Spesso si trovano dati contrastanti su media
diversi in merito alla stessa notizia. Solitamente molti dicono una cosa
e pochi dicono il contrario. A chi credere? Ovviamente il lettore
arriverà alla verità in base alla suo personalissimo ragionamento. Però
riflettere a fondo e capire diventa sempre più difficile anche per i più
informati: il complesso mondo dei media e della raccolta delle
informazioni risulta apparentemente semplificato in quanto estremamente
diversificato.
"Trecento società dominano il mercato
dell'informazione. Di queste società 144 appartengono all'America del
Nord, 80 all'Europa, 49 al Giappone e 27 al resto del mondo. 4 agenzie
tra queste trecento gestiscono l'80% del flusso delle notizie: sono le
americane Associated Press e United Press International, la britannica
Reuter e la francese France Press. La quasi totalità delle informazioni
del Sud del mondo passa attraverso queste grandi agenzie di stampa prima
di raggiungere i nostri giornali e i nostri Tg"1. L'interessante
virgolettato, anche se datato di qualche anno, aiuta a fare chiarezza
sul reale flusso delle informazioni e sui dati che vengono forniti ai
fruitori finali dei mezzi d'informazione.
Giornalisti che ci hanno preceduto hanno lasciato
importanti annotazioni e articoli su come vengano manipolate certe
informazioni e di come certe strutture tentino di condizionare
l'opinione pubblica tramite le agenzie di stampa, a volte a loro
insaputa. Secondo Carmine Pecorelli: "Le agenzie di stampa sono il
grande rubinetto dal quale sgorga il greggio. Insieme ne sono anche il
filtro. Da esse i giornalisti attingono la materia prima detta
'notizia', da fornire al lettore-consumatore sotto forma di
informazione, già depurata e raffinata dalle scorie. Comandare il
rubinetto, cioè determinare ed orientare il flusso del prodotto greggio,
quindi ritardare, filtrare o negare le notizie, significa ridurre e
censurare, entro limiti più o meno vasti, il diritto dell'informazione.
La scelta delle notizie erogate, o l'eliminazione di quelle censurate, è
sempre legata a considerazioni di carattere politico e, in senso più
esteso, economico"2.
Un vecchio detto sostiene che "tutto il mondo è
paese" e proprio per questo si trovano forti analogie tra Paese e Paese.
Qualche autorevole osservatore straniero ha sollevato dubbi sul sistema
americano al quale peraltro si tende a fare affidamento e a prendere
come modello. Secondo l'americano Noam Chomsky, uno dei massimi pensatori contemporanei: "Sono
i grandi giornali e le catene televisione che fabbricano o manipolano
l'opinione pubblica dell'ottanta per cento della popolazione. C'è un
modo di trattare le notizie, sceglierle, limitarle e rilanciarle che è
funzionale alla élite del potere. È un sistema pervasivo al quale è
impossibile sottrarsi. Negli Stati Uniti ci sono circa 1800 giornali, 11
mila settimanali, 11 mila stazioni radio, 200 stazioni televisive, 2500
case editrici. Più del cinquanta per cento di tutto questo è
controllato da una ventina di società. La loro fonte di sopravvivenza è
la pubblicità. Non è il consenso del pubblico che fa vivere, ma la
pubblicità (ovvero interessi particolari)"3.
Naturalmente per vendere più copie o aumentare l'audience servono emozioni forti, pertanto l'ottimo Paolo Murialdi "C'è il sensazionalismo, una tendenza che, da latente, è diventata una pratica molto frequente se non addirittura comune. Capisco le esigenze, ho fatto il giornalista per molti anni. Ma
tutti questi grossi titoli a tutta pagina ripetuti per tutto il
giornale sono eccessivi. Voglio dire che, mentre in prima pagina esiste
ancora una gerarchia di scelte, all'interno si perde. C'è poi la
questione delle fonti e del controllo delle fonti. C'è la seconda fonte?
Lo chiediamo molto di raro"4.
Se un giornalista o una testata basa quasi tutta la
sua potenza di fuoco sui dispacci di agenzia o da fonti ufficiali - o
pseudo tali - il rischio di commettere errori aumenta considerevolmente,
perché un conto sono i riscontri sul campo di battaglia (anche se danno
una visione ad effetto tunnel) forniti da un giornalista che i lettori
conoscono e apprezzano, un altro riportare i riscontri di qualcun altro
che il lettore non conosce né è legato da un rapporto fiduciario. Ma
anche sul campo di battaglia bisogna stare molto accorti, perché come
spiega il bravissimo collega Giampaolo Cadalanu: "Nell'estate
dell'anno scorso, a Tripoli, il mio traduttore libico si stupiva che mi
indignassi davanti alle bugie dei ribelli. Erano i tentativi molto goffi
del Consiglio nazionale di transizione di utilizzare la sete di notizie
della stampa internazionale per convincere le opinioni pubbliche
occidentali di atrocità esagerate o persino inesistenti, o più
probabilmente per fornire ai governi dell'Occidente i pretesti adeguati
per giustificare l'intervento militare"5.
Prendiamo un fatto storico poco noto in merito al Biafra e alla divulgazione delle notizie ma eccellentemente riportato da Goffredo Parise nel suo libro Guerre politiche: "Ci
fu una guerra, fatta come poteva essere fatta. Per pubblicità alla sua
causa e alla guerra presso le nazioni di tutto il mondo, il negro
Ojukwu, in accordo con una potente società pubblicitaria svizzera,
installò una telescrivente nella foresta. Non si limitò a questo, perché
qualcosa bisognava pur dare in pasto ai lettori della telescrivente che
smistava ai giornali di tutto il mondo; e questo qualcosa doveva essere
sensazionale in misura esplosiva, tanto poco sensazionale ed esplosiva
era la notizia di una guerra locale fra tribù"6.
Spesso ci si è imbattuti in vere e proprie bufale per
non parlare di veri e propri prodotti su set appositamente organizzati e
che non erano affatto nel luogo che facevano intendere.
Basti pensare che alla Casa Bianca c'era, sotto la presidenza di Bush Jr., l'Office of Strategic Influence, detto anche l'Ufficio delle bugie7.
Gli interessi enormi in gioco danno di fatto carta bianca a qualsiasi
tipo di iniziativa, anche le più audaci ed incredibili. Una tra tutte:
il piano ideato dai servizi segreti del Kaiser di acquistare il
controllo e l'intera proprietà di alcuni quotidiani del nostro Paese,
giornali tipo “il Tempo” e “La Stampa”, al fine di spingere tramite una
campagna di neutralità organizzata e veicolata proprio dalle testate
giornalistiche acquisite. L'intento era spingere l'Italia fuori dalla
Guerra Mondiale8.
Prendiamo ad esempio la presunta distruzione di Aleppo, quando invece solo un'area è stata interessata dai combattimenti o della fantasiosa notizia dell'ultimo pediatra della stessa città. Dati assolutamente non veritieri o inverosimili ma purtroppo rimbalzati sui media. Per non parlare della presa di Sirte strappata al controllo di Gheddafi. Altra notizia assolutamente non aderente alla realtà dei fatti nel suo quadro complessivo. Perché il 28 marzo iniziando con Al Jazeera nell'edizione delle 4:35 GMT, continuando con Sky New ore 7,19 GMT e finendo con Euronews sempre nella medesima giornata non si parlava d'altro che della imminente caduta di Sirte in mano ai ribelli, il tutto accompagnato da video dei ribelli in frenetica attività9.
Per fortuna un giornalista italiano, l'ottimo Cristiano Tinazzi de “il
Messaggero”, ha smentito con una prova video che quanto sostenuto dai
cannoni di grosso calibro non era come riportato10.
Durante la crisi libica sono girate cifre sui morti
da combattimento che sono state da assoluto capogiro. Parlare di 10.000
morti in pochi giorni di combattimento è qualcosa che chi conosce
veramente la guerra non può non rendersi conto di quanto sia errato il
dato.
Mimmo Càndido, autentico maestro del giornalismo di
guerra, si è sentito in dovere di scrivere nel suo blog, ospitato su “La
Stampa” in data 26 febbraio 2011: "Si è ripetutamente
raccontato di 10.000 morti, forse anche 15.000, di bombardamenti a
tappeto sulla folla, di fosse comuni fin sulla spiaggia, e sono apparsi
sugli schermi dei tg immagini fugaci, che avrebbero dovuto rappresentare
la fondatezza delle notizie (l'immagine "documenta" e "certifica" la
realtà) che venivano trasmesse a voce dal conduttore o poi, sui
giornali, dai titoli a caratteri cubitali. In quasi 40 anni di
guerre raccontate in giro per il mondo, ho appreso ad avere qualche
cautela nell'accogliere notizie di catastroficità incontrollabile.
Diecimila morti è una dimensione di cui nemmeno
il macello di Srbreniza riuscirebbe a dare una misura valutabile; e i
bombardamenti a tappeto sulle città sono una pratica che non dovrebbe
avere difficoltà a trovare riscontro nelle testimonianze (tanto più che i
testimoni, spesso non abituati a "vivere" una guerra, e spesso
coinvolti emotivamente prima ancora che culturalmente, tendono a
esagerare il loro impatto con la drammaticità della esperienza che sono
stati costretti a subire). Invece le testimonianze date dai primi che
sono riusciti a lasciare la Libia parlavano certamente di scontri a
fuoco violentissimi, di massacri perpetrati spesso da mercenari neri, ma
non riferivano mai di questi bombardamenti sulla folla dei
manifestanti, nè di violenze tali da rendere credibili quelle cifre
mostruose"11.
Ma non tutte le vittime sono uguali, perché se prendiamo a modello Jerzy Popieluszko, prete polacco ucciso dal regime comunista, si vede chiaramente che a confronto con l'arcivescovo Oscar Romero, ucciso a San Salvador (El Salvador) dal regime locale, non c'è storia in quanto a copertura mediatica sul Time e sul Newsweek con una differenza di articoli dedicati di 16 a 3. Popieluszko è stato avvantaggiato per questioni strategiche12.
Questo la dice lunga sull'interesse o meno di trattare una notizia che
ha caratteristiche di fondo uguali: prelato ucciso dal regime. La
differenza stava nel fatto che era più utile montare la notizia del
polacco per ragioni di opportunità politica internazionale, più che
quella del povero prelato salvadoregno.
La Primavera Araba non è stata altro che una
operazione organizzata e che di spontaneo non ha quasi nulla. Per
organizzare una iniziativa del genere basta solo rispettare i seguenti
cinque punti: creazione di una organizzazione di attivisti; uso di
diversi mezzi di comunicazione; impiego di simboli e slogan; creazione
di pseudo eventi; orchestrazione del conflitto.13 Per chi fosse interessato a capire i cinque punti essenziali di come organizzare una tale messinscena, può studiarsi Samuel Adams
(1722-1803). Comunque, fu fatta passare come una iniziativa che si è
sviluppata grazie ai moderni sistemi di informazione alternativa via
internet, invece il peso della Rete è stato tutto sommato relativo se
non fosse stato per il supporto dei grandi media che hanno poi veicolato
quanto girava in Rete. I motivi scatenanti erano altri e più radicati
nelle società interessate. Uno di questi è stato anche il controllo più o
meno aperto dei regimi nei confronti dell'informazione libera. Ma
giocoforza certe sedimentazioni sociali richiedono anni e anni prima che
arrivino a dare alla luce un embrione di ribellione. Guardare solo i
fatti dell'ultima ora non porta sicuramente a capire le ragioni più
recondite del malessere sociale. Se non c'è stata questa lunga
sedimentazione del malcontento, la rivoluzione che ne consegue non può
assolutamente reggersi sulle proprie gambe, tranne nel caso di una
rivoluzione indotta dall'esterno. Dunque condizionata artificiosamente
con tecniche raffinate. Ma questo ultimo tipo di condizionamento non
garantisce stabilità nel cambio del regime, in quanto il grosso
dell'opinione pubblica non lo riconosce e lo rifiuta.
Nel caso della Primavera Araba tutto si è sviluppato oltre il senso del logico grazie ad alcune testate giornalistiche, come Al Jazeera, che hanno rilanciato su scala mondiale i filmati degli improvvisati reporter tra i manifestanti. I social,
poi, hanno contribuito a minare la verità verso l'estero, perché quasi
tutti erano propensi a pensare che quanto arrivasse nelle redazioni
fosse genuino per il solo fatto che fosse informazione clandestina e non
di Regime. Questa propaganda ha portato alcuni governi a fare delle
scelte scellerate come quella dell'embargo. Questa pratica è di fondo un
crimine contro l'umanità, perché si impedisce ad un popolo, ma più
correttamente all'individuo, di nutrirsi e curarsi e anche difendersi.
Facciamo un esempio pratico e tangibile che potrebbe interessarvi da
vicino: se tutti gli altri condomini decidessero di applicarvi
l'embargo, voi sareste costretti a non uscire di casa e a nutrirvi e
curarvi con quello che vi passano sotto la porta! Pagando anche cifre
esorbitanti e indebitandovi sempre più. Se applicassero la No Fly Zone,
non potreste più nemmeno calare il cestello di vimini con la cordicella
fuori dalla finestra per poi farlo riempire da parenti e amici che
arrivano in soccorso. Insomma, non è proprio un comportamento da paesi
evoluti, ma stranamente i media certe volte assecondano questa pratica
mostruosa o non la condannano abbastanza duramente.
Prendiamo ad esempio il caso della Siria. Il paese era organizzato e moderno per gli standard locali. Il consenso che Assad ha tra il popolo è genuino e il grosso dell'opinione pubblica è con lui. Quanto è avvenuto e sta avvenendo dimostra che i blog e i social,
ma anche i media, non sono assolutamente sufficienti a scatenare una
rivoluzione interna se l'opinione pubblica è schierata con il suo leader.
Evidentemente l'intellighenzia e gli analisti internazionali non sono
di questo parere, visto e considerato che le voci che si sono sollevate
contro Assad sono state numerose. Ma i dati veicolati hanno fornito una chiave di lettura diversa. La “gay girl in Damascus”
è uno dei tanti casi che hanno fatto notizia sul nulla. Per la sua
liberazione gli appelli in tutto il mondo sono fioccati ovunque. Eppure
la storia è stata inventata di sana pianta perché la sorprendente
lesbica arabo-americana risultò essere un uomo di 40 anni americano, Tom MacMaster, che vive in Georgia e per di più sposato, il quale ha pure confessato14. Oppure il caso di Danny Syria,
altro mirabile esempio di manipolazione mediatica. La sua storia o
meglio le sue storie sono state messe in onda da Tv internazionali come CNN e BBC15. Il tipo era considerato un attivista che sfidava la morte per raccontare la verità. Peccato che un fuori onda della CNN
sia stato fatale alla credibilità del ragazzo. Infatti si scoprì che le
riprese erano fatte in sicurezza e poi montate ad arte per conferire un
aspetto e un sonoro degno di chi sfida la morte.
Avaaz (Voce) è una organizzazione che si prefigge di far veicolare la verità scavalcando le censure16. Eppure questa organizzazione ha sede a New York e il vertice è composto da tre persone che in base al loro curriculum non sono proprio da considerarsi attivisti della strada17. Avaaz
raccoglie fondi e compera materiale che poi farebbe arrivare in loco.
Secondo voci, nel caso della Siria avrebbe inviato quanto serve ai
blogger e agli aspiranti giornalisti anti regime: telefoni satellitari e
sistemi anti intercettazione internet. Così la censura di Stato non può
fermarli. Alcuni sostengono che così si aiuti l’informazione ad essere
libera, ma è una ulteriore dimostrazione che anche volendo fare del
bene, si rischia di dare materiale in mano a persone che fanno un lavoro
giornalistico raffazzonato.
Quanto dice l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani (OSDH) è oro colato18. L'Osservatorio è diretto da Rami Abdel Rahman.
I suoi dati vengono addirittura pubblicati da molti media con ampio
risalto. È l’unica fonte ufficiale e autorevole che viene presa in
considerazione. Peccato che l'Osservatorio di siriano abbia ben poco,
che sia ubicato in una anonima stradina nella città industriale di Coventry e che sia composto da un solo uomo19. Rami Abdel Rahman, questo il nome dell'indefesso dispensatore di dati, è scappato dalla Siria ancora anni addietro con il vero nome di Osama Suleiman
e si è stabilito in Inghilterra. È interessante il fatto che secondo
autorevoli giornali stranieri goda di contatti ad altissimo livello nel
governo inglese. Rahman/Suleiman sarebbe dunque in grado di
raccoglie una infinità di dati da solo e dalla sua stanzetta dalla
profonda campagna inglese. Ha sostenuto di essere a capo di una rete di
osservatori sul campo, tutti siriani e combattenti per la libertà. Fin
qui tutto potrebbe anche stare dentro ad un quadro logico. Salta tutto,
invece, quando ci si accorge che la maggioranza di quello che dice e
pubblica non ha corrispondenza con la realtà dei fatti. E che
l'Osservatorio fa acqua da tutte le parti20. Dati errati, situazioni inesistenti. Tanto che la portavoce del ministro degli Esteri russo Maria Vladimirovna Zakharova ha esortato a non credere a tutto quanto riportato dall’Osservatorio perché i fatti dimostrano il contrario21.
Il sistema d'informazione americano ad esempio (le
grandi agenzie precedentemente citato) nel suo complesso è un meccanismo
che limita l'indipendenza giornalistica perché condizionato dalla
logica dei numeri, delle leggi e dagli aiuti governativi. Tutto questo
va a creare una sorta di rete di protezione che impedisce o limita di
fatto al giornalista di fare domande scomode e porta i giornali a
dipendere così quasi totalmente dalle fonti ufficiali (uffici stampa,
cioè strutture pagate per difendere e curare gli interessi del loro
datore di lavoro) per fornire credibilità all'articolo attraverso
tabelle e dati che poi sono difficilmente controllabili.
Una tabella statistica che descrive dei dati,
fornisce anche una chiave di lettura. Ma non è detto che quella chiave
sia quella che apra la porta della verità nuda e cruda, perché il potere
gioca sempre con i numeri. Dunque si ritorna ancora al valore notizia
per condizionare l'opinione pubblica e spesso per imprimere direzione e
moto con più efficacia si usano a supporto i dati statistici.
Capire
i dati e le statistiche comporta sudore e ricerche continue, ma in un
mondo dove i numeri hanno grande rilevanza, soprattutto se intesi di
pari passo ai costi e benefici di determinate operazioni, va da sé che
bisogna impegnarsi a fondo per fornire una informazione corretta e di
qualità al lettore. Come ben spiegato dal giornalista David Randall nel suo manuale per giornalisti22,
dal quale abbiamo preso libero spunto per le domande sull'argomento
specifico e adattato alle esigenze dell'articolo, tutto parte da una
domanda di buon senso: il dato che sto leggendo è credibile? E dalla
naturale risposta si inizia un percorso lineare che tende a smontare
tutto l'eventuale castello di falsità numeriche. 10.000 morti in pochi
giorni sembrano plausibili? Delle tombe comuni singole scavate con
accuratezza in riva al mare sono credibili? In ogni caso la domanda
successiva è: chi ha fornito questi dati? Un Osservatorio dei diritti
umani siriano?! Oppure una associazione non meglio definita o una
università o chiunque altro? Ecco che deve scattare la ricerca
approfondita sull’attendibilità di chi ha fornito i dati. Tenendo ben
presente che un bel sito internet non fornisce nessuna garanzia di
serietà. E poi, una volta preso i contatti con chi ha fornito i dati, si
devono fare domande accurate e approfondite. Se non sanno dare
informazioni certe da dove arrivino le informazioni e i dati, significa
che non sono accurati e che potrebbe esserci altro dietro. Ma una
domanda focale che gli analisti si devono fare è: perché escono ora
questi dati? Certe volte il tempismo è sospetto, ma quando ci sono
interessi enormi in ballo tutte le operazioni vengono pianificate col
cronometro in mano e viene tenuto conto anche del fuso orario. La scelta
del tempismo ha un motivo, solo che spesso non è evidente
nell’immediato. Sta a chi deve capire, cioè i giornalisti e gli
analisti, trovarlo.
Solitamente vengono usate cifre tonde: "10.000
morti", "2 milioni di persone senz'acqua" o cose simili.
L’arrotondamento nasconde delle insidie. I dati vengono spesso resi
accessibili graficamente con vignette o istogrammi o grafici a barre o a
torta. Poco importa, perché la rappresentazione grafica nasconde alcuni
trucchi: basta andare a toccare la dimensione verticale od orizzontale e
il grafico cambia aspetto e fornisce una immagine fuorviante. Un
classico sono i bidoni o qualsiasi altra cosa. Se l’accesso all’acqua
potabile è il doppio dell’altro, di pari passo mostrano il secondo
bidone doppio. È un errore, perché significa che l’area del bidone
grande è quattro volte più grande e il volume otto volte di più. Questo
trucco viene usato spesso.
Ma i veri trucchi contabili vengono fatti nel calcolo
con le medie statistiche. Le medie sono di tre tipi: media aritmetica,
mediana, moda. Sono tre maniere diverse di calcolare i dati. Altro campo
che si presta a potenziali manipolazioni sono le percentuali. Bisogna
tenere sempre bene in evidenza il dato di partenza ovvero la base di
riferimento. Spesso la base di riferimento, non si trova. In ogni caso
bisogna verificare la base di riferimento perché il trucco sta proprio
in quel dato.
(foto: Difesa Online / web)
Note:
1 Gubitosa C., L'informazione alternativa, EMI, Bologna 2002, p.34
2 Pecorelli Carmine, Le idi di marzo, in OP, 13 marzo 1979
3 Chomsky Noam, intervista pubblicata su La Repubblica del 27 marzo 1994
4 Murialdi Paolo in Reset, n. 12, dicembre 1994
5 Cadalanu Giampaolo, Finché c'è guerra c'è notizia e notizia, I quaderni speciali di Limes, Anno 4, n.1, p.206
6 Parise Goffredo, Guerre Politiche, ed. Adelphi, pag. 101
7 Corriere della Sera, Bioterrorismo, le riviste scientifiche si censurano, 18/02/2003 p.10
8 Augias Corrado, Giornali e spie, Supersaggi Biblioteca Universale Rizzoli, 1994
12 Noam Chomsky-Edward S. Herman, La fabbrica del consenso, Marco Tropea Editore, p.62
13 Invernizzi Emanuele, Relazioni Pubbliche, McGraw-Hill, 2001, Cap.1, ppgg.5-6
22 Randall David, “Il giornalista quasi perfetto”, Editori Laterza, 2004, Cap. Dati e statistiche, ppgg 108-128
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