Quanto riportato circa mezzo secolo fa, una critica allo scientismo di Giuseppe Sermonti recensito da Julius Evola, due eminenti pensatori del novecento, è quanto mai attuale, e ci fa capire quanto pochi siano stati a pensarla come loro tra l'intellighenzia italiana, in questi decenni. Claudio
La religione della scienza
Lo “scientismo” è una specie
di religione della scienza, della scienza moderna, la quale si suppone
sia in grado di fornire un’autentica conoscenza della realtà e di
risolvere anche, con le sue applicazioni tecniche, ogni problema umano e
di condurre verso un radioso avvenire. Questa infatuazione fece la
prima apparizione al principio del secolo, trovando perfino una
espressione coreografica nel balletto “Excelsior” in cui si esaltavano
le conquiste della scienza del tempo e si inneggiava alla vittoria della
Ragione e della Scienza, strumenti del Progresso, sull'”oscurantismo”,
vittoria che avrebbe avviato anche verso la fraternità universale.
Malgrado
tutto ciò che è avvenuto nel frattempo e malgrado il sorgere di una
critica immanente alla scienza, un simile atteggiamento persiste
tuttora, in certi ambienti. Sebbene Ugo Spirito (già gentiliano e oggi
comunista) come filosofo sia una nullità, pure egli ci offre un esempio
caratteristico del perdurante scientismo. Secondo lo Spirito, la scienza
prende il posto della metafisica e della filosofia, e siccome nei
riguardi delle verità della scienza vi è un consenso universale, di là
da ogni frontiera, così nella scienza si potrebbe ravvisare anche la
base per l’unità dei popoli. È deplorevole che col titolo
Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?
l’editore Rusconi abbia fatto uscire un libro in cui si dà la parola
appunto allo Spirito, anche si vi si aggiunge una discussione critica di
Augusto Del Noce. Il Del Noce in fondo si mette sullo stesso piano
intellettuale dello Spirito e sembra saper poco circa i veri valori
tradizionali. Secondo noi, in casi simili non si dovrebbe per nulla
discutere, si dovrebbe opporre seccamente ciò che i francesi chiamano
“une fin de non recevoir”: respingere e basta.
Presso lo stesso editore Rusconi è tuttavia uscito più recentemente anche un libro di Giuseppe Sermonti intitolato
Crepuscolo dello scientismo.
Forse il titolo non è del tutto adeguato, perché si tratta piuttosto di
una “critica” dello scientismo; di un “crepuscolo” di esso, come si è
accennato, oggi non essendo purtroppo il caso di parlare (va rilevato,
fra l’altro, il valore dato al mito della scienza dal marxismo, dal
comunismo e dalle ideologie “progressiste” in genere). Le critiche del
Sermonti sono valide e pertinenti, sebbene non sempre originali, e si
portano anche su dominî specializzati. Il libro merita di essere letto
perché liquida molte fisime dello scientismo, che possono far presa
sugli sprovveduti.
Due aspetti vanno considerati nella
presa di posizione critica di fronte alla scienza moderna. Il primo
riguarda il valore di conoscenza della scienza, il secondo riguarda le
sue applicazioni.
Circa il primo aspetto, già da tempo è
stato relativizzato il valore della scienza, per opera non di estranei
ma di epistemologi, di un Poincaré, di un Boutroux e di un Le Roy al
principio del secolo, poi da un Braunschwicg, da un Meyerson e da molti
altri. Il Sermonti ha ripreso i loro argomenti, mettendo in chiaro due
punti. La scienza moderna (specie come scienza della natura) si è
costruita e si è sviluppata in base ad una scelta limitatrice (per non
dire mutilatrice) operata nella realtà; nella realtà essa considera
unicamente quel che è misurabile e traducibile in formule matematiche.
Il resto – tutto ciò che ha un carattere qualitativo, irripetibile e
legato a significati – essa lo considera inesistente, irrilevante,
“soggettivo”, disturbatore. Il risultato è la creazione di qualcosa di
astratto e perfino di inumano, a cui non può attribuirsi il valore di
una conoscenza in un senso proprio, concreto e vivo: tanto che la
scienza ultima, completamente algebrizzata, è divenuta incomprensibile
fuor da una ristretta cerchia di specialisti.
Pertanto,
tutto il sapere “scientifico” è staccato dall’esperienza umana, non è
per nulla un’integrazione di essa. Il significato ultimo di ciò che io
vedo, di ogni processo e fenomeno – luce, sole, fuoco, mari, cielo,
piante che fioriscono, esseri che nascono e che muoiono – non ne è reso
affatto più trasparente. Anzi, al contrario: perché a carico del sapere
scientifico si deve mettere non soltanto questa dislocazione del
pensiero in una sfera astratta, ma altresì la “desacralizzazione” in
genere del mondo, l’oscuramento di quel che in esso può avere il
carattere di un simbolo, di un significato, di riflesso di un ordine
superiore. Chi ha avuto la mente riempita da nozioni scientifiche
“positive” già nella scuola, non può non formarsi uno sguardo che vede
sotto una forma disanimata e grigia tutto ciò che ci circonda e che
quindi agisce in un senso distruttivo.
La realtà è che la scienza moderna, più
che mirare alla conoscenza del senso integrale e tradizionale, è
informata dall’esigenza pratica, dall’impulso a dominare il mondo e ciò
già nei suoi procedimenti. Tutto il sistema della scienza – avemmo già a
scrivere – «è una rete che si stringe sempre più intorno ad un quid
che resta incomprensibile, al solo fine di poterlo assoggettare a scopi
pratici». E lo scientismo trova il suo alibi preferito in tutto ciò che
nelle sue applicazioni tecniche la scienza ha reso possibile; di fatto,
oggi la scienza non interessa tanto come conoscenza, quanto come uno
strumento efficace per aumentare il benessere, la ricchezza e la potenza
materiale.
Ora,
mettendo da parte alcuni settori, forse quelli della medicina e
dell’igiene, qui s’impone però la considerazione delle responsabilità
che ha avuto la scienza nella costruzione di una società la quale ha
finito con l’avere il volto di una mera società consumistica e
tecnologica che suscita ormai crescenti reazioni contestatarie. Nel suo
libro il Sermonti considera anche questi aspetti. In fondo, non vi è
nulla che non si paghi. Non si tratta degli aspetti più cospicui, e un
po’ troppo spesso messi in risalto, delle eventuali catastrofi provocate
da un uso non pacifico dell’energia termo-nucleare e delle molteplici
contaminazioni che subisce la natura nell’aria, nelle acque e nel suolo.
Sono anche da tener presenti processi interni, nel quadro di contributi
dati dalla scienza e dalla tecnologia a sviluppi dell’economia i quali
hanno preso la mano all’uomo. Alludiamo alla situazione nella quale non
si creano tanto dei prodotti per i bisogni naturali dell’uomo, quanto si
tende a suscitare e ad alimentare desideri nelle masse dato il
moltiplicarsi dei prodotti sul mercato. Da ciò deriva un crescente
condizionamento dell’uomo moderno (messo ben in risalto anche dal
Marcuse), condizionamento, peraltro, che dalla maggioranza dei nostri
contemporanei viene spensieratamente accettato, perché per essa
rinunciare a date comodità e facilità è un prezzo troppo alto per
assicurarsi un maggior grado di autonomia.
Quando il Sermonti rileva che di fronte a
sviluppi del genere non si deve pensare quasi ad un fato tecnologico ma
occorre richiamare l’uomo alle sue responsabilità, egli ha
perfettamente ragione. E, secondo noi, egli non ha meno ragione
nell’indicare in un nuovo gusto per la sobrietà e la semplicità il
miglior mezzo per tornare ad un modo di vivere normale. Purtroppo dato
il clima predominante, non si possono non riconoscere i lati utopistici
di questa ragionevole soluzione. Anche di recente in Italia non abbiamo
forse udito uomini politici ripetere sempre di nuovo che l’unico modo
per superare la crisi economica è l’incremento della produzione (in base
ad un incremento degli investimenti)? Ebbene, l’accresciuta produzione
esige non la riduzione ma l’aumento dei bisogni, confermando il circolo
chiuso dianzi accennato. Più valida sarebbe l’immagine di Werner
Sombart, il quale ha paragonato la produzione e l’economia moderna
esasperata dalla tecnologia come un “gigante scatenato” che bisognerebbe
frenare, ad ogni costo, in nome di valori umani superiori.
Tornando al Sermonti ci sembra che le
sue acute critiche alla scienza moderna e allo scientismo manchino però
di una controparte positiva giustificatoria, che sarebbe l’indicazione
di un diverso tipo di conoscenza (come ha fatto la scuola
tradizionalista, ad esempio un
Guénon,
un Schuon, un Burckhardt). In secondo luogo, bisogna fare delle riserve
quando il Sermonti accusa di un «despotismo totalitario esercitato
sulla natura e sulla terra» e auspica che si «conceda un occhio di
riguardo per esse», per non diventare «a lungo andare, loro ospiti poco
graditi». Certo, un atteggiamento contemplativo contemperatore di contro
alla brutale presa tecnica e sfruttatrice della natura corrisponde ad
una esigenza giusta. Tuttavia bisognerebbe tenersi nel giusto mezzo,
evitando di finire in un naturalismo idilliaco alla Thoreau, se non pure
alla Rousseau.
* * *
Originariamente pubblicato sul quotidiano
Roma, 1971. Ora in J. Evola,
I testi del «Roma», Edizioni di Ar, Padova 2008.
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