No, lo dico chiaro, a me qui interessa solo il caso di Marchi, sarò ancora padrone di scegliere il tema di un editoriale, in questo Stato grottesco. Sì, è grottesco, è una scena tragica in una cornice comica, è un aborto del diritto, quello Stato che inchioda gli individui al reato d’opinione. Perdipiù, vigliaccamente, senza avere il coraggio di chiamarlo tale, negandoci perfino l’ammissione della propria illiberalità, e nascondendolo dietro altro. A costo di rottamare la logica e prima ancora la decenza, l’estetica minima delle istituzioni. Massì, in fondo Marchi potrebbe anche essere un terrorista… Capiamoci, se non è così, se davvero ci credono, alle accuse mosse, è ancora peggio. Se per loro davvero costruire quotidianamente un giornale attorno a idee eccentriche, tambureggianti, fastidiose (vi sono idee degne di questo nome che non lo siano?), non arretrare, portare il diritto di critica alle sue estreme, e legittime, conseguenze, è terrorismo, perfetto, siamo tutti terroristi. E le armi, sono i pc e le tastiere. Con quello sono usciti da casa di Marchi, con un pc. Capite, cosa gli rimprovera, il sistema marcio del burocraticamente corretto, non certo i singoli, e immaginiamo imbarazzati, carabinieri? Di scrivere, di comporre quella particolare specie di prodotto che sono le notizie e i commenti, forse di pensare. Gli contestano di fare un giornale d’opinione dissonate, troppo dissonante, dall’opinione dominante, di credere nell’indipendenza dei popoli come diritto originario e di saldare sopra questo libero convincimento un’attività di mobilitazione intellettuale, di affrontare il guazzabuglio dell’attualità dimorando in questo punto di vista, orgogliosamente, tanto da dichiaralo nel nome della testata. Gli contestano, cioè, l’esercizio del pensiero e la pratica della sua espressione. Quello che non gli contesterebbero mai in nessuno Stato moderno e liberale. Cari giudici, procure e tribunali italici, date un occhio oltre le vostre lenti ideologiche, date un occhio alla più grande democrazia del mondo. C’è una famosa sentenza della Corte Suprema americana, che assolse un gruppo di contestatori accusati di aver dato fuoco alla bandiera a stelle e strisce. Proprio in quella bandiera, a dire dei giudici, c’erano le ragioni inoppugnabili della loro assoluzione: la libertà d’espressione, che ovviamente può manifestarsi anche contro la bandiera stessa. Purtroppo noi siamo italiani, direbbe col suo sorriso normalizzatore Gianluca, oggi. Caro Gianluca, avresti ragione. E noi, da giornale che si colloca in un altro punto di vista, seppur contiguo al tuo, quello del diritto individuale e della libertà d’intrapresa, oggi siamo interamente con te. Siamo tutti Gianluca Marchi.
* Direttore de L’Intraprendete
Grazie, Giovanni. Troppa grazia, queste tue parole financo mi imbarazzano un po’. E comunque ho deciso di riprendere il tuo editoriale non tanto per la mia persona, ma per il ragionamento che sviluppa, indipendentemente da chi ne è oggi involontario protagonista. E’ vero, purtroppo siamo italiani, e queste sono le conseguenze…
glm
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