Le
Crociate e gli Aleramici di Monferrato,
secondo
gli storici locali
(Parte
seconda)
di
Claudio Martinotti Doria
Nella
prima parte di questo sintetico saggio divulgativo mi sono
soffermato, come da titolazione precedente, sul modo in cui gli
storici francesi hanno minimizzato l'apporto alle crociate degli
italici in epoca medievale (quindi anche dei marchesi di Monferrato),
esaltando al contrario e in modo piuttosto arbitrario, il contributo
ad esse e quindi alla costituzione degli stati latini in Terra Santa
da parte dei Franchi, come fosse stato praticamente merito loro, sia
l'esito della prima Crociata (l'unica veramente vittoriosa) e sia la
costituzione dei quattro stati crociati nel Vicino Oriente, che
vennero infatti tramandati dalla storiografia come regni franchi
d'Oltremare.
Per
smentire tali appropriazioni indebite di meriti storiografici, che
confermano, semmai ce ne fosse bisogno, che la storia non è una
scienza esatta, ma solo una disciplina di studi cui ogni autore
apporta contributi a volte preziosi ma altre pregiudizievoli, avevo
citato diversi esempi, ai quali mi permetto di aggiungerne un altro
tra breve, che verrà sviluppato come argomento conduttore di questa
seconda parte della stesura.
In
questa seconda parte, pur riprendendo e approfondendo alcuni aspetti
ancora inerenti l'oggetto della prima, mi soffermerò maggiormente
sull'apporto fornito alle Crociate e agli stati latini in Terra
Santa, non tanto da parte dei marchesi di Monferrato, le cui gesta
nelle terre d'Oltremare sono state piuttosto studiate se non proprio
approfondite, quanto quelle degli altri aleramici, cercando anche di
cogliere alcuni aspetti finora inesplorati dalla storiografia,
inerenti il contributo diretto e soprattutto indiretto (capirete
meglio in seguito tale concetto) da parte di altre casate aleramiche,
in particolare i Del Vasto.
Non
pretendendo che i lettori abbiano un'ottima memoria, essendo
consapevole di quanto sia labile la mia, forse è meglio che ripeta
quanto scritto in precedenti articoli, per favorire la comprensione e
interpretazione di quanto mi accingo a riportare.
Premesso
che il marchese Aleramo fu il capostipite degli aleramici e si
suppone che sia defunto attorno al 991 d.C., i suoi discendenti si
divisero in due rami principali, cui gli storici attribuirono la
denominazione dei due figli superstiti di Aleramo (Oddone e Anselmo,
quest'ultimo fu l'unico figlio che sopravvisse al padre), che per
alcuni decenni convissero e condivisero la Marca Aleramica in una
sorta di consorteria familistica territoriale, che si presume sia
durata fino al 1085 d.C. (anche per questo motivo è ingiustificato
attribuire la nascita del marchesato di Monferrato al 967 d.C. come
fanno ancora troppi autori):
- gli
oddoniani, che poi diverranno marchesi di Monferrato e di Occimiano;
- gli
anselmiani, che diverranno marchesi di Sezzè, di Bosco e di Ponzone,
del Vasto (che a loro volta successivamente diverranno marchesi di
Incisa, di Saluzzo, Busca, Clavesana, Ceva, Savona-Carretto,
Cortemilia).
I
primi si collocheranno prevalentemente a nord dell'originaria Marca
Aleramica istituita a metà del X secolo, i secondi a sud,
soprattutto nell'astigiano, cuneese e in Liguria Occidentale. In
particolare la principale casata anselmiana, i Del Vasto sono spesso
citati dalla storiografia e dai genealogisti come marchesi della
Liguria Occidentale o marchesi di Savona.
Come
affermo frequentemente nei miei scritti è assolutamente improprio
assimilare gli aleramici con i Monferrato, come fosse un'equazione
inscindibile, per cui, quando da parte di qualche storico locale o
autore, si dovesse leggere un riferimento a un qualsiasi marchese
aleramico, l'accostamento automatico ai Monferrato è ingiustificato.
Purtroppo a volte accade che siano gli stessi storici e autori a
farlo al posto nostro, cioé identificano di loro iniziativa un
“aleramico” con un di Monferrato, sostituendo il secondo al
primo, rendendo in tal modo difficile la giusta identificazione dei
personaggi citati.
Nel
corso di questa stesura spero avrete acquisito maggior consapevolezza
del problema cui ho accennato, che rende difficile l'attività di
divulgazione storiografica cui mi dedico da decenni.
I
quattro stati crociati in Terra Santa, la Contea di Edessa, il
Principato d'Antiochia, la Contea di Tripoli e il Regno di
Gerusalemme
Boemondo
I d'altavilla, principe di Taranto, figlio di Roberto il
Guiscardo, fu uno dei comandanti crociati che riuscì a creare un
proprio regno nei territori conquistati durante la I Crociata, il
secondo in ordine cronologico e geografico (da nord a sud): il
principato di Antiochia, assumendo il titolo di principe d'Antiochia.
Riuscì
a impossessarsi di tale regno con l'astuzia, in quanto Antiochia, era
una città ricchissima (importante crocevia commerciale, si
producevano tessuti di seta, tappeti, vetro, ceramica, ecc.), ben
munita di possenti mura difensive e centinaia di torri, era
considerata inespugnabile, ed infatti dopo otto mesi di assedio da
parte degli eserciti crociati resisteva ancora.
Boemondo
ricorse allora all'astuzia, corrompendo un ufficiale turco che
consentì l'ingresso in città delle truppe di Boemondo, attraverso
gli accessi aperti dal traditore.
Pur
avendo giurato fedeltà all'imperatore bizantino, come del resto
quasi tutti i baroni e principi latini crociati, Boemondo non
manterrà fede all'atto di vassallaggio e anziché consegnargli la
città conquistata, con un espediente geniale riuscì ad allontanare
le truppe bizantine che costituivano parte dell'esercito crociato e
si insediò nel suo autoproclamato regno difendendolo da ogni
ingerenza esterna, negando ogni ulteriore appoggio al proseguimento
della crociata verso Gerusalemme.
Fu
uno degli episodi più gravi che contribuì a rendere ostili i
rapporti tra i crociati e Costantinopoli (Bisanzio), e legittimamente
diffidenti i bizantini (greci) verso i crociati ed europei in genere,
i quali col tempo li ricambiarono con ancor maggior veemenza e
faziosità.
A
questo punto occorre a mio avviso fornire un paio di precisazioni dal
punto di vista giuridico interpretativo:
- per
l'Impero Bizantino (Impero Romano d'Oriente) le terre che i crociati
andavano a conquistare appartenevano alla giurisdizione dell'Impero,
venivano considerate temporaneamente non in possesso perché occupate
da nemici, ma di loro diritto in quanto possedimenti imperiali
secolari, per cui i principi o baroni latini che partecipavano alla I
Crociata, avendo compiuto atto di vassallaggio all'Imperatore, in
cambio del quale avevano ricevuto generosi doni e concessioni, man
mano che le “riconquistavano” avrebbero dovuto consegnarle
all'Imperatore che semmai le avrebbe condivise con loro, in cambio
avrebbero ricevuto incarichi governativi prestigiosi e altamente
remunarati, rendite, onori, ecc..
- per
i baroni e principi latini al contrario le terre conquistate nel
Vicino Oriente erano rex nullius, in quanto tolte agli infedeli e
pertanto spettanti di diritto ai vincitori.
Non
spetta a noi, gente del XXI secolo giudicare con i nostri attuali
parametri culturali e morali, sta di fatto che entrambi a loro modo
avessero le loro ragioni, ma i crociati compiendo atto di
vassallaggio all'Imperatore di Bisanzio, per poi violarlo alla prima
occasione, hanno certamente adottato un comportamento indegno (anche
se era diffusissimo all'epoca) che infrange le regole del
feudalesimo, per poi paradossalmente applicare le stesse regole a
loro beneficio nella realizzazione dei regni crociati in Terra Santa.
Infatti
il Regno di Gerusalemme, col quale si identificano culturalmente
tutti gli stati latini nel Vicino Oriente nel Medioevo, in realtà
non controllava affatto tutti gli stati costituitisi, cioé i suoi
vassalli (sia quelli interni allo stesso regno sia quelli esterni e
ancora più potenti di Edessa, Antiochia e Tripoli) lo faceva solo
nominalmente, ma in effetti ogni barone o principe latino era un
sovrano nella sua giurisdizione, ed infatti spesso era in contrasto,
non collaborava affatto e non ubbidiva agli ordini del re di
Gerusalemme, se non in caso di estrema emergenza per conbattere
unitamente e compattamente eserciti invasori (ma anche in tal caso
con qualche eccezione e continui conflitti e gelosie a livello di
comando, sfiorando spesso il rischio di compiere alto tradimento). Di
esempi se ne potrebbero fare a iosa, soprattutto da parte dei
principi franchi, che con i loro comportamenti avidi, egoistici e
irresponsabili, hanno condotto varie volte il regno di Gerusalemme
incontro alla catastrofe, rompendo tregue in corso o provocando
guerre che erano evitabili, e c'è da domandarsi come abbia potuto
resistere così a lungo, se non per grazia di alcuni sovrani
particolarmente saggi e dotati di capacità diplomatiche, strategiche
e di comando.
Boemondo
d'Altavilla era un principe normanno del Meridione d'Italia, non un
franco, e non l'ho citato a caso, in quanto in questa seconda parte
di queste brevi divagazioni mi riferirò al famoso crociato Tancredi
d'Altavilla, divenuto celebre per le sue imprese belliche,
riportate nella biografia del cronista Radulfo di Caen che era
al seguito di Boemondo e Tancredi durante la I crociata, ma
soprattutto a livello letterario grazie allla “Gerusalemme
Liberata” di Torquato Tasso.
Dipinto
raffigurante l'assedio d'Antiochia
Tancredi
era nipote di Boemondo e lo seguì nell'impresa in Terra Santa
coprendosi di gloria, divenne fin da subito, per diritto di
conquista, principe di Galilea e signore di Tiberiade e di Caifa
(rispettivamente il principale feudo vassallo del Regno di
Gerusalemme e la sua principale città e il suo porto più
importante), poi successivamente divenne reggente del principato
d'Antiochia negli anni in cui lo zio Boemondo rimase prigioniero dei
turcomanni, e divenne pure reggente della grande contea di Edessa (il
primo regno latino a costituirsi ma anche il più difficile da
presidiare), si impossessò anche della famosa fortezza nota come
Krak dei Cavalieri (Ospitalieri) situato nella contea di Tripoli sul
fiume Oronte (ritenuta inespugnabile), In pratica sia come titoli e
sia come possedimenti territoriali sotto il suo controllo, aveva
molto più potere e godeva di maggior prestigio del re di
Gerusalemme.
Tancredi
era ritenuto sia dai cronisti dell'epoca che da molti storici moderni
e contemporanei un prode guerriero, un vero nobile normanno, astuto,
avido, ambizioso, duro, austero, di poche parole, una furia in
combattimento, distinguendosi in diverse operazioni belliche nel
corso della I Crociata a fianco di Boemondo e anche per conto suo con
le sue truppe. Divenne una figura di spicco, egemone, prestigiosa
non solo tra i nobili latini ma anche tra i principi mussulmani che
ne avevano rispetto, finché mori all'età di 50 anni nel 1112
probabilmente di tifo.
Il
perché mi soffermerò a lungo su di lui emergerà in seguito alla
vostra paziente lettura.
Estratto
della cartina del Regno di Gerusalemme nel periodo successivo alla I
Crociata, con riprotati i centri principali, molti dei quali soggetti
alla signoria di Tancredi d'Altavilla.
Leggendo
svariati testi sulle crociate in mio possesso, per estrarre
informazioni sulla partecipazione degli aleramici di Monferrato alle
stesse, mi sono imbattuto in parecchie citazioni di Tancredi
d’Altavilla come figlio di un certo Oddone di Monferrato (in
altre versioni riportato come Oddone Bonmarchis, il Buon marchese o
Marchisius, Odobono o Odone Bono, ecc., quasi tutti lo riportano come
fosse appartenente alla dinastia dei di Monferrato, alcuni autori si
limitano invece a definirlo un principe piemontese, cosa peraltro
impropria in quanto all'epoca l'area geografica in oggetto era
definita “Lombardia” e lombardi i suoi abitanti), il quale
sarebbe stato marito di Emma d’Altavilla sorella di Boemondo
principe di Taranto e d’Antiochia.
Stante
le premesse sopra riportate, sapendo che i marchesi di Monferrato che
hanno partecipato alle Crociate sono tutti ben identificati e la
Terra Santa avrà loro portato gloria e onori (moderatamente,
peraltro) ma non certo fortuna e ricchezza, semmai il contrario,
essendo la partecipazione alle crociate assai dispendiosa e avendo
trovato essi la morte in tempi relativamente brevi (oltre a Guglielmo
il Vecchio, e i suoi figli Corrado e Guglielmo detto
Lungaspada, rammentiamo anche i marchesi morti nei Balcani dopo
la IV Crociata, per regnare, difendere o recuperare il regno di
Tessalonica, come Bonifacio I e il figlio Guglielmo VI),
ho subito pensato che tale personaggio, praticamente ignoto alla
storiografia ufficiale, appartenesse probabilmente al casato
aleramico del Vasto-Savona, come Adelaide o Adelasia del Vasto
o di Savona (sono sempre molteplici i modi in cui i cronisti e gli
storici identificano gli stessi personaggi, creando nei profani, ma
anche tra gli addetti ai lavori, una certa confusione), che molti
ancora oggi definiscono impropriamente Adelasia di Monferrato, sposa
del granconte Ruggero I di Sicilia e madre di Ruggero II.
Personaggio femminile di primaria importanza e valore, una delle più
ricche e potenti donne della sua epoca (reggente del regno di Sicilia
e regina di Gerusalemme, portando in dote al regno crociato ben nove
navi cariche d'oro e pietre preziose), di cui accennai nella prima
parte della stesura.
Quindi
se le cose stessero veramente così, il celebre Tancredi sarebbe per
metà di sangue aleramico o addirittura di Monferrato, se ci
accontentassimo di superficiali e approssimative attribuzioni
storiografiche.
Trovandomi
in difficoltà e non peccando di orgoglio, ho ritenuto opportuno
richiedere collaborazione all'anziano amico Manfredi Lanza,
che alcuni tra voi rammenteranno, essendo stato un coautore della
rubrica storica su Casale news. L'ho interpellato in quanto storico
dinastico degli aleramici discendenti dai del Vasto, essendo lui un
discendente dei Lancia poi divenuti Lanza, che hanno seguito Adelasia
del Vasto in Sicilia quando andò in sposa al granconte Ruggero I e
assunsero col tempo l’investitura di decine di feudi e titoli anche
principeschi nell’isola fino all’Età Moderna, ma si è trovato
anche lui spiazzato.
Ho
coinvolto anche il noto e stimato medievista Aldo Angelo Settia,
che ringrazio per la sollecita risposta, ma che purtroppo come
temevo, non ha potuto fornirmi alcun apporto, essendo specializzato
sulla storia degli aleramici di Monferrato e non sulle altre
dinastie.
Espongo
in seguito una sintesi di quanto ho potuto appurare in un vero e
proprio calderone di notizie approssimative e contrastanti, emerse
dai vari testi da me posseduti e consultati e dalle numerose
interazioni con Manfredi Lanza.
- In
uno dei testi consultati, “Tancredi” principe di Antiochia
risulterebbe figlio di Emma e di un Eude (cioè pur sempre
Oddone, ma in versione francese del nome, e siccome i normanni
recatisi in Meridione d'Italia erano linguisticamente francofoni –
non farebbe automaticamente pensare agli aleramici). Se non che’ il
Lanza si è poi imbattuto in un “Oddone” detto il Buon Marchese,
uomo d’arme (sec. 11°-12°), di origine piemontese, venuto nel
Mezzogiorno d’Italia al seguito di Adelaide moglie di Ruggero,
granconte di Sicilia, che sposò una sorella di Boemondo di Taranto,
dalla quale ebbe Tancredi, il famoso crociato”.
Tancredi
di Galilea o d'Altavilla in un olio su tela di Merry-Joseph Blondel
- In
un altro testo consultato è emerso che è esistito un Ottone
(Oddone) di Sicilia o Odobono o Odone Bono, marchese in Sicilia (Odo
Bonus Marchisius), che avrebbe preso valida parte alle ultime fasi
della campagna normanna di conquista dell’Isola sugli arabi (come
comandante in capo delle truppe normanne del granconte Ruggero) e
risultava documentata in particolare la sua presenza nell’isola
negli anni dal 1094 al 1097. Non solo il suo nome personale, ma
soprattutto la qualifica attribuitagli di “marchese” (estranea
alla Sicilia e al costume normanno) ha indotto diversi autori a
reputarlo un aleramico, da cui la supposizione (molto probabilmente
errata) di Monferrato. E in questo caso, sarebbe certamente approdato
nell’isola al seguito di Adelaide di Savona (Del Vasto). Risulta,
però, coniugato con una certa Sichelgaita (dal
nome germanico si tratta molto probabilmente di una longobarda del
sud Italia). Avrebbe avuto prole, ma su di essa non si sa nulla.
Che
il marchese fosse un aleramico non credo possano sussistere dubbi,
sono troppi gli indizi a favore di questa tesi, a partire dal nome
Oddone o Ottone da cui Odone riportato nei testi antichi, nome
tipicamente aleramico, e poi il titolo nobiliare di marchese, tipico
del nord Italia, estraneo ai normanni che erano conti, duchi o
principi. Inoltre sappiamo, come ho ancora ribadito nella prima parte
di questo saggio, che al seguito di Adelaide del Vasto, oltre a
diversi componenti del suo gruppo famigliare, nei decenni successivi
decine di migliaia di migranti lombardi (come venivano chiamati
all'epoca), provenienti soprattutto dai feudi aleramici piemontesi e
liguri, che si stima in numero di circa 100mila, sbarcarono in
Sicilia sicuramente in seguito ad accordi pianificati coi normanni,
per insediarsi in vastissime zone insulari orientali dal Tirreno allo
Ionio.
- Il
Lanza mi riferisce inoltre di un altro Odobono, forse appartenente al
casato aleramico degli Incisa, che in quell’epoca era presente in
Puglia, quindi anch’esso sotto il dominio dei normanni, in tal caso
più prossimo ai possedimenti dei principi Boemondo di Taranto e di
Tancredi. Probabilmente questi due Odobono sono stati confusi tra
loro, in quanto i casi di omonimia erano abbastanza frequenti, anche
se come nome doveva essere alquanto insolito all'epoca e in quelle
contrade e non dovrebbe favorire sovrapposizioni e fraintendimenti,
oppure sono stati commessi errori di identificazione e collocazione
geografica di uno stesso individuo, facendone sorgere due, mentre in
realtà il personaggio è unico e si era semplicemente e
temporaneamente spostato.
Su
alcuni testi di storia locale, cosiddetta minore e generalmente
trascurata, inerenti diverse regioni storiche peninsulari e insulari,
di cui dispongo per grazia degli storici locali con cui interagisco
che m’inviano le loro pubblicazioni, ho trovato diversi riferimenti
a un personaggio con un nome simile, che potrebbe corrispondere ma
anche essere solo un caso di analogia e omonimia.
Cito
qualche esempio:
- Diversi
testi di storici locali fanno riferimento a un antichissimo documento
(pergamena in lingua greca) del Mezzogiorno d’Italia, all’epoca
della dominazione normanna (con specifico riferimento a territori
campani e calabresi), datato settembre 1097: “LXIV. (1097) –
Mense Septembri – Indict. VI. – Odo Marchisius Sergio monacho
donat ecclesias sancti Phantini et sanctae Cyriacae, cum facultate
aedificandi ibidem monachorum domos”, si cita un signore normanno:
‘Odo Marchisius’, che nell’anno 1079 concedeva un privilegio a
un monaco di Vibonati per costruire un monastero a Scido (in
Aspromonte, provincia di Reggio Calabria).
Il Il personaggio Normanno ‘Odo Marchisio’, ricorrerà spesso su altri
documenti dell’epoca ed è sempre citato con il titolo di marchese
e donerà terre per costruire monasteri in Calabria e Campania,
rivelando pertanto di essere un personaggio di nobile lignaggio e
piuttosto benestante e generoso.
- La
Famiglia Normanna dei Marchisio, secondo alcuni storici locali, aveva
in feudo in quell’epoca alcune terre del Cilento (attualmente in
Campania ma anticamente era Lucania) che pare disponessero del rango
di marchesato, cosa alquanto insolita nei domini normanni che erano
prevalentemente contee e ducati, non mi risulta infatti vi fossero
nobili “normanni” con l’investitura di marchesi. E' molto
probabile che il cognome Marchisio loro attribuito derivi dal titolo
di marchese e sia stato assunto molto successivamente all'investitura
feudale, oppure è stato attribuito impropriamente dagli autori, che
avranno confuso il titolo nobiliare col cognome della dinastia, non
essendo avvezzi a tale titolo nel Medioevo nel Mezzogiorno d'Italia.
Del resto è comune che la storiografia locale pecchi di questi
errori, assai diffusi, sia per una certa dose di improvvisazione, e
sia perché mancano sufficienti basi storiche agli autori, non
potendo oltrettutto prretendere che chiunque si accinga a scrivere di
cose storiche abbia letto e appreso tutto lo scibile umano inerente
precedentemente pubblicato.
- Alcuni
storici locali nei loro testi sono convinti che Oddone Bonmarchis (il
Buon Marchese, a volte denominato Oddone Buon Marchisio), fosse sposo
di Emma, figlia primogenita di Roberto d'Altavilla detto il Guiscardo
(duca di Puglia e Calabria e Signore di Sicilia) e quindi sorella di
Boemondo prrincipe di Taranto, e appartenesse alla nobile famiglia
dei signori di Monferrato (altri storici locali si limitano a
definirlo di origine e provenienza “piemontese”). Se così
stessero le cose sarebbe indubbiamente il padre di Tancredi
d'Altavilla.
Un
bel mistero o meglio: un guazzabuglio.
Com’è
possibile che ci sia così tanta confusione ed approssimazione su un
marchese dell'XI secolo? Titolo peraltro inusuale per non dire
inesistente tra i normanni e di rango piuttosto elevato, superiore
alla maggioranza dei titoli nobiliari normanni, che erano
prevalentemente conti. E titolo anche più raro di quanto si creda,
nella stessa Italia settentrionale in quell'epoca.
Noi
sappiamo che i marchesi di Monferrato si sono recati in Terra Santa
(e ci sono anche morti) e in seguito nei Balcani a depredare
Costantinopoli con la Quarta Crociata creando il Regno Latino di
Tessalonica, ma non ci risulta che alcuni di loro siano mai andati
nel Regno di Sicilia e/o abbiano partecipato alla prima crociata al
seguito dei normanni del Meridione. Semmai sia stato effettivamente
un marchese aleramico, il nostro ignoto personaggio è molto
probabile che fosse un del Vasto.
A
questo punto Manfredi Lanza mi rammenta che “Bono”, soprannome
attribuito a entrambi i personaggi, sia il marchese siciliano e sia
quello pugliese, cui fanno riferimento gli storici locali, non è un
soprannome molto diffuso. Rammenta l'abbreviativo o diminutivo che il
marchese Tete (Ottone del Vasto, detto anche Teuto o
Teotone) aveva attribuito al suo terzogenito, da lui destinato alla
religione o a opere pie e che era invece assurto brevemente al
marchesato a seguito della morte improvvisa e violenta dei fratelli
Manfredi (o Manfredo) e Anselmo, trucidati a
furor di popolo a Savona nel 1079 d.C. durante un tentativo di
rapimento di una giovane promessa sposa, nel giorno stesso delle
nozze, che i prepotenti marchesi – narrano alcuni cronisti liguri
– avrebbero voluto invece affidare al fratello minore Ottone, detto
tradizionalmente Oddone o Oddo. Di questo Oddo, dopo l'episodio di
sangue si perdono le tracce, come si fosse volatilizzato.
Se
fosse proprio lui l’Odo Bono di Sicilia? Se fosse lui, avrebbe
potuto fregiarsi legittimamente del titolo di “marchese”, in
quanto tale di lignaggio e pure zio della grancontessa Adelaide,
figlia di Anselmo e nipote di Bonifacio del Vasto
(divenuto suo tutore),
che dai cronisti dell'epoca (anche normanni) veniva definito il più
potente e famoso marchese d'Italia, avendo esteso enormemente il
proprio marchesato in ampie porzioni dell'attuale Piemonte e Liguria.
E'
ovviamente solo una congettura che il Lanza ha abbozzato e tale deve
rimanere, un'ipotesi e nulla più.
La
sua altamente probabile appartenenza all’alveo vastense è data dal
fatto che è stato Bonifacio del Vasto ad inviare, nel 1089, una
nutrita schiera di “lombardi” in appoggio ai normanni in Sicilia,
combinando l’immediato matrimonio della nipote Adelaide (di Savona)
con il granconte Ruggero I d’Altavilla, da poco vedovo di Eremburga
di Mortaing, e altresì di due sue sorelle con figli del granconte.
Non
molti anni dopo, il fratello di Adelaide, Enrico, è approdato
anch’egli in Sicilia e ha sposato a sua volta una figlia naturale
del granconte, Flandrina o Flandina. È plausibile che nella
pianificazione del patto d’alleanza sia stato contemplato anche un
altro matrimonio, forse coevo di quelli di Adelaide e delle di lei
sorelle, quello del marchese Odo con la sorella o figlia del
Guiscardo, pertanto sorella o nipote di Ruggero I.
Il
fatto che Tancredi sia sempre definito normanno non deve ingannare, è
tipico di quasi tutti i testi storici ripetersi pedissequamente, e
dare comunque rilevanza all'appartenenza al casato primario,
prioritario e principale, quasi mai a quello considerato secondario,
indipendentemente che sia di linea materna o paterna. Anche Ruggero
II re di Sicilia è considerato da tutti gli storici e in tutti i
documentari (anche della prestigiosa BBC inglese) come normanno,
senza mai citare cha la madre era aleramica e quindi era per metà
“lombardo”. Maschilisticamente si potrebbe affermare che la linea
materna era di secondaria importanza, sia perché si applicava la
legge salica (Lex Salica, che tra le varie norme contenute prevedeva
che le figlie non potessere ereditare le terre saliche, cioé dei
Franchi Sali, tribù germanica collocata nell'attuale Olanda
Settentrionale) e quindi la successione era esclusivamente maschile,
applicando l'istituto del maggiorasco (subentrava al potere e nel
possesso del patrimonio famigliare il figlio primogenito) e sia
perché il marito di nobile lignaggio di mogli poteva averne avute
parecchie (anche perché le ripudiava o peggio), ma in tal caso il
nostro Tancredi avendo come padre l'aleramico Odobono avrebbe dovuto
essere considerato aleramico e solo dopo normanno, invece non avviene
neppure il contrario, ma la discendenza aleramica è sistematicamente
taciuta.
Concordo
con il Lanza che difficilmente potremo mai risalire all'identità
certa del personaggio, quasi sicuramente aleramico vastense, innanzi
tutto perché gli studiosi di Piemonte e Sicilia si ignorano a
vicenda, al di là di effimere e puramente mediatiche iniziative
turisticheggianti, che sfruttano la storia solo come richiamo per
sporadici eventi estemporanei e superficialmente culturali, le due
regioni, accomunate dal passato medievale che sappiamo essere
strettamente interconnesso, si snobbano e si guardano bene
dall’intrecciare i loro studi e le loro ricerche storiografiche. In
secondo luogo, è assai probabile che il marchese Odo Bono fosse
molto giovane quando si è allontanato dalle terre vastensi e
pertanto difficilmente può aver lasciato traccia di sè e se anche
vi fossero, chissà in quali archivi o biblioteche potrebbero mai
essere sepolte.
Il
famoso Krak dei Cavalieri (Ospedalieri) era la fortezza di controllo
e difesa più avanzata della contea di Tripoli. Poteva disporre di
una guarnigione di 2000 effettivi tra cavalieri e fanti organizzata
per essere autonoma e resistere a lunghissimi assedi.
In
alcuni testi redatti dal Lanza ma mai pubblicati, tra i quali Traccia
di un repertorio sommariamente ragionato delle carte attinenti alle
famiglie aleramiche, nell’anno 1097, l'11 di settembre, a
Bonato (Sicilia), è registrata notizia di una donazione, redatta in
greco a suffragio delle anime dei fratelli e forse di altri parenti,
fatta da “Odobono” a favore di un certo Sergio, monaco della
chiesa di S. Ciriaco di Filati. Sempre all’anno medesimo, senza
precisazione del mese né del giorno: una Litis contestatio in
cui “Oddone bono marchione” compare in qualità di testimone,
conservata in originale presso l’Archivio capitolare di Agrigento e
cui accenna C. A. Garufi, in Gli Aleramici e i Normanni in Sicilia
e nelle Puglie nella miscellanea “Centenario della nascita di
M. Amari”, 1906, poi in volume a Palermo del 1910, a p. 190.
Il
Lanza conclude convincendosi che l’Odo Bono meridionale sia uno
solo e sempre il medesimo, che agisca in Sicilia o in Puglia, anche
se contrasta la faccenda delle spose e dei figli, che paiono
decisamente diversi. La prima cosa che andrebbe fatta è stabilire se
ci siano stati due distinti Odo Bono, ambedue marchesi, negli stessi
anni e nelle due distinte regioni. Sarebbe, quanto meno, singolare e
raddoppierebbe i problemi d’identificazione con riferimento alle
origini.
Sulla
questione della moglie dal nome germanico longobardo, occorre
rammentare che il
longobardo Gisulfo II
principe di Salerno e
duca di Amalfi, dovette dare in sposa la sorella Sichelgaita
a Guglielmo
d'Altavilla fratello
di Roberto il Guiscardo, per limitare le loro brame belliche di
conquista e ricevere in
cambio protezione
(probabilmente alcune fonti storiografiche confondendosi
l'assegnarono come sposa a Odo Bono marchese aleramico, come presunta
madre di Tancredi).
In
un altro documento in lingua greca datato 1126 si riporta invece che
il marchese Odobono oltre a Emma ebbe come altra moglie Sichelgaita,
e questo spiegherebbe la discrepanza tra documenti a proposito del
nome della moglie, il
personaggio è lo stesso, semplicemente
ha
avuto due mogli. In
tal caso l'arcano si risolverebbe e saremmo pressoché certi che il
famoso crociato Tancredi era figlio di un aleramico.
Non
avremo mai la soddisfazione di sentirlo citare in qualche
documentario storico e neppure nei testi accademici di storia, ma
almeno noi monferrini saremo consapevoli di un altro tassello che
unisce la grande storia con la nostra cosiddetta minore e locale.