Purtroppo, lo “Stato mamma” italiano – quello del Welfare State fatto quotidianità – ha indottrinato i suoi pargoli ben bene, facendo crescere (tra le mura della “squola pubblica”) eserciti di giovani che, anziché imparare un mestiere e i rudimenti culturali necessari a crescere liberi, non perde occasione per rivendicare qualche bisogno da soddisfare, purché a spese altrui. Tra i rivoltosi del 9 dicembre ho avuto modo di veder confermata questa impressione, corroborata anche da certe azioni violente di giovinastri politicamente impegnati.
Il professor Alessandro Vitale nell’introduzione ad un libro di Max Nordau, scrivendo di Welfare State sostiene: “Problemi di limpida individuazione dei veri beneficiari del parassitismo politico permangono tuttavia ancor più nelle democrazie contemporanee e nelle labirintiche strutture del Welfare State, nel quale gli attori politico-burocratici si spersonalizzano in formule economico-finanziarie sibilline, denominate ‘conti pubblici’ o ‘reddito nazionale’ e godono di una legittimazione delle loro posizioni di potere e di rendita politica, basata sulle diffuse credenze nell’ideologia dei ‘beni’ e dei ‘servizi pubblici’, ultimo ridotto di autodifesa del parassitismo e dei suoi beneficiari, che si servono dello Stato ‘nazionale’ territoriale come dell’ambito più agevole per poterne godere. Infatti lo ‘Stato sociale’ non è che un sottoprodotto dello Stato unitario nazionale centralizzato”.
I questuanti “finto-rivoltosi” che si intrufolano ovunque, e che anziché liberarsi dello Stato (che è il problema) pretendono più Stato, non hanno ancora compreso che il Welfare State non è altro che una struttura di sfruttamento ad uso e consumo dei ceti parassitari più scaltri, oppure – quando le risorse scarseggiano, come di questi tempi – dei più violenti. Che ora si ritorca contro la casta politica – che ne ha fatto uso per alimentare le clientele – è del tutto ovvio e naturale. La pletora di questuanti, di coloro che rivendicano un qualche diritto (trasformando spesso i propri bisogni in chissà quali pseudo-diritti) è impressionante, ha intaccato ogni ambito della cosiddetta società civile, dove non c’è categoria di lavoratori, ed affini, che non punti il dito contro i privilegi di un’altra casta, dimenticando però i suoi.
Un altro amico, Roberto Zambrini, un giorno mi ha scritto: “Lo stato è dei mediocri: solo attraverso lo Stato possono sperare di impossessarsi della ricchezza che non sanno produrre”. Concordo! E a me la rivolta dei mediocri fa semplicemente ribrezzo. Io voglio meno Stato, meno tasse, meno parassiti.
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