropeo che sappia andare incontro alle
esigenze di ogni possibile recluta.
Le
condizioni per il successo ci sono tutte: dal 2014 ad oggi nel battaglione Azov
hanno combattuto migliaia di persone provenienti da numerosi paesi, fra cui
Brasile, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Spagna,
Stati Uniti, Svezia. Alcuni partono di propria iniziativa, ma la maggior parte
viene avvicinata in rete da reclutatori. Per capacità e modo di attrarre
combattenti stranieri, semplicemente motivati dal desiderio di uccidere nel
nome dell’ideologia, si potrebbe sostenere che Avoz è l’omologo europeo del
Daesh.
L’estrema
destra europea in subbuglio
Era
nell’aria da tempo l’idea di dar vita ad una legione straniera di estremisti di
destra accomunati dall’odio verso la Russia, poiché ritenuta una minaccia alla
civiltà europea maggiore dell’islam radicale e del nichilismo antioccidentale
liberale. Intermarium sarà l’occasione perfetta per discutere di come
affrontare il Donbass, ed anche il dopo-Donbass, perché l’obiettivo finale è la
rigenerazione dell’intero Vecchio Continente.
Intermarium
è una piattaforma civica fondata a Kiev nel 2016 ufficialmente per proporre
alternative all’attuale progetto europeo, ma è rapidamente divenuta la voce
degli estremisti di destra dell’Europa ex comunista, provenienti soprattutto
dai paesi Visegrad e dai Baltici. Il nome riecheggia la dottrina di sicurezza
nazionale della Polonia interguerra elaborata da Józef Piłsudski, il padre
della nazione rinata.
Alla
conferenza di Zagabria parteciperanno delegazioni da Danimarca, Estonia,
Lettonia, Lituania, Norvegia, Polonia, Svezia, ed altri paesi, che non saranno
solo espressioni di nostalgici della guerra fredda, ma anche e soprattutto di
forze politiche nazionalmente rilevanti, come ad esempio l’alleanza Sovranisti
croati, che ha ottenuto l’8,5% alle recenti europee trasformandosi nel terzo
partito più votato del paese.
Una
soluzione balcanica per un problema balcanico
La
Russia è a conoscenza delle mosse del battaglione Azov e del fatto che la
maggior parte dei volontari di stanza nel Donbass provengano dai Balcani
occidentali. I rapporti tra Mosca e Zagabria si sono raffreddati ad un anno
dallo scoppio della guerra nell’Ucraina orientale proprio a causa di questo
motivo: il governo russo aveva chiesto alla Croazia di contrastare le partenze
dal paese di combattenti, per non incendiare ulteriormente il clima
conflittuale, ma secondo l’allora ministro degli interni Ranko Ostojic ciò non
era possibile, dato che le azioni dei cittadini in questione non infrangevano
le leggi nazionali e, comunque, erano dirette a difendere il legittimo governo
ucraino.
Anche
la Russia si è adoperata per rispolverare una vecchia e storica alleanza,
quella con la Serbia, reclutando con successo centinaia di combattenti che oggi
difendono l’auto-proclamata indipendenza delle repubbliche di Donetsk e
Lugansk. Ma non è solo da Belgrado che è stata tesa la mano, sono state
segnalate anche cospicue presenze da Bulgaria, Bielorussia, Bosnia, Georgia,
Macedonia del Nord. Così come ha fatto l’Ucraina, anche la Russia ha rivolto lo
sguardo sui Balcani, forte di un’eredità storica molto più duratura e
significativa, dall’impegno nella cacciata dell’impero ottomano al supporto
delle lotte di liberazione nazionale, fino al più recente ruolo in chiave
filoserba durante le guerre iugoslave.
Nell’Ucraina
orientale si stanno quindi riproponendo vecchi schemi, come lo storico scontro
tra cattolici (a guida croata) e ortodossi (a guida russo-serba) dei Balcani, e
se ne creano di nuovi, come la frammentazione della galassia neofascista e
neonazista euroamericana in una fazione pro-occidentale e una pro-russa.
Il
rischio degli eserciti paralleli
Mentre
il battaglione Azov utilizza le sue capacità di pressione per spingere i
partner occidentali a formare una legione straniera paneuropea, nel Donbass si
sta assistendo al consolidamento di unità paramilitari quasi completamente
composte da europei, in cui russi e ucraini svolgono ruoli di guida e
interpretariato, come la Brigata Internazionale Pyatnashka o l’Unité
Continentale, che sono teoricamente equiparabili a delle legioni straniere.
Il
rischio, molto concreto, è che, con lo stemperarsi del conflitto, queste due
realtà possano essere utilizzate in altri teatri bellici o per creare disordini
nelle aree più sensibili e vulnerabili al pericolo dell’instabilità, come i
Balcani. Entrambe le fazioni si auto-alimentano dell’energia
dell’identitarismo, del senso di fratellanza religioso, del nazionalismo
etnico, tre forze che negli ultimi anni si sono riaffacciate con dirompenza nel
Vecchio Continente, cogliendo di sorpresa chi credeva fosse segnata la
destinazione verso la fine della storia evocata da Francis Fukuyama, a base di
omologazione annullante, secolarizzazione, cosmopolitismo e apatia anazionale.
L’indicazione
che il progetto del battaglione Azov piace anche nelle stanze dei bottoni è
stata lanciata proprio dal neoeletto presidente Volodymyr Zelensky, che il mese
scorso ha firmato una legge per facilitare la concessione della cittadinanza ai
combattenti stranieri. Tale legge, non potrà che concorrere alla legittimazione
dei progetti fascisti paneuropei di Azov e Settore Destro, spingendo la Russia
a reagire simmetricamente.
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