Il colosso bancario tedesco oltre ad accumulare scandali che
ne hanno ormai minato la credibilità internazionale (riciclaggio di denaro
sporco, speculazioni criminali, manipolazione illecite dei mercati,
evasione fiscale, gestione scellerata, ecc.) ha in portafoglio titoli
tossici (perlopiù "derivati") per svariate migliaia di miliardi
di euro. Se dovesse collassare minerebbe l'economia europea e non solo, il
paradosso è che la Germania continua nella sua arrogante pretesa di voler
dare lezioni di moralità agli altri stati europei, con il rischio che
potremmo esserne penalizzati oltremisura. Claudio
La vera
minaccia finanziaria è costituita da Deutsche Bank, che può far naufragare
l’economia dell'UE
Nelle ultime settimane, mentre buona parte dell’attenzione
degli osservatori economici internazionali veniva catalizzata dalla
battaglia tra il governo italiano e la Commissione europea, nonché dalla
più generale questione dei bilanci comunitari, Deutsche Bank
è stata coinvolta in nuovi, importanti scandali che rendono ancora più
preoccupante la condizione del colosso tedesco, minata alle fondamenta
dalla perdita della sua reputazione e dalle conseguenze economiche di anni
di gestione poco accorta.
Deutsche Bank è
il grande “malato d’Europa” nel panorama finanziario e la vera, grande
minaccia alla stabilità dell’economia europea. Maneggiando asset
complessivi dal valore di quasi 1,8 trilioni di dollari, l’istituto tedesco
è il quindicesimo a livello mondiale, e una sua crisi conclamata aprirebbe
la strada a rischi simili a quelli sperimentati dal sistema finanziario
mondiale in occasione del crac di Lehmann
Brothers nello scorso decennio.
Alla precaria
condizione di Deutsche Bank contribuiscono tre fattori: l’accumularsi di
scandali internazionali che coinvolgono l’istituto di Francoforte,
l’instabilità di un portafoglio stracolmo di titoli tossici e le tensioni
internazionali che rendono la principale banca tedesca un bersaglio di
prima grandezza nella sfida economica tra la Germania e gli Usa di Donald
Trump.
Tutti gli
scandali di Deutsche Bank
L’ultimo
scandalo che ha fatto tremare i vertici bancari di Francoforte ha un
epicentro ben preciso: la filiale estone di Danske Bank, l’istituto danese
che è stato di recente accusato di una gigantesca operazione di riciclaggio
di denaro, proveniente in larga parte dalla Russia, per un valore
complessivo di 230 miliardi di euro. Howard Wilkinson, tra il 2007 e
il 2014 a capo della divisione trading della filiale di Tallin della banca
danese, ha parlato di altri istituti coinvolti nell’operazione, tra cui
spiccherebbe il profilo di Deutsche Bank, che avrebbe gestito operazioni di riciclaggio del volume di
150 miliardi di dollari.
Ma non finisce
qua. Il 29 novembre scorso, 170 inquirenti della polizia tedesca hanno
perquisito gli uffici direttivi della banca dopo aver a lungo indagato sui
documenti contenuti nei celebri Panama
Papers, che hanno lasciato intravedere uno scandalo di
occultamento di capitali dai Paesi occidentali di vastissima portata. Solo
nel 2016, una società legata alla banca con sede alle Isole Vergini,
avrebbe gestito ben 900 clienti per un volume d’affari complessivo di 311
milioni di euro.
Nella
discontinua rassegna stampa tedesca sulla vicenda, analizzata da StartMag, spicca la dura
accusa della Süddeutsche
Zeitung, il quotidiano inserito nel network di giornali
internazionali che hanno partecipato alla rivelazione dei “Panama Papers”,
che ha contestato le parole pronunciate dal nuovo Ceo di Deutsche Bank,
Christian Sewing, al momento del suo insediamento: “abbiamo messo alle
spalle la stagione degli scandali”. In realtà, secondo la Sz, “per Deutsche
Bank si ripropone di nuovo la domanda su quali valori e quali standard si
pone oggi la sua attività […] Ci si deve voltare dall’altra parte
quando somme enormi vengono trasferite da aziende dubbiose, o non sussiste
il sospetto che spesso tali operazioni servano a evadere tasse o riciclare
denaro sporco?”.
Credibilità a
pezzi
“Sebbene non sia
chiaro dove porterà questo fiIone di indagini, Deutsche Bank si conferma
istituto perennemente nell’occhio del ciclone”, scrive La Verità. “Dal
2008 ad oggi, ha sborsato, per multe e dispute legali, qualcosa come 18
miliardi di dollari. In Europa, solo Royal Bank of Scotland Group ha
fatto peggio, con un esborso di 18,1 miliardi”.
E certamente gli
ultimi travagli del colosso tedesco gettano un’ombra anche su altre
questioni del suo recente passato. Nel dicembre 2017 è stata spostata da
Trani a Milano l’inchiesta sull’operato di Deutsche Bank in Italia nel 2010
e nel 2011, nei mesi che precedettero la caduta dell’ultimo governo
Berlusconi sotto i colpi dello spread. Deutsche Bank, fra dicembre
2010 e luglio 2011 ha attuato una speculazione in grande stile, liberandosi
dell’88 per cento dei titoli pubblici italiani, salvo ricomprarne una parte
dopo, quando il loro valore era sceso, ed è per questo indagata per manipolazione del mercato.
Inoltre, scrive l’Agi, “nel 2015 la
banca era stata investita dallo scandalo Libor, relativo alla
manipolazione fraudolenta dei tassi di riferimento sui mutui immobiliari. I
vertici di allora furono costretti a dimettersi e il conto di multe e
risarcimenti superò i due miliardi e mezzo” e nel settembre dell’anno
successivo il Dipartimento della Giustizia Usa impose una sanzione di 14
miliardi di euro, poi dimezzata, per irregolarità nella vendita di
obbligazioni garantite da mutui.
Ma la credibilità
di Deutsche Bank non è messa solo a repentaglio dall’ondata di scandali che
rischia di travolgerla: a contribuire alle sue problematiche è intervenuta
una gestione molto spesso scriteriata, che non ha tenuto in debito conto
gli insegnamenti della grande crisi scoppiata nel 2007-2008.
Quell’oceano di
derivati in cui Deutsche Bank rischia di affondare
Gli ultimi
bilanci di Deutsche Bank sono stati un vero e proprio bagno di
sangue: 7 miliardi di euro nel 2015, 1,4 miliardi nel 2016, 497
milioni nel 2017. E per il 2018 le previsioni sono delle più fosche, dato
che 6,01 miliardi di euro di perdite sono già state annunciate nel terzo
trimestre dell’anno.
Deutsche Bank ha
problemi di redditività. Non investe in tecnologia da moltissimo tempo ed è
fortemente sottocapitalizzata, mentre il suo titolo in borsa risente
pesantemente dei continui scandali, che hanno causato al contempo una
consistente emorragia di denaro per le spese legali e i risarcimenti. I
continui tagli al personale annunciati da Francoforte non mirano al punto
della principale causa del dissesto nella gestione dell’istituto: la
scriteriata accumulazione di enormi quantità di derivati tossici in misura
simile a quanto fatto dagli istituti statunitensi nello scorso decennio.
Come scrive Lettera43, “il problema di
Deutsche Bank sono gli assodati 48 mila miliardi di euro di derivati – 14
volte il Prodotto interno lordo della Germania – in pancia all’istituto”,
un valore di gran lunga superiore a quello di Lehmann Brothers al momento
del crac. Un oceano potenzialmente a rischio di ebollizione, in quanto
collegato a sottostanti finanziari poco noti e in cui potrebbero, senza
ombra di dubbio, nascondersi anche le tracce delle diverse manipolazioni di
cui Deutsche Bank è accusata. Secondo uno studio della Banca d’Italia, i titoli
opachi sparsi nell’eurozona ammonterebbero a 6.800 miliardi di euro: e non
a caso sarebbero istituti tedeschi e francesi i principali possessori di
questo detonatore potenziale di una prossima crisi.
Gli Stati Uniti
contro Deutsche Bank
Nell’ondata di
scandali che ha travolto Deutsche Bank ritornano, a più riprese, gli Stati
Uniti. Ciò non è un caso: colpire la principale banca tedesca, dal punto di
vista di Washington, significa infliggere duri colpi a una Germania capace
di diventare, nel medio periodo, uno sfidante in campo commerciale. E la
somma di provvedimenti adottati dalle autorità Usa contro Deutsche Bank ha
assunto proporzioni notevoli: alle sanzioni precedentemente citate si
aggiunge infatti la bocciatura della filiale americana della banca
nella scorsa primavera.
E non bisogna
dimenticare che proprio dagli Usa partì l’inchiesta Panama Papers nel 2016
e, al tempo stesso, che l’inchiesta su Danske Bank è iniziata proprio a seguito
di indagini sul riciclaggio in dollari della considerevole somma in euro
occultata nel Vecchio Continente. Un intrico notevole che vede il braccio
di ferro tra Washington e Berlino congiungersi con le nuove politiche della
Fed, desiderosa di rimpatriare sul suolo americano la più consistente quota
possibile di capitali depositata in paradisi fiscali od occultata.
Deutsche Bank è
dunque oggetto di un gioco di politica internazionale ad ampio raggio, ma
questo non la assolve dai numerosi errori e dalle grandi mancanze palesate
in passato: sono stati comportamenti a dir poco discutibili e operazioni
finanziarie irresponsabili o illecite a creare la situazione attuale, che
la vede trasformata nel “malato d’Europa”. Il problema, in questo contesto,
è legato alle enormi dimensioni di Deutsche Bank. Essa, come del resto la
Germania stessa, è inequivocabilmente too big to fail. Ma al tempo
stesso si dimostra l’anello debole di un sistema finanziario tornato ad
agitarsi in maniera simile a quanto accaduto nei tempestosi mesi che
precedettero il crac di Lehmann Brothers.
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