Dislocazione basi militari USA in Medio Oriente assedianti l'Iran
Per
anzianità acquisita (non solo anagrafica ma esperienziale), lascio da parte l’enfasi e le interpretazioni suscitate a caldo e mi pongo in un
sano atteggiamento dubitativo, scettico, sospettoso e demistificatorio. Parto
cioè dal presupposto che le apparenze ingannano, che quanto dichiarano le fonti
dirette o indirette sia sempre falsificato o di valore simbolico, perlopiù
messaggi criptici o trasversali o confusi, secondo i destinatari finali che li
devono recepire, che siano gli avversari o l’opinione pubblica interna o
internazionale. In questo specifico caso mi riferisco sia agli USA, inteso come
Trump e il deep state, che alla leadership iraniana. Una cosa è certa, è sempre
meglio attendere qualche giorno prima di valutare e commentare gli eventi.
Ad
esempio, il lancio dei missili balistici da parte dell’Iran, come iniziale
ritorsione all’uccisione (illegale e/o criminale dal punto di vista del diritto
internazionale) del generale iraniano Soleimani, che hanno colpito una grande
base militare americana in Iraq,
distruggendone le infrastrutture e qualche mezzo bellico, non è quello che
sembrava di primo acchito, e non ha arrecato
i danni citati inizialmente da alcune fonti, soprattutto in vite umane. Così
come i missili balistici che non hanno centrato gli obiettivi (tranne un paio
che non sono esplosi), non è stato per incapacità gestionale operativa o per
problemi tecnici ma è avvenuto volutamente, perché lo scopo era dimostrativo e
preventivo e non vendicativo e cruento. Infatti gli iraniani avevano
preavvisato con largo anticipo gli iracheni dell’attacco missilistico in modo
da fornire ai militari e al personale civile stanziato negli obiettivi di
mettersi al riparo. Non vi era alcuna
intenzione di provocare dei morti, neppure tra i militari americani, ma solo di
dimostrare le capacità belliche acquisite da parte dell’Iran, per far intendere
agli USA che nel caso proseguissero in questa loro folle provocazione bellica,
le ripercussioni sarebbero molto gravi.
Occorre
pertanto riconoscere all’Iran un notevole merito: nonostante la grande
sofferenza collettiva del popolo iraniano, ampiamente evidenziata dalla folla.
composta da milioni di iraniani che hanno partecipato ai funerali del generale,
con un’intensa commozione come non si era mai vista in simili circostanze,
manifestata a tutti i livelli gerarchici, dalla leadership alla popolazione più
umile, la ritorsione adottata militarmente dall’Iran è stata oltremodo
moderata, ben al di sotto di quanto ci si poteva aspettare. Tale moderazione
lascia intuire un elevato senso di responsabilità posseduto dalla leadership
iraniana, non solo nei confronti della propria popolazione ma anche per le
altre, perché un’escalation della tensione in Medio Oriente potrebbe sfociare
in un conflitto bellico di pericolose proporzioni, e a farne le spese come
sempre sarebbero le popolazioni civili, come già sta avvenendo a causa
dell’embargo e delle sanzioni imposte dagli USA.
Personalmente
ritengo che una tale moderazione reattiva sia stata il frutto di consultazioni
avvenute tra la leadership iraniana e quella russa, che hanno condotto ad una visione condivisa intesa a evitare
che la situazione degenerasse, come era desiderio del deep state americano, che
è risaputo essere rappresentativo dell’apparato industriale militare e della
security oltre che della potente ala sionista americana, al servizio degli
interessi israeliani. Quindi il messaggio dovrebbe essere arrivato chiaramente
agli USA: al di là delle sbruffonate da bullo e megalomane di Trump e delle
velleità bellicistiche del deep state americano (leggasi neocons e sionisti, sia
ebrei che cristiani)), un effettivo attacco all’Iran costerebbe moltissime vite
umane americane, un prezzo che non credo siano disposti a pagare, perché
l’opinione pubblica interna reagirebbe come ai tempi del Vietnam. Pare che la maggioranza della popolazione americana non
abbia affatto approvato il raid contro il generale Soleimani, ritenendolo
pericoloso per le conseguenze che potrebbero ricadere sugli americani.
Rischiare
solo dei droni a controllo remoto è un conto, ma rischiare vite umane per aggressioni
unilaterali è un altro, e siccome fra un anno ci sono le elezioni negli USA,
sarebbe politicamente un suicidio. Per quanto l’opinione pubblica americana sia
istupidita e manipolata dalla propaganda dei media di regime, il governo
americano ha già difficoltà a gestire le continue falsità, mistificazioni e contraddizioni evidenti, che
sforna a getto continuo. Come l’aver dichiarato di volersi ritirare dalla Siria
e gradualmente dal Medio Oriente e poi aver inviato, solo negli ultimi mesi quasi 18.000 unità di rinforzo ai militari
presenti nell’area, che ammontano complessivamente a 80.000 unità, in pratica
una forza paragonabile all’intero Esercito Italiano, stanziato nelle basi che
circondano l’Iran.
Un'altra
difficoltà che creerà qualche imbarazzo agli USA è la recente decisione del
Parlamento dell’Iraq (sostenuto dal governo) di espellere dal suolo nazionale
le truppe straniere, con chiaro riferimento a quelle americane. Non credo che
se ne andranno, essendo presenti per preservare gli interessi petroliferi
americani nell’area, oltre che per motivi geostrategici, ma a questo punto
diventerebbe chiaro anche agli stolti che dovrebbero considerarsi truppe di
occupazione, quindi presenti illegalmente, proprio come in Siria, e
aumenterebbero i rischi per la loro
incolumità.
Gli USA
con questa folle e schizofrenica politica egemonica e di sopraffazione, sono
sempre più isolati, pur rimanendo una potenza militare di prima grandezza, con
questo modo di atteggiarsi e comportarsi: prepotente, unilaterale, assolutistico,
dominatore, predatorio, ricattatorio, intimidatorio, ecc., che tratta gli alleati e gli stati satelliti con
disprezzo da colonizzatori, penalizzandoli
continuamente con sanzioni economiche imposte a tutti i livelli (anche
indirettamente), si troveranno sempre più isolati e sempre meno appoggiati. La
ritengo una politica priva di strategia lungimirante, per non dire cieca e
ottusa, probabilmente frutto di conflitti interni tra l’élite degli USA per la
gestione del potere, in particolare tra
coloro che hanno ancora residui culturali di politica estera ispirati alla
bicentenaria dottrina Monroe (limitarsi a controllare il continente americano)
e quelli che vorrebbero che gli USA continuassero a essere i dominatori
incontrastati del mondo per favorire la loro
economia e mantenere il loro eccessivo tenore di vita, energeticamente
fortemente dispendioso. E per imporre la loro volontà a livello internazionale
devono mantenere in efficienza circa 800 basi militari sparse per il
pianeta, una politica quest’ultima ormai anacronistica e troppo onerosa, che ha
indotto solo negli ultimi anni ad aumentare la spesa militare portandola ormai
a sfiorare i 1000 miliardi annui complessivamente.
Una cifra folle rispetto al PIL degli USA, che contribuirà ad aumentare
a dismisura il debito pubblico, già alle
stelle, e sottrarre preziose risorse al già
misero welfare americano, creando ulteriori
sacche di povertà assoluta e l’impossibilità
di accedere alle cure sanitarie. Una potenza militare nella quale a vivere bene
sono solo i ricchi, un’esigua minoranza (élite), mentre la maggioranza della
popolazione vive ai limiti della sopravvivenza,
lottando coi debiti contratti per mantenere un tenore di vita al di sopra delle
loro possibilità e facendo due o tre lavori per sopravvivere. Una
contraddizione in termini.
Claudio
Martinotti Doria
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