Fino a
pochi anni fa in ogni articolo che leggevo che riguardasse l’economia, la
finanza, l’autonomia e sovranità degli stati, il FMI (Fondo Monetario
Internazionale) era descritto in termini poco lusinghieri (per usare un
eufemismo), quando non veniva additato al pubblico ludibrio, poiché fornendo
prestiti agli stati indebitati, imponeva condizioni capestro che riducevano
notevolmente la qualità della vita delle popolazioni, colpendo in particolare
il welfare ed i diritti e le conquiste sociali dei lavoratori. A leggere
quest’ultimo articolo che vi propongo, la cui provenienza non può certo essere
tacciata di simpatie e parzialità per il FMI, quest’ultimo sembra essere
divenuto un campione di virtuosità e disponibilità umana, in confronto ad una
nuova istituzione di stampo finanziario europeo, che è purtroppo passata in
sordina presso l’opinione pubblica. Mi riferisco al Meccanismo Europeo di
Stabilità (ESM), denominato mediaticamente ed impropriamente Fondo Salva Stati
(in realtà gli stati semmai li affonda, portandoli alla rovina). Questa nuova
istituzione (ennesima dimostrazione che non c’è mai limite al peggio), sulla
quale sarei pronto a scommettere che quasi nessuno sa nulla, soprattutto della
gravità delle concessioni, privilegi e potere che gli sono stati conferiti
dagli stati partecipanti, in pratica dovrebbe ricevere montagne di denaro da
ogni stato partecipe, che alla bisogna, li riceverà indietro pagandovi sopra
degli interessi. Si, avete capito bene, gli stati conferiscono una cospicua
parte delle loro entrate a questo Fondo per poi dover richiedere in prestito il
proprio denaro pagandovi fior di interessi, ma la cosa più grave è che da quel
momento in pratica lo stato richiedente il prestito perde la sua sovranità
perché viene commissariato dall’ESM, che gli imporrà condizioni capestro per
garantirsi il rientro del credito concesso. In confronto il FMI diventa simile
ad un’organizzazione etica del commercio equo e solidale, come dimostra il caso
della Grecia, di cui tratta l’articolo. Ma la cosa più grave, ed anche questi
aspetti sono passati sotto silenzio mediaticamente e quindi la popolazione è
disinformata, è che la leadership di questa nuova istituzione finanziaria
europea è priva di qualsiasi controllo pubblico e politico. In pratica detiene
un potere immenso che sovrasta la politica ed impone condizioni unilaterali ed
inappellabili e non è eletta da nessun organismo democratico ed è inoltre
dotata di totale immunità ed impunità, può fare ciò che vuole senza rendere
conto a nessuno, senza che nessuno possa indagare e perseguire i responsabili
per eventuali reati commessi, non si può accedere agli atti, non si possono
perquisire gli uffici, non si può confiscare la documentazione, non si possono
perseguire penalmente i funzionari. Neppure gli Ambasciatori ed i Consoli
Generali che godono dell’immunità diplomatica godono di simili privilegi e
poteri. Un tale disegno è stato certamente concepito per dare la spallata
finale alla sovranità degli stati per consentire alla finanza di spogliarli di
tutti i loro beni di valore e per ridurre la popolazione in condizioni di
schiavitù. Grecia docet. Il rischio è che il prossimo paese a “collaudare”
l’ESM potrebbe essere l’Italia, che è molto più appetibile della Grecia per i
soloni della finanza internazionale, e con i politici insipienti che ci
ritroviamo una tale ipotesi è tutt’altro che remota.
Claudio Martinotti Doria
Alla Grecia conviene dichiarare il default, all’Italia (per ora) forse
Opinioni
Occupati da altri problemi, ci siamo forse dimenticati della Grecia e dell’incerta situazione dei suoi debiti.
Occupati
da altri problemi, ci siamo forse dimenticati della Grecia e
dell'incerta situazione dei suoi debiti. Purtroppo per loro (e anche per
noi) le loro sofferenze non sono per nulla finite e a scadenze
prestabilite il problema si ripresenta. Entro il luglio prossimo Atene
dovrebbe restituire ai vari creditori istituzionali stranieri ben sei
miliardi di euro e, nel frattempo, il suo debito pubblico è arrivato al
180% del prodotto nazionale lordo. Ciò significa, in altre parole, che
rappresenta quasi il doppio di quanto vale la sua economia annuale.
Tutti
i programmi di rifinanziamento che hanno consentito, attraverso nuovi
prestiti a tassi agevolati, di posticipare i pagamenti in scadenza
prevedono che la Grecia riesca a finire di pagare il dovuto solo nel
2059. Lo sta facendo alle date concordate, grazie ai surplus di bilancio
ottenuti da risparmi sulle spese, riforme strutturali (ad esempio con
la riduzione delle pensioni, la diminuzione degli stipendi degli
impiegati pubblici, una riforma delle leggi sul lavoro ecc.) e nuove
tasse. La scadenza di luglio è la più vicina ma, prima della fine
dell'anno, dovrà ripagare altri sette miliardi circa. Successivi
versamenti importanti (dagli undici ai quattordici miliardi ogni anno)
sono previsti nel 2019, 2036, 2037, 2039 mentre nelle altre annualità le
cifre dovrebbero non superare gli 8/9 miliardi di euro nei dodici mesi.
Per un Paese di soli dieci milioni di abitanti e
con un tessuto produttivo piuttosto ridotto si tratta di cifre molto
importanti e, se si vuole essere sinceri con se stessi, è ben difficile
immaginare che tutta l'operazione vada a buon fine.
©
AP Photo/ Petros Giannakouris
Fino
a poco fa i Governi greci avevano continuato a chiedere un taglio del
debito, ma con scarso successo. Oggi, il dibattito è su come rendere
sostenibili gli impegni concordati e proprio sulla sostenibilità degli
impegni esiste la prima frattura tra il Fondo Monetario Internazionale e
il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). Il primo, conscio delle reali
difficoltà, ha proposto una moratoria su tutti i debiti greci fino al
2040 ma i creditori europei insistono (l'ultimo meeting è dello scorso
29 gennaio) nel sostenere che la Grecia è in grado di ripagare i crediti
ricevuti. Il dissidio tra le due controparti assume grande importanza
perché sia il FMI sia l'Unione Europea sono entrambi creditori e le
condizioni per il terzo programma di aiuti devono essere decise entro la
fine di marzo. L'organismo finanziario internazionale ritiene che
l'imposizione voluta dall'Europa, quella che impone ai greci di
realizzare un surplus nel 2017 corrispondente al 3,5 percento del PIL,
sia irraggiungibile e si rifiuta di partecipare a un nuovo piano di
rifinanziamento se le condizioni non saranno rese più praticabili.
D'altra parte l'Europa è in difficoltà ad acconsentire a causa delle
opinioni pubbliche restie a venire incontro alle esigenze elleniche.
Inoltre, il Governo tedesco aveva ottenuto l'autorizzazione dal proprio
Parlamento a compartecipare alle operazioni di "bailout" solo se vi
avesse preso parte anche il FMI. Senza quest'ultimo, Berlino dovrebbe
opporsi a qualunque nuovo piano di aiuti anche se deciso e supportato da
Bruxelles.
Nel 2015, grazie a un aumento delle tasse,
Atene aveva realizzato un surplus dello 0,7 % e sembrerebbe che nel 2016
sia arrivata addirittura al 2 % (si badi bene: non si tratta di una
crescita dell'economia locale, che è invece in costante impoverimento,
ma solo della differenza tra entrate e uscite dello Stato). Nuovi
aumenti dell'imposizione fiscale su una popolazione già allo stremo e
con un ridotto potere d'acquisto sono politicamente impraticabili e non
si riesce a capire come si possa creare un grande avanzo di bilancio nel
2017 senza nuovi licenziamenti nel settore pubblico e una riduzione
generalizzata della spesa. L'aumento della disoccupazione che ne
conseguirebbe, comunque, diminuirebbe ancor di più il potere d'acquisto
generalizzato e farebbe calare ancora di più il PIL.
Tutti i soggetti coinvolti vorrebbero chiudere le discussioni
sull'argomento prima che inizino le campagne elettorali in alcuni Paesi
europei per evitare che il debito greco diventi materia di discussione
elettorale, ma il tempo che resta è ben poco e, per ora, non
s'intravedono soluzioni percorribili. In Olanda si voterà in marzo,
in Francia in aprile e a settembre sarà la volta della Germania. In
questa situazione, anche Atene non gode di stabilità politica sicura e
una nuova stretta sull'economia farebbe aumentare il già profondo
malcontento popolare con conseguente rischio di crisi di governo.
©
AP Photo/ Petros Giannakouris
La
maggioranza di cui gode Tzipras è di soli cinque deputati e il suo è
pur sempre un governo composto da una coalizione eterogenea. Per cercare
di mantenere quel che resta del suo consenso, l'ex "cattivo ragazzo" ha
deciso di utilizzare una parte dell'avanzo di bilancio del 2016 per
distribuire un bonus a tutti i pensionati, suscitando però le reprimende
dei creditori. Bisogna mettersi nei suoi panni: aveva promesso alla
popolazione che i sacrifici sarebbero stati temporanei e che l'economia
si sarebbe stabilizzata e tornata virtuosa. Tuttavia, dopo tre anni di
sofferenze, gli era indispensabile dare l'impressione che le cose
stessero migliorando e quella piccola elargizione doveva servire a
dimostrarlo.
Se ora fosse costretto alle dimissioni per l'abbandono di qualche
deputato della sua maggioranza, si andrebbe a nuove elezioni e la
campagna elettorale che la maggior parte dei partiti svolgerebbe sarebbe
centrata sulla promessa di abbandono dell'austerità'. Si
accentuerebbero i toni anti euro e anti Europa e il risanamento del
debito diventerebbe ancora più improbabile. Non resterebbe che
dichiarare il default e vedere la Grecia uscire dalla moneta unica.
Che succederebbe allora all'Euro e agli altri
Paesi con alti debiti pubblici come l'Italia? La speculazione si
scatenerebbe, ci sarebbe un forte aumento dello spread e anche noi
saremmo costretti a considerare l'abbandono della moneta comune.
Qualcuno che già lo chiede ne sarebbe contento, ma che ne sarà di tutti i
detentori di mutui che si troverebbero ad avere debiti in euro da dover
ripagare con una nuova lira svalutata di almeno il trenta percento? E
cosa faremo del nostro debito pubblico verso l'estero (circa il
cinquanta percento del nostro debito totale)? Dichiareremo fallimento o
lanceremo una "patrimoniale" per riuscire a non farci espellere dalla
comunità finanziaria internazionale?
L'Euro fu, molto probabilmente, un errore in assenza di un'unità
politica e fiscale ma, ora che c'e', o tutta l'Europa, in primis la
Germania, capisce che sono necessarie maggiore solidarietà e
lungimiranza tra gli Stati membri o "mala tempora currunt". Anche a
Berlino.
L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
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