Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

PER CONTATTI: claudio@gc-colibri.com

Se preferite comunicare telefonicamente potete inviare un sms al 3485243182 lasciando il proprio recapito telefonico (fisso o mobile) per essere richiamati. Non rispondo al cellulare ai numeri sconosciuti per evitare le proposte commerciali sempre più assillanti

Questo blog ha adottato Creative Commons

Licenza Creative Commons
Blog personale by Claudio Martinotti Doria is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
Based on a work at www.cavalieredimonferrato.it.
Permissions beyond the scope of this license may be available at www.cavalieredimonferrato.it.


Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Video imperdibile che spiega la situazione geopolitica USA-EUROPA-RUSSIA




George Friedman, consigliere politico del Dipartimento di Stato, fondatore del think tank Stratfor interviene al Chicago Council on Global Affairs.

Risultati immagini per friedman chicago council on global affairs

Friedman, forse disinibito da un tasso alcolico non propriamente nella norma, ha fatto dichiarazioni sorprendenti rispetto all’ambiguità e disinformazione che sempre caratterizza il Dipartimento di Stato USA, soprattutto nella politica estera. Sorvolando su alcune deficienze ed approssimazioni storiche, che nella subcultura americana sono proverbiali (basta vedere i loro presunti film storici), il resto delle sue affermazioni sono straordinariamente pertinenti alla realtà geopolitica del nostro continente, e conferma quanto da me denunciato in parecchi articoli precedenti e da diversi anni, sulla pericolosità costituita dall’Ucraina per la pace in Europa, dopo il golpe nazista di tre anni fa. Friedman è esplicito come più non potrebbe e rivela con apparente ingenuità e finanche gioiosità quali sono i giochi di potere, tattiche, strategie ed approcci politico militari, che gli USA praticano abitualmente in Europa e non solo, soprattutto conferma che il vero pericolo per gli USA è l’asse Berlino-Mosca, cioè i forti interessi che legano la Germania alla Russia e le enormi potenzialità reciproche simbiotiche, pertanto gli USA hanno tutto l’interesse a separare o addirittura porre in conflitto tra loro queste due potenze. Dobbiamo essere grati a Pandora TV per questo video che altrimenti non avremmo mai potuto visionare.
Claudio Martinotti Doria

La strategia del caos per dominare le masse



Le élite dominanti hanno adottato la strategia del caos per controllare le masse e conservare il potere accentrandolo in una sorta di governo mondiale. Ma da dove proviene questa intuizione interpretativa ormai diffusa a livello di social network e blogger, che fino a qualche anno fa non vi era traccia alcuna? Da un breve saggio “Gouverner Par le Chaos” (Governare attraverso il caos) scritto a più mani da un collettivo di giovani di Tarnac in Francia nel 2008, cui fa cenno Maurizio Blondet, l’autore del sottostante articolo, che fa anche sorprendenti rivelazioni sul leader del gruppo.
Il caos è frutto della paura provocata ad arte, perpetuata e diffusa come modus vivendi permanente che fornisce l’alibi alle élite per controllare ogni comunicazione ed azione, limitare le libertà personali in cambio di falsa sicurezza, per asservire le masse fornendo loro false priorità e riducendone la reattività, per creare dipendenza come coi drogati, ecc.. Alla paura si deve aggiungere la confusione, ad ogni livello, demografico, etnografico, sessuale, politico, economico, mediatico, ecc., favorendo ad esempio l’immigrazione incontrollata, la promiscuità ed ambiguità sessuale e di genere, la perdita dei valori tradizionali, l’annichilimento della famiglia, l’alterazione della percezione della realtà, la riduzione dell’autonomia e capacità di ragionamento e di critica, di concentrazione e memorizzazione, la legittimazione dell’individualismo e dell’egotismo, ecc., cioè l’implementazione quasi ingegneristica di tutti quei processi piscologici e sociali che inducano alla dipendenza di massa dalle “istruzioni ed interpretazioni” calate dall’alto, cioè l’adesione incondizionata alla propaganda mediatica ed ai modelli di riferimento del consumismo compulsivo.
Uno degli ideologhi europei di questa strategia è il finanziere Attali mentore del nuovo giovane presidente francese Macron. Lo scopo della strategia del caos è governare con minori difficoltà, essendo l’altro mezzo ampiamente utilizzato in precedenza, molto più oneroso ed impegnativo, cioè il ricorso ad un welfare sempre più prodigo di concessioni, redistribuzione più equa della ricchezza prodotta, riduzione della povertà, ecc., cioè gestire le numerose e complesse istanze sociali con metodi almeno apparentemente democratici ed equi, molto più comodo creare le condizioni per giustificare una specie di legge marziale permanente, favorire l’apparato militare e lo stato di polizia e relegare le persone in casa davanti alla tv in attesa di essere informata sui prossimi attentati commessi o sventati o sui modelli di riferimento cui doversi adeguare. Il popolo, probabilmente a causa della tecnologia (che svolge un ruolo ambivalente, da un lato inebetisce la maggioranza dei suoi fruitori ma per una minoranza qualificata consente al contrario di evolversi,) stava discostandosi troppo dai parametri di riferimento e dai condizionamenti impartiti, occorreva riportarlo nei giusti ambiti di ammaestramento di massa.
Claudio Martinotti Doria


IL CAOS? E’ IL METODO DI GOVERNO DEL GLOBALISMO.

A Teheran, fra i partecipanti alla conferenza  internazionale New Horizon, ho potuto conosce finalmente il Comitato Invisibile di Tarnac, autore  collettivo, nel 2008,  del breve, ma epocale saggio “Gouverner Par le Chaos”.  Governare attraverso il caos.
Rievoco in breve la storia, ovviamente ignota ai lettori. Nel novembre 2008,  la polizia francese arrestò in modo estremamente vistoso, brutale e  mediatico una decina di giovani abitanti a Tarnac, un  paesino del Corrèze, con l’accusa di progettare atti terroristici e di averne già messi in atto altri,  come danneggiamenti  alle linee ad alta velocità (TGV). In inchieste durate anni, s’è scoperto che: terroristi anarchici di Tarnac erano controllati giorno e notte (è il caso di dirlo)   da un poliziotto britannico che si era infiltrato,  e aveva messo incinte alcune signorine del gruppo terroristico; che i servizi francesi  ne sapevano ogni mossa; che i danneggiamenti al  TGV erano stati perpetrati da ecologisti tedeschi. Alla  fin fine, si intuisce cha la sola cosa per cui il potere ha considerato pericoloso e da smantellare il gruppo di Tarnac, la vera bomba da esso confezionata, era proprio il libretto – una novantina di pagine – concepito nel loro ambiente:

Gouverner par le  Chaos – Ingénierie Sociale et Mondialisation.
https://www.amazon.fr/GOUVERNER-PAR-CHAOS-Collectif/dp/235341074X#reader_B007V5AQ4W

Eccone le tesi principali:
Le classi  dirigenti hanno adottato il caos come metodo di governo più efficace per mantenersi al potere.  Quel caos che fingono di combattere, è la loro strategia privilegiata di controllo. Jacques Attali, il futurologo ebreo  che ha creato artificialmente Macron, lo ha detto perfino chiaro nei suoi scritti e nelle conferenze. I dirigenti d’oggi non perseguono che due scopi; il primo,  realizzare un governo mondiale; l’altro, proteggere il governo mondiale da  ogni rovesciamento e nemico, attraverso un sistema di sorveglianza  generalizzato fondato sulla tracciabilità totale delle persone e delle cose.

Come   si diventa padroni del mondo? “Centralizzando l’ordine e il potere attorno a una minoranza e spargendoo il caos nel popolo,  ridotto al livello di burattini nel panico”.
Molto più comodo che farsi obbedire dal popolo migliorandone le condizioni, risolverne i problemi   sociali (dalla disoccupazione al disordine pubblico, dalle disparità crescenti ed inique alla droga). Le elites, governando col caos, non si assumono più alcuna responsabilità  verso i cittadini delle crisi che provoca il capitalismo terminale. Anzi il  caos finanziario permette di giustificare la concentrazione del potere delle grandi banche d’affari; l’11 Settembre giustifica il  potere insindacabile dello Stato Profondo;  la strage al Bataclàn, il mantenimento delle leggi speciali che Hollande aveva varato  per la strage di Charlie Hebdo (aveva già sul tavolo il decreto da firmare).

“Abolire tutte le frontiere”, anche interiori, è la loro tecnica

Attenzione: sono cose che sapete, adesso  nel 2017, e solo da lettori avvertiti. Le masse non ne sono affatto consapevoli. Ma il Comitato Invisibile ne  ha scritto nel 2008 – quando ancora il caos concentrico (finanziario, bellico, terroristico eccetera) non era ancora dispiegato pienamente. E  nel testo  si trovano   profetizzati precisi caratteri  del caos ingegnerizzato che, nel 2008, erano ancora  invisibili: la “lotta alle discriminazioni” non aveva ancora all’insegnamento alle elementari della teorie del genere, ai diritti  omosessuali, le nozze gay, alle “Piazze” (Maidan, Tahrir) a cui si riducono le  rivoluzioni colorate..
Premessa:  Ciò che importa al potere più di tutto – mi ha spiegato il Comitato a Teheran  – “è distruggere il legame tra  il reale e la ragione [Tommaso d’Aquino approverebbe: la verità è l’adeguarsi dell’intelletto al reale]. Fare in modo che il ritorno al reale sia indefinitamente differito, sicché il discorso del potere diventa  il paradigma del pensiero; discorso pronunciato in quella lingua mediatica, la neo-lingua”.
E come si ottiene questo?  Dicevano gli anarchici di Tarnac nel 2008:  “La distruzione delle capacità di autonomia dei dominati – è la risposta – passa per l’abolizione delle frontiere del loro  essere: individuale e collettivo. Finché esistono frontiere, è possibile opporre  un sistema di valori  a un altro, un tipo di diritto all’altro,   distinguere uomo da donna, madre da padre  [distinguere in Niki Vendola lo schiavista, non mamma], cittadino da straniero, insomma  vero da falso,  giusto dall’ingiusto, normale da anormale …
Risultato: finchè resiste un   solo confine,   il potere non può ancora chiudere la sua matrice, la  costruzione di “uno ‘spazio di vita’  puramente virtuale in cui la massa potrà fare le sue evoluzioni senza mai toccare  il reale – a cui il sistema ha dedicato tutte le tecniche del comportamentismo, dello spettacolo,   della programmazione neuro-linguistica, delle tecniche pubblicitarie, dell’ingegneria sociale”.
La distinzione primordiale fra uomo e donna, ma anche fra figlio e madre e padre, è potentemente esemplificata  nel mito di Edipo, coi suoi sacri tabù (al figlio non lecito andare a letto con mamma), che sono “l’organigramma originario  di un gruppo, la sua capacità di costituirsi in organizzazione”.
“Fare la promozione dell’ indistinzione dei ruoli e dei cambiamenti di luogo, far passare  le voglie personali avanti  al rispetto dell’organigramma del gruppo”, ha lo scopo di  “ridurre   quel gruppo a individui giustapposti, incapaci di comunicare e di cooperare” – all’essenziale compito politico di rovesciare i Signori del Caos.  “Facilitare l’espressione dell’individualismo fallico  è parte della strategia della disorganizzazione. A livello comportamentale, si traduce in  una cultura dello spontaneo, dell’impulsivo del viscerale, del flessibile e della ricerca del risultato immediato, con la conseguente incapacità di concentrazione, di pianificazione e di elaborazione di strategia di lungo termine.

Bergoglio e Lady Gaga uniti nella lotta

Lo stesso vale anche per le  grandi immigrazioni con le ONG che vanno a raccogliere a centinaia di migliaia i profughi che hanno pagato somme  che in Africa bastano ad aprire un’attività  utile? Ovvio, è la risposta: “Il mondialismo distrugge le frontiere nazionali” come le frontiere mentali,  mentre  “il consumismo regressivo cancella le frontiere dell’essere individuale”.  Naturalmente tutto ciò secondo le esigenze  del capitalismo terminale, “dove i ricchi si possono arricchire ancora solo impoverendo  i poveri e seminando il caos nel loro modo di vita  – E  per far meglio accettare il caos e la destabilizzazione   alle popolazioni, si è chiamato tutto ciò “progressismo”.  Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi non c’è più differenza tra la Sinistra e le Spice Girls. Cohn-Bendit e Lady Gaga, même combat !”.
Grazie a questa suggestione, anch’io povero italiota mi faccio domande: Boldrini e Bello Figo “No pago affitto”  uniti nella lotta?
Peggio. Esiste ancora una differenza tra  Papa Francesco  e le Spice  Girls? Entrambi icone pop di successo….
Vi lascio con questa domanda, ma non è   che una prima puntata sui metodi di “governare col caos”. E’ che non ho voluto  mettere nello stesso articolo informazioni di grande rilievo fornitemi dal Comitato Invisibile– avendo scoperto che i miei lettori (i migliori) spesso non sono capaci di cogliere e ricordare le informazioni che non siano   già enunciate  nel titolo,  o subito sotto; sicché spesso mi segnalano notizie che ho già dato.
Dick Cheney: “Ecco, adesso siete perfettamente al sicuro  dagli attentati del terrorismo”.
Le prossime notizie saranno: la parte di Israele in questo governare col caos, e perché non ci si può aspettare un collasso economico-finanziario-politico tale, che  distrugga le elites  mondialiste.  Si  sono preparate, mi ha spiegato il Comitato.
Solo un’ultima  riga su tale Comitato Invisibile. Come alcuni lettori hanno intuito, si  tratta sostanzialmente  di una persona. Di nome Lucien Cerise. Un  trentenne lievemente sovrappeso, occhialuto, timido,  coltissimo,  non abbastanza immodesto da postare un proprio profilo biografico su Wikipedia  (dove molti lo cercano).  Ha scritto Ritorno a Maidan, sul trucco fondamental-mediatico delle primavere colorate, Neuropirati –quelli dell’ingegneria socialela guerra ibrida della NATO, eccetera. Fa il bibliotecario in non so quale angolo della Francia. Apparentemente, la persona più inoffensiva della Terra. Spero che non lo sia.


"Ci sono stati periodi in cui il nostro desiderio di essere schiavi è stato soddisfatto e altri no" ... Il ruolo dell'Italia



A parte l’asprezza dell’autore che denota una certa esasperazione e propensione per la reazione violenta, il contenuto dell’articolo è realistico e corrisponde esattamente alla situazione in cui versa l’Italia dal dopo guerra ad oggi, analisi simili a quelle da me riportate in numerosi miei contributi precedenti e dal quale emerge soprattutto il servilismo italico di basso profilo di coloro che si prostituiscono per avere in cambio briciole di potere e di ricchezza e di falsa considerazione politica, al prezzo della svendita della sovranità nazionale, delle ricchezze possedute, ma soprattutto (ed in proposito l’autore si scorda di riferirlo) della neutralità politico militare, la cui violazione a favore delle potenze occidentali (USA E UK) sottopone il nostro paese a rischi enormi di ritorsioni nel caso dovesse deflagrare un conflitto bellico, per la presenza di basi militari USA e NATO dotate di bombe nucleari e strutture radar e di comunicazione e di comando, per cui i potenziali bersagli sul suolo italiano sarebbero decine e la popolazione corre rischi notevoli senza esserne pienamente consapevole. Perché il problema primario degli USA è che le guerre le fanno combattere agli altri ed in casa d’altri, al massimo rischiano la vita delle poche migliaia di soldati insediati nelle basi sparse per il mondo, che sono perlopiù immigrati cui  stata promessa la cittadinanza alla fine del periodo di arruolamento quando verranno congedati (se saranno ancora in vita), oppure disoccupati che non hanno trovato di meglio (a differenza di come vengono mostrati in molti film di propaganda hollywoodiana, che li descrivono cazzuti e patriottici, senza però specificare che sono solo le forze speciali ad avere quei requisiti). Attualmente occorre riconoscere che la propaganda ha raggiunto vette inimmaginabili di parossismo, sfiorando il patetico ed il ridicolo, oltrepassando il senso della misura, se non fosse che una cospicua parte della popolazione, certamente la maggioranza, è ormai talmente imbevuta di tali menzogne che non è in grado di discernere minimamente, essendo la facoltà di pensiero divenuta un optional, e si pone passivamente in attesa degli eventi, confidando in una ingenua speranza che le cose si risolvano per il meglio, per gentile concessione paternalistica dei detentori del potere. 
Claudio Martinotti Doria


SERVA ITALIA

italia_a_pezzi

Limes dedica il numero di aprile all’Italia ed il quadro che ne viene fuori è drammatico. Nella nuova fase multipolare il nostro Paese, che per l’andamento oggettivo delle dinamiche geopolitiche resta strategico, è divenuto del tutto marginale sulla scacchiera globale. La rilevanza oggettiva della Penisola è, tuttavia, più chiara ai nostri nemici che ai nostri governanti. Quest’ultimi, nella migliore delle ipotesi, sono ancorati a vecchie concezioni dell’ordine mondiale ormai eclissatesi. Nella peggiore, invece, sono autentici collaborazionisti antinazionali. L’aspetto realmente tragico della tematica riguarda, comunque, la doppia sudditanza, europea e americana, che deprime le nostre possibilità di ricollocazione negli assetti internazionali in via di trasformazione. Non si muove niente a Roma che non sia stato stabilito prima a Washington e poi a Bruxelles. Anche sulle problematiche che ci riguardano più da vicino siamo tenuti all’oscuro e spesso posti di fronte al fatto compiuto. Come per la guerra in Libia. La pesante ingerenza degli stranieri nelle questioni italiane è però imputabile soprattutto alla viltà delle nostre classi dirigenti. Chi da fuori usa il Belpaese per i suoi interessi può contare sulla complicità di chi, da dentro, è pronto a svenderlo per posti a sedere e potere di seconda mano. Scrive il Generale Mini sulla rivista citata all’inizio:
“Il controllo americano sull’Italia è gestito in Italia. Da settant’anni, il nostro paese si presenta nelle organizzazioni internazionali come Onu e Nato, G7, G8 e G20, Osce e Unione Europea con un’agenda già concordata all’ambasciata Usa di Roma. Molte volte non è neppure necessario concordare nulla perché ogni tassello dirigenziale politico, amministrativo e militare è allineato sulle posizioni e sugli interessi americani. Qualunque sia il partito al governo. Agli «americani di Roma», funzionari d’ambasciata, addetti commerciali, culturali, politici, addetti alla public diplomacy (un modo elegante per pilotare la comunicazione italiana), forze speciali sotto copertura, agenti della Cia, della Dia e dell’Fbi sparsi a gruppi di ventine in tutta Italia, si aggiungono gli «americani nostrani». Sono di tutte le specie: politici convinti (il presidente Cossiga si riteneva uno di questi e si definiva «amerikano»), politici voltagabbana, diplomatici, giornalisti, informatori, complottisti, piduisti, pseudo-esperti e intellettuali, militari ed ex militari, massoni e cattolici, vecchi mercenari e neo-contractors che, agendo in qualsiasi ambito nazionale e pontificando da qualsiasi pulpito, alimentano le già numerose lobby pro-americane e sono i più accesi sostenitori delle ragioni oltre che difensori degli errori statunitensi. Gli «americani nostrani» vantano quasi sempre contatti e connessioni dirette e fruttuose con gli italiani d’America che costituiscono una comunità assai numerosa (circa 18 milioni), ma scarsamente coesa e quindi politicamente meno influente di altre componenti sociali minoritarie. Non si può certo fare il confronto tra il peso politico degli americani d’origine italiana e quello politico ed economico della comunità dei sette milioni di ebrei che sostengono Israele anche quando non ne condividono gli atteggiamenti. Ma è bastato un albanese nel Congresso per scatenare la guerra contro la Serbia e un montenegrino per far ammettere il Montenegro nella Nato. Adesso bisognerà vedere quanti di coloro che si dichiarano italo-americani difenderanno il made in Italy nella guerra commerciale aperta da Trump”. Nel nostro paese l’opposizione al servilismo è invece prettamente ideologica. Si limita alla critica per partito preso e non per cognizione di causa. È rimasta agli  schemi della guerra fredda e per questo anacronismo si squalifica da sola. Di fatto, contribuisce a rafforzare il già radicato americanismo servile. Da noi si applica appieno l’amara constatazione di un filosofo cinese: «Ci sono stati periodi in cui il nostro desiderio di essere schiavi è stato soddisfatto e altri no». Da noi il «periodo no» deve ancora arrivare. In sostanza, dal 1945 a oggi non abbiamo fatto altro che andare in America per mendicare, implorare, rinnovare il patto di sudditanza e fare il pieno di stupidaggini, dagli slogan elettorali ai gadget pubblicitari. Anche noi abbiamo i nostri twitter-in-chief (soprannome di Trump) che cinguettano, felici di essere al sicuro, in gabbia”.
Un quadro impietoso che non ci lascia grandi speranze per il futuro. Siamo infiltrati nei gangli oscuri dello Stato, quelli che contano per la potenza. Lo abbiamo scritto tante volte su questo sito. Se non ci sbarazzeremo repentinamente e con violenza inaudita delle élite “contoterziste”, che esaudiscono i desiderata degli stranieri a scapito dei desideri di autonomia nazionale, il destino dello Stivale sarà segnato. I tempi sono maturi per imboccare altre strade ma immaturi ed eterodiretti sono i gruppi di comando, politici, economici e culturali che ci costringono a subire il dominio straniero. Dovremmo essere tra i maggiori revisionisti del panorama che si multipolarizza ed, invece, siamo i peggiori conformisti.
Per settant’anni abbiamo obbedito agli Usa ottenendo meno di quanto avremmo dovuto avere. Ancora permettiamo certe narrazioni sugli americani che sono venuti qui a liberarci. Sono venuti a conquistarci e usarci per i loro scopi politici. Altri paesi europei hanno spuntato dalla Casa Bianca benefici più alti dei nostri pagando un prezzo inferiore. Oggi subiamo soltanto razzie e predazioni ma continuiamo a sottostare agli ordini dello Zio Sam e dei suoi maggiordomi europei che scaricano su noialtri il costo della subordinazione continentale. Ci vuole una forza d’urto che spazzi ogni cosa, compreso l’armamentario democratico dietro il quale ci siamo fin qui arroccati per giustificare la codardia nazionale. Gli etnocrati vanno messi al muro e poi a muso duro bisognerà affrontare i loro padroni, gli invasori d’oltreoceano. Ci hanno già tolto tanto per cui abbiamo poco da perdere.

In ricordo di un giornalista vero: Oliviero Beha



Oliviero Beha, uno dei pochi giornalisti d’inchiesta italiani degno di questo nome, è morto il 13 maggio 2017 a 68 anni per un tumore al pancreas, dopo aver subito persecuzioni e vero e proprio bossing (che è una forma di mobbing istituzionale) che lo hanno debilitato a livello psicologico rendendolo depresso e vulnerabile. L’ennesimo segno dei tempi e del grave degrado morale ed istituzionale di questo paese, che penalizza i meritevoli e premia i parassiti. 
Claudio Martinotti Doria

Risultati immagini per oliviero beha


14 maggio 2017 autore: Andrea Cinquegrani 
 
 
 
Chi ha ‘ucciso’ Oliviero Beha? Cosa ha stroncato il suo cuore? Alla commemorazione del giornalista più vero e coraggioso, preferiamo il sapore di un’inchiesta, di quelle che a lui piacevano.
E – come in un vero giallo – ci poniamo una seconda domanda: chi ha ucciso per la seconda e poi per la terza volta Ilaria Alpi? Stiamo parlando di due giornalisti che per fare il loro lavoro ci hanno rimesso la pelle, in modi del tutto diversi ma con tanti punti in comune. A cominciare dal più grosso: l’aver lavorato per mamma Rai.
Oliviero per la Rai ne ha combinate davvero di tutti i colori. Programmi unici, speciali, che ti incollavano al video o in audio, per fare solo due esempi Radio Zorro e Beha a colori. Veri programmi di inchiesta quotidiana, dalla parte dei cittadini che si sentono affiancati non a parole ma con i fatti nelle loro battaglie, nelle loro denunce. Un mito. Ma quando i miti diventano travolgenti e l’audience sale per vie naturali, ecco che le cose si fanno pericolose.

QUEL PALLONE MUNDIAL DEGLI SCANDALI
Soprattutto se a dirigere l’orchestra c’è un direttore che non si fa passare o ripassare il copione, che non guarda in faccia nessuno, non fa sconti e tira dritto per la sua strada.
Come fece con il suo pallone bollente dei Mondiali ’80, la storia che mise in crisi le certezze italiche e la Repubblica degli Scalfari e dei Brera gliela fece pagare per lesa maestà. Se ne fregò, andò via da Repubblica e per un attimo fuggente sbarcò in quella napoletana, per partorire la sua creatura pallonara da tutti rifiutata e edita solo dal coraggioso Tullio Pironti. Un’impresa memorabile, un libro stampato e pronto, ri-copertinato e uscito in perfetta clandestinità, oscurato da tutti i media nazionali.
Ed è qui che nasce il mito Beha: il più contro dei giornalisti italiani, e per questo amato dai lettori, spesso e volentieri odiato dai colleghi, rosi dall’invidia e sovente avvolti nelle loro masturbazioni paragiornalistiche e/o paraintellettuali.

Bianca Berlinguer
Bianca Berlinguer

E detestato dai vertici Rai che, ovviamente, da perfetti maggiordomi per lorsignori, da scendiletto per le camminate diurne e notturne dei loro padroni non possono sopportare un Beha che contesta e fa di testa sua. Scrive oggi Giampiero Galeazzi: “Oliviero, un giornalista al servizio della verità… boicottato dai mediocri che lo odiavano e lo criticavano… in Rai ha trovato tanti colleghi che non lo hanno capito come accadde con Beppe Viola”.
Marco Travaglio, nel suo ricordo su il Fatto, rammenta gli scontri con il direttore generale Rai dell’epoca Flavio Cattaneo e soprattutto con il direttore di Rai Sport Fabrizio Maffei. C’è invece chi ricorda che la sua testa venne chiesta dalla ‘progressista’ Bianca Berlinguer. Carta Bianca anche per quello?
Fatto sta che Oliviero viene prima emarginato e poi cacciato da viale Mazzini. Una epurazione in perfetto stile brezneviano o berlusconiano. Anche se per mano, forse, sinistra.
A questo punto sarebbe il caso di mettere un punto alla questione e capire una volta per tutte: chi ha firmato il provvedimento che escludeva Beha dai ranghi Rai? Quali le motivazioni ufficiali? Chi è stato, o chi sono stati, se più d’uno, i mandanti? Si tratta di nomi, cognomi con tanto di indirizzi e recapiti, non di illazioni o congetture.
Che i nomi escano. E che quei signori – tutti – abbiamo almeno il coraggio di alzarsi una mattina e guardarsi allo specchio: per verificare l’effetto che fa.
E qui comincia il Calvario di Oliviero. Dai la tua vita, sgobbi, immagini uno due tre dieci programmi, vanno da Dio, la gente ti segue e vieni mandato affanculo.

Marco Travaglio
Marco Travaglio

Ma Beha non ci sta. Con il suo solito piglio toscano non si dà per vinto, sa di avere tonnellate di ragione dalla sua, fa causa alla Rai. Vuole tornare, vuole che la giustizia lo rientegri nel suo posto di lavoro perchè è sacrosanto sia così. Perchè ha tutte le ragioni del mondo da vendere. Ha fiducia nella giustizia che invece – incredibile ma vero – gli sbatte la porta in faccia.
Cornuto e mazziato, non solo non vengono riconosciuti i suoi diritti che anche un cieco sarebbe capace di vedere, non viene colta quella verità che chiunque al buio sarebbe capace di individuare, ma al danno si uniscono anche le beffe: condannato anche alle spese legali. La bellezza di ventimila euro e passa, secondo gli esperti del diritto una cifra del tutto fuori dal mondo.
Ed è così che Oliviero, l’anno scorso, si vede recapitare la sentenza ben infiocchettata, con tanto di ingiunzione al pagamento. Lui fa appello ma si sa, i tempi della giustizia sono rapidissimi quando si tratta di toglierti i diritti, lentissimi quando si tratta – nel miracoloso caso – di restituirteli.
Ed è così che, a questo punto, scatta la tagliola. E arriva l’esattore, come un perfetto mafioso in guanti bianchi o gialli se preferite, per scroccarti mille euro al mese, 22 o 24 comode rate fino al raggiungimento del totale.
Come pensate che possa sentirsi un cristiano, già massacrato, torturato e inchiodato, poi costretto anche a pagare i suoi carnefici?

FUORI I NOMI, DAI MAGISTRATI ALLA RAI
A questo punto vogliamo altri nomi, per completare il mosaico. I nomi dei magistrati che hanno firmato la sentenza che dà torto a Oliviero e lo costringe a pagare il pizzo alla Rai, mille euro al mese. Fuori i nomi. E anche quelli, tanto per gradire, dei legali che hanno eseguito gli ordini di scuderia Rai, e hanno emesso la pingue fattura.
Dice, la depressione. Non lavori più e sei depresso. Destino cinico e baro. No, stavolta non è così: c’è un preciso percorso che chiamare stalking è un perfetto eufemismo, come dire di un mafioso che sta sgozzando la sua vittima che le sta facendo un prelievo di sangue.
Ho sentito, nel corso degli ultimi mesi, molte volte per telefono Oliviero. Il suo cruccio era quello: la storia Rai. Il sentirsi calpestato come giornalista e come uomo. Messo da parte come un appestato, lui che lottava per i diritti, a fianco dei cittadini, dei suoi lettori.

Oliviero Beha
Oliviero Beha

E il sentirsi preso in giro da quella giustizia nella quale ancora continuava a credere l’ha devastato. Lo sentivi nelle sue parole, il dolore allo stato puro. E intuivi, soprattutto a fine anno, inizio 2017, che le forze gli stavano venendo meno. Come se non il tumore che ti mangia in un anno o più ma un altro male, ancor più subdolo, ti stesse rodendo giorno per giorno: con pervicacia, pezzo pezzo, morso morso.
L’ho sentito a gennaio, era in treno per Milano, andava ad una puntata della Gabbia: la voce fioca, ‘non mi sento granchè’ e poi lo vedo su la 7, pallido, gli occhi un po’ annebbiati ma in cui leggi una sofferenza.
L’ho sentito tre giorni prima di quel maledetto sabato. ‘Ieri ho avuto un collasso, mi sento molto debole. Appena mi riprendo un po’ ti chiamo’. Le sue ultime parole, quelle di un guerriero stanco, al termine della salita, come il suo Bartali, sulla cui vicenda umana – il toscanaccio aveva salvato centinaia e centinaia di ebrei durante la guerra – ci aveva scritto due anni fa un romanzo stupendo. Come stupendo è l’ultimo ‘Mio nipote nella giungla‘, dedicato al figlio della sua Germana, che negli ultimi giorni ne raccoglieva e metteva su carta i pensieri. Affidati alle rubriche sul Fatto (“Il Badante” e “Maledetta Domenica”) e soprattutto al suo blog, vera miniera di rarità giornalistiche e ancor più un parlare continuo con i suoi lettori. Erano infatti centinaia al giorno i commenti che inondavano il suo blog, li senti ancora parlare, scrivere, notare, commentare, proprio quel filo rosso continuo che Oliviero in modo magico sapeva tessere con Radio Zorro o via Beha a Colori.
Tra i primi numeri della Voce, metà ’85, pubblicammo una sua intervista a proposito del primo calcio scommesse, partorito a Napoli. Un numero monografico in cui spiccavano le parole di Oliviero, al solito di una chiarezza che sconcertava, nella pesantezza dei suoi j’accuse e nella efficacia della ricostruzione giornalistica. Un vero maestro. E per questo la Voce, una Voce contro, come è stato fin da quegli anni, ha cercato di modellarsi al suo tipo di giornalismo di inchiesta, forte, documentato, limpido. Fregandocene – come aveva fatto lui – di toccare palazzi e santuari, e soprattutto gli interessi forti dei loro inquilini. Per questo lo scorso dicembre, in una nostra auto-inchiesta, ci siamo definiti “Voce a Colori”, proprio per ricordare quel giornalismo che lui, unico, era capace di mettere nero su bianco. Con il suo stile inconfondibile, la passione civile che trasudava da ogni parola.