2017: FUGA DALL'EUROPA
di Francesco Mazzuoli
Quando, per chi lo ricorda, uscì sugli schermi del
nostro sventurato Paese 1997: fuga da New York
di John Carpenter, regista di horror
e fantascienza a basso costo con al suo attivo alcuni titoli
preveggenti, (oltre a quello testé citato, l'inquietante Essi
vivono),
le immagini di quella pellicola ci sembravano fantasie lontane,
fantascienza appunto.
Oggi, dopo decenni di sonno comatoso, anche l'italiano
medio – quello che si agita per la sconfitta della propria squadra
in trasferta, ma che continua a seguire imperterrito campionati
truccati – inizia ad avvertire di essere precipitato in un mondo
in cui la fantascienza è stata superata da una realtà mostruosa,
tale da rendere 1984,
di George Orwell, lettura di intrattenimento per scuole medie
inferiori.
Certo, chi fa parte della casta collaborazionista (la
categoria più odiosa è quella dei radical
chic),
vive sempre alla grande – o almeno crede –
e ci dirà tutt'ora, citando un articolo di Repubblica,
che questo è il migliore dei mondi possibili, il regno della
libertà e della democrazia, dove chi non può avere figli avrà
persino un utero in affitto (e chissà se chi non può permettersi
nemmeno un monolocale, potrà permettersi almeno quello...); con
tanto tempo libero a disposizione da impiegare nei viaggi, nello
yoga, nella meditazione, nei botox party, in
cui ci si inietta un po' di botulino antirughe per apparire
eternamente giovani.
Ma sorvoliamo sui rentiers e
altri dorati cascami umani assimilabili:
essi
non pagheranno mai, per il semplice fatto che siamo noi a pagare per
loro.
Passiamo alla classe media, o meglio ciò che ne rimane.
Chi – beato lui, perché oggi la schiavitù è una
conquista - ha ancora un lavoro, tenta di esorcizzare la realtà con
uno scambio di battute davanti alla macchina del caffè dell'ufficio
sull'ultimo programma visto in tv; con un tradimento coniugale
organizzato via smartphone
(di marca, per carità!); oppure rifugiandosi nell'effige del
salvatore di turno:
Cristo è passato di moda, ora ci sono Grillo, Renzi, o qualunque
uomo-immagine fabbricato dal sistema di potere per infinocchiare i
diversamente intelligenti. Deluso anche dal movimento cinque stelle,
visto l'impoverimento inesorabile,
voterà il nascente cinque stalle.
Chi, invece, un lavoro non lo ha più, se ha potuto è
emigrato, se non ha potuto, vive a ricasco di qualcuno (“per farsi
amare” diceva Flaiano “bisogna farsi mantenere”); oppure è
riverso in qualche angolo di strada da dove la visione della realtà
non è offuscata dalle luci della televisione e dove “la durezza
del vivere” che predica Monti (naturalmente per gli altri), gliene
ha tolta anche la voglia.
Tuttavia, persino chi la propaganda, scientemente fin
dai banchi di scuola, ha annichilito nelle proprie capacità di
essere razionale – sempre che tra i bipedi a stazione eretta tali
facoltà esistano (come qualcuno ha scritto, la migliore prova che
esista vita intelligente nell'universo è che nessuno ha mai cercato
di contattarci) – si rende conto che si sta materializzando un
vero e proprio incubo e che le spiegazioni ufficiali – della tv,
della stampa, dei governi - stridono con l'enormità dei fenomeni in
corso: non ultima l'invasione programmata per sostituire gli attuali
popoli europei.
Quali sono queste spiegazioni ufficiali?
Be', la corruzione continua a spiegare quasi tutto. Sono
tutti ladri: è per questo che dopo i quaranta cadono i capelli; il
resto è dovuto alla cattiveria di Putin. Oltre siffatti
“ragionamenti”, adatti alle classi differenziali del secolo
scorso, c'è solo la globalizzazione,
un altro concetto onnicomprensivo e spacciato per naturale,
inevitabile e non storicamente determinato dai poteri dominanti.
Eppure, se esistessero in giro cervelli in grado di
articolare un pensiero, ci si sarebbe posta una semplice domanda:
come mai la corruzione c'è sempre stata, ma prima si stava meglio?
Certuni, anche grazie all'opera divulgativa di sparuti
intellettuali, hanno capito che l'euro c'entri qualcosa. Ma quasi
nessuno è andato avanti nella spiegazione. Del resto, andare avanti
può costare la reputazione, la carriera, la vita: dipende quanto
avanti si va e il coraggio – scriveva Manzoni - “uno non se lo
può dare”, specialmente in un Paese, citando Longanesi, in cui
sulla bandiera nazionale, dovrebbe essere scritto, a caratteri
cubitali: “Tengo famiglia”.
E così, ben pochi hanno cominciato ad allargare
l'orizzonte dello sguardo: l'italiano soffre di miopia e più di
quanto gli è vicino non riesce a vedere.
Qualcuno, timidamente, ha cominciato a tirare in ballo
l'Unione Europea, ma come se si trattasse di un'entità indipendente
e non di un progetto americano, teso - all'indomani della seconda
guerra mondiale - a mantenere in pugno l'Europa occidentale,
impedendo
di fatto che potenze antagoniste agli Stati Uniti potessero
contenderne il dominio e, soprattutto, saldare i propri interessi con
quelli russi, come è naturale vista la prossimità geografica.
In particolare, l'intendimento americano è stato – ed
è - quello di impedire
che la Germania si avvicini alla Russia e che rimanga strettamente
legata al carro atlantico. L'euro è nato anche a tale scopo:
favorire l'economia tedesca per dare alla Germania una posizione di
predominio in
Europa (precisamente di sub-dominio rispetto agli USA), che
la distogliesse dalle tentazioni di pericolose liaisons
con la Russia. Ed è, ovviamente, una delle principali ragioni per le
quali la nefasta unità monetaria non viene smantellata (in questo
modo, tra l'altro, lo Zio Sam, quando deve il cattivo in Europa, si
traveste da tedesco e gli fa fare il lavoro sporco...).
Una volta per tutte, bisognerebbe far comprendere ai
sonnambuli che ci circondano che non esiste “L'Europa”, né mai
esisterà: essa è pura mistificazione della propaganda. Si tratta
soltanto di una propaggine del declinante impero americano.
In tale quadro, l'Italia è l'ultima delle colonie, il
Paese servo per eccellenza, un Paese che non decide nulla e con una
classe dirigente, politica e imprenditoriale, non corrotta perché
rubi, ma corrotta perché collaborazionista e nemica della propria
nazione e quindi degli interessi della maggioranza. Nel suo libro
Omaggio agli italiani,
la compianta Ida Magli ha raccontato come la nostra storia sia quella
dei continui tradimenti delle élites
ai danni dei governati, cioè nostri.
Purtroppo, è l'inevitabile portato storico di un
processo di unificazione eterodiretto da potenze straniere,
mistificato dai miti del Risogimento e risoltosi con una annessione
del Meridione e nessun serio tentativo di creare una coscienza
nazionale, pericolosa perché avrebbe potuto fare del nostro Paese
una potenza autonoma e scomoda nell'arena geopolitica internazionale.
È qui, in questa mancanza di una visione storica
elementare, che cadono gli illusori movimenti “sovranisti” –
del resto praticamente risibili – che vorrebbero attecchire nella
penisola.
Come ha scritto Gianfranco La Grassa, viviamo in un
periodo che assomiglia agli ultimi decenni dell'ottocento, quando un
altro impero, quello inglese, stava inesorabilmente
declinando, a fronte dell'emergere di potenze antagoniste, su tutte
gli Stati Uniti. E, oggi, sono proprio gli Stati Uniti che tentano di
difendere la propria traballante supremazia, trasformando l'Europa in
un fortino anti-russo, con una incessante espansione della Nato verso
oriente, cercando di resistere, inutilmente, al vento inarrestabile
della storia che sta proiettando nuovi attori globali (in
primis Russia e Cina) verso il palcoscenico
di un mondo multipolare.
Con tanti saluti all'eccezionalismo dello Zio Sam, è
giunta l'ora che faccia le valigie e torni al di là dell'Atlantico a
mangiare hamburger.
Ma lo Zio Sam non si arrende così facilmente: sta
facendo di tutto per ritardare il suo ritiro nell'ospizio della
storia e ha messo in opera la strategia del
caos.
Il caos, infatti, è scientificamente
organizzato ai confini dell'impero, per
ostacolare il coagulo di nuove alleanze geopolitiche in funzione
anti-americana che potrebbe ulteriormente accelerare la caduta della
superpotenza yankee.
Regimi strategicamente importanti sono destabilizzati e
rovesciati mediante falsi rivolgimenti spontanei, promossi e
finanziati da ONG coordinate dalla CIA (il caso delle varie
“primavere”, come dell'Ucraina); oppure manipolando il terrorismo
- così come avviene almeno dagli anni settanta, quando la
famigerata strategia della tensione insanguinò l'Italia con la messa
in scena di opposti estremismi, per dar luogo a una restaurazione
autoritaria decisa a Washington.
Secondo questo disegno, attraverso ripetuti attentati
terroristici e l'invasione demografica è artatamente creata
instabilità sociale nelle colonie europee, al fine di indebolirle e
meglio controllarle, rendendo
ancora più improbabile che si
riorganizzino dal punto di vista geopolitico.
Intanto, la distruzione delle organizzazioni statuali
prosegue senza sosta, mediante la cessione della sovranità residua
ad organismi sovranazionali centralizzati, non eletti
democraticamente e controllati dalla
longa manus di Washington.
Avanza, di conserva, la distruzione dell'identità dei
popoli e del legame con il proprio territorio (l'incentivo
all'emigrazione, o alla “libera circolazione”, come è chiamata
nel linguaggio propagandistico, va proprio in questa direzione); e
l'annientamento dei popoli stessi, fisicamente sostituiti con
immigrati di culture differenti e inassimilabili, in modo da
costruire un mosaico multietnico di interessi contrastanti e
inconciliabili in nome di un interesse comune, che si riconosca in un
territorio e voglia difenderlo. Il progetto imperiale prevede,
infatti, anonimi territori coloniali, sprovvisti di storia comune e
abitati da individui sradicati in perenne conflitto tra loro.
Anche i generi sessuali sono moltiplicati per aumentare
divisione e conflittualità e l'omosessualità è salvaguardata e
promossa perché – come aveva intuito la Magli ne La
dittatura europea - è un modo astuto di
sterilizzare la razza bianca (i mussulmani sono refrattari alla
propaganda gay).
Dal punto di vista dell'ingegneria sociale, il progetto
imperiale prevede la cancellazione della storia e della geografia
(ecco la ragione per cui lo studio di quest'ultima è stata abolita
dalla riforma Gelmini). Il modello della società globale è
costituito da internet (tecnologia nata in ambito militare –
Arpanet il suo nome
originario - non a caso resa disponibile gratuitamente): una
indistinta e virtuale rete mondiale (World
Wide Web), abitata da un essere umano
de-territorializzato, che esiste appunto in questo non luogo
geografico e in un eterno presente, creato mediante la simultaneità
degli scambi (tempo e spazio sono dimensioni collegate ed internet
annulla l'una e l'altra).
Internet, ad oggi, è stato il più intelligente –
direi geniale – cavallo di Troia della globalizzazione.
Geniale anche come strumento di controllo totale, capace
addirittura di dare al suo utente controllato l'illusione della
libertà e di ottenere spontaneamente, anzi con voluttà,
informazioni sensibili che una volta i servizi segreti dovevano
sudare sette camice per carpire. Neppure l'istituzione della
confessione era arrivata a tanta perfezione. (Se si vuole avere
un'idea di che cosa sia questo grande fratello, così amato dai
sudditi, che accumula dossier
particolareggiati su ognuno di noi e il cui utilizzo è incentivato
in ogni modo, si legga Il potere segreto dei
matematici, di Stephen Baker).
E prosegue, altresì, il saccheggio e lo sfruttamento
economico delle colonie europee. Le bombe demografiche, con l'arrivo
di un esercito di nuovi schiavi, oltre a creare il caos e lo
sgretolamento del tessuto sociale, tengono alta la disoccupazione,
portando i salari sempre più al ribasso e scatenando una guerra fra
poveri.
La pressione demografica e la diminuzione del gettito
fiscale, dovuto all'alto numero dei disoccupati e al calo dei salari,
generano ulteriori pressioni sulle casse degli Stati perché si
privatizzino pensioni e sanità, ormai economicamente insostenibili.
Nell'ottica imperiale, infatti, tutto deve essere
privatizzato, naturalmente a esclusivo beneficio dell'impero e dei
suoi collaborazionisti e scherani. (In questo delirio acquisitivo
dell'homo habens
americano si è arrivati addirittura a brevettare le specie
biologiche esistenti in natura).
In ultimo, di pubblico non esisterà più nulla e gli
Stati
esisteranno solo in funzione di esattori delle imposte per conto
dell'impero.
La sottomissione di un impero così vasto non si ottiene
soltanto con la forza militare e la compiacenza delle élites
a libro paga, ma anche con quella dei sudditi. In questo gli
americani sono indiscussi maestri, padroneggiando come nessuno le
sottili armi della propaganda, di cui Holliwood è stata per molto
tempo la punta di diamante.
La colonizzazione culturale ha sempre accompagnato la
penetrazione americana – altro tema che i cosiddetti sovranisti
nostrani non comprendono – e fa più danni un telefilm americano di
un discorso di Renzi a reti unificate.
Questa penetrazione subdola e melliflua, attraverso
l'intrattenimento, ha ormai contaminato la nostra cultura fino al
linguaggio, infarcito in maniera ossessiva di americanismi e dove si
è arrivati al punto che battezzare qualcosa (un programma
televisivo, un libro, persino una società a responsabilità
limitata) senza un termine inglese, equivale a dequalificarlo come
vecchio e deteriore.
Chi ha studiato un po' sa che pensiero e linguaggio sono
interrelati e il secondo influenza largamente il primo (v. il
determinismo
linguistico di Whorf); quindi, parlare con
termini americani significa pensare in termini americani. È per
questo che la propaganda è così attenta al linguaggio ed è stato
inventato il politicamente corretto: quello che non si può più
dire, si finisce per non pensarlo nemmeno più. E quello che si dice,
si finisce col pensarlo.
Un popolo che perde la sua lingua, perde la sua
identità, perché i termini di una lingua cristallizzano i
postulati fondamentali di una filosofia implicita, nei quali è
espresso il pensiero di quel popolo e di quella civiltà.
Ci sarebbe da ridere, se non fosse tragico: una volta,
in un documento aziendale, ho visto scritto ad
Ok, invece che il latino ad
hoc.
Nel nostro Paese, culla del Rinascimento, siamo giunti
– passando da Machiavelli a Renzi, da Giuseppe Verdi a X
Factor, da Storia
della mia vita di Casanova a Rocco,
ti presento mia moglie di Rocco Siffredi -
all'annichilimento culturale: non c'è più un libro che si possa
leggere, un film che si possa vedere, neppure una canzonetta
ascoltabile. In questo deserto, ha buon gioco qualunque obbrobrio
proveniente da oltreoceano; e quel poco che viene da noi prodotto
non ne è che lo scimmiottamento. La nostra cultura qualitativa è
stata trasformata in una incultura quantitativa.
L'abbassamento del gusto, l'annientamento di ogni
pensiero critico (considerato dal potere una pericolosa recidiva
intelligente dell'homo videns),
sono perseguiti con determinazione, a partire dalla riforma della
scuola: il programma prevede di eliminare l'analfabetismo di ritorno,
rafforzando quello di partenza.
Accenniamo, per concludere, all'atmosfera di perenne
guerra strisciante in cui siamo costretti a vivere. Una guerra che si
gioca su tutti i terreni: culturale, economico, e naturalmente
militare. Una guerra che pervade l'aria come un gas asfissiante, che
nelle zone di frizione con la Russia (l'Ucraina, la Siria, gli Stati
baltici) rischia di deflagrare in scontro aperto, extrema
ratio dell'impero
americano: scagliare l'attacco profittando della superiorità
militare, oppure perire.
No, non ho dubbi: non c'è fantascienza peggiore di
questa realtà americanizzata, di questo morente impero che ci tiene
prigionieri e ci costringe non più a scappare da New York, bensì
dall'intera Europa.
Eppure dovremmo riprenderci il nostro Paese. Ma la cosa
in Italia è impossibile: perché non l'abbiamo mai posseduto e
quindi non abbiamo neppure la coscienza che sia nostro; e l'italiano
si cura solo della propria conventicola, cui appartiene per nascita o
entra per cooptazione. Come scrisse Sant'Agostino: extra
ecclesia, nulla salus.
E, infine, perché
un paese di servi sa solo immaginarsi un nuovo padrone e per quieto
vivere si accontenta di quello che ha.
Lasciamoci con una citazione da La
pelle, di Curzio Malaparte, alla quale non si
può aggiungere davvero nulla, se non l'amara constatazione che lo
spirito di un popolo non cambia mai:
“E
più affettuoso onore gli era venuto, nei giorni della liberazione,
dal suo rifiuto di far parte del gruppo di signori napoletani
prescelti per offrire al Generale Clark le chiavi della città. Del
qual rifiuto si era giustificato senza alterigia, con semplice garbo,
dicendo che non era costume della sua famiglia offrir le chiavi della
città agli invasori di Napoli, e che egli non faceva se non seguir
l'esempio di quel suo antenato, Berardo di Candia, che aveva
rifiutato di rendere omaggio al re Carlo VIII di Francia,
conquistatore di Napoli, sebbene anche Carlo VIII avesse, ai suoi
tempi, fama di liberatore. «Ma
il generale Clark è il nostro liberatore!»
aveva esclamato Sua Eccellenza il Prefetto, che per primo avuto la
strana idea di offrire le chiavi della città al Generale Clark.
«Non
lo metto in dubbio»
aveva risposto con semplicità cortese il Principe di Candia «ma
io sono un uomo libero, e soltanto i servi hanno bisogno di essere
liberati».
Tutti si aspettavano che il Generale Clark, per umiliare l'orgoglio
del Principe di Candia, lo facesse arrestare, com'era usanza nei
giorni della liberazione. Ma il Generale Clark lo aveva invitato a
pranzo e lo aveva accolto con perfetta cortesia, dicendosi lieto di
conoscere un italiano che aveva il senso della dignità.”
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