17 Gennaio 2019
Inchiesta di Andrea Cinquegrani
LE RIVELAZIONI
DEL GRAN MAESTRO GIULIANO DI BERNARDO / MASSONERIA, ECCO TUTTE LE CONNECTION
Verbalizzazione clou davanti alla Corte d’Assise di Reggio
Calabria da parte dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giuliano
Di Bernardo, che ricostruisce una serie di storie & fatti,
soprattutto sul versante dei rapporti tra massoneria e ‘ndrangheta, partendo
dalle inchieste dell’allora procuratore capo di Palmi Agostino Cordova.
Ma fa dichiarazioni anche anche sulla
figura del Venerabile Licio Gelli voluto dagli americani al vertice
della P2, sui “veri elenchi” della stessa super loggia, su traffici d’armi
con la Somalia.
Tutto si svolge lo scorso 11 gennaio
alla Corte d’Assise reggina, in occasione del processo sulla “‘ndrangheta
stragista” che vede alla sbarra il boss siciliano Giuseppe Graviano
e Santo Filippone, accusati di essere i mandanti degli agguati ai
carabinieri dei primi anni ’90, all’epoca di quelle stragi che insanguinarono
il nostro Paese.
Di Bernardo venne eletto Gran Maestro
del Goi l’11 marzo del 1990: la sua testimonianza, quindi, è di grande
importanza all’interno del processo perchè riguarda proprio quegli anni
bollenti.
QUEL “MINOTAURO”
CHE AVEVA LA VISTA LUNGA
Agostino Cordova.
La verbalizzazione parte proprio dal
“minotauro di Palmi” Cordova, come epicamente lo definì Giorgio Bocca
nel suo straordinario “Inferno” uscito nel ’92. Da rammentare che la
maxi inchiesta di Cordova partì dalla morte mai chiarita di un grosso
notaio-massone calabrese, Pietro Marrapodi, il quale apparteneva alla
loggia “Logoteta” e aveva iniziato a verbalizzare sui rapporti tra
massoneria e ‘ndrangheta. A Marrapodi venne negata la scorta, fu trovato
impiccato nel suo scantinato e la sua morte venne rapidamente archiviata come
omicidio senza che sia mai stato trovato un colpevole.
Ecco le parole dell’ex Gran Maestro
davanti al collegio presieduto da Ornella Pastore e al procuratore
aggiunto Giuseppe Lombardo, che lo ha interrogato: “L’inchiesta di
Cordova stava andando nelle direzione giusta. Io gli misi a disposizione
documenti importanti e i risultati delle mie scoperte, ma poi non è successo
nulla. Quando l’inchiesta gli fu tolta il fascicolo è passato in mano a
più procuratori per competenza a Roma, e lì è stata archiviata per decorrenza
dei termini”. Il gigantesco fascicolo, infatti, approdò nel “porto delle
nebbie”, fra gli altri affidato ai pm Augusta Iannini (consorte dello
storico conduttore di Porta a Porta, Bruno Vespa) e Nello
Rossi.
Continua Di Bernardo: “Ettore
Loizzo, ingegnere di Cosenza e mio vice nel GOI, nel corso di una
riunione della Giunta del Grande Oriente disse che poteva affermare
con certezza che in Calabria su 32 logge 28 erano controllate dalla
‘ndrangheta. Io saltai sulla sedia e gli dissi: ‘E cosa vuoi fare?’. Lui mi
rispose: ‘Nulla, assolutamente nulla’. E mi spiegò che viceversa lui e la sua
famiglia rischiavano gravi rappresaglie. Mi recai allora dal duca di Kent a
cui esposi la situazione, ma mi disse che ne era già a conoscenza. A Londra
mi dissero che grazie all’ambasciata ed ai servizi di sicurezza erano a
conoscenza delle infiltrazioni della ‘ndrangheta e questo è normale, perchè
in Inghilterra la massoneria è un’istituzione riconosciuta. Il capo è il duca
di Kent, quindi è normale che le associazioni con cui sono in rapporti siano
sotto osservazione”.
LOGGE, ‘NDRINE
& CLAN
Da tener presente che il tema dei
rapporti tra massoneria è ‘ndrangheta è stato al centro dei lavori della
precedente Commissione Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, che
una paio d’anni fa chiese all’attuale Gran Maestro del Goi, Stefano
Bisi (giornalista senese e in rapporti di “lavoro” con il responsabile
del Monte dei Paschi di Siena David Rossi, “suicidato” dal
quarto piano di palazzo Salimbeni cinque anni fa), la consegna degli elenchi
dei massoni calabresi, suscitandone le ire: Bisi parlò di vera caccia alle
streghe, quando uscirono fuori i nomi di alcuni massoni sotto inchiesta (o
condannati) per rapporti con le ‘ndrine.
Stefano Bisi
Torniamo alla verbalizzazione
bollente. “La Calabria era indubbiamente il centro di questo fenomeno di
infiltrazione, messo in evidenza dal procuratore Cordova, ma già segnali
venivano dalla Sicilia. Ci fu un fatto che fece tremare i vertici del Grande
Oriente, ossia l’arresto del sindaco di Castelvetrano per i suoi coinvolgimenti
con la mafia. Ma in Sicilia ebbi altri segnali da parte dei vertici del Goi”.
I segnali, precisa, arrivarono
soprattutto da un avvocato-massone di Palermo, Massimo Maggiore, il
quale lo metteva in guardia dal visitare una loggia trapanese per via,
appunto, di infiltrazioni sempre crescenti in tutta la Sicilia: “Gli chiesi
come avevano potuto permetterlo, e lui mi rispose che non avevano potuto
evitarlo. Lì cominciai a capire che i vertici che avrebbero dovuto applicare
le regole della massoneria, nel territorio erano in realtà state subordinate
a logiche di altro potere. E questo avveniva già prima dell’inchiesta di
Cordova. Io sono stato eletto Gran Maestro ignorando completamente quali
fossero le realtà locali. Nella massoneria siciliana non c’era per così dire
un punto di vista unitario. La massoneria era frastagliata e ogni parte aveva
il suo centro di potere. In Calabria, invece, c’era una mente che regolava,
al di là di tutti, i contrasti che esistevano tra le obbedienze massoniche di
quel territorio. Si percepiva un filo conduttore. Loizzo mi diede
l’imprinting più forte, però poi io iniziai a vedere il contorno e sono
arrivato a capire che la massoneria calabrese è più potente di quella
siciliana per la visione unitaria che possiede”.
Di Bernardo fornisce ragguagli anche
sui rapporti tra massoneria e movimenti separatisti, all’epoca molto forti:
“Il mio segretario segretario personale Luigi Savina mi diceva che
parte della massoneria appoggiava i movimenti separatisti. Reggio Calabria era
il centro propulsore di questi movimenti separatisti. Cosenza aveva una sua
specificità e la situazione era meno grave. Catanzaro non contava molto.
Quella visione non rientrava nella mia visione d’Italia, per questo fin da
quando sono stato Gran Maestro ho sempre respinto tali richieste di
coinvolgimento che arrivavano. Non conosco la situazione al Nord, ma immagino
che non fosse interessato, sebbene non posso escludere che ci fosse chi
gettava benzina sul fuoco”.
Sui legami massoneria-mafia all’epoca
delle stragi, così dichiara Di Bernardo: “Io un’idea me la sono fatta e penso
che fosse tutto all’interno di uno stesso contesto, seppur con separazioni
interne. L’idea che mi sono fatto era che lì c’era qualcuno che tirava le
fila all’interno di contesti diversi. Sì, quella stagione è maturata a
contatto con ambienti massonici”.
TRAFFICI D’ARMI IN
SOMALIA
Licio Gelli
L’ex Gran Maestro racconta poi di una
strana telefonata che gli pervenne poco dopo la sua nomina al vertice del Goi,
succedendo al sardo Armando Corona, grande amico dell’ex capo dello
stato Francesco Cossiga: “Ero nella mia residenza sul Gianicolo e
suona il telefono alle tre di notte. Mi sento dire con una voce da straniero:
‘Gran Maestro, noi avremmo bisogno delle stesse cose che ci ha dato prima’.
Io avrei potuto dire ‘sta parlando con un’altra persona’. Però sono stato al
gioco e ho chiesto ‘di cosa avete bisogno in particolare?’. E inizia a farmi
un elenco di armi non solo leggere ma anche pesanti. Quando lui si accorge
del senso delle mie domande mi dice: ‘Sto parlando con Armando Corona?’. Io
dico ‘No, sono Giuliano Di Bernardo’ e lui mette giù. Per me si è accesa una
spia. Capii che quella telefonata proveniva dall’Africa, forse dalla
Somalia”. Ricordiamo che la Somalia era un paese all’epoca molto ‘caldo’,
densa di traffici di armi sui quali stava indagando la giornalista Rai
Ilaria Alpi; così come sui traffici di rifiuti tossici, in gran parte
gestiti dalle mafie in combutta con ambienti massonici.
La verbalizzazione prosegue
descrivendo i rapporti della massoneria nostrana con quella inglese e quella
americana. “Quando gli americani vengono in Italia portano una nuova immagine
della massoneria, che è quella della massoneria democratica, diversa da
quella nata in Inghilterra, e in questo cambia tutto”.
IL VENERABILE
VOLUTO DAGLI STATES
Circa gli anni seguenti prosegue: “Il
governo americano iniziava a temere che ci potesse essere il sorpasso
comunista. Quando gli americani non hanno più fiducia negli organi
istituzionali, vanno alla ricerca dell’uomo nuovo, fuori da ogni contesto. Fu
Frank Gigliotti (il massone che aveva lavorato per lo sbarco degli Usa
in Italia, ndr) a rifondare la massoneria in Italia, e sempre lui propose Licio
Gelli. Disse, ‘Il salvatore dell’Italia è quest’uomo’. Da quel momento
Gelli è stato il referente unico ed esclusivo del governo americano, per
evitare che si facesse il sorpasso dei comunisti. Gelli ha avuto montagne di
dollari, ma soprattutto il governo americano ha messo all’obbedienza di Gelli
i vertici italiani economici, militari e della magistratura. Tutti nella sua
obbedienza. Quest’uomo, all’improvviso, s’è ritrovato un potere che penso
nessuno abbia mai avuto in Italia. Ed è vero: si parla di questo progetto
politico di Gelli, il Piano di Rinascita. Ma cosa avviene? Gelli si
era impegnato a modificare l’Italia per evitare il sorpasso. Ma quando Gelli
riceve i soldi dagli americani fa i suoi affari e non pensa allo scopo
fondamentale. Gli americani cominciano a sollecitarlo. E allora lui, come
confidato a qualche suo collaboratore, non ce la fa più e si mette a scrivere
così un progetto a caso. Tradisce gli americani mettendo da parte i fini
politici”.
IL VERO ELENCO
DELLA P2
Sui rapporti tra il capo della P2
e il Grande Oriente, così racconta davanti alla Corte d’Assise Di
Bernardo: “Aveva una base molto forte. Ufficialmente tutti osannavano Gelli.
Ma io ho avuto modo di capire che questo non era vero. Gelli, dopo la mia
elezione, mi invia due lettere in cui mi chiede di essere riammesso al Goi.
Io le leggo e informo la giunta che mi sono arrivate queste lettere e non
faccio nulla. Una sera Eraldo Ghinoi mi viene a trovare e mi chiede se
ho ricevuto le lettere. Io dico che, a parte la mia idea personale, Gelli non
può né deve tornare. E che se anche io avessi voluto il suo rientro, l’avrei
dovuto presentare in Gran Loggia con la certezza che sarebbe stato bocciato a
grande maggioranza. E lui mi dice, ‘Qui ti sbagli. Prova a metterlo
all’approvazione e vedrai che sarà approvato’. A questo punto mi dice, ‘Io
sono amico di Gelli da tanto tempo’ e mi fa vedere una medaglia d’oro e platino
ricevuta da Gelli. Io comincio a pensare: questa è la massoneria”.
Le manovre ‘persuasive’ di Gelli nei confronti del fresco numero uno del Goi
per una riammissione, comunque, sono state diverse, e con promesse molto
forti. In danaro ma soprattutto mediante la consegna dei ‘veri elenchi‘
della P2. Ecco le parole pronunciate da Di Bernardo: “Quello
sequestrato dalla magistratura era un elenco solo parziale. Gelli mi offrì
l’elenco vero della P2 tramite un suo emissario che commentò, ‘così
puoi ricattare tutta l’Italia’. Non dico che non ci ho pensato, ma poi ho
deciso di non procedere”.
E continua: “Dopo la mia elezione,
chiede di incontrarmi il segretario personale del gran maestro Ennio Battelli
(generale di brigata aerea iscritto alla loggia Garibaldi di
Imperia, ndr). Questo segretario voleva fare una dichiarazione al gran
maestro da firmare. Infatti lo incontro e mi dice che una sera Gelli si
presenta nello studio del gran maestro Battelli con un grosso fascicolo e gli
dice, ‘Questo è l’elenco della P2’. Battelli inizia a sfogliarlo e diventa di
tutti i colori. Battelli chiude e dice a Gelli, ‘Riprendilo, questo io non
l’ho mai visto’. E dice al suo segretario che i nomi che ha visto lì non li
vuole dire. Il segretario si sente in dovere di fare questa dichiarazione. Io
ho la cognizione che il vero elenco esiste ma non sappiamo dove. Questo
avviene dopo che la loggia P2 è stata sciolta. Per sciogliere la P2
è stata necessaria la legge Anselmi, anche se non scioglie proprio nulla
perchè contiene una contraddizione che contrasta con un articolo della
Costituzione”.
QUELLE LOGGE
COPERTE
Sul tema bollente delle logge coperte, ecco cosa ne pensa Di Bernardo:
“Un giorno mi viene a trovare un personaggio calabrese che mi dice: ‘Gran
Maestro, io sono all’obbedienza di Armando Corona della loggia coperta, però
voglio sempre stare accanto al numero uno e voglio entrare nella sua loggia
coperta’. E io dissi che per prendere in considerazione la sua richiesta
avevo bisogno di un documento scritto. Così mi scrisse una lettera su carta
intestata in cui allegò una foto con Corona vestito con paramenti massonici e
mi fornì prova documentale dell’esistenza di una loggia coperta. Non ho mai
saputo se fosse in Calabria, ma il soggetto che venne da me era un calabrese.
Io a quel punto diedi tutto a Cordova. Le logge coperte sono di fatto dei
comitati d’affari. Corona ha preso quegli imprenditori che secondo lui
potevano essergli utili nei suoi progetti e li ha riuniti in una loggia
coperta”.
In alcuni passaggi le parole dell’ex
gran maestro Di Bernardo sembrano pronunciate da una vera Alice nel paese
delle meraviglie. Come cadesse dal pero su tante vicende massoniche che ha
scoperto solo dopo la sua nomina. E sorge spontaneo un interrogativo: ma come
ha fatto ad essere eletto se era all’oscuro di tanti meccanismi e conosceva
così poco tanti territori italiani?
Ciò detto, si tratta di una
verbalizzazione per non pochi versi “storica”.
Di chi ha guidato per anni il Grande
Oriente, lo ha ben conosciuto al suo interno e ha deciso di descriverne
affari & connection.
Tra l’altro questa fresca
testimonianza consente di ri-valorizzare quella prima maxi inchiesta firmata
Cordova. Chissà perchè affossata tra le nebbie romane…
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