Ma è vero che Adolf Hitler voleva "conquistare il mondo"? A lui
interessava riunire i tedeschi, ma che volesse conquistare il mondo,
questo lasciamolo dire ai fabbricanti di "balle cosmiche": i produttori
americani di Hollywood di Francesco Lamendola
Ma è vero che Hitler voleva conquistare il mondo?
di
Francesco Lamendola
Ci
sono delle cose che tutti crediamo di sapere, delle verità di cui tutti
riteniamo di essere in possesso, e anzi pensiamo che si tratta di un
patrimonio comune a tutte le persone civili e appena un po’ istruite e
debitamente informate; tuttavia, se per caso si va a grattare sotto la
vernice del nostro supposto conoscere, anche solo pochissimo, si scopre
che non siamo in grado di rispondere alle domande più ovvie ed elementari,
indizio scuro del fatto che non sappiamo un bel nulla, ma ci limitiamo a
pensare con la testa di qualcun altro e a ripetere, come pappagalli,
una lezioncina che, senza neanche rendercene conto, abbiamo imparato a
memoria, senza peraltro essere sfiorati dall’idea che sarebbe cosa
giusta e doverosa verificare direttamente alle fonti se le cose che
crediamo di sapere sono tali, cioè se poggiano su uno zoccolo di verità,
o no. Non dobbiamo sentirci avviliti e umiliati da questa scoperta,
e soprattutto non dobbiamo perdere il rispetto di noi stessi né
disperare di poter uscire dalla palude, anche perché la situazione in
cui ci troviamo ci vede in compagnia della grande maggioranza dei membri
della società che non a caso è stata definita di massa; semmai dobbiamo
sentirci spronati a reagire e a prendere coscienza di ciò che sappiamo
davvero e di ciò che crediamo di sapere, ma ci è stato rifilato dalla
cultura del politicamente corretto, in maniera truffaldina, e che noi
abbiano avuto l’ingenuità, o la superficialità, di prendere per moneta
buona. La fretta, la faciloneria e il pressapochismo, unite alla
presunzione di poter raggiungere molto con poca fatica, anche
nell’ambito del sapere, ci hanno messo sulla cattiva strada e ci
hanno consegnato nelle mani di un sistema dell’informazione e della
cultura drogato, costruito in vista della manipolazione delle masse e
della costruzione di un consenso artificiale e inconsapevole,
fondato su false credenze e su luoghi comuni che nessuno, per pigrizia e
conformismo, si prende mai il disturbo di andare a verificare.
Il
film di propaganda Usa: "Il grande dittatore, di Charlie Chaplin"?
Perchè l’importante fu dipingere Hitler come l’uomo che voleva
conquistare il mondo!
Una delle false conoscenze che fanno parte del nostro ampio bagaglio di mezzo sapere riguarda gli scopi di guerra di Hitler e della Germania nazista.
Tutti crediamo di sapere perché è scoppiata la Seconda guerra mondiale:
perché Hitler aggredì la Polonia, il 1° settembre 1939, appena una
settimana dopo aver stipulato un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica,
che ne prevedeva anche la spartizione, il 23 agosto; cosa che provocò
la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna e della Francia alla
Germania, se questa non avesse ritirato le sue truppe, a decorrere dal 3
settembre. E già qui, basta grattare un po’ sotto la vernice e si
scopre subito qualcosa che non va: se Gran Bretagna e Francia, che
avevano garantito alla Polonia di scendere al suo fianco in caso di
aggressione, intendevano davvero difenderla e proteggerne l’indipendenza
come Stato sovrano, perché non dichiararono guerra anche all’Unione Sovietica,
le cui forze armate la invasero a partire dal 17 settembre, prendendo
il suo esercito in una morsa? E perché nel 1945 abbandonarono tutta
la Polonia, e non solo metà di essa, in potere dell’Unione Sovietica,
che ne fece uno dei suoi Stati satelliti, legati a lei nel Patto di
Varsavia? In quarant’anni di insegnamento, e in tanti esami di Stato cui
abbiamo partecipato, non abbiamo mai visto un professore porre
questa domande allo studente che esponeva la sua brava relazione sulla
genesi della Seconda guerra mondiale. Ma lasciando da parte la questione dell’Unione Sovietica,
resta la domanda: quali erano gli obiettivi di Hitler, attaccando la
Polonia? Danzica e il Corridoio polacco, è la risposta politicamente
corretta; e poi: ma anche la Polonia tutta quanta, o meglio, tranne la
fetta riservata al compagno Stalin; e in terza battuta: il mondo.
Proprio così: Hitler voleva conquistare e sottomettere il mondo, o poco
meno, perché Germania, Italia e Giappone avevano dei piani grandiosi per
la spartizione del globo. Un’idea, quest’ultima, che non viene al
pubblico da precise conoscenze storiche, ma da una celebre scena del
film Il grande dittatore, di Charlie Chaplin,
nella quale si vede Hitler giocare come un bambino con un soffice ed
enorme globo terrestre, che vorrebbe “possedere”. Ma quanto c’è di vero,
in questa pseudo conoscenza?
La
storia è ancora ricerca della verità? Ci hanno consegnato nelle mani di
un sistema dell’informazione e della cultura drogato, costruito in
vista della manipolazione delle masse e della costruzione di un consenso
artificiale e inconsapevole, fondato su false credenze e su luoghi
comuni che nessuno, per pigrizia e conformismo, si prende mai il
disturbo di andare a verificare!
È noto, perché esistono centinaia di documenti inoppugnabili, che Hitler non solo intendeva rispettare l’Impero britannico,
ma che voleva giungere a un accomodamento con esso, poiché lo riteneva
un fattore di equilibrio e di civiltà; tutt’al più, avrebbe preteso la
restituzione delle colonie tedesche, incamerate dagli alleati con la
pace di Versailles del 1919, sotto la forma truffaldina di “mandati”
delle Società delle Nazioni. Nemmeno la Francia gli interessava: dopo
che l’ebbe sconfitta, nel giugno del 1940, si riprese l’Alsazia-Lorena,
com’è logico, visto che faceva parte della Germania da prima della
guerra del 1914, e precisamente dal 1871. La Danimarca e la Norvegia,
come pure i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo, vennero occupati
per necessità strategiche legate alla guerra stessa, ma non facevano
parte dei piani annessionistici tedeschi. Gli appetiti espansionistici riguardavano l‘Est europeo: è lì che la Germania nazista cerava il suo Lebensraum,
il suo “spazio vitale”. Peraltro, solo una cerchia d’intellettuali e di
dirigenti del partito nazista erano persuasi di una tale necessità, che
giustificavano col tasso di fertilità del popolo tedesco e la
ristrettezza dei confini nazionali; ma il grande pubblico non era mai
stato suggestionato da simili argomenti, al contrario di ciò che il
fascismo fece con il popolo italiano, quando, a partire dal 1936,
cominciò a richiamare l’attenzione, a mezzo della stampa e di discorsi
semi-ufficiali, su Nizza, la Corsica, la Savoia, la Tunisia, Gibuti,
peraltro sempre in chiave irredentistica. Il grande pubblico italiano
poco era stato interessato alle tre chiavi del Mediterraneo,
strategicamente assai più importanti: Suez, Malta e Gibilterra. E così
il popolo tedesco: la rivendicazione di Posen, di Danzica e dell’Alta
Slesia orientale era fortemente sentita, e da ciò un fortissimo
sentimento d’inimicizia verso la Polonia; ma ben pochi pensavano che le
rivendicazioni della Germania dovessero andare oltre i confini del 1914.
Vi è motivo di pensare che l’appetito dei vertici nazisti crebbe nel
corso del lauto pasto, prima con l’occupazione della Polonia, poi con
l’attacco all’Unione Sovietica, il 22 giugno 1941.
Una
domanda scomoda? Perché Francia e Gran Bretagna non dichiararono guerra
anche all’Unione Sovietica nel 1939 che con la Germania si spartirono
la Polonia?
E
adesso torniamo alle origini della Seconda guerra mondiale, e
domandiamoci cosa sarebbe accaduto se Hitler, invece di porre sul
tappeto la questione di Danzica e del Corridoio nell’estate del 1939, lo
avesse fatto nel 1938, cioè prima di pretendere dalla Cecoslovacchia la cessione dei Sudeti
e, soprattutto, prima di porre la Boemia e la Moravia sotto
protettorato tedesco, nel marzo del 1939. Le democrazie occidentali
avrebbero opposto un rifiuto a trattare il destino di Danzica e del
Corridoio, se Hitler avesse rispettato l’indipendenza della
Cecoslovacchia, o almeno quel che di essa rimaneva dopo la conferenza di
Monaco e le sue decisioni? Danzica, nessuno lo poteva negare, era una
città tedesca; e anche l’esistenza del Corridoio, che interrompeva la
continuità territoriale della Germania, isolando la Prussia Orientale
dal resto del Paese, determinava una situazione innaturale, che nessun
inglese e nessun francese avrebbero tollerato in casa propria: dover
passare, cioè, per un Paese straniero per raggiungere una propria
provincia. È assai dubbio che la richiesta di Hitler in tal senso, se
posta non dopo aver occupato Praga e aver mostrato che le sue promesse
di rispettare l’indipendenza della Cecoslovacchia, fatte all’indomani di
Monaco, erano state un inganno, sarebbe stata respinta. Dopotutto, la richiesta di Danzica
era più ragionevole di quella dei Sudeti, e infinitamente più
accettabile del protettorato tedesco sulla Boemia e la Moravia. Infatti,
all’inizio di settembre, in Francia soprattutto, ma, in misura minore
anche in Gran Bretagna, una parte dell’opinione pubblica non poté fare a
meno di domandarsi se valesse la pena andare a morire per Danzica. Nei
regimi democratici, l’opinione pubblica ha bisogno di una causa ideale
per accettare l’idea di dichiarare guerra a uno Stato che non sta
minacciando le proprie frontiere: e la causa di Danzica, città
tedesca che era stata sottratta alla Germania dopo la Prima guerra
mondiale, non si prestava affatto a persuadere l’opinione pubblica
inglese e francese. Ci voleva dell’altro: e cioè bisognava
convincere tutti, anche i Paesi neutrali, che l’obiettivo di Hitler era
smisurato, illimitato: che i nazisti volevano assoggettare il mondo
intero, o quasi. Solo così si sarebbe creato un forte movimento a favore
delle democrazie e contrario alla Germania. Ma Hitler, nell’estate del 1939, davvero voleva il mondo?
Misteri della storia: che ci fa uno Zeppelin nazista a New York?
È
interessante leggere ciò che scrisse nel suo diario segreto un
personaggio che ben conosceva i retroscena della politica tedesca, Ulrich von Hassell,
che era stato ambasciatore a Roma dal 1932 al 1938, poi era stato
sollevato dalle sue funzioni per aver criticato la politica estera di
Hitler e Ribbentrop, e che il 28 luglio 1944 fu arrestato in seguito
all’attentato contro il Führer, per essere giustiziato l’8 settembre
successivo. Il suo è il punto di vista di un osservatore spassionato: buon tedesco, ma antinazista,
e buon conoscitore della politica estera del proprio Paese e, in
qualche misura, anche degli altri Paesi europei. Ecco cosa annotava alla
data del 20 luglio 1943, cioè pochi giorni prima della caduta di
Mussolini, preludio allo sfaldamento dell’Asse (da: Ulrich von Hassell, Diario Segreto
1938-1944. L’opposizione tedesca a Hitler (titolo originale: Die
Hassell Tagebücher 1938-1944; Berlin, Siedler Verlagi, 1988; traduzione
dal tedesco di Marco Marroni e prefazione di Sergio Romano, Roma,
Editori Riuniti, 1996, pp. 324-326):
Colloquio
con Dieter [il figlio più giovane, richiamato al fronte] sulla politica
estera di Hitler prima e dopo lo scoppio della guerra. Ho sviluppato le
seguenti riflessioni il fondamento INTERNO di tutta la
sventura fu un’intemperanza tracotante unita alla completa ignoranza del
mondo. Il suo pernicioso strumento fu costituito dalla politica che
condusse, attraverso la costituzione di un blocco militare con l’Italia e
il Giappone, alla divisione del mondo in due campi contrapposti,
nell’ambito della quale la nostra parte era gravata da rapporti di forza
sfavorevoli. La peripezia, vale a dire il punto di svolta decisivo per
la conflagrazione del conflitto, sta nell’occupazione di Praga. Il mondo
aveva sopportato tutte le azioni precedenti, e in primo luogo
l’annessione [dell’Austria] e l’inglobamento dei Sudeti tedeschi. MONACO significò che si INGOIAVANO
questi risultati, ma con la ferma volontà di non tollerare più senza
combattere un ulteriore passo tedesco. Manca qualsiasi prova a conferma
dell’affermazione di Hitler che all’indomani di Monaco la Gran Bretagna
sarebbe stata risoluta ad attaccare la Germania appena si fosse sentita
abbastanza forte per farlo. La decisione inglese consitette piuttosto,
istruita dagli eventi precedenti e non fidandosi delle assicurazioni
fornite da Hitler, nel porsi militarmente nelle condizioni di opporsi a
una nuova azione intrapresa da Hitler. In tale contesto è altamente
probabile che in presenza di un’abile politica da parte tedesca,
l’Inghilterra non avrebbe impedito al momento propizio un’eliminazione
del Corridoio [di Danzica]. Se è vero che Hitler ha rimproverato in
seguito a Ribbentrop di [aver]gli dato un cattivo consiglio allorché
propose di occuparsi PRIMA di Praga e poi del corridoio, non
aveva torto. Hebderson mi ha detto perfino all’inizio dell’estate del
1939 che Praga sarebbe stata la sventura maggiore, perché aveva fatto
vacillare qualsiasi fede in una politica moderata e nella parola di
Hitler; qualora noi invece di annettere la Cecoslovacchia, dopo un
congruo lasso di tempo, avessimo sollevato la questione del corridoio,
questa si sarebbe probabilmente conclusa positivamente. L’impresa contro
Praga fu però ancor più insensata nella misura in cui l’ulteriore
evoluzione spontanea dei fatti avrebbe condotto senz’altro la
Cecoslovacchia in una condizione di totale dipendenza da noi.
Individuo
gli errori della politica inglese, innanzitutto, nella politica dei
trattati di garanzia, che doveva innervosire la Germania, ma che SENZA
DUBBIO non poté tutelare gli Stati dell’Europa orientale. In secondo
luogo nel fatto che l’Inghilterra – persistendo in una cattiva
tradizione – ha omesso di annunciare a Monaco, con grandissima serietà,
un’azione di guerra in caso di violazione degli accordi. Ciò non
costituisce una scusante per la politica condotta dalla Germania…
Il primo ministro Chamberlein stringe la mano a Hitler alla firma del trattato di Monaco.
Hassel prosegue il suo ragionamento per concludere che la Germania nazista condusse una politica azzardata che provocò una guerra alla quale non era preparata
(ciò potrà meravigliare il pubblico che giudica in base all’efficienza
militare tedesca; ma esso non sa che la Germania compi il miracolo di
attrezzarsi per una guerra totale nel corso della guerra stessa, mentre
nel 1939 era ben lungi dall’essere pronta), e in condizioni strategiche
sfavorevoli, soprattutto per la sottovalutazione del fattore marittimo.
Ci sarebbe poi da discutere sulla reale volontà di pace della Gran
Bretagna e sulla convinzione di Hassell che essa non avesse deciso, dopo
Monaco, di attaccare per prima, non appena si fosse sentita in grado di
farlo. In realtà, come ha mostrato, con solidi argomenti, Franco Bandini in Tecnica della sconfitta,
essa stava riarmando a ritmo febbrile la flotta e il partito della
guerra, facente capo a Churchill, aveva calcolato di colpire nel 1940 e
non oltre, perché anche la flotta tedesca si stava riarmando e il
rapporto non sarebbe stato più favorevole agli inglesi dopo quella data.
Ma a parte ciò, resta il fatto che se gli inglesi, dopo Monaco,
avessero manifestato chiaramente la loro volontà di opporsi a Hitler
qualora egli avesse proceduto ad ulteriori annessioni, Hitler, molto
probabilmente, non avrebbe attaccato la Polonia il 1° settembre 1939, e
forse non avrebbe nemmeno stretto l’innaturale patto con Stalin del 23
agosto. In altre parole, Hitler commise un azzardo attaccando la
Polonia, ma aveva delle discrete ragioni per pensare che anche questa
volta Londra e Parigi si sarebbero piegate davanti al fatto compiuto:
forse è eccessivo affermare che cadde in una trappola, ma non è inesatto
dire che fu tenuto deliberatamente nel vago circa le intenzioni delle
democrazie. Ha ragione, perciò, Ulrich Hassell di
lamentare la cattiva abitudine inglese di celare le proprie intenzione
circa la pace o la guerra, laddove renderle palesi avrebbe potuto
costituire un deterrente all’aggressività tedesca. Anche nel 1914 aveva
fatto così: non aveva lasciato trapelare la sua intenzione di opporsi
alla Germania nel caso fosse scoppiato un conflitto generale. Che
l’intervento britannico, il 4 agosto 1914, sia stato determinato dal
fatto nuovo dell’invasione del Belgio, è una bella favola che però va
riservata agli ingenui e ai teneri di cuore. Certo, la difesa del Belgio
violato offrì un magnifico pretesto alla Gran Bretagna; ma la realtà è
che essa non sarebbe rimasta in nessun caso a guardare le armate
tedesche che invadevano la Francia e si affacciavano sulla Manica.
Una
storia scomoda? Il vero ruolo dei Windsor (dinastia tedesca degli
Hannover) e i veri rapporti con il regime nazista sono ancora oggi in
gran parte secretati: basti ricordare l'incredibile caso del delfino di
Hitler Rudolf Hess, la misteriosa morte del Duca di Kent e i numerosi
viaggi di Edoardo VIII con Wally Simpson presso la corte del dittatore
nazista!
D’atra parte, ci sembra che il ragionamento di Hassell pecchi a sua volta d’ingenuità. Egli sembra aver pensato che tutti gli inglesi sono dei gentlemen;
non ha considerato che alcuni di loro potrebbero anche non esserlo. Non
si è chiesto infatti perché il governo britannico non diede chiari
segnali a quello tedesco, dopo la conferenza di Monaco, e più ancora
dopo l’annessione di Praga, che un’ulteriore azione tedesca avrebbe
provocato il suo intervento. Se si fosse posto quella domanda, forse gli
si sarebbe affacciato il dubbio che il governo britannico nel 1939, proprio come nel 1914, non volle palesare le sue reali intenzioni, proprio per lasciare ai tedeschi la corda con la quale impiccarsi.
Ed entrambe le volte le cose andarono benissimo per lui: ebbe fra le
mani dei magnifici pretesti per intervenire, interpretando il ruolo del
difensore delle nazioni aggredite, il Belgio nel ’14, la Polonia nel
’39.
Come
la storia viene manipolata dal cinema? Che Hitler volesse conquistare
addirittura il mondo, o quasi… via, questo lasciamolo dire ai
fabbricanti di balle cosmiche di Hollywood!
Certo,
la Polonia era un po’ meno presentabile del Belgio: non era un Paese
democratico, al contrario, era praticamente uno Stato fascista e
militarista, oltre che visceralmente antisemita; e inoltre aveva
sdegnosamente respinto la proposta tedesca di aprire un negoziato circa
il futuro di Danzica e del Corridoio polacco, bruciando le possibilità
di un’intesa durevole fra le due nazioni. Ma che importa? l’importante era dipingere Hitler come l’uomo che voleva conquistare il mondo.
E se voleva conquistare il mondo, che differenza faceva se ad essere
aggredita era la Polonia, invece del Belgio? Prima o poi, avrebbe
aggredito anche le democrazie occidentali. Questo non era vero, perché
non esiste alcuna prova del fatto che Hitler meditasse la guerra contro
la Gran Bretagna e la Francia; l’aveva messa in conto, questo sì, ma non
la desiderava affatto. A lui interessava l’Europa centro-orientale:
prima riunire tutti i tedeschi sotto la bandiera della Germania, come
aveva già fatto con l’Austria, coi Sudeti e con Memel, e come ora voleva
fare con Danzica; poi eliminare il “saliente” boemo, inglobando
politicamente quel che era rimasto della Cecoslovacchia dopo Monaco e,
di quella strada, mettendo le mani sulla eccellente industria bellica
ceca, che avrebbe costituito un notevole rafforzamento per la macchina
militare tedesca. Ma che volesse conquistare addirittura il
mondo, o quasi… via, questo lasciamolo dire ai fabbricanti di balle
cosmiche: i produttori ebrei americani di Hollywood.
Del 17 Settembre 2019
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