E – come in un vero giallo – ci poniamo una seconda domanda: chi ha ucciso per la seconda e poi per la terza volta Ilaria Alpi? Stiamo parlando di due giornalisti che per fare il loro lavoro ci hanno rimesso la pelle, in modi del tutto diversi ma con tanti punti in comune. A cominciare dal più grosso: l’aver lavorato per mamma Rai.
Oliviero per la Rai ne ha combinate davvero di tutti i colori. Programmi unici, speciali, che ti incollavano al video o in audio, per fare solo due esempi Radio Zorro e Beha a colori. Veri programmi di inchiesta quotidiana, dalla parte dei cittadini che si sentono affiancati non a parole ma con i fatti nelle loro battaglie, nelle loro denunce. Un mito. Ma quando i miti diventano travolgenti e l’audience sale per vie naturali, ecco che le cose si fanno pericolose.
QUEL PALLONE MUNDIAL DEGLI SCANDALI
Soprattutto se a dirigere l’orchestra c’è un direttore che non si fa passare o ripassare il copione, che non guarda in faccia nessuno, non fa sconti e tira dritto per la sua strada.
Come fece con il suo pallone bollente dei Mondiali ’80, la storia che mise in crisi le certezze italiche e la Repubblica degli Scalfari e dei Brera gliela fece pagare per lesa maestà. Se ne fregò, andò via da Repubblica e per un attimo fuggente sbarcò in quella napoletana, per partorire la sua creatura pallonara da tutti rifiutata e edita solo dal coraggioso Tullio Pironti. Un’impresa memorabile, un libro stampato e pronto, ri-copertinato e uscito in perfetta clandestinità, oscurato da tutti i media nazionali.
Ed è qui che nasce il mito Beha: il più contro dei giornalisti italiani, e per questo amato dai lettori, spesso e volentieri odiato dai colleghi, rosi dall’invidia e sovente avvolti nelle loro masturbazioni paragiornalistiche e/o paraintellettuali.
E detestato dai vertici Rai che, ovviamente, da perfetti maggiordomi per lorsignori, da scendiletto per le camminate diurne e notturne dei loro padroni non possono sopportare un Beha che contesta e fa di testa sua. Scrive oggi Giampiero Galeazzi: “Oliviero, un giornalista al servizio della verità… boicottato dai mediocri che lo odiavano e lo criticavano… in Rai ha trovato tanti colleghi che non lo hanno capito come accadde con Beppe Viola”.
Marco Travaglio, nel suo ricordo su il Fatto, rammenta gli scontri con il direttore generale Rai dell’epoca Flavio Cattaneo e soprattutto con il direttore di Rai Sport Fabrizio Maffei. C’è invece chi ricorda che la sua testa venne chiesta dalla ‘progressista’ Bianca Berlinguer. Carta Bianca anche per quello?
Fatto sta che Oliviero viene prima emarginato e poi cacciato da viale Mazzini. Una epurazione in perfetto stile brezneviano o berlusconiano. Anche se per mano, forse, sinistra.
A questo punto sarebbe il caso di mettere un punto alla questione e capire una volta per tutte: chi ha firmato il provvedimento che escludeva Beha dai ranghi Rai? Quali le motivazioni ufficiali? Chi è stato, o chi sono stati, se più d’uno, i mandanti? Si tratta di nomi, cognomi con tanto di indirizzi e recapiti, non di illazioni o congetture.
Che i nomi escano. E che quei signori – tutti – abbiamo almeno il coraggio di alzarsi una mattina e guardarsi allo specchio: per verificare l’effetto che fa.
E qui comincia il Calvario di Oliviero. Dai la tua vita, sgobbi, immagini uno due tre dieci programmi, vanno da Dio, la gente ti segue e vieni mandato affanculo.
Ma Beha non ci sta. Con il suo solito piglio toscano non si dà per vinto, sa di avere tonnellate di ragione dalla sua, fa causa alla Rai. Vuole tornare, vuole che la giustizia lo rientegri nel suo posto di lavoro perchè è sacrosanto sia così. Perchè ha tutte le ragioni del mondo da vendere. Ha fiducia nella giustizia che invece – incredibile ma vero – gli sbatte la porta in faccia.
Cornuto e mazziato, non solo non vengono riconosciuti i suoi diritti che anche un cieco sarebbe capace di vedere, non viene colta quella verità che chiunque al buio sarebbe capace di individuare, ma al danno si uniscono anche le beffe: condannato anche alle spese legali. La bellezza di ventimila euro e passa, secondo gli esperti del diritto una cifra del tutto fuori dal mondo.
Ed è così che Oliviero, l’anno scorso, si vede recapitare la sentenza ben infiocchettata, con tanto di ingiunzione al pagamento. Lui fa appello ma si sa, i tempi della giustizia sono rapidissimi quando si tratta di toglierti i diritti, lentissimi quando si tratta – nel miracoloso caso – di restituirteli.
Ed è così che, a questo punto, scatta la tagliola. E arriva l’esattore, come un perfetto mafioso in guanti bianchi o gialli se preferite, per scroccarti mille euro al mese, 22 o 24 comode rate fino al raggiungimento del totale.
Come pensate che possa sentirsi un cristiano, già massacrato, torturato e inchiodato, poi costretto anche a pagare i suoi carnefici?
FUORI I NOMI, DAI MAGISTRATI ALLA RAI
A questo punto vogliamo altri nomi, per completare il mosaico. I nomi dei magistrati che hanno firmato la sentenza che dà torto a Oliviero e lo costringe a pagare il pizzo alla Rai, mille euro al mese. Fuori i nomi. E anche quelli, tanto per gradire, dei legali che hanno eseguito gli ordini di scuderia Rai, e hanno emesso la pingue fattura.
Dice, la depressione. Non lavori più e sei depresso. Destino cinico e baro. No, stavolta non è così: c’è un preciso percorso che chiamare stalking è un perfetto eufemismo, come dire di un mafioso che sta sgozzando la sua vittima che le sta facendo un prelievo di sangue.
Ho sentito, nel corso degli ultimi mesi, molte volte per telefono Oliviero. Il suo cruccio era quello: la storia Rai. Il sentirsi calpestato come giornalista e come uomo. Messo da parte come un appestato, lui che lottava per i diritti, a fianco dei cittadini, dei suoi lettori.
E il sentirsi preso in giro da quella giustizia nella quale ancora continuava a credere l’ha devastato. Lo sentivi nelle sue parole, il dolore allo stato puro. E intuivi, soprattutto a fine anno, inizio 2017, che le forze gli stavano venendo meno. Come se non il tumore che ti mangia in un anno o più ma un altro male, ancor più subdolo, ti stesse rodendo giorno per giorno: con pervicacia, pezzo pezzo, morso morso.
L’ho sentito a gennaio, era in treno per Milano, andava ad una puntata della Gabbia: la voce fioca, ‘non mi sento granchè’ e poi lo vedo su la 7, pallido, gli occhi un po’ annebbiati ma in cui leggi una sofferenza.
L’ho sentito tre giorni prima di quel maledetto sabato. ‘Ieri ho avuto un collasso, mi sento molto debole. Appena mi riprendo un po’ ti chiamo’. Le sue ultime parole, quelle di un guerriero stanco, al termine della salita, come il suo Bartali, sulla cui vicenda umana – il toscanaccio aveva salvato centinaia e centinaia di ebrei durante la guerra – ci aveva scritto due anni fa un romanzo stupendo. Come stupendo è l’ultimo ‘Mio nipote nella giungla‘, dedicato al figlio della sua Germana, che negli ultimi giorni ne raccoglieva e metteva su carta i pensieri. Affidati alle rubriche sul Fatto (“Il Badante” e “Maledetta Domenica”) e soprattutto al suo blog, vera miniera di rarità giornalistiche e ancor più un parlare continuo con i suoi lettori. Erano infatti centinaia al giorno i commenti che inondavano il suo blog, li senti ancora parlare, scrivere, notare, commentare, proprio quel filo rosso continuo che Oliviero in modo magico sapeva tessere con Radio Zorro o via Beha a Colori.
Tra i primi numeri della Voce, metà ’85, pubblicammo una sua intervista a proposito del primo calcio scommesse, partorito a Napoli. Un numero monografico in cui spiccavano le parole di Oliviero, al solito di una chiarezza che sconcertava, nella pesantezza dei suoi j’accuse e nella efficacia della ricostruzione giornalistica. Un vero maestro. E per questo la Voce, una Voce contro, come è stato fin da quegli anni, ha cercato di modellarsi al suo tipo di giornalismo di inchiesta, forte, documentato, limpido. Fregandocene – come aveva fatto lui – di toccare palazzi e santuari, e soprattutto gli interessi forti dei loro inquilini. Per questo lo scorso dicembre, in una nostra auto-inchiesta, ci siamo definiti “Voce a Colori”, proprio per ricordare quel giornalismo che lui, unico, era capace di mettere nero su bianco. Con il suo stile inconfondibile, la passione civile che trasudava da ogni parola.
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