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"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Disinformazione: dati e statistiche come armi di distruzione di massa

Disinformazione: dati e statistiche come armi di distruzione di massa

(di Frank Montana)
15/11/17

Spesso si trovano dati contrastanti su media diversi in merito alla stessa notizia. Solitamente molti dicono una cosa e pochi dicono il contrario. A chi credere? Ovviamente il lettore arriverà alla verità in base alla suo personalissimo ragionamento. Però riflettere a fondo e capire diventa sempre più difficile anche per i più informati: il complesso mondo dei media e della raccolta delle informazioni risulta apparentemente semplificato in quanto estremamente diversificato.
"Trecento società dominano il mercato dell'informazione. Di queste società 144 appartengono all'America del Nord, 80 all'Europa, 49 al Giappone e 27 al resto del mondo. 4 agenzie tra queste trecento gestiscono l'80% del flusso delle notizie: sono le americane Associated Press e United Press International, la britannica Reuter e la francese France Press. La quasi totalità delle informazioni del Sud del mondo passa attraverso queste grandi agenzie di stampa prima di raggiungere i nostri giornali e i nostri Tg"1. L'interessante virgolettato, anche se datato di qualche anno, aiuta a fare chiarezza sul reale flusso delle informazioni e sui dati che vengono forniti ai fruitori finali dei mezzi d'informazione.
Giornalisti che ci hanno preceduto hanno lasciato importanti annotazioni e articoli su come vengano manipolate certe informazioni e di come certe strutture tentino di condizionare l'opinione pubblica tramite le agenzie di stampa, a volte a loro insaputa. Secondo Carmine Pecorelli: "Le agenzie di stampa sono il grande rubinetto dal quale sgorga il greggio. Insieme ne sono anche il filtro. Da esse i giornalisti attingono la materia prima detta 'notizia', da fornire al lettore-consumatore sotto forma di informazione, già depurata e raffinata dalle scorie. Comandare il rubinetto, cioè determinare ed orientare il flusso del prodotto greggio, quindi ritardare, filtrare o negare le notizie, significa ridurre e censurare, entro limiti più o meno vasti, il diritto dell'informazione. La scelta delle notizie erogate, o l'eliminazione di quelle censurate, è sempre legata a considerazioni di carattere politico e, in senso più esteso, economico"2.
Un vecchio detto sostiene che "tutto il mondo è paese" e proprio per questo si trovano forti analogie tra Paese e Paese. Qualche autorevole osservatore straniero ha sollevato dubbi sul sistema americano al quale peraltro si tende a fare affidamento e a prendere come modello. Secondo l'americano Noam Chomsky, uno dei massimi pensatori contemporanei: "Sono i grandi giornali e le catene televisione che fabbricano o manipolano l'opinione pubblica dell'ottanta per cento della popolazione. C'è un modo di trattare le notizie, sceglierle, limitarle e rilanciarle che è funzionale alla élite del potere. È un sistema pervasivo al quale è impossibile sottrarsi. Negli Stati Uniti ci sono circa 1800 giornali, 11 mila settimanali, 11 mila stazioni radio, 200 stazioni televisive, 2500 case editrici. Più del cinquanta per cento di tutto questo è controllato da una ventina di società. La loro fonte di sopravvivenza è la pubblicità. Non è il consenso del pubblico che fa vivere, ma la pubblicità (ovvero interessi particolari)"3.
 















Naturalmente per vendere più copie o aumentare l'audience servono emozioni forti, pertanto l'ottimo Paolo Murialdi "C'è il sensazionalismo, una tendenza che, da latente, è diventata una pratica molto frequente se non addirittura comune. Capisco le esigenze, ho fatto il giornalista per molti anni. Ma tutti questi grossi titoli a tutta pagina ripetuti per tutto il giornale sono eccessivi. Voglio dire che, mentre in prima pagina esiste ancora una gerarchia di scelte, all'interno si perde. C'è poi la questione delle fonti e del controllo delle fonti. C'è la seconda fonte? Lo chiediamo molto di raro"4.
Se un giornalista o una testata basa quasi tutta la sua potenza di fuoco sui dispacci di agenzia o da fonti ufficiali - o pseudo tali - il rischio di commettere errori aumenta considerevolmente, perché un conto sono i riscontri sul campo di battaglia (anche se danno una visione ad effetto tunnel) forniti da un giornalista che i lettori conoscono e apprezzano, un altro riportare i riscontri di qualcun altro che il lettore non conosce né è legato da un rapporto fiduciario. Ma anche sul campo di battaglia bisogna stare molto accorti, perché come spiega il bravissimo collega Giampaolo Cadalanu: "Nell'estate dell'anno scorso, a Tripoli, il mio traduttore libico si stupiva che mi indignassi davanti alle bugie dei ribelli. Erano i tentativi molto goffi del Consiglio nazionale di transizione di utilizzare la sete di notizie della stampa internazionale per convincere le opinioni pubbliche occidentali di atrocità esagerate o persino inesistenti, o più probabilmente per fornire ai governi dell'Occidente i pretesti adeguati per giustificare l'intervento militare"5.
Prendiamo un fatto storico poco noto in merito al Biafra e alla divulgazione delle notizie ma eccellentemente riportato da Goffredo Parise nel suo libro Guerre politiche: "Ci fu una guerra, fatta come poteva essere fatta. Per pubblicità alla sua causa e alla guerra presso le nazioni di tutto il mondo, il negro Ojukwu, in accordo con una potente società pubblicitaria svizzera, installò una telescrivente nella foresta. Non si limitò a questo, perché qualcosa bisognava pur dare in pasto ai lettori della telescrivente che smistava ai giornali di tutto il mondo; e questo qualcosa doveva essere sensazionale in misura esplosiva, tanto poco sensazionale ed esplosiva era la notizia di una guerra locale fra tribù"6.
Spesso ci si è imbattuti in vere e proprie bufale per non parlare di veri e propri prodotti su set appositamente organizzati e che non erano affatto nel luogo che facevano intendere.
 















Basti pensare che alla Casa Bianca c'era, sotto la presidenza di Bush Jr., l'Office of Strategic Influence, detto anche l'Ufficio delle bugie7. Gli interessi enormi in gioco danno di fatto carta bianca a qualsiasi tipo di iniziativa, anche le più audaci ed incredibili. Una tra tutte: il piano ideato dai servizi segreti del Kaiser di acquistare il controllo e l'intera proprietà di alcuni quotidiani del nostro Paese, giornali tipo “il Tempo” e “La Stampa”, al fine di spingere tramite una campagna di neutralità organizzata e veicolata proprio dalle testate giornalistiche acquisite. L'intento era spingere l'Italia fuori dalla Guerra Mondiale8.
Prendiamo ad esempio la presunta distruzione di Aleppo, quando invece solo un'area è stata interessata dai combattimenti o della fantasiosa notizia dell'ultimo pediatra della stessa città. Dati assolutamente non veritieri o inverosimili ma purtroppo rimbalzati sui media. Per non parlare della presa di Sirte strappata al controllo di Gheddafi. Altra notizia assolutamente non aderente alla realtà dei fatti nel suo quadro complessivo. Perché il 28 marzo iniziando con Al Jazeera nell'edizione delle 4:35 GMT, continuando con Sky New ore 7,19 GMT e finendo con Euronews sempre nella medesima giornata non si parlava d'altro che della imminente caduta di Sirte in mano ai ribelli, il tutto accompagnato da video dei ribelli in frenetica attività9. Per fortuna un giornalista italiano, l'ottimo Cristiano Tinazzi de “il Messaggero”, ha smentito con una prova video che quanto sostenuto dai cannoni di grosso calibro non era come riportato10.
Durante la crisi libica sono girate cifre sui morti da combattimento che sono state da assoluto capogiro. Parlare di 10.000 morti in pochi giorni di combattimento è qualcosa che chi conosce veramente la guerra non può non rendersi conto di quanto sia errato il dato.
Mimmo Càndido, autentico maestro del giornalismo di guerra, si è sentito in dovere di scrivere nel suo blog, ospitato su “La Stampa” in data 26 febbraio 2011: "Si è ripetutamente raccontato di 10.000 morti, forse anche 15.000, di bombardamenti a tappeto sulla folla, di fosse comuni fin sulla spiaggia, e sono apparsi sugli schermi dei tg immagini fugaci, che avrebbero dovuto rappresentare la fondatezza delle notizie (l'immagine "documenta" e "certifica" la realtà) che venivano trasmesse a voce dal conduttore o poi, sui giornali, dai titoli a caratteri cubitali. In quasi 40 anni di guerre raccontate in giro per il mondo, ho appreso ad avere qualche cautela nell'accogliere notizie di catastroficità incontrollabile.




















Diecimila morti è una dimensione di cui nemmeno il macello di Srbreniza riuscirebbe a dare una misura valutabile; e i bombardamenti a tappeto sulle città sono una pratica che non dovrebbe avere difficoltà a trovare riscontro nelle testimonianze (tanto più che i testimoni, spesso non abituati a "vivere" una guerra, e spesso coinvolti emotivamente prima ancora che culturalmente, tendono a esagerare il loro impatto con la drammaticità della esperienza che sono stati costretti a subire). Invece le testimonianze date dai primi che sono riusciti a lasciare la Libia parlavano certamente di scontri a fuoco violentissimi, di massacri perpetrati spesso da mercenari neri, ma non riferivano mai di questi bombardamenti sulla folla dei manifestanti, nè di violenze tali da rendere credibili quelle cifre mostruose"11.
Ma non tutte le vittime sono uguali, perché se prendiamo a modello Jerzy Popieluszko, prete polacco ucciso dal regime comunista, si vede chiaramente che a confronto con l'arcivescovo Oscar Romero, ucciso a San Salvador (El Salvador) dal regime locale, non c'è storia in quanto a copertura mediatica sul Time e sul Newsweek con una differenza di articoli dedicati di 16 a 3. Popieluszko è stato avvantaggiato per questioni strategiche12. Questo la dice lunga sull'interesse o meno di trattare una notizia che ha caratteristiche di fondo uguali: prelato ucciso dal regime. La differenza stava nel fatto che era più utile montare la notizia del polacco per ragioni di opportunità politica internazionale, più che quella del povero prelato salvadoregno.
La Primavera Araba non è stata altro che una operazione organizzata e che di spontaneo non ha quasi nulla. Per organizzare una iniziativa del genere basta solo rispettare i seguenti cinque punti: creazione di una organizzazione di attivisti; uso di diversi mezzi di comunicazione; impiego di simboli e slogan; creazione di pseudo eventi; orchestrazione del conflitto.13 Per chi fosse interessato a capire i cinque punti essenziali di come organizzare una tale messinscena, può studiarsi Samuel Adams (1722-1803). Comunque, fu fatta passare come una iniziativa che si è sviluppata grazie ai moderni sistemi di informazione alternativa via internet, invece il peso della Rete è stato tutto sommato relativo se non fosse stato per il supporto dei grandi media che hanno poi veicolato quanto girava in Rete. I motivi scatenanti erano altri e più radicati nelle società interessate. Uno di questi è stato anche il controllo più o meno aperto dei regimi nei confronti dell'informazione libera. Ma giocoforza certe sedimentazioni sociali richiedono anni e anni prima che arrivino a dare alla luce un embrione di ribellione. Guardare solo i fatti dell'ultima ora non porta sicuramente a capire le ragioni più recondite del malessere sociale. Se non c'è stata questa lunga sedimentazione del malcontento, la rivoluzione che ne consegue non può assolutamente reggersi sulle proprie gambe, tranne nel caso di una rivoluzione indotta dall'esterno. Dunque condizionata artificiosamente con tecniche raffinate. Ma questo ultimo tipo di condizionamento non garantisce stabilità nel cambio del regime, in quanto il grosso dell'opinione pubblica non lo riconosce e lo rifiuta.
 














Nel caso della Primavera Araba tutto si è sviluppato oltre il senso del logico grazie ad alcune testate giornalistiche, come Al Jazeera, che hanno rilanciato su scala mondiale i filmati degli improvvisati reporter tra i manifestanti. I social, poi, hanno contribuito a minare la verità verso l'estero, perché quasi tutti erano propensi a pensare che quanto arrivasse nelle redazioni fosse genuino per il solo fatto che fosse informazione clandestina e non di Regime. Questa propaganda ha portato alcuni governi a fare delle scelte scellerate come quella dell'embargo. Questa pratica è di fondo un crimine contro l'umanità, perché si impedisce ad un popolo, ma più correttamente all'individuo, di nutrirsi e curarsi e anche difendersi. Facciamo un esempio pratico e tangibile che potrebbe interessarvi da vicino: se tutti gli altri condomini decidessero di applicarvi l'embargo, voi sareste costretti a non uscire di casa e a nutrirvi e curarvi con quello che vi passano sotto la porta! Pagando anche cifre esorbitanti e indebitandovi sempre più. Se applicassero la No Fly Zone, non potreste più nemmeno calare il cestello di vimini con la cordicella fuori dalla finestra per poi farlo riempire da parenti e amici che arrivano in soccorso. Insomma, non è proprio un comportamento da paesi evoluti, ma stranamente i media certe volte assecondano questa pratica mostruosa o non la condannano abbastanza duramente.
Prendiamo ad esempio il caso della Siria. Il paese era organizzato e moderno per gli standard locali. Il consenso che Assad ha tra il popolo è genuino e il grosso dell'opinione pubblica è con lui. Quanto è avvenuto e sta avvenendo dimostra che i blog e i social, ma anche i media, non sono assolutamente sufficienti a scatenare una rivoluzione interna se l'opinione pubblica è schierata con il suo leader. Evidentemente l'intellighenzia e gli analisti internazionali non sono di questo parere, visto e considerato che le voci che si sono sollevate contro Assad sono state numerose. Ma i dati veicolati hanno fornito una chiave di lettura diversa. La “gay girl in Damascus” è uno dei tanti casi che hanno fatto notizia sul nulla. Per la sua liberazione gli appelli in tutto il mondo sono fioccati ovunque. Eppure la storia è stata inventata di sana pianta perché la sorprendente lesbica arabo-americana risultò essere un uomo di 40 anni americano, Tom MacMaster, che vive in Georgia e per di più sposato, il quale ha pure confessato14. Oppure il caso di Danny Syria, altro mirabile esempio di manipolazione mediatica. La sua storia o meglio le sue storie sono state messe in onda da Tv internazionali come CNN e BBC15. Il tipo era considerato un attivista che sfidava la morte per raccontare la verità. Peccato che un fuori onda della CNN sia stato fatale alla credibilità del ragazzo. Infatti si scoprì che le riprese erano fatte in sicurezza e poi montate ad arte per conferire un aspetto e un sonoro degno di chi sfida la morte.
Avaaz (Voce) è una organizzazione che si prefigge di far veicolare la verità scavalcando le censure16. Eppure questa organizzazione ha sede a New York e il vertice è composto da tre persone che in base al loro curriculum non sono proprio da considerarsi attivisti della strada17. Avaaz raccoglie fondi e compera materiale che poi farebbe arrivare in loco. Secondo voci, nel caso della Siria avrebbe inviato quanto serve ai blogger e agli aspiranti giornalisti anti regime: telefoni satellitari e sistemi anti intercettazione internet. Così la censura di Stato non può fermarli. Alcuni sostengono che così si aiuti l’informazione ad essere libera, ma è una ulteriore dimostrazione che anche volendo fare del bene, si rischia di dare materiale in mano a persone che fanno un lavoro giornalistico raffazzonato.
 
















Quanto dice l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani (OSDH) è oro colato18. L'Osservatorio è diretto da Rami Abdel Rahman. I suoi dati vengono addirittura pubblicati da molti media con ampio risalto. È l’unica fonte ufficiale e autorevole che viene presa in considerazione. Peccato che l'Osservatorio di siriano abbia ben poco, che sia ubicato in una anonima stradina nella città industriale di Coventry e che sia composto da un solo uomo19. Rami Abdel Rahman, questo il nome dell'indefesso dispensatore di dati, è scappato dalla Siria ancora anni addietro con il vero nome di Osama Suleiman e si è stabilito in Inghilterra. È interessante il fatto che secondo autorevoli giornali stranieri goda di contatti ad altissimo livello nel governo inglese. Rahman/Suleiman sarebbe dunque in grado di raccoglie una infinità di dati da solo e dalla sua stanzetta dalla profonda campagna inglese. Ha sostenuto di essere a capo di una rete di osservatori sul campo, tutti siriani e combattenti per la libertà. Fin qui tutto potrebbe anche stare dentro ad un quadro logico. Salta tutto, invece, quando ci si accorge che la maggioranza di quello che dice e pubblica non ha corrispondenza con la realtà dei fatti. E che l'Osservatorio fa acqua da tutte le parti20. Dati errati, situazioni inesistenti. Tanto che la portavoce del ministro degli Esteri russo Maria Vladimirovna Zakharova ha esortato a non credere a tutto quanto riportato dall’Osservatorio perché i fatti dimostrano il contrario21.
Il sistema d'informazione americano ad esempio (le grandi agenzie precedentemente citato) nel suo complesso è un meccanismo che limita l'indipendenza giornalistica perché condizionato dalla logica dei numeri, delle leggi e dagli aiuti governativi. Tutto questo va a creare una sorta di rete di protezione che impedisce o limita di fatto al giornalista di fare domande scomode e porta i giornali a dipendere così quasi totalmente dalle fonti ufficiali (uffici stampa, cioè strutture pagate per difendere e curare gli interessi del loro datore di lavoro) per fornire credibilità all'articolo attraverso tabelle e dati che poi sono difficilmente controllabili.
Una tabella statistica che descrive dei dati, fornisce anche una chiave di lettura. Ma non è detto che quella chiave sia quella che apra la porta della verità nuda e cruda, perché il potere gioca sempre con i numeri. Dunque si ritorna ancora al valore notizia per condizionare l'opinione pubblica e spesso per imprimere direzione e moto con più efficacia si usano a supporto i dati statistici.
 






















Capire i dati e le statistiche comporta sudore e ricerche continue, ma in un mondo dove i numeri hanno grande rilevanza, soprattutto se intesi di pari passo ai costi e benefici di determinate operazioni, va da sé che bisogna impegnarsi a fondo per fornire una informazione corretta e di qualità al lettore. Come ben spiegato dal giornalista David Randall nel suo manuale per giornalisti22, dal quale abbiamo preso libero spunto per le domande sull'argomento specifico e adattato alle esigenze dell'articolo, tutto parte da una domanda di buon senso: il dato che sto leggendo è credibile? E dalla naturale risposta si inizia un percorso lineare che tende a smontare tutto l'eventuale castello di falsità numeriche. 10.000 morti in pochi giorni sembrano plausibili? Delle tombe comuni singole scavate con accuratezza in riva al mare sono credibili? In ogni caso la domanda successiva è: chi ha fornito questi dati? Un Osservatorio dei diritti umani siriano?! Oppure una associazione non meglio definita o una università o chiunque altro? Ecco che deve scattare la ricerca approfondita sull’attendibilità di chi ha fornito i dati. Tenendo ben presente che un bel sito internet non fornisce nessuna garanzia di serietà. E poi, una volta preso i contatti con chi ha fornito i dati, si devono fare domande accurate e approfondite. Se non sanno dare informazioni certe da dove arrivino le informazioni e i dati, significa che non sono accurati e che potrebbe esserci altro dietro. Ma una domanda focale che gli analisti si devono fare è: perché escono ora questi dati? Certe volte il tempismo è sospetto, ma quando ci sono interessi enormi in ballo tutte le operazioni vengono pianificate col cronometro in mano e viene tenuto conto anche del fuso orario. La scelta del tempismo ha un motivo, solo che spesso non è evidente nell’immediato. Sta a chi deve capire, cioè i giornalisti e gli analisti, trovarlo.
Solitamente vengono usate cifre tonde: "10.000 morti", "2 milioni di persone senz'acqua" o cose simili. L’arrotondamento nasconde delle insidie. I dati vengono spesso resi accessibili graficamente con vignette o istogrammi o grafici a barre o a torta. Poco importa, perché la rappresentazione grafica nasconde alcuni trucchi: basta andare a toccare la dimensione verticale od orizzontale e il grafico cambia aspetto e fornisce una immagine fuorviante. Un classico sono i bidoni o qualsiasi altra cosa. Se l’accesso all’acqua potabile è il doppio dell’altro, di pari passo mostrano il secondo bidone doppio. È un errore, perché significa che l’area del bidone grande è quattro volte più grande e il volume otto volte di più. Questo trucco viene usato spesso.
Ma i veri trucchi contabili vengono fatti nel calcolo con le medie statistiche. Le medie sono di tre tipi: media aritmetica, mediana, moda. Sono tre maniere diverse di calcolare i dati. Altro campo che si presta a potenziali manipolazioni sono le percentuali. Bisogna tenere sempre bene in evidenza il dato di partenza ovvero la base di riferimento. Spesso la base di riferimento, non si trova. In ogni caso bisogna verificare la base di riferimento perché il trucco sta proprio in quel dato.
(foto: Difesa Online / web)
Note:
1 Gubitosa C., L'informazione alternativa, EMI, Bologna 2002, p.34
2 Pecorelli Carmine, Le idi di marzo, in OP, 13 marzo 1979
3 Chomsky Noam, intervista pubblicata su La Repubblica del 27 marzo 1994
4 Murialdi Paolo in Reset, n. 12, dicembre 1994
5 Cadalanu Giampaolo, Finché c'è guerra c'è notizia e notizia, I quaderni speciali di Limes, Anno 4, n.1, p.206
6 Parise Goffredo, Guerre Politiche, ed. Adelphi, pag. 101
7 Corriere della Sera, Bioterrorismo, le riviste scientifiche si censurano, 18/02/2003 p.10
8 Augias Corrado, Giornali e spie, Supersaggi Biblioteca Universale Rizzoli, 1994
12 Noam Chomsky-Edward S. Herman, La fabbrica del consenso, Marco Tropea Editore, p.62
13 Invernizzi Emanuele, Relazioni Pubbliche, McGraw-Hill, 2001, Cap.1, ppgg.5-6
22 Randall David, “Il giornalista quasi perfetto”, Editori Laterza, 2004, Cap. Dati e statistiche, ppgg 108-128

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