Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996
"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis
"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")
"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto." (Dalai Lama)
"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")
"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi
L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)
Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)
Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )
La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria
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Come valorizzare il Monferrato Storico
… La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.
Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …
Video imperdibile che spiega la situazione geopolitica USA-EUROPA-RUSSIA
La strategia del caos per dominare le masse
IL CAOS? E’ IL METODO DI GOVERNO DEL GLOBALISMO.
Rievoco in breve la storia, ovviamente ignota ai lettori. Nel novembre 2008, la polizia francese arrestò in modo estremamente vistoso, brutale e mediatico una decina di giovani abitanti a Tarnac, un paesino del Corrèze, con l’accusa di progettare atti terroristici e di averne già messi in atto altri, come danneggiamenti alle linee ad alta velocità (TGV). In inchieste durate anni, s’è scoperto che: terroristi anarchici di Tarnac erano controllati giorno e notte (è il caso di dirlo) da un poliziotto britannico che si era infiltrato, e aveva messo incinte alcune signorine del gruppo terroristico; che i servizi francesi ne sapevano ogni mossa; che i danneggiamenti al TGV erano stati perpetrati da ecologisti tedeschi. Alla fin fine, si intuisce cha la sola cosa per cui il potere ha considerato pericoloso e da smantellare il gruppo di Tarnac, la vera bomba da esso confezionata, era proprio il libretto – una novantina di pagine – concepito nel loro ambiente:
Gouverner par le Chaos – Ingénierie Sociale et Mondialisation.
https://www.amazon.fr/GOUVERNER-PAR-CHAOS-Collectif/dp/235341074X#reader_B007V5AQ4W
Eccone le tesi principali:
Le classi dirigenti hanno adottato il caos come metodo di governo più efficace per mantenersi al potere. Quel caos che fingono di combattere, è la loro strategia privilegiata di controllo. Jacques Attali, il futurologo ebreo che ha creato artificialmente Macron, lo ha detto perfino chiaro nei suoi scritti e nelle conferenze. I dirigenti d’oggi non perseguono che due scopi; il primo, realizzare un governo mondiale; l’altro, proteggere il governo mondiale da ogni rovesciamento e nemico, attraverso un sistema di sorveglianza generalizzato fondato sulla tracciabilità totale delle persone e delle cose.
Come si diventa padroni del mondo? “Centralizzando l’ordine e il potere attorno a una minoranza e spargendoo il caos nel popolo, ridotto al livello di burattini nel panico”.
Molto più comodo che farsi obbedire dal popolo migliorandone le condizioni, risolverne i problemi sociali (dalla disoccupazione al disordine pubblico, dalle disparità crescenti ed inique alla droga). Le elites, governando col caos, non si assumono più alcuna responsabilità verso i cittadini delle crisi che provoca il capitalismo terminale. Anzi il caos finanziario permette di giustificare la concentrazione del potere delle grandi banche d’affari; l’11 Settembre giustifica il potere insindacabile dello Stato Profondo; la strage al Bataclàn, il mantenimento delle leggi speciali che Hollande aveva varato per la strage di Charlie Hebdo (aveva già sul tavolo il decreto da firmare).
“Abolire tutte le frontiere”, anche interiori, è la loro tecnica
Attenzione: sono cose che sapete, adesso nel 2017, e
solo da lettori avvertiti. Le masse non ne sono affatto consapevoli. Ma
il Comitato Invisibile ne ha scritto nel 2008 – quando ancora il caos
concentrico (finanziario, bellico, terroristico eccetera) non era ancora
dispiegato pienamente. E nel testo si trovano profetizzati precisi
caratteri del caos ingegnerizzato che, nel 2008, erano ancora
invisibili: la “lotta alle discriminazioni” non aveva ancora
all’insegnamento alle elementari della teorie del genere, ai diritti
omosessuali, le nozze gay, alle “Piazze” (Maidan, Tahrir) a cui si
riducono le rivoluzioni colorate..Premessa: Ciò che importa al potere più di tutto – mi ha spiegato il Comitato a Teheran – “è distruggere il legame tra il reale e la ragione [Tommaso d’Aquino approverebbe: la verità è l’adeguarsi dell’intelletto al reale]. Fare in modo che il ritorno al reale sia indefinitamente differito, sicché il discorso del potere diventa il paradigma del pensiero; discorso pronunciato in quella lingua mediatica, la neo-lingua”.
E come si ottiene questo? Dicevano gli anarchici di Tarnac nel 2008: “La distruzione delle capacità di autonomia dei dominati – è la risposta – passa per l’abolizione delle frontiere del loro essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è possibile opporre un sistema di valori a un altro, un tipo di diritto all’altro, distinguere uomo da donna, madre da padre [distinguere in Niki Vendola lo schiavista, non mamma], cittadino da straniero, insomma vero da falso, giusto dall’ingiusto, normale da anormale …
Risultato: finchè resiste un solo confine, il potere non può ancora chiudere la sua matrice, la costruzione di “uno ‘spazio di vita’ puramente virtuale in cui la massa potrà fare le sue evoluzioni senza mai toccare il reale – a cui il sistema ha dedicato tutte le tecniche del comportamentismo, dello spettacolo, della programmazione neuro-linguistica, delle tecniche pubblicitarie, dell’ingegneria sociale”.
La distinzione primordiale fra uomo e donna, ma anche fra figlio e madre e padre, è potentemente esemplificata nel mito di Edipo, coi suoi sacri tabù (al figlio non lecito andare a letto con mamma), che sono “l’organigramma originario di un gruppo, la sua capacità di costituirsi in organizzazione”.
“Fare la promozione dell’ indistinzione dei ruoli e dei cambiamenti di luogo, far passare le voglie personali avanti al rispetto dell’organigramma del gruppo”, ha lo scopo di “ridurre quel gruppo a individui giustapposti, incapaci di comunicare e di cooperare” – all’essenziale compito politico di rovesciare i Signori del Caos. “Facilitare l’espressione dell’individualismo fallico è parte della strategia della disorganizzazione. A livello comportamentale, si traduce in una cultura dello spontaneo, dell’impulsivo del viscerale, del flessibile e della ricerca del risultato immediato, con la conseguente incapacità di concentrazione, di pianificazione e di elaborazione di strategia di lungo termine.
Bergoglio e Lady Gaga uniti nella lotta
Lo stesso vale anche per le grandi immigrazioni con le ONG che vanno a raccogliere a centinaia di migliaia i profughi che hanno pagato somme che in Africa bastano ad aprire un’attività utile? Ovvio, è la risposta: “Il mondialismo distrugge le frontiere nazionali” come le frontiere mentali, mentre “il consumismo regressivo cancella le frontiere dell’essere individuale”. Naturalmente tutto ciò secondo le esigenze del capitalismo terminale, “dove i ricchi si possono arricchire ancora solo impoverendo i poveri e seminando il caos nel loro modo di vita – E per far meglio accettare il caos e la destabilizzazione alle popolazioni, si è chiamato tutto ciò “progressismo”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi non c’è più differenza tra la Sinistra e le Spice Girls. Cohn-Bendit e Lady Gaga, même combat !”.Grazie a questa suggestione, anch’io povero italiota mi faccio domande: Boldrini e Bello Figo “No pago affitto” uniti nella lotta?
Peggio. Esiste ancora una differenza tra Papa Francesco e le Spice Girls? Entrambi icone pop di successo….
Vi lascio con questa domanda, ma non è che una prima puntata sui metodi di “governare col caos”. E’ che non ho voluto mettere nello stesso articolo informazioni di grande rilievo fornitemi dal Comitato Invisibile– avendo scoperto che i miei lettori (i migliori) spesso non sono capaci di cogliere e ricordare le informazioni che non siano già enunciate nel titolo, o subito sotto; sicché spesso mi segnalano notizie che ho già dato.
Le prossime notizie saranno: la parte di Israele in questo governare col caos, e perché non ci si può aspettare un collasso economico-finanziario-politico tale, che distrugga le elites mondialiste. Si sono preparate, mi ha spiegato il Comitato.
Solo un’ultima riga su tale Comitato Invisibile. Come alcuni lettori hanno intuito, si tratta sostanzialmente di una persona. Di nome Lucien Cerise. Un trentenne lievemente sovrappeso, occhialuto, timido, coltissimo, non abbastanza immodesto da postare un proprio profilo biografico su Wikipedia (dove molti lo cercano). Ha scritto Ritorno a Maidan, sul trucco fondamental-mediatico delle primavere colorate, Neuropirati –quelli dell’ingegneria sociale – la guerra ibrida della NATO, eccetera. Fa il bibliotecario in non so quale angolo della Francia. Apparentemente, la persona più inoffensiva della Terra. Spero che non lo sia.
"Ci sono stati periodi in cui il nostro desiderio di essere schiavi è stato soddisfatto e altri no" ... Il ruolo dell'Italia
SERVA ITALIA
Limes dedica il numero di aprile all’Italia ed il quadro che ne viene fuori è drammatico. Nella nuova fase multipolare il nostro Paese, che per l’andamento oggettivo delle dinamiche geopolitiche resta strategico, è divenuto del tutto marginale sulla scacchiera globale. La rilevanza oggettiva della Penisola è, tuttavia, più chiara ai nostri nemici che ai nostri governanti. Quest’ultimi, nella migliore delle ipotesi, sono ancorati a vecchie concezioni dell’ordine mondiale ormai eclissatesi. Nella peggiore, invece, sono autentici collaborazionisti antinazionali. L’aspetto realmente tragico della tematica riguarda, comunque, la doppia sudditanza, europea e americana, che deprime le nostre possibilità di ricollocazione negli assetti internazionali in via di trasformazione. Non si muove niente a Roma che non sia stato stabilito prima a Washington e poi a Bruxelles. Anche sulle problematiche che ci riguardano più da vicino siamo tenuti all’oscuro e spesso posti di fronte al fatto compiuto. Come per la guerra in Libia. La pesante ingerenza degli stranieri nelle questioni italiane è però imputabile soprattutto alla viltà delle nostre classi dirigenti. Chi da fuori usa il Belpaese per i suoi interessi può contare sulla complicità di chi, da dentro, è pronto a svenderlo per posti a sedere e potere di seconda mano. Scrive il Generale Mini sulla rivista citata all’inizio:
“Il controllo americano sull’Italia è gestito in Italia. Da settant’anni, il nostro paese si presenta nelle organizzazioni internazionali come Onu e Nato, G7, G8 e G20, Osce e Unione Europea con un’agenda già concordata all’ambasciata Usa di Roma. Molte volte non è neppure necessario concordare nulla perché ogni tassello dirigenziale politico, amministrativo e militare è allineato sulle posizioni e sugli interessi americani. Qualunque sia il partito al governo. Agli «americani di Roma», funzionari d’ambasciata, addetti commerciali, culturali, politici, addetti alla public diplomacy (un modo elegante per pilotare la comunicazione italiana), forze speciali sotto copertura, agenti della Cia, della Dia e dell’Fbi sparsi a gruppi di ventine in tutta Italia, si aggiungono gli «americani nostrani». Sono di tutte le specie: politici convinti (il presidente Cossiga si riteneva uno di questi e si definiva «amerikano»), politici voltagabbana, diplomatici, giornalisti, informatori, complottisti, piduisti, pseudo-esperti e intellettuali, militari ed ex militari, massoni e cattolici, vecchi mercenari e neo-contractors che, agendo in qualsiasi ambito nazionale e pontificando da qualsiasi pulpito, alimentano le già numerose lobby pro-americane e sono i più accesi sostenitori delle ragioni oltre che difensori degli errori statunitensi. Gli «americani nostrani» vantano quasi sempre contatti e connessioni dirette e fruttuose con gli italiani d’America che costituiscono una comunità assai numerosa (circa 18 milioni), ma scarsamente coesa e quindi politicamente meno influente di altre componenti sociali minoritarie. Non si può certo fare il confronto tra il peso politico degli americani d’origine italiana e quello politico ed economico della comunità dei sette milioni di ebrei che sostengono Israele anche quando non ne condividono gli atteggiamenti. Ma è bastato un albanese nel Congresso per scatenare la guerra contro la Serbia e un montenegrino per far ammettere il Montenegro nella Nato. Adesso bisognerà vedere quanti di coloro che si dichiarano italo-americani difenderanno il made in Italy nella guerra commerciale aperta da Trump”. Nel nostro paese l’opposizione al servilismo è invece prettamente ideologica. Si limita alla critica per partito preso e non per cognizione di causa. È rimasta agli schemi della guerra fredda e per questo anacronismo si squalifica da sola. Di fatto, contribuisce a rafforzare il già radicato americanismo servile. Da noi si applica appieno l’amara constatazione di un filosofo cinese: «Ci sono stati periodi in cui il nostro desiderio di essere schiavi è stato soddisfatto e altri no». Da noi il «periodo no» deve ancora arrivare. In sostanza, dal 1945 a oggi non abbiamo fatto altro che andare in America per mendicare, implorare, rinnovare il patto di sudditanza e fare il pieno di stupidaggini, dagli slogan elettorali ai gadget pubblicitari. Anche noi abbiamo i nostri twitter-in-chief (soprannome di Trump) che cinguettano, felici di essere al sicuro, in gabbia”.
Un quadro impietoso che non ci lascia grandi speranze per il futuro. Siamo infiltrati nei gangli oscuri dello Stato, quelli che contano per la potenza. Lo abbiamo scritto tante volte su questo sito. Se non ci sbarazzeremo repentinamente e con violenza inaudita delle élite “contoterziste”, che esaudiscono i desiderata degli stranieri a scapito dei desideri di autonomia nazionale, il destino dello Stivale sarà segnato. I tempi sono maturi per imboccare altre strade ma immaturi ed eterodiretti sono i gruppi di comando, politici, economici e culturali che ci costringono a subire il dominio straniero. Dovremmo essere tra i maggiori revisionisti del panorama che si multipolarizza ed, invece, siamo i peggiori conformisti.
Per settant’anni abbiamo obbedito agli Usa ottenendo meno di quanto avremmo dovuto avere. Ancora permettiamo certe narrazioni sugli americani che sono venuti qui a liberarci. Sono venuti a conquistarci e usarci per i loro scopi politici. Altri paesi europei hanno spuntato dalla Casa Bianca benefici più alti dei nostri pagando un prezzo inferiore. Oggi subiamo soltanto razzie e predazioni ma continuiamo a sottostare agli ordini dello Zio Sam e dei suoi maggiordomi europei che scaricano su noialtri il costo della subordinazione continentale. Ci vuole una forza d’urto che spazzi ogni cosa, compreso l’armamentario democratico dietro il quale ci siamo fin qui arroccati per giustificare la codardia nazionale. Gli etnocrati vanno messi al muro e poi a muso duro bisognerà affrontare i loro padroni, gli invasori d’oltreoceano. Ci hanno già tolto tanto per cui abbiamo poco da perdere.
In ricordo di un giornalista vero: Oliviero Beha
E – come in un vero giallo – ci poniamo una seconda domanda: chi ha ucciso per la seconda e poi per la terza volta Ilaria Alpi? Stiamo parlando di due giornalisti che per fare il loro lavoro ci hanno rimesso la pelle, in modi del tutto diversi ma con tanti punti in comune. A cominciare dal più grosso: l’aver lavorato per mamma Rai.
Oliviero per la Rai ne ha combinate davvero di tutti i colori. Programmi unici, speciali, che ti incollavano al video o in audio, per fare solo due esempi Radio Zorro e Beha a colori. Veri programmi di inchiesta quotidiana, dalla parte dei cittadini che si sentono affiancati non a parole ma con i fatti nelle loro battaglie, nelle loro denunce. Un mito. Ma quando i miti diventano travolgenti e l’audience sale per vie naturali, ecco che le cose si fanno pericolose.
QUEL PALLONE MUNDIAL DEGLI SCANDALI
Soprattutto se a dirigere l’orchestra c’è un direttore che non si fa passare o ripassare il copione, che non guarda in faccia nessuno, non fa sconti e tira dritto per la sua strada.
Come fece con il suo pallone bollente dei Mondiali ’80, la storia che mise in crisi le certezze italiche e la Repubblica degli Scalfari e dei Brera gliela fece pagare per lesa maestà. Se ne fregò, andò via da Repubblica e per un attimo fuggente sbarcò in quella napoletana, per partorire la sua creatura pallonara da tutti rifiutata e edita solo dal coraggioso Tullio Pironti. Un’impresa memorabile, un libro stampato e pronto, ri-copertinato e uscito in perfetta clandestinità, oscurato da tutti i media nazionali.
Ed è qui che nasce il mito Beha: il più contro dei giornalisti italiani, e per questo amato dai lettori, spesso e volentieri odiato dai colleghi, rosi dall’invidia e sovente avvolti nelle loro masturbazioni paragiornalistiche e/o paraintellettuali.
E detestato dai vertici Rai che, ovviamente, da perfetti maggiordomi per lorsignori, da scendiletto per le camminate diurne e notturne dei loro padroni non possono sopportare un Beha che contesta e fa di testa sua. Scrive oggi Giampiero Galeazzi: “Oliviero, un giornalista al servizio della verità… boicottato dai mediocri che lo odiavano e lo criticavano… in Rai ha trovato tanti colleghi che non lo hanno capito come accadde con Beppe Viola”.
Marco Travaglio, nel suo ricordo su il Fatto, rammenta gli scontri con il direttore generale Rai dell’epoca Flavio Cattaneo e soprattutto con il direttore di Rai Sport Fabrizio Maffei. C’è invece chi ricorda che la sua testa venne chiesta dalla ‘progressista’ Bianca Berlinguer. Carta Bianca anche per quello?
Fatto sta che Oliviero viene prima emarginato e poi cacciato da viale Mazzini. Una epurazione in perfetto stile brezneviano o berlusconiano. Anche se per mano, forse, sinistra.
A questo punto sarebbe il caso di mettere un punto alla questione e capire una volta per tutte: chi ha firmato il provvedimento che escludeva Beha dai ranghi Rai? Quali le motivazioni ufficiali? Chi è stato, o chi sono stati, se più d’uno, i mandanti? Si tratta di nomi, cognomi con tanto di indirizzi e recapiti, non di illazioni o congetture.
Che i nomi escano. E che quei signori – tutti – abbiamo almeno il coraggio di alzarsi una mattina e guardarsi allo specchio: per verificare l’effetto che fa.
E qui comincia il Calvario di Oliviero. Dai la tua vita, sgobbi, immagini uno due tre dieci programmi, vanno da Dio, la gente ti segue e vieni mandato affanculo.
Ma Beha non ci sta. Con il suo solito piglio toscano non si dà per vinto, sa di avere tonnellate di ragione dalla sua, fa causa alla Rai. Vuole tornare, vuole che la giustizia lo rientegri nel suo posto di lavoro perchè è sacrosanto sia così. Perchè ha tutte le ragioni del mondo da vendere. Ha fiducia nella giustizia che invece – incredibile ma vero – gli sbatte la porta in faccia.
Cornuto e mazziato, non solo non vengono riconosciuti i suoi diritti che anche un cieco sarebbe capace di vedere, non viene colta quella verità che chiunque al buio sarebbe capace di individuare, ma al danno si uniscono anche le beffe: condannato anche alle spese legali. La bellezza di ventimila euro e passa, secondo gli esperti del diritto una cifra del tutto fuori dal mondo.
Ed è così che Oliviero, l’anno scorso, si vede recapitare la sentenza ben infiocchettata, con tanto di ingiunzione al pagamento. Lui fa appello ma si sa, i tempi della giustizia sono rapidissimi quando si tratta di toglierti i diritti, lentissimi quando si tratta – nel miracoloso caso – di restituirteli.
Ed è così che, a questo punto, scatta la tagliola. E arriva l’esattore, come un perfetto mafioso in guanti bianchi o gialli se preferite, per scroccarti mille euro al mese, 22 o 24 comode rate fino al raggiungimento del totale.
Come pensate che possa sentirsi un cristiano, già massacrato, torturato e inchiodato, poi costretto anche a pagare i suoi carnefici?
FUORI I NOMI, DAI MAGISTRATI ALLA RAI
A questo punto vogliamo altri nomi, per completare il mosaico. I nomi dei magistrati che hanno firmato la sentenza che dà torto a Oliviero e lo costringe a pagare il pizzo alla Rai, mille euro al mese. Fuori i nomi. E anche quelli, tanto per gradire, dei legali che hanno eseguito gli ordini di scuderia Rai, e hanno emesso la pingue fattura.
Dice, la depressione. Non lavori più e sei depresso. Destino cinico e baro. No, stavolta non è così: c’è un preciso percorso che chiamare stalking è un perfetto eufemismo, come dire di un mafioso che sta sgozzando la sua vittima che le sta facendo un prelievo di sangue.
Ho sentito, nel corso degli ultimi mesi, molte volte per telefono Oliviero. Il suo cruccio era quello: la storia Rai. Il sentirsi calpestato come giornalista e come uomo. Messo da parte come un appestato, lui che lottava per i diritti, a fianco dei cittadini, dei suoi lettori.
E il sentirsi preso in giro da quella giustizia nella quale ancora continuava a credere l’ha devastato. Lo sentivi nelle sue parole, il dolore allo stato puro. E intuivi, soprattutto a fine anno, inizio 2017, che le forze gli stavano venendo meno. Come se non il tumore che ti mangia in un anno o più ma un altro male, ancor più subdolo, ti stesse rodendo giorno per giorno: con pervicacia, pezzo pezzo, morso morso.
L’ho sentito a gennaio, era in treno per Milano, andava ad una puntata della Gabbia: la voce fioca, ‘non mi sento granchè’ e poi lo vedo su la 7, pallido, gli occhi un po’ annebbiati ma in cui leggi una sofferenza.
L’ho sentito tre giorni prima di quel maledetto sabato. ‘Ieri ho avuto un collasso, mi sento molto debole. Appena mi riprendo un po’ ti chiamo’. Le sue ultime parole, quelle di un guerriero stanco, al termine della salita, come il suo Bartali, sulla cui vicenda umana – il toscanaccio aveva salvato centinaia e centinaia di ebrei durante la guerra – ci aveva scritto due anni fa un romanzo stupendo. Come stupendo è l’ultimo ‘Mio nipote nella giungla‘, dedicato al figlio della sua Germana, che negli ultimi giorni ne raccoglieva e metteva su carta i pensieri. Affidati alle rubriche sul Fatto (“Il Badante” e “Maledetta Domenica”) e soprattutto al suo blog, vera miniera di rarità giornalistiche e ancor più un parlare continuo con i suoi lettori. Erano infatti centinaia al giorno i commenti che inondavano il suo blog, li senti ancora parlare, scrivere, notare, commentare, proprio quel filo rosso continuo che Oliviero in modo magico sapeva tessere con Radio Zorro o via Beha a Colori.
Tra i primi numeri della Voce, metà ’85, pubblicammo una sua intervista a proposito del primo calcio scommesse, partorito a Napoli. Un numero monografico in cui spiccavano le parole di Oliviero, al solito di una chiarezza che sconcertava, nella pesantezza dei suoi j’accuse e nella efficacia della ricostruzione giornalistica. Un vero maestro. E per questo la Voce, una Voce contro, come è stato fin da quegli anni, ha cercato di modellarsi al suo tipo di giornalismo di inchiesta, forte, documentato, limpido. Fregandocene – come aveva fatto lui – di toccare palazzi e santuari, e soprattutto gli interessi forti dei loro inquilini. Per questo lo scorso dicembre, in una nostra auto-inchiesta, ci siamo definiti “Voce a Colori”, proprio per ricordare quel giornalismo che lui, unico, era capace di mettere nero su bianco. Con il suo stile inconfondibile, la passione civile che trasudava da ogni parola.