Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Libia, la Cirenaica è al collasso, indebitata smisuratamente. Ecco perché Haftar punta su Tripoli


La Cirenaica è indebitata oltre misura e non riesce ad accedere ai proventi della vendita di petrolio perché pervengono a Tripoli dove risiede il governo legittimo riconosciuto dall'ONU, ECCO PERCHE' IL GENERALE HAFTAR HA MOSSO L'ATTACCO ALLA CAPITALE DELLA TRIPOLITANIA. Haftar controllo quasi tutti i pozzi petroliferi libici ma non incassa i profitti e per sovvenzionare la guerra deve per forza indebitarsi. La sue sono pertanto azioni di saccheggio criminale, avallate dagli interessi contrastanti di potenze straniere, evidente in proposito il contrasto tra Italia e Francia che sono su fronti opposti e inconciliabili e devono giostrare rispetto alle solite ambiguità e doppiogiochismo degli USA. Claudio 

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Libia, la Cirenaica al collasso. Ecco perché Haftar punta Tripoli

La ripartizione delle entrate in Libia
Haftar non ha i soldi perché semplicemente non ha Tripoli: è lì che si custodiscono le chiavi della finanza libica. Nella capitale ha sede la Lia, il fondo sovrano voluto da Gheddafi nel 2006, ma soprattutto vi è l’ufficio della Banca Centrale o, per meglio dire, della Banca Centrale di Tripoli. Una specificazione per via del fatto che anche nell’est del paese, precisamente a Beyda, c’è un’altra Banca Centrale. Ma quella che gestisce in continuità con l’era gheddafiana le entrate petrolifere, che rappresentano più del 90% del totale degli introiti libici, è quella di Tripoli. Quest’ultima ovviamente risponde al governo riconosciuto dall’Onu e stanziato nella capitale. Gli incassi derivanti dalla vendita dell’oro nero e dalle attività della Noc, l’azienda che gestisce il petrolio libico, arrivano dritti alla Banca Centrale con sede a Tripoli. 

La Noc opera con società joint venture assieme ai propri partner internazionali, Eni in primis. Non è l’azienda ad introitare le ingenti somme garantite dalla vendita in media di 1.3 milioni di barili al giorno, i miliardi di Dinari vengono stornati alla Banca Centrale tripolina. Ed ecco che dunque si crea il paradosso: pur avendo Haftar il controllo di gran parte del territorio e soprattutto dei più importanti pozzi di petrolio, a partire da quelli di Sharara, El Feel e di Ras Lanuf, il suo Lna non introita nulla se non una piccola percentuale. Così come, i Dinari non vanno alla Banca Centrale sita a Beyda e non vengono incassati dal governo e dal parlamento che sostengono Haftar nella parte orientale della Libia. 
La Cirenaica e le varie attività politico/amministrative delle istituzioni dell’est, così come dell’esercito del generale, sono rette, come specifica Ulf Laessing sulla Reuters, da bond non ufficiali, depositi di banche orientali e Dinari stampati in Russia. Una situazione precaria che ora rischia di esplodere: questo perchè nel frattempo i mezzi sopra citati per continuare ad avere denaro creano un deficit di 35 miliardi di Dinari, corrispondenti a circa 25 miliardi di Dollari. 

La “bolla orientale” pronta ad esplodere

Debiti accumulati, soldi stampati all’estero, sostegno solo militare e non economico da parte dei suoi più stretti alleati (Egitto ed Emirato Arabi Uniti in primis), sono tutti questi elementi che iniziano a far andare in difficoltà la tenuta economica dell’est della Libia. Controllare l’80% del paese e non avere le chiavi della Banca Centrale, vuol dire avere più problemi: il territorio da gestire è sempre più grande ed i soldi in cassa sono sempre meno. Il risultato è che le principali banche della Cirenaica iniziano ad avvertire importanti impedimenti alle loro attività: in tante faticano, in particolare, a rispettare i parametri minimi per le linee di finanziamento. E la Banca Centrale con sede a Tripoli, inizia a chiudere i rubinetti negando ad almeno tre istituti bancari dell’est la possibilità di accedere al sistema dei pagamenti elettronici. 
Una circostanza che potrebbe ben presto far andare in ulteriore sofferenza il sistema bancario dell’est della Libia, con conseguente collasso dell’economia ed impossibilità per Haftar di continuare a finanziare il suo esercito. Se la situazione dovesse persistere, verrebbero meno i fondi per mandare avanti ogni attività: niente stipendi ai soldati, niente possibilità di acquisto di nuovo materiale bellico, ma anche blocco totale dell’economia con i cittadini che si ritroverebbero con poca liquidità in mano.

I possibili scenari futuri 

Così come si legge nel sopra citato articolo della Reuters, l’eventualità più drastica, ossia blocco totale del sistema orientale da parte della Banca Centrale di Tripoli, sarebbe da scongiurare. Analisti diplomatici infatti, fanno notare che se l’ovest dovesse bloccare il sistema bancario della Cirenaica, anche la Tripolitania ne risentirebbe. Ci sarebbe un caos per gli investitori stranieri ed anche numerose banche tripoline potrebbero risentirne. Ma questa ipotesi non è del tutto da scartare: del resto, la Banca Centrale con sede a Tripoli ovviamente è alleata del governo che ha sede a Tripoli. E poter operare una decisione in grado di piegare economicamente Haftar, in una fase di guerra come quella attuale, è un’arma molto potente in mano all’esecutivo tripolino. 
A questo punto, bisognerebbe capire in che modo il generale della Cirenaica potrebbe reagire. Potrebbe dare ordine al suo esercito di intensificare la battaglia per la presa della capitale, visto che il primo obiettivo sarebbe quello di mettere mani alla cassaforte di Dinari presente a Tripoli. Un disperato assalto finale, un vero e proprio scenario da “dentro o fuori” volto a marciare nella capitale e prendersi i proventi dei pozzi da lui stesso controllati. Oppure, nell’eventualità che continui l’attuale stallo nella battaglia, c’è chi teme che Haftar potrebbe rivolgersi all’ultima sua arma a disposizione: la vendita autonoma di greggio, scavalcando Noc ed istituzioni bancarie centrali per autofinanziarsi. 

La Bulgaria sta subendo un calo demografico grave, rischia di scomparire politicamente in poche generazioni


La Bulgaria in appena 30 anni ha perso oltre il 20% della popolazione, prevalentemente per emigrazione in altri paesi europei o per elevata mortalità, essendo la fascia sociale anziana molto elevata percentualmente. Ad andarsene, come avviene prevalentemente in tutti i paesi, compresa l'Italia, sono i giovani, e questo significa che il paese rischia in poche generazioni di "scomparire", per mancanza di rinnovamento generazionale. E' un caso molto simile proporzionalmente all'Italia, anche se per la Bulgaria è molto più grave, sia per l'incidenza percentuale dell'emigrazione e del calo demografico, sia perché già adesso la densità demografica (abitanti per kmq) è molto inferiore a quella italiana e il territorio extraurbano rischia veramente di collassare e degradare per l'abbandono dei villaggi e delle campagne. Un simile spopolamento di villaggi e il loro conseguente abbandono fino a trasformarli in villaggi fantasma, da noi si era verificato soltanto nel tardo Medioevo, negli anni successivi al 1347/52 a causa della tristemente famosa "peste nera", l'epidemia più devastante della storia dell'umanità che uccise in cinque anni complessivamente oltre un terzo della popolazione europea. Se pensate che nell'apoca del II Impero Bulgaro nel tardo Medioevo gli abitanti erano oltre due milioni, in proporzione la Bulgaria è molto meno popolato oggi rispetto allora.
Già ora interi villaggi bulgari nell'entroterra sono acquistabili interamente perché privi di abitanti. Prevedo, e non occorre in proposito avere doti profetiche, che finirà per essere acquistata gradualmente dalle imprese cinesi, come del resto sta avvenendo per parecchi paesi balcanici e dell'Europa dell'Est, finendo in tal modo sotto la sfera di influenza cinese, tramite la cosiddetta Via della Seta. E' molto probabilmente sarebbe il male minore.

La Bulgaria durante il I Impero Bulgaro nell'Alto Medioevo

Gli esperti avvertono: la Bulgaria si sta trasformando in un deserto demografico

27.04.2019


La Bulgaria attuale
 

Pur mantenendo la situazione attuale, vi è il rischio che la Bulgaria si trasformi in un deserto demografico. Taleopinione è stata espressa a Bulgaria On Air oggi dall'esperta dell'Accademia delle scienze bulgara Nadezhda Ilieva e dal finanziere Mika Zaikov.
Secondo Zaikov, le ragioni principali di tale rischio sono la crescita negativa della popolazione, il suo invecchiamento e l'alto livello di emigrazione, che, principalmente, interessa i disoccupati tra i 20 ei 39 anni. Egli crede che per risolvere il problema sia necessario, innanzitutto, aumentare i posti di lavoro, il reddito dei cittadini e creare prospettive di carriera per i giovani.
"Inoltre, ci sarebbero una serie di riforme che la Bulgaria deve attuare per arginare l'emigrazione. Soprattutto inerenti al sistema giudiziario, alla sicurezza. I giovani vogliono sentirsi al sicuro", ha detto la Ilieva.
Ella ha anche espresso preoccupazione che il rapido processo di urbanizzazione possa aumentare drammaticamente, portando una riduzione della popolazione per chilometro quadrato inferiore alle dieci persone.
"E se ora questo deserto demografico copre circa il 20% del territorio, tra dieci anni interesserà circa il 60%", ha osservato l'esperta.
Zaikov ha quindi aggiunto che già in Bulgaria ci sono 164 villaggi completamente disabitati.
Nel 2018 la popolazione della Bulgaria ammontava a 7.000.039 persone. Gli emigrati erano 33.225, mentre i pensionati superano i due milioni.

La Bulgaria durante il II Impero Bulgaro nel Tardo Medioevo

Il lavoro e il mercato nero nel mondo è più che mai reale e in espansione

Al di là delle cifre riportate dal sottostante articolo, che sono probabilmente approssimative e discutibili, è indubitabile che il cosiddetto mercato e/o lavoro nero sia una cospicua quota dell'economia mondiale, prendendo anche il sopravvento in alcuni paesi per le condizioni disastrose in cui versano, come il citato Venezuela, dove l'iperinflazione, ormai simile a quella della Repubblica di Weimar negli anni '20, ha reso inaccessibili moltissimi prodotti, soprattutto farmaci. Da noi il mercato nero risale ai tempi di guerra, quindi almeno tre generazioni fa, e se ne ha pertanto solo un vago ricordo, ma in molti paesi al mondo è prassi quotidiana, ed è l'unico modo per sopravvivere per molte famiglie. Non mi riferisco solo a quelle povere, perché gli acquirenti di questi prodotti introvabili sono perlopiù benestanti (che non hanno alcun interesse ad abbadonare il loro paese per non perdere le loro ricchezze immobiliari), gli unici in grado di permettersi di pagare i prezzi richiesti, i quali così facendo favoriscono un circuito deleterio per lo stato (che ci rimette fiscalmente, e non solo) ma positivo per loro, che incrementando l'economia sommersa si garantiscono anche un minimo di rispetto e sicurezza, diminuendo il rischio di rivolte violente nei loro confronti da parte delle classi deboli. Tramite il mercato e il lavoro nero, in quelle circostanze particolari, si garantisce la distribuzione della ricchezza dalle classi agiate a quelle povere tramite transazioni private e volontarie, cosa che evidentemente lo stato non è riuscito a fare. Claudio

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Il Sistema D, ovvero 2,5 miliardi di lavoratori nel mercato nero

Il 20% delle attività economiche mondiali sono in nero. Scandaloso e ripugnante? Prima di formulare giudizi cerchiamo di capire cosa è il mercato nero…
Ci lavorano due miliardi e mezzo di persone e rappresenta probabilmente il 20% dell’attività economica totale del mondo.
È il mercato nero che ha trovato anche un nome riconosciuto internazionalmente: il Sistema D. Una frase gergale che deriva dalla parola francese débrouillard, cioè una persona piena di risorse e autosufficiente. In italiano diremmo una persona che dell’arte di arrangiarsi ha fatto una professione. Un débrouillard capisce come ottenere ciò di cui ha bisogno, indipendentemente dagli ostacoli, costituiti quasi sempre dalle leggi o dai controlli dei prezzi messi in atto dal governo.
Ci sono moltissimi débrouillards in tutto il mondo.
Nel 2009, secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), c’erano circa 1,8 miliardi di persone che avevano lavori non ufficiali, non registrati, non regolamentati e, spesso, non tassati. In quegli anni, la metà della popolazione mondiale era in età lavorativa.
Sempre secondo l’OCSE, entro il 2020, i due terzi della forza lavoro mondiale entreranno a far parte del Sistema D.

Débrouillard per necessità…

L’OCSE considera chiunque tra i 15 e i 64 anni “in età lavorativa“. A metà del 2018, circa il 65% dei 7,7 miliardi di persone nel mondo era in età lavorativa; sono circa 5 miliardi di persone. Se soltanto la metà di loro si affida al Sistema D per sostenere se stessi e le proprie famiglie, il loro numero arriva a 2,5 miliardi di persone.
La maggior parte di questi 2,5 miliardi di persone sono débrouillard per circostanze più che per scelta. Vivono in paesi come il Venezuela, lo Zimbabwe o la Nigeria, dove l’unico modo per acquistare i beni e i servizi di cui hanno bisogno è infrangere la legge.
Il Venezuela è un grande esempio. I beni di consumo di base come cibo e medicine non sono più disponibili nei negozi o nelle farmacie. L’unico modo per ottenerli è attraverso il Sistema D.
Ma, per stare in Europa, anche in paesi come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia moltissime persone sono sempre state costrette ad arrangiarsi come meglio potevano, al di là di quello che leggi e regolamenti imponevano.
Uno studio del 2012 ha concluso che il mercato nero rappresenta oltre un quinto del PIL globale. Poiché il PIL globale attuale arriva a circa 80.000 miliardi di dollari, il Sistema D vale 16.000 miliardi. Se il mercato nero fosse un paese, avrebbe il secondo PIL più grande del mondo, dopo gli Stati Uniti.

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I governi odiano i mercati neri

Ovviamente, i governi di tutti i paesi odiano il mercato nero perché non possono controllarlo. Per esempio, in Venezuela, dove l’inflazione ha raggiunto quasi il milione percento l’anno, il governo ha imposto rigidi controlli sui prezzi. Ma, dal momento che non è per nulla redditizio vendere beni o servizi a prezzi statali, i beni sono diventati indisponibili. A meno di non rivolgersi al mercato nero, grazie ai débrouillards. Anche se il governo incolpa il mercato nero dei guai economici del Venezuela, ironia della sorte, i débrouillards potrebbero essere l’unica ragione per cui l’economia del paese non è completamente crollata.
Anche se esistono alcuni mercati neri maligni (la tratta di esseri umani o la schiavitù per esempio), la maggior parte delle attività del Sistema D si basa su transazioni volontarie tra acquirenti e venditori.

Quando il Sistema D è l’unico mezzo per sopravvivere

I governi hanno molti strumenti a loro disposizione per combattere il mercato nero. I controlli sui prezzi e i controlli sui cambi sono due strategie comuni. Un altro è vietare, limitare o regolare le forme più popolari di pagamento, come i contanti o le criptovalute.
Le lotte della gente comune per superare gli ostacoli per ottenere i beni e i servizi di cui hanno bisogno per sopravvivere sono eroiche. Per molti, il Sistema D è letteralmente l’unico mezzo di sopravvivenza.
La prossima volta che sentirete parlare di lavoratori in nero, di mercato nero, di pagamenti in nero o di darknet, non pensate subito e soltanto a trafficanti di esseri umani, terroristi o attività criminali. Dentro il Sistema D ci sono un sacco di persone che si arrangiano come possono per sopravvivere e, insieme a loro, c’è la libertà di tutti noi di avere una via di fuga quando le leggi diventano insopportabili e i governi dei tiranni.

Extinction Rebellion è il primo movimento di protesta fondato da scienziati che utilizzano algoritmi per il successo delle loro manifestazioni

L'articolo che vi propongo oggi è abbastanza esauriente e interessente e non richiede particolari commenti. Mi limito solo ad una precisazione: l'Ayahuasca, che l'articolo descrive come una specie di the psicadelico ottenuto da una vite dell'Amazzonia, in realtà è una liana rampicante (Banisteriopsis caapi) che alcuni altri ingredienti, perlopiù estratti arbustivi, dopo una prolungata cottura produce una bevanda psichedelica, ampiamente utilizzata dagli sciamani, che prende appunto il nome di Ayahuasca. Quest'ultima è una delle tre "pozioni" psichedeliche che la Gail Bradbrook, cofondatrice del movimento di protesta Extinction Rebellion, ha voluto sperimentare durante una sua permanenza in Costa Rica, per espandere la mente e cercare soluzioni ai suoi problemi oltre che ispirazioni e intuizioni. Claudio


Extinction Rebellion, il primo test dell'algoritmo della rivoluzione

Fonte:  

https://www.agi.it/estero

È un movimento di protesta che è riuscito a bloccare Londra per un weekend. Usa gli algoritmi per pianificare le azioni, è non violento ma per calcolo, ed è stato fondato da due scienziati, di cui una ha detto di aver cambiato approccio alle proteste sociali dopo aver assunto alcuni allucinogeni in Costa Rica




algoritmo rivoluzione


Roger Hallam cofondatore del movimento di protesta Extinction Rebellion


Extinction Rebellion, il movimento di protesta che ha bloccato Londra per un weekend di aprile collezionando quasi mille arresti, l’adesione convinta dell’attrice Emma Thompson e di un atleta olimpico, e la simpatia di qualche decina di manager britannici che hanno firmato una lettera aperta al Times, non nasce per caso all’improvviso e rappresenta una novità assoluta nella storia dei movimenti sociali.
Si tratta infatti del primo esempio di un movimento che dichiara di usare la matematica come strumento per pianificare le proteste e per misurarne l’efficacia. I due fondatori, Gail Bradbrook e Roger Hallam, due scienziati che hanno un dottorato nel curriculum accademico, hanno trascorso gli ultimi tre anni a studiare la storia delle proteste sociali dal 1900 ad oggi, estrapolando ogni volta i fattori chiave che hanno portato al successo o al fallimento. E a partire da questa messe di dati, sostengono di aver creato “l’algoritmo delle proteste”, grazie al quale hanno costruito la strategia con cui sono andati in scena a Londra.
Gli arresti, per dire, sono stati pianificati e voluti. Un certo numero, mille, era l’obiettivo perché, dati alla mano, mille arresti di persone pacifiche costituiscono un costo sociale troppo alto per essere ignorato dalla autorità politiche. Mille era il numero da raggiungere per costringere la politica ad ascoltarli, aveva detto Hallam alla Bbc il 10 aprile: “A un certo punto il capo della polizia andrà dal primo ministro e gli dirà: non possiamo fare altri arresti, non possiamo arrestare nonne di 84 anni e bambini di 10. Serve una soluzione politica”. Obiettivo raggiunto.

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Gail Bradbrook cofondatrice del movimento di protesta Extinction Rebellion

L'origine dell'algoritmo delle proteste

Extinction Rebellion è insomma una cosa totalmente nuova anche se non sbaglia chi sostiene che questo movimento abbia qualche punto di contatto con alcuni esempi del recente passato, come il movimento contro la globalizzazione protagonista della drammatica Battaglia di Seattle del 1999; e di quello contro la finanza che portò nel 2011 migliaia di persone a occupare pacificamente per giorni Wall Street (in realtà il vicino Zuccotti Park).
Ma XR (questa la loro sigla) è sostanzialmente un’altra cosa, come vedremo. Ed è molto diverso anche dagli altri movimenti di protesta che in questo momento sono sulla scena sebbene anche qui ci siano punti di contatto. Come gli scioperi del clima lanciati a partire dall’agosto scorso dalla sedicenne Greta Thunberg, anche Extinction Rebellion ha come obiettivo la lotta al cambiamento climatico, ma i fondatori di XR non sono studenti, sono dei cinquantenni con alle spalle numerose esperienze di protesta sui temi più disparati. Generazionalmente quindi parliamo di due mondi diversi, sebbene Greta Thunberg lunedì 22 fosse a Londra, in occasione della Giornata mondiale della Terra, a sostenere la lotta dei militanti di XR.
Il paragone con i Gilet Gialli francesi poi non è meno fuorviante: è vero che gli attivisti di XR hanno occupato quattro punti centrali della città di Londra per diversi giorni, ma senza compiere alcun atto violento, a differenza di quel che accade ogni sabato a Parigi da molti mesi. A Londra alcuni manifestanti si sono incollati, con una colla molto potente, ad un bus per fermarlo, altri si sono incatenati a una ringhiera, altri ancora si sono stesi per terra all’ingresso del metro, i più creativi hanno inscenato performance teatrali sul clima, un funerale, in qualche caso usando vernice rosso sangue a scopo dimostrativo. Una grande barca rosa è stata messa al centro di una piazza mentre un famoso dj metteva la musica. Tutto qui. Violenza zero (ma disagi per i londinesi, non pochi, questo sì).

La non violenza come strategia 

La non violenza non è un caso, ma una scelta deliberata, che i fondatori dicono di aver compiuto in base al loro “l’algoritmo della ribellione”, per cui è dimostrato che una protesta non violenta ha molte più probabilità di successo di una protesta violenta: il 53 per cento contro il 25. Più del doppio.
Extinction Rebellion entra in scena nel 2018 con alcune performance che fanno discutere parecchio ma che lì per lì non sembra possano sfociare in qualcosa di più significativo: si segnalano per esempio per il tentativo di bloccare la settimana della moda di Londra e per la sceneggiata di alcuni manifestanti che si denudano in Parlamento. Ridicoli, li bolla un commentatore. Piccoli disagi, minimizzano gli organizzatori della Fashion Week.
Sembrano improvvisazioni velleitarie. In realtà dietro quei blitz c’erano due veterani delle proteste sociali. Il più noto è Roger Hallam, agricoltore biologico per due decenni, ricercatore di buon prestigio al King’s College di Londra, oggi ha 52 anni, ma ne dimostra di più, per via dei lunghi capelli grigi chiusi in un codino, risultato forse “di 35 anni trascorsi a battersi contro le ingiustizie sociali” dice. Tra le tante “medaglie”, nel 2017 viene arrestato assieme a tre complici, per aver realizzato diversi blocchi stradali a Londra per protestare contro l’inquinamento.
Vanno avanti così, per settimane, finché non li arrestano. Un arresto cercato per farsi conoscere: dal carcere Hallam scrive una lettera aperta al sindaco, Sadiq Kahn, nella quale si racconta. Parla a sindaco per farsi conoscere da tutti: si presenta come il figlio due cristiani che per mezzo secolo hanno militato nel partito liberale, dice di avere due figli, un mutuo da pagare e di non cercare guai, “ma il guaio più grande è l’aria inquinata che ci sta uccidendo”. Se la cava con una multa di 385 sterline. E’ il test di quello che sta rifacendo oggi.
In quell’anno Hallam aveva già incontrato e stretto un sodalizio con Gail Bradbrook, oggi 47 anni, ricercatrice di biofisica molecolare all’università di Manchester, impegnata dal 2003 a gestire una piattaforma, citizens online, che avrebbe dovuto aiutare i cittadini a farsi sentire quando le cose non funzionano. Le campagne più significative sono state “fix the web” per portare Internet nelle zone rurali; e contro gli inceneritori, ma non si può dire che siano state un grande successo. Così come il tentativo di lanciare un movimento di massa per la disobbedienza fiscale: “Non è mai decollato”, dirà. 


Liana rampicante amazzonica Banisteriopsis caapiRisultati immagini per banisteriopsis caapi

Il ruolo degli allucinogeni e il 'codice' della ribellione

Nel 2010 scopre il movimento delle Transition Town, quelle piccole città che decidono di sperimentare un diverso modello economico per ridurre l’impatto ambientale, e diventa la responsabile per Stroud, una cittadina di 12mila abitanti nel Gloucestershire, dove vive.  Ma la svolta, che la porterà a co-fondare Extinction Rebellion, passa per il Costa Rica.
E’ il 2016, Gail Bradbrook racconta che si sentiva svuotata dagli insuccessi e per “rigenerare” la mente decide di provare la strada degli allucinogeni psichedelici: seguendo una strada già battuta mezzo secolo prima dalla controcultura californiana, va in America Latina “alla ricerca di un rapporto e un dialogo con la natura mediato dalle piante”, come accade nella tradizione di diverse culture indigene; e in due settimane scopre l’Iboga (un arbusto perenne con proprietà allucinogene che provoca visioni); il Kambo (una potente medicina estratta dalla rana amazzoni); e l’Ayahuasca (un the psicadelico ottenuto da una vite delle Amazzoni).
Queste cose non sono segrete: le racconta lei stessa in un lungo post autografo sul sito Emerge in cui si chiede “se le droghe psichedeliche non custodiscano le chiavi del cambiamento sociale”. “Il motivo per cui ho spinto i confini della mia mente fino a questo punto, era che volevo ritrovarmi, volevo la risposta alla domanda che mi faccio da sempre, come si ottiene un cambiamento sociale? Cosa mi è mancato finora? Cercavo la formula segreta, il codice della ribellione”.
Trascorse le due settimane, Gail torna in Inghilterra e non trova la formula segreta ma incontra Roger Hallam e nasce il progetto Rising Up, Insurrezione. Ai due basta qualche mese a capire che il terreno giusto per l’insurrezione è la battaglia per il clima. E’ Extinction Rebellion.
L’idea chiave che sta dietro tutto è che a causa del cambiamento climatico provocato dall’inquinamento, stiamo vivendo una estinzione di massa. La sesta del pianeta Terra. “Le foreste bruciano, le temperature salgono, ed è solo l’inizio” scrive Hallam nel primo post del blog ufficiale, “serve una mobilitazione simile a quella che ci fu nel Regno Unito nel 1939 per resistere al Nazismo, per ridurre a zero le nostre emissioni entro il 2025”. Discorsi in fondo già sentiti e che in questi anni non hanno scosso davvero nessuno. Quello che cambia stavolta è il metodo scientifico.

I numeri che servono per una rivoluzione

Lo studio di un secolo di movimenti protesta. E un saggio, uscito già nel 2011, sul perché la resistenza civile non violenta, funziona, ha successo. Lo firmano due giovani studiose americane, Erica Chenoweth e Maria Stephan. Numeri alla mano dimostrano che per rovesciare un dittatore non serve una rivolta di massa: basta il 3,5 per cento della popolazione.
Quel numero, 3,5 per cento, per Hallam e la Bradbrook, è un numero magico. Applicato al Regno Unito, vuol dire che gli basterà convincere due milioni  e mezzo di persone. Molti di meno di quelli che votano per il partito laburista e per i verdi. Iniziano a pensare che cambiare le cose non è un sogno da rimettere nel cassetto: è possibile.
Pianificano la protesta di massa non violenta come strategia. Analizzano il  passato e stabiliscono in mille il numero di arresti che vogliono ottenere quando partiranno davvero: nell’aprile 2019. Adesso. Intanto si organizzano. Usando ovviamente tutti i mezzi social disponibili, il blog, le dirette video, i podcast. Tutto, non lasciano nulla di intentato.
Non trascurano nessun dettaglio. Su YouTube c’è persino il video tutorial di un militante che in pochi minuti insegna ad usare Google Doc per fare i verbali delle riunioni. Google Doc, lo strumento di Google per scrivere testi. In effetti, non si era mai visto Google Doc usato per fare la rivoluzione.