Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

L’italiano è la lingua minoritaria più studiata al mondo, per motivi culturali, turistici e anche professionali.


L’italiano è la lingua minoritaria più studiata al mondo, per motivi culturali, turistici e anche professionali.

Di Claudio Martinotti Doria

La SIL International (Summer Institute of Linguistics, Istituto estivo di linguistica), un'organizzazione non governativa che ha l'obiettivo principale di studiare, sviluppare, documentare le lingue minoritarie, anche quest’anno ha redatto la classifica delle lingue più parlate e di quelle più studiate al mondo. Tra le prime tre non occorre consultare alcuna statistica per sapere che la prima lingua più diffusa è l’inglese (per motivi colonialistici, essendo stato l’Impero Britannico il più vasto della storia umana, dominando in epoca vittoriana circa un quarto di tutte le terre emerse del mondo, e poi per motivi professionali, essendo lingua straniera più diffusa a livello diplomatico e commerciale), seguito dallo spagnolo per lo stesso motivo, e al terzo posto abbiamo il cinese, per motivi demografici (i cinesi sono oltre 1,35 miliardi) nonché professionali (commerciali).
Da non confondere con le lingue più parlate, abbiamo invece quelle più studiate, cioè quelle che raccolgono il maggior numero d’iscritti ai corsi di lingua organizzati in giro per il mondo. In questo caso al primo posto abbiamo proprio l’italiano, forse con notevole sorpresa per gli stessi italiani, che essendo tendenzialmente esterofili, non sempre sanno apprezzare il proprio paese, spesso sono gli stranieri ad apprezzarlo e ammirarlo maggiormente. Sono infatti oltre 2 milioni gli stranieri che in ogni parte del mondo, anche nelle lande più remote (come la Siberia) ogni anno si iscrivono a dei corsi di lingua italiana, perlopiù gestiti dagli Istituti Italiani di Cultura e dalle centinaia di Comitati (scuole) della Società Dante Alighieri, di solito collocate presso le nostre Ambasciate e Consolati o con proprie sedi autonome o presso le Comunità di Italiani all’Estero, che sono piuttosto numerose, soprattutto nei paese di principale immigrazione, come il Venezuela, l’Argentina, il brasile, l’Australia, gli USA e alcuni paesi del Nord Europa.

I numeri dell'emigrazione » Fondazione Paolo Cresci 
Dopo l’italiano sono studiati il francese, lo spagnolo e il tedesco.
L’italiano è studiato soprattutto per motivi culturali, per la forte attrazione che esercitano alcune peculiarità italiane, come l’arte, la musica, il cinema, il design, l’architettura, la storia, la letteratura, l’enogastronomia, il made in Italy, ecc., che messe insieme costituiscono un unicum inimitabile e di assoluto valore, superiore a qualsiasi altro paese al mondo.
Questo riscontro oggettivo, non ci potrà certo illudere che col tempo diverrà la lingua più parlata al mondo, perché non avremo mai i numeri per screscere esponenzialmente. Ci conferma però che era ed è tuttora sul turismo culturale (tutti sappiamo che l’Italia possiede, nonostante i saccheggi subiti nei secoli dagli eserciti invasori, il maggior patrimonio culturale del mondo) e su quello naturalistico ed enogastronomico, che politicamente avremmo dovuto puntare per assicurare prospettive economiche di crescita sostenibile e duratura per il nostro paese. 
I ceti benestanti del mondo (che sono in continua crescita numerica) è sull’Italia che puntano per venire a fare shopping, per soggiornare in vacanza ammirando le nostre opere d’arte e incantevoli paesaggi, o addirittura per risiedere definitivamente sopraggiunta l’età della pensione. I paesi dai quali provengono i maggiori flussi turisti in Italia sono soprattutto gli USA, Canada, Cina, Australia, Germania e Russia. Alcuni di questi paesi coincidono con quelli dove si sono riversati i flussi migratori italiani dalla fine dell'800 al dopo guerra, e potrebbe significare che le nuove generazioni di italiani nati all'Estero desiderano riscoprire il paese dei loro avi, riallacciare relazioni parentali, riscoprire le proprie origini ed esplorare le loro piccole patrie avite.
Quando lo capiranno i nostri governanti?

Il reddito di cittadinanza è una presa per i fondelli.


Il reddito di cittadinanza è una presa per i fondelli.

Rispetto a quanto annunciato in campagna elettorale e anche nelle fasi successive, la legge che il "governo del cambiamento"  ha poi partorito è decisamente diversa e molto riduttiva rispetto alle intenzioni politicamente dichiarate.

IL REDDITO DI CITTADINANZA DEL M5S E' IL PIU' GRANDE FRA I ...
I paletti e le restrizioni che hanno posto limiteranno la distribuzione a una nicchia assai ristretta di coloro che ne avrebbero veramente bisogno, e forse favoriranno gli approfittatori, che in Italia non mancano mai.
Il primo dubbio mi era sorto quando, mi pare un paio di anni fa, modificarono i parametri di compilazione dell’ISEE, ovviamente in termini peggiorativi per i richiedenti, alcune voci sono state rincarate del 60%, come la prima casa, per cui la loro incidenza sul risultato finale è lievitato notevolmente.
E l’ISEE è alla base di qualsiasi richiesta di partecipazione al reddito di cittadinanza, che mi pare sia stato posto a 9300 euro circa. 
Poi ci sono altre condizioni che non sto ad elencare, ponendo innumerevoli paletti per restringere il campo di applicazione del provvedimento, per cui definirlo REDDITO DI CITTADINANZA è una solenne presa per i fondelli. 
Nella migliore delle ipotesi diverrà un sostegno al reddito per meno di un decimo di coloro che ne avrebbero avuto veramente bisogno.
Se una persona vive da sola a livello anagrafico, anche se poi per sopravvivere è ospitata da amici e parenti, può darsi che possa rientrare nei parametri e accedere al reddito di cittadinanza, purché sia priva di reddito. Ma se si è in due, come sarebbe normale che sia, cioè una coppia di coniugi, per rientrare nei parametri previsti e per non superare l’ISEE stabilito a 9300 euro, occorre che uno dei due sia disoccupato e l’altro percepisca al massimo la pensione minima o un reddito simile come entità, e siccome è escluso che possano vivere in affitto (altrimenti come lo pagherebbero?) occorre che la prima casa in cui abitano sia di dimensioni modestissime, magari ereditata da Biancanese e i sette nani o da qualche Hobbit della Contea della Terra di Mezzo.

50 destinazioni per viaggiatori cinefili - Wired
In tal caso potrebbero non superare i 9300 euro nel calcolo dell’ISEE. Tutti gli altri sono esclusi. E questo mi pare sia piuttosto contraddittorio con lo spirito della legge, almeno di quando la comunicavano pubblicamente vantandosene in campagna elettorale, perché se il reddito di sopravvivenza o ritenuto dignitoso doveva essere di 780 euro a testa mensili, e in due doveva essere di circa 1200 euro al mese, cioè circa 14.500 euro all’anno, e di conseguenza tutti coloro che non lo raggiungono avrebbero dovuto poter accedere al reddito di cittadinanza, almeno per la quota mancante. INVECE SONO ESCLUSI AUTOMATICAMENTE E A PRESCINDERE, perché il loro ISEE lo impedisce, essendo certamente superiore a 9300 euro.
Allora tanto valeva responsabilizzare i singoli comuni e mettere loro a disposizione una somma da distribuire ai bisognosi, che dovrebbero ben risultare agli uffici municipali, soprattutto nei piccoli comuni dove ci si conosce tutti, responsabilizzando in tal modo sindaco e assessori e funzionari, invece di centralizzare e rendere complicato e oneroso il procedimento. 
Hanno preferito come al solito mettere in piedi il solito marchingegno burocratico che richiederà montagne di circolari esplicative, regolamenti e provvedimenti correttivi, per poi partorire una solenne cazzata, la cui applicazione sarà estremamente difficoltosa ed escluderà chi veramente ne avrebbe avuto diritto, favorendo al contrario gli opportunisti, coloro ad esempio che lavorano in nero, che vivono di espedienti.
Il che conferma che, anche con le migliori intenzioni e in buona fede (almeno voglio sperare sia così), alla fine anche i governi populisti (nel senso corretto e migliore dell’accezione) finiscono per fallire nelle loro prerogative e obiettivi.
Sarebbe stato decisamente meglio fare proposte più semplici e incontestabili a livello europeo, come abbassare l'età per accedere alla pensione, che attualmente in italia è la più elevata del continente (siamo passati, come al solito, da un estremo all'altro), portandola alla media europea. 



In tal caso la Commissione Europea non avrebbe potuto opporsi, e tale semplice espediente avrebbe consentito a decine di migliaia di anziani, rimasti senza lavoro e senza pensione a causa della riforma Monti-Fornero, di accedere alla pensione, che seppur misera (la maggioranza delle pensioni percepite sono minime), avrebbero comunque contribuito al reddito complessivo delle famiglie, aiutando di conseguenza anche i giovani e i disoccupati (che spesso coincidono).
Pare proprio che non ci sia possibilità per questo paese di civilizzarsi ed evolversi socialmente e politicamente, ma rimarrà sempre e solo un bluff mediatico, con performance effimere, fittizie e cialtronesche, che finiscono per risultare offensive per le persone intelligenti e oneste, che fortunatamente sono ancora molte e sostengono questo miserabile paese.
Un caro saluto a tutti
Claudio Martinotti Doria

Le Crociate e gli Aleramici di Monferrato, secondo gli storici locali

Le Crociate e gli Aleramici di Monferrato,
secondo gli storici locali
(Parte seconda)


di Claudio Martinotti Doria


Nella prima parte di questo sintetico saggio divulgativo mi sono soffermato, come da titolazione precedente, sul modo in cui gli storici francesi hanno minimizzato l'apporto alle crociate degli italici in epoca medievale (quindi anche dei marchesi di Monferrato), esaltando al contrario e in modo piuttosto arbitrario, il contributo ad esse e quindi alla costituzione degli stati latini in Terra Santa da parte dei Franchi, come fosse stato praticamente merito loro, sia l'esito della prima Crociata (l'unica veramente vittoriosa) e sia la costituzione dei quattro stati crociati nel Vicino Oriente, che vennero infatti tramandati dalla storiografia come regni franchi d'Oltremare.
Per smentire tali appropriazioni indebite di meriti storiografici, che confermano, semmai ce ne fosse bisogno, che la storia non è una scienza esatta, ma solo una disciplina di studi cui ogni autore apporta contributi a volte preziosi ma altre pregiudizievoli, avevo citato diversi esempi, ai quali mi permetto di aggiungerne un altro tra breve, che verrà sviluppato come argomento conduttore di questa seconda parte della stesura.
In questa seconda parte, pur riprendendo e approfondendo alcuni aspetti ancora inerenti l'oggetto della prima, mi soffermerò maggiormente sull'apporto fornito alle Crociate e agli stati latini in Terra Santa, non tanto da parte dei marchesi di Monferrato, le cui gesta nelle terre d'Oltremare sono state piuttosto studiate se non proprio approfondite, quanto quelle degli altri aleramici, cercando anche di cogliere alcuni aspetti finora inesplorati dalla storiografia, inerenti il contributo diretto e soprattutto indiretto (capirete meglio in seguito tale concetto) da parte di altre casate aleramiche, in particolare i Del Vasto.
Non pretendendo che i lettori abbiano un'ottima memoria, essendo consapevole di quanto sia labile la mia, forse è meglio che ripeta quanto scritto in precedenti articoli, per favorire la comprensione e interpretazione di quanto mi accingo a riportare.
Premesso che il marchese Aleramo fu il capostipite degli aleramici e si suppone che sia defunto attorno al 991 d.C., i suoi discendenti si divisero in due rami principali, cui gli storici attribuirono la denominazione dei due figli superstiti di Aleramo (Oddone e Anselmo, quest'ultimo fu l'unico figlio che sopravvisse al padre), che per alcuni decenni convissero e condivisero la Marca Aleramica in una sorta di consorteria familistica territoriale, che si presume sia durata fino al 1085 d.C. (anche per questo motivo è ingiustificato attribuire la nascita del marchesato di Monferrato al 967 d.C. come fanno ancora troppi autori):
- gli oddoniani, che poi diverranno marchesi di Monferrato e di Occimiano;
- gli anselmiani, che diverranno marchesi di Sezzè, di Bosco e di Ponzone, del Vasto (che a loro volta successivamente diverranno marchesi di Incisa, di Saluzzo, Busca, Clavesana, Ceva, Savona-Carretto, Cortemilia).
I primi si collocheranno prevalentemente a nord dell'originaria Marca Aleramica istituita a metà del X secolo, i secondi a sud, soprattutto nell'astigiano, cuneese e in Liguria Occidentale. In particolare la principale casata anselmiana, i Del Vasto sono spesso citati dalla storiografia e dai genealogisti come marchesi della Liguria Occidentale o marchesi di Savona.
Come affermo frequentemente nei miei scritti è assolutamente improprio assimilare gli aleramici con i Monferrato, come fosse un'equazione inscindibile, per cui, quando da parte di qualche storico locale o autore, si dovesse leggere un riferimento a un qualsiasi marchese aleramico, l'accostamento automatico ai Monferrato è ingiustificato. Purtroppo a volte accade che siano gli stessi storici e autori a farlo al posto nostro, cioé identificano di loro iniziativa un “aleramico” con un di Monferrato, sostituendo il secondo al primo, rendendo in tal modo difficile la giusta identificazione dei personaggi citati.
Nel corso di questa stesura spero avrete acquisito maggior consapevolezza del problema cui ho accennato, che rende difficile l'attività di divulgazione storiografica cui mi dedico da decenni.


                                                
I quattro stati crociati in Terra Santa, la Contea di Edessa, il Principato d'Antiochia, la Contea di Tripoli e il Regno di Gerusalemme


Boemondo I d'altavilla, principe di Taranto, figlio di Roberto il Guiscardo, fu uno dei comandanti crociati che riuscì a creare un proprio regno nei territori conquistati durante la I Crociata, il secondo in ordine cronologico e geografico (da nord a sud): il principato di Antiochia, assumendo il titolo di principe d'Antiochia.
Riuscì a impossessarsi di tale regno con l'astuzia, in quanto Antiochia, era una città ricchissima (importante crocevia commerciale, si producevano tessuti di seta, tappeti, vetro, ceramica, ecc.), ben munita di possenti mura difensive e centinaia di torri, era considerata inespugnabile, ed infatti dopo otto mesi di assedio da parte degli eserciti crociati resisteva ancora.
Boemondo ricorse allora all'astuzia, corrompendo un ufficiale turco che consentì l'ingresso in città delle truppe di Boemondo, attraverso gli accessi aperti dal traditore.
Pur avendo giurato fedeltà all'imperatore bizantino, come del resto quasi tutti i baroni e principi latini crociati, Boemondo non manterrà fede all'atto di vassallaggio e anziché consegnargli la città conquistata, con un espediente geniale riuscì ad allontanare le truppe bizantine che costituivano parte dell'esercito crociato e si insediò nel suo autoproclamato regno difendendolo da ogni ingerenza esterna, negando ogni ulteriore appoggio al proseguimento della crociata verso Gerusalemme.
Fu uno degli episodi più gravi che contribuì a rendere ostili i rapporti tra i crociati e Costantinopoli (Bisanzio), e legittimamente diffidenti i bizantini (greci) verso i crociati ed europei in genere, i quali col tempo li ricambiarono con ancor maggior veemenza e faziosità.
A questo punto occorre a mio avviso fornire un paio di precisazioni dal punto di vista giuridico interpretativo:
- per l'Impero Bizantino (Impero Romano d'Oriente) le terre che i crociati andavano a conquistare appartenevano alla giurisdizione dell'Impero, venivano considerate temporaneamente non in possesso perché occupate da nemici, ma di loro diritto in quanto possedimenti imperiali secolari, per cui i principi o baroni latini che partecipavano alla I Crociata, avendo compiuto atto di vassallaggio all'Imperatore, in cambio del quale avevano ricevuto generosi doni e concessioni, man mano che le “riconquistavano” avrebbero dovuto consegnarle all'Imperatore che semmai le avrebbe condivise con loro, in cambio avrebbero ricevuto incarichi governativi prestigiosi e altamente remunarati, rendite, onori, ecc..
- per i baroni e principi latini al contrario le terre conquistate nel Vicino Oriente erano rex nullius, in quanto tolte agli infedeli e pertanto spettanti di diritto ai vincitori.
Non spetta a noi, gente del XXI secolo giudicare con i nostri attuali parametri culturali e morali, sta di fatto che entrambi a loro modo avessero le loro ragioni, ma i crociati compiendo atto di vassallaggio all'Imperatore di Bisanzio, per poi violarlo alla prima occasione, hanno certamente adottato un comportamento indegno (anche se era diffusissimo all'epoca) che infrange le regole del feudalesimo, per poi paradossalmente applicare le stesse regole a loro beneficio nella realizzazione dei regni crociati in Terra Santa.
Infatti il Regno di Gerusalemme, col quale si identificano culturalmente tutti gli stati latini nel Vicino Oriente nel Medioevo, in realtà non controllava affatto tutti gli stati costituitisi, cioé i suoi vassalli (sia quelli interni allo stesso regno sia quelli esterni e ancora più potenti di Edessa, Antiochia e Tripoli) lo faceva solo nominalmente, ma in effetti ogni barone o principe latino era un sovrano nella sua giurisdizione, ed infatti spesso era in contrasto, non collaborava affatto e non ubbidiva agli ordini del re di Gerusalemme, se non in caso di estrema emergenza per conbattere unitamente e compattamente eserciti invasori (ma anche in tal caso con qualche eccezione e continui conflitti e gelosie a livello di comando, sfiorando spesso il rischio di compiere alto tradimento). Di esempi se ne potrebbero fare a iosa, soprattutto da parte dei principi franchi, che con i loro comportamenti avidi, egoistici e irresponsabili, hanno condotto varie volte il regno di Gerusalemme incontro alla catastrofe, rompendo tregue in corso o provocando guerre che erano evitabili, e c'è da domandarsi come abbia potuto resistere così a lungo, se non per grazia di alcuni sovrani particolarmente saggi e dotati di capacità diplomatiche, strategiche e di comando.

Boemondo d'Altavilla era un principe normanno del Meridione d'Italia, non un franco, e non l'ho citato a caso, in quanto in questa seconda parte di queste brevi divagazioni mi riferirò al famoso crociato Tancredi d'Altavilla, divenuto celebre per le sue imprese belliche, riportate nella biografia del cronista Radulfo di Caen che era al seguito di Boemondo e Tancredi durante la I crociata, ma soprattutto a livello letterario grazie allla “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso.



Dipinto raffigurante l'assedio d'Antiochia

Tancredi era nipote di Boemondo e lo seguì nell'impresa in Terra Santa coprendosi di gloria, divenne fin da subito, per diritto di conquista, principe di Galilea e signore di Tiberiade e di Caifa (rispettivamente il principale feudo vassallo del Regno di Gerusalemme e la sua principale città e il suo porto più importante), poi successivamente divenne reggente del principato d'Antiochia negli anni in cui lo zio Boemondo rimase prigioniero dei turcomanni, e divenne pure reggente della grande contea di Edessa (il primo regno latino a costituirsi ma anche il più difficile da presidiare), si impossessò anche della famosa fortezza nota come Krak dei Cavalieri (Ospitalieri) situato nella contea di Tripoli sul fiume Oronte (ritenuta inespugnabile), In pratica sia come titoli e sia come possedimenti territoriali sotto il suo controllo, aveva molto più potere e godeva di maggior prestigio del re di Gerusalemme.
Tancredi era ritenuto sia dai cronisti dell'epoca che da molti storici moderni e contemporanei un prode guerriero, un vero nobile normanno, astuto, avido, ambizioso, duro, austero, di poche parole, una furia in combattimento, distinguendosi in diverse operazioni belliche nel corso della I Crociata a fianco di Boemondo e anche per conto suo con le sue truppe. Divenne una figura di spicco, egemone, prestigiosa non solo tra i nobili latini ma anche tra i principi mussulmani che ne avevano rispetto, finché mori all'età di 50 anni nel 1112 probabilmente di tifo.
Il perché mi soffermerò a lungo su di lui emergerà in seguito alla vostra paziente lettura.


Estratto della cartina del Regno di Gerusalemme nel periodo successivo alla I Crociata, con riprotati i centri principali, molti dei quali soggetti alla signoria di Tancredi d'Altavilla.


Leggendo svariati testi sulle crociate in mio possesso, per estrarre informazioni sulla partecipazione degli aleramici di Monferrato alle stesse, mi sono imbattuto in parecchie citazioni di Tancredi d’Altavilla come figlio di un certo Oddone di Monferrato (in altre versioni riportato come Oddone Bonmarchis, il Buon marchese o Marchisius, Odobono o Odone Bono, ecc., quasi tutti lo riportano come fosse appartenente alla dinastia dei di Monferrato, alcuni autori si limitano invece a definirlo un principe piemontese, cosa peraltro impropria in quanto all'epoca l'area geografica in oggetto era definita “Lombardia” e lombardi i suoi abitanti), il quale sarebbe stato marito di Emma d’Altavilla sorella di Boemondo principe di Taranto e d’Antiochia.
Stante le premesse sopra riportate, sapendo che i marchesi di Monferrato che hanno partecipato alle Crociate sono tutti ben identificati e la Terra Santa avrà loro portato gloria e onori (moderatamente, peraltro) ma non certo fortuna e ricchezza, semmai il contrario, essendo la partecipazione alle crociate assai dispendiosa e avendo trovato essi la morte in tempi relativamente brevi (oltre a Guglielmo il Vecchio, e i suoi figli Corrado e Guglielmo detto Lungaspada, rammentiamo anche i marchesi morti nei Balcani dopo la IV Crociata, per regnare, difendere o recuperare il regno di Tessalonica, come Bonifacio I e il figlio Guglielmo VI), ho subito pensato che tale personaggio, praticamente ignoto alla storiografia ufficiale, appartenesse probabilmente al casato aleramico del Vasto-Savona, come Adelaide o Adelasia del Vasto o di Savona (sono sempre molteplici i modi in cui i cronisti e gli storici identificano gli stessi personaggi, creando nei profani, ma anche tra gli addetti ai lavori, una certa confusione), che molti ancora oggi definiscono impropriamente Adelasia di Monferrato, sposa del granconte Ruggero I di Sicilia e madre di Ruggero II. Personaggio femminile di primaria importanza e valore, una delle più ricche e potenti donne della sua epoca (reggente del regno di Sicilia e regina di Gerusalemme, portando in dote al regno crociato ben nove navi cariche d'oro e pietre preziose), di cui accennai nella prima parte della stesura.
Quindi se le cose stessero veramente così, il celebre Tancredi sarebbe per metà di sangue aleramico o addirittura di Monferrato, se ci accontentassimo di superficiali e approssimative attribuzioni storiografiche.
Trovandomi in difficoltà e non peccando di orgoglio, ho ritenuto opportuno richiedere collaborazione all'anziano amico Manfredi Lanza, che alcuni tra voi rammenteranno, essendo stato un coautore della rubrica storica su Casale news. L'ho interpellato in quanto storico dinastico degli aleramici discendenti dai del Vasto, essendo lui un discendente dei Lancia poi divenuti Lanza, che hanno seguito Adelasia del Vasto in Sicilia quando andò in sposa al granconte Ruggero I e assunsero col tempo l’investitura di decine di feudi e titoli anche principeschi nell’isola fino all’Età Moderna, ma si è trovato anche lui spiazzato.
Ho coinvolto anche il noto e stimato medievista Aldo Angelo Settia, che ringrazio per la sollecita risposta, ma che purtroppo come temevo, non ha potuto fornirmi alcun apporto, essendo specializzato sulla storia degli aleramici di Monferrato e non sulle altre dinastie.
Espongo in seguito una sintesi di quanto ho potuto appurare in un vero e proprio calderone di notizie approssimative e contrastanti, emerse dai vari testi da me posseduti e consultati e dalle numerose interazioni con Manfredi Lanza.
- In uno dei testi consultati, “Tancredi” principe di Antiochia risulterebbe figlio di Emma e di un Eude (cioè pur sempre Oddone, ma in versione francese del nome, e siccome i normanni recatisi in Meridione d'Italia erano linguisticamente francofoni – non farebbe automaticamente pensare agli aleramici). Se non che’ il Lanza si è poi imbattuto in un “Oddone” detto il Buon Marchese, uomo d’arme (sec. 11°-12°), di origine piemontese, venuto nel Mezzogiorno d’Italia al seguito di Adelaide moglie di Ruggero, granconte di Sicilia, che sposò una sorella di Boemondo di Taranto, dalla quale ebbe Tancredi, il famoso crociato”.

Tancredi di Galilea o d'Altavilla in un olio su tela di Merry-Joseph Blondel


- In un altro testo consultato è emerso che è esistito un Ottone (Oddone) di Sicilia o Odobono o Odone Bono, marchese in Sicilia (Odo Bonus Marchisius), che avrebbe preso valida parte alle ultime fasi della campagna normanna di conquista dell’Isola sugli arabi (come comandante in capo delle truppe normanne del granconte Ruggero) e risultava documentata in particolare la sua presenza nell’isola negli anni dal 1094 al 1097. Non solo il suo nome personale, ma soprattutto la qualifica attribuitagli di “marchese” (estranea alla Sicilia e al costume normanno) ha indotto diversi autori a reputarlo un aleramico, da cui la supposizione (molto probabilmente errata) di Monferrato. E in questo caso, sarebbe certamente approdato nell’isola al seguito di Adelaide di Savona (Del Vasto). Risulta, però, coniugato con una certa Sichelgaita (dal nome germanico si tratta molto probabilmente di una longobarda del sud Italia). Avrebbe avuto prole, ma su di essa non si sa nulla.
Che il marchese fosse un aleramico non credo possano sussistere dubbi, sono troppi gli indizi a favore di questa tesi, a partire dal nome Oddone o Ottone da cui Odone riportato nei testi antichi, nome tipicamente aleramico, e poi il titolo nobiliare di marchese, tipico del nord Italia, estraneo ai normanni che erano conti, duchi o principi. Inoltre sappiamo, come ho ancora ribadito nella prima parte di questo saggio, che al seguito di Adelaide del Vasto, oltre a diversi componenti del suo gruppo famigliare, nei decenni successivi decine di migliaia di migranti lombardi (come venivano chiamati all'epoca), provenienti soprattutto dai feudi aleramici piemontesi e liguri, che si stima in numero di circa 100mila, sbarcarono in Sicilia sicuramente in seguito ad accordi pianificati coi normanni, per insediarsi in vastissime zone insulari orientali dal Tirreno allo Ionio.
- Il Lanza mi riferisce inoltre di un altro Odobono, forse appartenente al casato aleramico degli Incisa, che in quell’epoca era presente in Puglia, quindi anch’esso sotto il dominio dei normanni, in tal caso più prossimo ai possedimenti dei principi Boemondo di Taranto e di Tancredi. Probabilmente questi due Odobono sono stati confusi tra loro, in quanto i casi di omonimia erano abbastanza frequenti, anche se come nome doveva essere alquanto insolito all'epoca e in quelle contrade e non dovrebbe favorire sovrapposizioni e fraintendimenti, oppure sono stati commessi errori di identificazione e collocazione geografica di uno stesso individuo, facendone sorgere due, mentre in realtà il personaggio è unico e si era semplicemente e temporaneamente spostato.
Su alcuni testi di storia locale, cosiddetta minore e generalmente trascurata, inerenti diverse regioni storiche peninsulari e insulari, di cui dispongo per grazia degli storici locali con cui interagisco che m’inviano le loro pubblicazioni, ho trovato diversi riferimenti a un personaggio con un nome simile, che potrebbe corrispondere ma anche essere solo un caso di analogia e omonimia.
Cito qualche esempio:
-     Diversi testi di storici locali fanno riferimento a un antichissimo documento (pergamena in lingua greca) del Mezzogiorno d’Italia, all’epoca della dominazione normanna (con specifico riferimento a territori campani e calabresi), datato settembre 1097: “LXIV. (1097) – Mense Septembri – Indict. VI. – Odo Marchisius Sergio monacho donat ecclesias sancti Phantini et sanctae Cyriacae, cum facultate aedificandi ibidem monachorum domos”, si cita un signore normanno: ‘Odo Marchisius’, che nell’anno 1079 concedeva un privilegio a un monaco di Vibonati per costruire un monastero a Scido (in Aspromonte, provincia di Reggio Calabria).
Il    Il personaggio Normanno ‘Odo Marchisio’, ricorrerà spesso su altri documenti dell’epoca ed è sempre citato con il titolo di marchese e donerà terre per costruire monasteri in Calabria e Campania, rivelando pertanto di essere un personaggio di nobile lignaggio e piuttosto benestante e generoso.
-     La Famiglia Normanna dei Marchisio, secondo alcuni storici locali, aveva in feudo in quell’epoca alcune terre del Cilento (attualmente in Campania ma anticamente era Lucania) che pare disponessero del rango di marchesato, cosa alquanto insolita nei domini normanni che erano prevalentemente contee e ducati, non mi risulta infatti vi fossero nobili “normanni” con l’investitura di marchesi. E' molto probabile che il cognome Marchisio loro attribuito derivi dal titolo di marchese e sia stato assunto molto successivamente all'investitura feudale, oppure è stato attribuito impropriamente dagli autori, che avranno confuso il titolo nobiliare col cognome della dinastia, non essendo avvezzi a tale titolo nel Medioevo nel Mezzogiorno d'Italia. Del resto è comune che la storiografia locale pecchi di questi errori, assai diffusi, sia per una certa dose di improvvisazione, e sia perché mancano sufficienti basi storiche agli autori, non potendo oltrettutto prretendere che chiunque si accinga a scrivere di cose storiche abbia letto e appreso tutto lo scibile umano inerente precedentemente pubblicato.
-    Alcuni storici locali nei loro testi sono convinti che Oddone Bonmarchis (il Buon Marchese, a volte denominato Oddone Buon Marchisio), fosse sposo di Emma, figlia primogenita di Roberto d'Altavilla detto il Guiscardo (duca di Puglia e Calabria e Signore di Sicilia) e quindi sorella di Boemondo prrincipe di Taranto, e appartenesse alla nobile famiglia dei signori di Monferrato (altri storici locali si limitano a definirlo di origine e provenienza “piemontese”). Se così stessero le cose sarebbe indubbiamente il padre di Tancredi d'Altavilla.
Un bel mistero o meglio: un guazzabuglio.
Com’è possibile che ci sia così tanta confusione ed approssimazione su un marchese dell'XI secolo? Titolo peraltro inusuale per non dire inesistente tra i normanni e di rango piuttosto elevato, superiore alla maggioranza dei titoli nobiliari normanni, che erano prevalentemente conti. E titolo anche più raro di quanto si creda, nella stessa Italia settentrionale in quell'epoca.
Noi sappiamo che i marchesi di Monferrato si sono recati in Terra Santa (e ci sono anche morti) e in seguito nei Balcani a depredare Costantinopoli con la Quarta Crociata creando il Regno Latino di Tessalonica, ma non ci risulta che alcuni di loro siano mai andati nel Regno di Sicilia e/o abbiano partecipato alla prima crociata al seguito dei normanni del Meridione. Semmai sia stato effettivamente un marchese aleramico, il nostro ignoto personaggio è molto probabile che fosse un del Vasto.

A questo punto Manfredi Lanza mi rammenta che “Bono”, soprannome attribuito a entrambi i personaggi, sia il marchese siciliano e sia quello pugliese, cui fanno riferimento gli storici locali, non è un soprannome molto diffuso. Rammenta l'abbreviativo o diminutivo che il marchese Tete (Ottone del Vasto, detto anche Teuto o Teotone) aveva attribuito al suo terzogenito, da lui destinato alla religione o a opere pie e che era invece assurto brevemente al marchesato a seguito della morte improvvisa e violenta dei fratelli Manfredi (o Manfredo) e Anselmo, trucidati a furor di popolo a Savona nel 1079 d.C. durante un tentativo di rapimento di una giovane promessa sposa, nel giorno stesso delle nozze, che i prepotenti marchesi – narrano alcuni cronisti liguri – avrebbero voluto invece affidare al fratello minore Ottone, detto tradizionalmente Oddone o Oddo. Di questo Oddo, dopo l'episodio di sangue si perdono le tracce, come si fosse volatilizzato.
Se fosse proprio lui l’Odo Bono di Sicilia? Se fosse lui, avrebbe potuto fregiarsi legittimamente del titolo di “marchese”, in quanto tale di lignaggio e pure zio della grancontessa Adelaide, figlia di Anselmo e nipote di Bonifacio del Vasto (divenuto suo tutore), che dai cronisti dell'epoca (anche normanni) veniva definito il più potente e famoso marchese d'Italia, avendo esteso enormemente il proprio marchesato in ampie porzioni dell'attuale Piemonte e Liguria.
E' ovviamente solo una congettura che il Lanza ha abbozzato e tale deve rimanere, un'ipotesi e nulla più.
La sua altamente probabile appartenenza all’alveo vastense è data dal fatto che è stato Bonifacio del Vasto ad inviare, nel 1089, una nutrita schiera di “lombardi” in appoggio ai normanni in Sicilia, combinando l’immediato matrimonio della nipote Adelaide (di Savona) con il granconte Ruggero I d’Altavilla, da poco vedovo di Eremburga di Mortaing, e altresì di due sue sorelle con figli del granconte.
Non molti anni dopo, il fratello di Adelaide, Enrico, è approdato anch’egli in Sicilia e ha sposato a sua volta una figlia naturale del granconte, Flandrina o Flandina. È plausibile che nella pianificazione del patto d’alleanza sia stato contemplato anche un altro matrimonio, forse coevo di quelli di Adelaide e delle di lei sorelle, quello del marchese Odo con la sorella o figlia del Guiscardo, pertanto sorella o nipote di Ruggero I.
Il fatto che Tancredi sia sempre definito normanno non deve ingannare, è tipico di quasi tutti i testi storici ripetersi pedissequamente, e dare comunque rilevanza all'appartenenza al casato primario, prioritario e principale, quasi mai a quello considerato secondario, indipendentemente che sia di linea materna o paterna. Anche Ruggero II re di Sicilia è considerato da tutti gli storici e in tutti i documentari (anche della prestigiosa BBC inglese) come normanno, senza mai citare cha la madre era aleramica e quindi era per metà “lombardo”. Maschilisticamente si potrebbe affermare che la linea materna era di secondaria importanza, sia perché si applicava la legge salica (Lex Salica, che tra le varie norme contenute prevedeva che le figlie non potessere ereditare le terre saliche, cioé dei Franchi Sali, tribù germanica collocata nell'attuale Olanda Settentrionale) e quindi la successione era esclusivamente maschile, applicando l'istituto del maggiorasco (subentrava al potere e nel possesso del patrimonio famigliare il figlio primogenito) e sia perché il marito di nobile lignaggio di mogli poteva averne avute parecchie (anche perché le ripudiava o peggio), ma in tal caso il nostro Tancredi avendo come padre l'aleramico Odobono avrebbe dovuto essere considerato aleramico e solo dopo normanno, invece non avviene neppure il contrario, ma la discendenza aleramica è sistematicamente taciuta.
Concordo con il Lanza che difficilmente potremo mai risalire all'identità certa del personaggio, quasi sicuramente aleramico vastense, innanzi tutto perché gli studiosi di Piemonte e Sicilia si ignorano a vicenda, al di là di effimere e puramente mediatiche iniziative turisticheggianti, che sfruttano la storia solo come richiamo per sporadici eventi estemporanei e superficialmente culturali, le due regioni, accomunate dal passato medievale che sappiamo essere strettamente interconnesso, si snobbano e si guardano bene dall’intrecciare i loro studi e le loro ricerche storiografiche. In secondo luogo, è assai probabile che il marchese Odo Bono fosse molto giovane quando si è allontanato dalle terre vastensi e pertanto difficilmente può aver lasciato traccia di sè e se anche vi fossero, chissà in quali archivi o biblioteche potrebbero mai essere sepolte.

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In alcuni testi redatti dal Lanza ma mai pubblicati, tra i quali Traccia di un repertorio sommariamente ragionato delle carte attinenti alle famiglie aleramiche, nell’anno 1097, l'11 di settembre, a Bonato (Sicilia), è registrata notizia di una donazione, redatta in greco a suffragio delle anime dei fratelli e forse di altri parenti, fatta da “Odobono” a favore di un certo Sergio, monaco della chiesa di S. Ciriaco di Filati. Sempre all’anno medesimo, senza precisazione del mese né del giorno: una Litis contestatio in cui “Oddone bono marchione” compare in qualità di testimone, conservata in originale presso l’Archivio capitolare di Agrigento e cui accenna C. A. Garufi, in Gli Aleramici e i Normanni in Sicilia e nelle Puglie nella miscellanea “Centenario della nascita di M. Amari”, 1906, poi in volume a Palermo del 1910, a p. 190.
Il Lanza conclude convincendosi che l’Odo Bono meridionale sia uno solo e sempre il medesimo, che agisca in Sicilia o in Puglia, anche se contrasta la faccenda delle spose e dei figli, che paiono decisamente diversi. La prima cosa che andrebbe fatta è stabilire se ci siano stati due distinti Odo Bono, ambedue marchesi, negli stessi anni e nelle due distinte regioni. Sarebbe, quanto meno, singolare e raddoppierebbe i problemi d’identificazione con riferimento alle origini.
Sulla questione della moglie dal nome germanico longobardo, occorre rammentare che il longobardo Gisulfo II principe di Salerno e duca di Amalfi, dovette dare in sposa la sorella Sichelgaita a Guglielmo d'Altavilla fratello di Roberto il Guiscardo, per limitare le loro brame belliche di conquista e ricevere in cambio protezione (probabilmente alcune fonti storiografiche confondendosi l'assegnarono come sposa a Odo Bono marchese aleramico, come presunta madre di Tancredi).
In un altro documento in lingua greca datato 1126 si riporta invece che il marchese Odobono oltre a Emma ebbe come altra moglie Sichelgaita, e questo spiegherebbe la discrepanza tra documenti a proposito del nome della moglie, il personaggio è lo stesso, semplicemente ha avuto due mogli. In tal caso l'arcano si risolverebbe e saremmo pressoché certi che il famoso crociato Tancredi era figlio di un aleramico.
Non avremo mai la soddisfazione di sentirlo citare in qualche documentario storico e neppure nei testi accademici di storia, ma almeno noi monferrini saremo consapevoli di un altro tassello che unisce la grande storia con la nostra cosiddetta minore e locale.