Il lungo articolo del giornalista australiano Mike Whitney che
vi propongo non richiede commenti, calzando a pennello con miei precedenti
interventi e valutazioni. Claudio
Il Nuovo Ordine Mondiale di
Putin
di Mike Whitney
- 02/05/2017
Fonte: Come Don
Chisciotte
Possiamo forse
dire che Vladimir Putin sia il leader Russo più popolare di tutti i tempi?
Si direbbe di
si.
In un recente
sondaggio condotto dal centro di ricerca statistica sull’opinione pubblica
Pan-Russo, i tassi di approvazione di Putin hanno raggiunto un incredibile 86%,
vale a dire il doppio di Obama quando ha lasciato l’incarico nel 2016. Ma ciò
che è più sorprendente è che la popolarità di Putin è resistita attraverso un
momento difficile per l’economia e dopo quasi due decadi di incarico. A
differenza della maggior parte dei politici, la cui data di scadenza è compresa
tra 4 e 8 anni, l’ammirazione pubblica per Putin si è solo accresciuta nel
tempo.
E il fenomeno
non si limita alla sola Russia, secondo un recente sondaggio di YouGov “Putin è
il terzo uomo più ammirato in Egitto, il quarto in Cina, Arabia Saudita e
Marocco, il sesto più ammirato in Germania, Francia e Svezia”. E non parliamo
neanche della Siria, dove chiamare i bambini appena nati con il nome del
Presidente Russo è la nuova moda.
Putin ha
inoltre vinto il prestigioso riconoscimento di “Uomo dell’anno” del Times nel 2007
ed è sempre stato nella top ten di quella lista per gli ultimi 10 anni. L’unico
posto dove Putin non è popolare sono gli Stati Uniti d’America dove viene
regolarmente demonizzato come “furfante del KGB”, se non “Nuovo Hitler”.
Secondo un sondaggio Gallup del 2017, solo il 22% degli Americani guardano a
Putin con favore, mentre il 72% ne hanno una opinione sfavorevole.
Non c’è dubbio
che gli attacchi personali rivolti a Putin da parte dei media abbiano avuto un
impatto sulla sua popolarità. Ma la domanda che le persone di mentalità aperta
dovrebbero rivolgere a sè stesse è se l’opinione su Putin sia frutto di
personali ricerche, o se piuttosto siano considerazioni formate in base a ciò
che sostengono i media controllati dalle grosse corporations, che sono lì
sempre pronti a denigrare chiunque si opponga alle ambizioni geopolitiche di
Washington. Il mio consiglio per queste persone è ascoltare direttamente le
parole di Putin e poi tirare le proprie conclusioni.
I media
Occidentali indicano Putin come responsabile di diversi crimini, tra cui
l’uccisione di giornalisti e avversari politici. C’è qualcosa di vero in
questo? Un uomo così riverito dalla vastissima maggioranza dei Russi non
sarebbe altro che un comune sicario mafioso che fa fuori i suoi avversari senza
battere ciglio?
Non posso
giudicare con tutta la certezza, ma avendo seguito la carriera di Putin (e
letto molti dei suoi discorsi), da quando ha rimpiazzato Boris Yeltsin nel
1999, direi che mi sembra molto improbabile. La più probabile spiegazione è che
la politica estera Russa abbia creato insormontabili ansie per Washington in
posti come l’Ucraina e la Siria, così Washington ha istruito il suo Ministero
della Propaganda (cioè i media) di demonizzare Putin come cattivo tiranno e
delinquente. Questo è quantomeno quello che visibilmente i media hanno
continuato a fare fino ad oggi.
La classe
politica USA adorava Yeltsin, chiaramente, poiché Yeltsin era un buffone pronto
ad acconsentire a tutto, che ha eviscerato lo Stato e ha detto si a tutte le
richieste delle multinazionali Occidentali. Putin al contrario ha compiuto
enormi passi avanti nel ricostruire il paese, nazionalizzando in parte
l’industria dell’estrazione di petrolio e gas, imponendo la sua autorità sopra
gli oligarchi, ristabilendo il potere del governo centrale.
Ancor più
importante, ha ripetutamente condannato l’atteggiamento guerrafondaio
unilaterale degli Stati Uniti nel Mondo, diventando di fatto il leader di un
movimento di resistenza il cui obiettivo primario è fermare i ripetuti cambi di
regime promossi da Washington e funzionali alla destabilizzazione, rifondando
la sicurezza mondiale sul principio della sovranità nazionale. Così Putin
stesso ha riassunto il principio a Valdai:
“Non mettiamo
un attimo in dubbio che la sovranità sia il principio fondante dell’intero
sistema delle relazioni internazionali. Il rispetto e il consolidamento di essa
aiuteranno a promuovere pace e stabilità sia a un livello nazionale che
internazionale. Innanzitutto è necessario che ci sia un livello di sicurezza
uguale e indivisibile per tutti gli Stati” (Incontro del gruppo di discussione
internazionale di Valdai, Il futuro in marcia, dare forma al Mondo di domani,
dall’ufficio della Presidenza Russa).
Questo è uno
dei temi fondamentali di Putin, risalente al suo famoso manifesto di Monaco del
2007, un discorso che chiunque abbia anche solo un vago interesse negli affari
esteri dovrebbe leggere in forma integrale. Eccone un estratto:
“Assistiamo a
un sempre maggiore disprezzo per i principi base del diritto internazionale. E
principi legali indipendenti si intersecano, di fatto, alle leggi dello Stato.
Uno Stato, e certamente, prima di tutto gli Stati Uniti, hanno scavalcato
indebitamente la competenza dei loro confini in ogni modo possibile. Ciò è
notevole sotto il profilo economico, politico, culturale, educativo che impone
agli altri Stati. Ebbene, qualcuno è veramente soddisfatto con questo stato di
cose?”
“Sono convinto
che siamo arrivati al momento decisivo in cui è assolutamente urgente ripensare
l’architettura della sicurezza mondiale. Dobbiamo procedere perseguendo un
ragionevole bilanciamento tra gli interessi di tutti i partecipanti al dialogo
internazionale (Video youtube: Wars not diminishing: Putin’s iconic
2007 Munich speech).
Il discorso di
Monaco è stato recitato quattro anni dopo che Washington lanciò la sua
sanguinaria invasione dell’Iraq, invasione che Putin oppose duramente. Il
discorso è prova di una maturità di pensiero da parte di Putin, il quale, a
differenza di quasi tutti gli altri leader mondiali, non è incline a giudizi e
decisioni affrettate. Al contrario si prende il tempo necessario per analizzare
le situazioni sotto ogni possibile prospettiva, e poi agisce in base a
conclusioni molto ben ponderate. Ma una volta che ha preso una decisione non
esita.
L’opposizione
da parte di Putin a un controllo mondiale unipolare, ossia la politica
dittatoriale di Washington, dove tutti gli altri non sono tenuti a fare
nient’altro che mettersi in riga, non ha nulla a che vedere con
l’antiamericanismo, è un fatto esclusivamente pragmatico. I 16 anni di
avventure di Washington in Asia centrale, Nord Africa e Medio Oriente non hanno
ottenuto altro risultato che intensificare le crisi, gettare benzina
sull’instabilità, nutrito il terrorismo, portato morte e distruzione. Non ci
sono stati vincitori nella fantomatica guerra al terrore, solo violenza
infinita e montagne di vittime. Di conseguenza, usando le parole di Putin,
“nessuno si sente al sicuro”.
Queste sono le
motivazioni per le quali Putin ha tracciato una linea nel terreno in Ucraina e
Siria. Il Presidente Russo ha impegnato esercito e aviazione allo scopo di
fermare il comportamento aggressivo di Washington.E’ il caso di ribadire, ciò
non avviene a causa di un odio per l’America o perché egli cerchi lo scontro,
ma dal momento che l’appoggio di Washington a violenti estremisti richiede una
risposta ferma. Non c’è altro modo. Al tempo stesso Mosca non smette di cercare
una soluzione pacifica ad entrambe le crisi. Citiamo ancora le sue parole:
“Solo dopo aver
messo termine ai conflitti armati ed aver assicurato le possibilità di sviluppo
pacifico di tutte le nazioni potremo parlare seriamente di progresso economico
e risoluzione dei problemi sociali, umanitari, come altre problematiche
fondamentali”
E’ essenziale
garantire le condizioni necessarie al lavoro creativo e al progresso economico
a un passo che possa porre termine alla divisione del mondo in vincitori
permanenti e eterni sconfitti. Le regole del gioco dovrebbero offrire alle
economie in via di sviluppo almeno una opportunità di potersi mettere sullo
stesso piano di quelle che conosciamo come economie sviluppate. Bisognerebbe
lavorare per rendere omogeneo il ritmo dello sviluppo economico, e assicurare
protezioni a stati e regioni arretrate, così da rendere i frutti del progresso
economico e tecnologico accessibili a tutti. Ciò sarebbe il modo concreto di
sconfiggere la povertà, uno tra i peggiori problemi della contemporaneità”-
Un’ altra
priorità è la salute mondiale. Tutti gli esseri umani al mondo, e non soltanto
le élite, devono avere diritto a vivere a lungo e in salute. Questo è un nobile
obiettivo. In breve dovremmo porre oggi le fondamenta del mondo di domani,
attraverso l’investimento in tutte le aree fondamentali per lo sviluppo umano” (Incontro
del gruppo di discussione internazionale di Valdai).
Queste
affermazioni sono i motivi per cui le storie su Putin che elimina giornalisti
mi sembrano insensate. Mi sembra molto improbabile che un uomo che crede nella
necessità di garantire a tutti nel mondo accesso alle cure mediche, lavoro
creativo, fine della povertà e “investire in tutte le aree prioritarie per lo
sviluppo umano”, possa, allo stesso tempo, eliminare avversari come un
qualsiasi boss mafioso. Mi sembra molto difficile da credere.
La parte più
interessante del discorso di Putin a Valdai è la sua analisi dell’incertezza
sociale che ha invaso la UE e gli USA, risultando nel diffuso rigetto dei
candidati politici tradizionali e relativi partiti. Putin ha osservato
attentamente questi sviluppi e ha meditato a lungo su essi. Ecco che cosa ne
pensa:
“L’agenda
politica talmente svuotata di senso come si trova adesso, e le elezioni
(Americane) che cessano di rappresentare uno strumento di cambiamento, e che
invece non sono altro che uno scontro di scandali e diffamazioni. E onestamente
basta uno sguardo alle piattaforme dei vari candidati per concludere che siano
state fatte con lo stesso stampo, differenze minime, semmai ce ne fosse qualcuna”.
Certo,
formalmente tutte le nazioni moderne hanno gli attributi della democrazia:
elezioni, libertà di parola, accesso all’informazione, libertà d’espressione.
Ma anche nelle democrazie più avanzate la maggior parte delle persone non ha
alcuna influenza reale sul processo politico e nessun rapporto col potere.
Sembra che se
le élite continuino a rifiutarsi di prendere nota della sempre crescente
stratificazione della società e dell’erosione della classe media, e ciò crea un
clima di incertezza che ha un effetto diretto sull’umore del pubblico.
Studi
sociologici condotti nel Mondo mostrano che la gente in diversi paesi e in
diversi continenti tende a guardare al futuro come oscuro e preoccupante. Ciò è
triste, il futuro anziché rappresentare una avvincente opportunità rappresenta
una fonte di paura. Allo stesso tempo la gente non vede nessuna vera
opportunità e nessuno strumento per cambiare nulla, influenzare gli eventi e
dare una nuova direzione alle politiche pubbliche.
Quanto alla
rivendicazione che le frange populiste avrebbero preso il sopravvento su una
minoranza sobria, responsabile e sensibile, non stiamo parlando di populisti o
altre etichette ma della gente normale e ordinaria, normali cittadini che
stanno smarrendo la fiducia nella classe dirigente. Questo è il problema reale.
La gente
avverte un golfo sempre più ampio tra i propri interessi e la visione che l’élite
offre come unico corso d’azione possibile, scelto da essa in modo
autoreferenziale. Il risultato è che elezioni e referendum offrono esiti sempre
più sorprendenti per le autorità. La gente non vota affatto nel modo in cui i
media ufficiali e responsabili vorrebbero facesse, o come i partiti mainstream
si augurino che faccia. Movimenti pubblici che fino all’altro ieri erano troppo
a destra o troppo a sinistra sono ormai centrali e stanno spingendo fuori gli
ex pesi massimi politici.
Sulle prime
questi risultati politici sconvenienti sono stati liquidati come anomalie o
caso. Ma una volta che sono diventati più frequenti i sedicenti esperti hanno
iniziato a sostenere che la società non è in grado di capire coloro che si
trovano in cima alla piramide del potere e che la gente non è abbastanza matura
per poter apprezzare il lavoro che le autorità svolgono per il bene pubblico.
Oppure vanno completamente in crisi isterica e dichiarano i risultati
elettorali risultato di propaganda estera, generalmente Russa” (Incontro del
gruppo di discussone internazionale di Valdai).
Putin
sottolinea diversi aspetti importanti, è dunque una buona idea tracciare un
elenco:
1) Le elezioni
non rappresentano più uno strumento di cambiamento;
2) Le apparenze
esteriori della democrazia persistono, ma nei fatti la gente non ha alcun peso
sulla determinazione di politiche e processi;
3) L’impotenza
politica ha generato frustrazione, depressione, rabbia. Nuovi movimenti e
candidati sono emersi proponendo rimedi più estremi, dal momento che i partiti
tradizionali non rappresentano più la volontà popolare;
4) Le élite
isolate sono diventate sempre più ottuse e cieche alla rabbia che dorme sotto
la superficie di una società apparentemente quiescente;
5) Sempre più
persone sono spaventate dal futuro, Vedono poca speranza per se stessi, i loro
figli, il proprio paese. Il differenziale tra ricchi e poveri continua a seminare
malcontento, definito populistico;
6) L’elezione
di Trump segnala profondo rigetto della classe politica nazionale, i suoi
media, il suo sistema economico, le sue istituzioni primarie;
Questa è un’analisi
di prima mano fatta da un uomo che non solo ha passato molto tempo a ragionare
su questi argomenti, ma ha anche identificato il particolare evento che ha dato
origine all’attuale crisi: la dissoluzione dell’ Unione Sovietica. Ecco cosa
sostiene:
“L’anno scorso i partecipanti al forum di Valdai hanno discusso i problemi
inerenti all’attuale ordine mondiale. Sfortunatamente molto poco è migliorato
negli ultimi mesi. Anzi, per essere più onesti, non è cambiato nulla.
Le tensioni
messe in atto da cambiamenti nella distribuzione dell’influenza politica ed economica
continuano a crescere. Essenzialmente l’intero progetto della globalizzazione
si trova oggi in crisi, ed in Europa, sappiamo bene, si alzano sempre più voci
a proclamare che il multiculturalismo ha fallito.
Credo che la
situazione sia sotto vari punti di vista il risultato di scelte sbagliate,
frettolose e in certi casi prepotenti, prese dalle élite di alcuni paesi un
quarto di secolo fa. Allora, negli ultimi anni ’80 e primi anni ’90 si è
presentata l’occasione non soltanto di accelerare il processo di
globalizzazione, ma anche di conferirgli una qualità diversa e renderlo più
armonioso e sostenibile nella sua natura.
Ma alcuni paesi
hanno voluto autorappresentarsi come vincitori della guerra fredda, non
soltanto sentendosi tali ma proclamandolo a gran voce, scegliendo al contrario
di rifondare l’ordine economico e politico globale sulla misura dei propri
interessi.
In questa
euforia hanno praticamente gettato in mare la necessità di un dialogo
sostanziale ed equo con gli altri attori sulla scena internazionale, scegliendo
di non creare istituzioni internazionali o almeno migliorare quelle esistenti,
provando al contrario di costringere il mondo intero sotto il controllo delle
proprie organizzazioni, norme e regole. Hanno scelto la strada della globalizzazione
unilaterale e della sicurezza solo per i loro beneamati sè stessi, per i pochi
prescelti, e non per tutti” (Incontro del gruppo di discussione internazionale
di Valdai).
Ha ragione o
no? Il progetto globalizzante è palesemente in crisi e la ragione per cui è in
crisi è che tutti i benefici sono andati a coloro che hanno progettato il
sistema in base ai propri esclusivi interessi, il famoso 1%. Di conseguenza i
popoli d’Europa e America stanno perdendo la pazienza e cercano di trovare
sistemi per ristabilire il proprio controllo sul sistema. Questo è tutto ciò
che la Brexit ci comunica. Questo è ciò che l’esito dell’elezione di Trump
rappresenta. Questo è il senso del duello Macron-Le Pen. Tutti e tre sono
chiari esempi della rabbia che sta montando contro le élite che hanno imposto
un sistema utile solo al proprio auto-accrescimento a tutti gli altri senza
consultarli, precipitando un costante declino negli standard di vita, enorme
insicurezza economica, perdita di sovranità nazionale.
Questa è la
prima volta che sento qualcuno ricondurre l’attuale ondata di turbolenza
sociale come esito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma mi sembra abbia
del tutto senso. Le élite Occidentali hanno interpretato la dissoluzione
dell’URSS come un semaforo verde per perseguire maniacalmente la propria agenda
globale e imporre il modello economico neoliberista al mondo intero, processo
che è stato pesantemente accelerato in seguito al 9/11. Gli attacchi
terroristici contro le torri gemelle sono diventati l’evento seminale per
decurtare le libertà civili, accrescere i poteri esecutivi, dare luogo alla
guerra globale al terrore. Non moderata da nessun rivale notevole, Washington
si è sentita libera di imporre il suo sistema a tutto beneficio delle
multinazionali al mondo intero, ritracciare la mappa del Medio Oriente,
occupare paesi in Asia centrale, far cadere regimi secolari ovunque lo abbia
ritenuto opportuno. Il trionfalismo del capitalismo Occidentale è ben riassunto
nelle parole dell’ex Presidente G.W. Bush, che affermò nel 1990, prima del
lancio dell’operazione Desert Storm: “(da oggi) Ciò che affermiamo è legge”.
L’affermazione è una dichiarazione non ambigua della determinazione di
Washington a dominare il mondo intero e stabilire un nuovo ordine mondiale.
Oggi, 27 anni
dopo, il cammino degli Stati Uniti è stato fermato in Siria e Ucraina. Nuovi
centri di potere economico stanno emergendo, si formano nuove alleanze,
l’autorità di Washington è contestata a viso aperto. Il compito di Putin è
arrestare il progetto degli Stati Uniti, creare disincentivazioni tangibili
all’aggressione militare, mettere fine per sempre agli interventi militari
esteri. Il Presidente Russo potrebbe essere costretto a fare ogni tanto qualche
passo indietro per evitare la terza guerra mondiale, ma l’obiettivo è
essenzialmente chiaro e realistico. Lo zio Sam deve essere messo sotto
controllo, i pretesti per guerre zittiti, una vera sicurezza mondiale
ristabilita, e la gente deve poter ritornare in pace a casa.
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