Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996


"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis

"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

Il regime di Berlusconi ce lo siamo meritato, l'individuo era prevedibile e non poteva che fare danni

Il regime di Berlusconi ce lo siamo meritato, l'individuo era prevedibile e non poteva che fare danni
 
di Massimo Fini



Fonte: Massimo Fini
http://www.ariannaeditrice.it
 
   
Questa settimana non ci si può esimere dall’occuparsi di Berlusconi. Speriamo sia l’ultima, anche se col Cavaliere non si può mai dire. Però il Tempo, il padrone delle nostre vite, ha fatto il suo implacabile lavoro, cui nessuno può sfuggire. Aveva 58 anni quando ‘scese in campo’, oggi ne ha 76. Le sue formidabili energie, succhiate da migliaia di saprofiti, si sono andate via via affievolendo. Oggi è un vecchio come denuncia il suo volto che, nonostante tutti gli accorgimenti, anzi proprio per essi, è diventato un mascherone impressionante. Lo stesso, disperato, patetico, aggrapparsi a giovani donne è il segno di una inesorabile, infantile, senilità.

È un vecchio logoro perché a differenza, poniamo, di Napolitano che non ha mai battuto chiodo in vita sua, si è speso molto. Ho avuto con- tezza di Berlusconi nei primissimi anni 80 quando il direttore del Giorno, Guglielmo Zucconi, mi affidò il compito di scandagliare i quartieri di Milano e io, fra gli altri, scelsi Milano Due. Scoprii quindi più che un quartiere, un ceto medio nuovo, nascente, senza storia, senza tradizioni, senza cultura, senza un’ideologia che non fosse la più gretta difesa dei propri interessi, di cui Berlusconi era il perfetto rappresentante e, insieme, il demiurgo. Come per le sue Tv.

In quei primi anni 80 il suo braccio destro era Marcello Di Tondo, che era stato mio collega alla Pirelli. In uno scantinato di Milano Due stava organizzando una televisione di quartiere. “Lui è convinto – mi disse – di poter creare un grande network nazionale che possa far concorrenza alla Rai. C’è sempre qualcosa di vagamente delirante in quel che dice Berlusconi e io stesso ne rimango perplesso. Ma poi mi affaccio alla finestra, vedo le case di Milano Due e mi dico: però tutto questo l’ha creato lui”.

La grande forza di Berlusconi è sempre stata quella di credere ai propri sogni e perciò di realizzarli. “Con quali metodi – disse Indro Montanelli al giovane Travaglio – preferisco non saperlo”. Sono sempre stati metodi, per usare un eufemismo, fuorilegge (e Indro, cinico la sua parte, lo sapeva benissimo) ma poiché c’erano milioni di imprenditori italiani disposti a usare gli stessi metodi pur di raggiungere i risultati di Berlusconi, e non ce l’hanno fatta, bisogna pur dar atto al Cavaliere di essere stato, nel campo del banditismo finanziario, il campione dei campioni. Non ho mai capito se Berlusconi sia una persona intelligente. Certamente è molto abile.

Nei primi anni 90 fu Umberto Bossi a scuotere l’albero della partitocrazia, ma è stato Berlusconi a coglierne i frutti. È perlomeno curioso che nel momento in cui si dichiarava di voler fare piazza pulita della Prima Repubblica gli italiani abbiano votato in massa un imprenditore che era stato il principale sodale economico di Bettino Craxi che della degenerazione della Prima Repubblica era ritenuto il massimo responsabile. Dei 18, desolanti, vuoti, anni di regime responsabile non è il Cavaliere, responsabili sono gli italiani, sia quelli che gli hanno creduto, sia quelli che – per usare un’espressione di Giuseppe Berto a proposito di Benedetto Croce e il fascismo – “lo hanno avversato in modo così balordo da favorirlo”.

Le PMI, il cuore del Paese



 
Sono 30 anni che sento discorsi sul ruolo strategico delle PMI e della necessità di valorizzarle, ma non si è mai fatto nulla, anzi si è fatto di tutto per penalizzarle dal punto di vista burocratico e fiscale e negli ultimi anni moltissime hanno chiuso i battenti o si sono trasferite all'estero. Condivido l'intervento di Grillo e credo sia sincero in questi suoi propositi
 

Fonte: Blog di Beppe Grillo  http://www.beppegrillo.it  

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fotografia di Robyn Hooz

La piccola e media impresa è fuori da qualunque agenda, da quella del Governo che si interessa solo di tasse, di spread e di finanza e che ha come ministro dello sviluppo il banchiere ovetto kinder Passera. Da quella della BCE che vuole la sua libbra di carne e ci impone manovre recessive per salvare il valore del nostro debito pubblico, detenuto all’estero in prevalenza da Francia e Germania. Da quella della Confindustria dei grandi concessionari di Stato come Benetton per le autostrade, o la Marcegaglia che costruisce inceneritori con la tassa CIP6 sulla bolletta dell’ENEL. Dall’agenda della grande distribuzione che uccide le produzioni locali. E infine da quella dei sindacati che ormai rappresentano solo sé stessi.
La piccola e media impresa è fatta da eroi. Bisogna essere eroi per fare impresa in Italia, senza servizi, con tassazioni e balzelli medioevali e con uno Stato strozzino che non rimborsa 85 miliardi di euro scaduti alle imprese, ma chiede l’anticipo dell’IVA prima dell’incasso delle fatture emesse e interessi spaventosi per ogni ritardo nei pagamenti. Senza la piccola e media impresa l’Italia non solo fallirà, ma diventerà un deserto produttivo per decenni. Tutto ruota intorno alla piccola e media impresa: lavoro, gettito fiscale di impresa e dei dipendenti per lo Stato, indotto creato dalla rete dei fornitori, spesa sul territorio. Quando muore un’impresa è sempre una piccola catastrofe sociale. In Italia, ogni mese, lo Stato deve onorare circa 24 milioni tra stipendi pubblici e pensioni. Questa cifra enorme è garantita in gran parte dalla tassazione diretta e indiretta generata dalle PMI. Senza imprese la tassazione crollerà. Le PMI devono diventare la priorità di ogni azione di Governo, è una questione di sopravvivenza del Paese. Va abolito l’IRAP, una tassa iniqua che le aziende devono pagare anche se in perdita, vanno introdotti sgravi fiscali a investimenti innovazione, richiesta l’IVA solo a pagamento della fattura, rivisto il rapporto con il Fisco che da esattore deve diventare consulente d’impresa, aboliti gli studi di settore che impongono spesso pagamenti irrealistici, aiutato l’imprenditore in difficoltà con prestiti temporanei a basso tasso d’interesse, e chiusa Equitalia, il rapporto tra impresa e Stato deve avvenire senza intermediari. Le PMI sono il cuore del Paese, non la finanza, non le banche. Se il cuore non batterà più, il Paese morirà.

Carrega Ligure. Case ad 1 euro, progetto difficile da concretizzare


Stop al progetto delle Case a un euro a Carrega. L’idea del sindaco Guido Gozzano, che aveva fatto salire il piccolo Comune dell’alta Val Borbera alla ribalta nazionale si è dimostrata nei fatti troppo difficile da concretizzare
Fonte: Alessandria News http://www.alessandrianews.it

CARREGA LIGURE - Stop al progetto delle Case a un euro a Carrega. L’idea del sindaco Guido Gozzano, che aveva fatto salire il piccolo Comune dell’alta Val Borbera alla ribalta nazionale si è dimostrata nei fatti troppo difficile da concretizzare, nonostante i primi passi compiuti tra il 2008 e il 2009. Il vulcanico primo cittadino conferma però che rimane l’obiettivo di ripopolare le troppe case abbandonate, molte delle quali ormai ridotte in ruderi, dagli emigrati che nel secolo scorso hanno attraversato l’Atlantico senza fare più ritorno.

Il progetto annunciato quattro anni fa prevedeva la cessione al Comune da parte dei proprietari degli immobili a un prezzo simbolico. L’ente avrebbe poi ceduto agli acquirenti a patto che ristrutturassero rispettando l’architettura locale.

Nel 2009, grazie a un accordo con la facoltà di architettura dell’Università di Genova, ne erano state censite circa quattrocento. Per la metà esiste a malapena il perimetro e per gli altri è comunque necessario una ricostruzione più che una ristrutturazione.

Molti dei proprietari sono eredi di chi nel secolo scorso ha lasciato Carrega per trasferirsi Oltreoceano in cerca di lavoro. In molti casi, costoro sono morti senza lasciare eredi o comunque senza effettuare la successione dei loro beni in Italia. Uno scoglio che il Comune non è riuscito a superare.

“Una ricerca – spiega ancora Gozzano – che si è rivelata lunga e costosa. Per questo, da “Case a un euro“ passeremo a “Case a poco più di un euro”. L’amministrazione comunale non farà più la compravendita degli immobili ma semplicemente da intermediario tra proprietari di rovine e ruderi che intendono disfarsene anche a causa delle nuove tasse, e gli acquirenti desiderosi di una qualità della vita migliore rispetto a quella delle città. Il prezzo lo decideranno loro”.

La base sui cui il Comune di Carrega intende muoversi è il censimento del 2009: le prime case oggetto dell’intermediazione del Comune saranno a Reneuzzi, uno dei borghi abbandonati della Valle dei Campassi. Una situazione meno difficile dove le case o quel che ne resta sono tutte concentrate e non sparse, c’è un frazionamento accettabile e le successioni sono avvenute regolarmente.

“Confido – dice ancora Gozzano – nell’aiuto di un nostro Consigliere Comunale, Marco Guerrini, da poco laureato proprio in architettura con indirizzo architettura rurale”.

Carrega ufficialmente conta 98 residenti ma solo sulla carta. In inverno, i residenti effettivi sono una decina.
25/10/2012
Giampiero Carbone - redazione@novionline.net

 

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Maciknight 0 minuto fa
L'idea era ottima, sulla scia di quella di una trentina di anni fa che hanno avuto a Badolato in Calabria, che si erano inventati lo slogan di successo "Un paese in vendita" che ha fatto il giro del mondo richiamando su di loro l'attenzione mediatica e di centinaia di turisti stranieri che in parte hanno ripopolato il borgo medievale. La situazione a Carrega era più complicata, come spiegato bene nell'articolo di cui sopra, ora non rimane che proseguire sull'idea del sindaco Gozzano, vendendo a bassissimo prezzo le case non più utilizzate e a rischio crollo o demolizione, soprattutto tenendo conto che la crisi in corso deve ancora manifestare i suoi effetti nefasti nel settore immobiliare (il peggio deve ancora venire) e più si aspetta a vendere e peggio sarà per i proprietari. Buona fortuna.

Brigantaggio postunitario

Brigantaggio postunitario (Recensione)

Fonte: http://www.simmetria.org/simmetrianew

Fernando Riccardi
Brigantaggio postunitario
Una storia tutta da scrivere
Arte Stampa editore 2011
Via Casilina Sud 10/A Roccasecca (Fr)
Come sappiamo la storia ufficiale è sempre stata scritta dai vincitori e, prima di tirar fuori gli scheletri dagli armadi, ci vogliono decenni, a volte addirittura secoli.
Questo è stato anche il destino della storia dell’unità d’Italia, studiata nelle scuole seguendo la dinamica del “Libro Cuore”. C’era “la piccola vedetta lombarda”,  c’era“il piccolo scrivano fiorentino” e tutta la laicissima Patria appena "unita", che vibrava di camicie rosse, di garibaldini, di eserciti piemontesi liberatori e, ovviamente, di una razzistica, puntuale prevenzione verso quei cafoni di Napoletani, di Siciliani, di Pugliesi, di Calabresi, di Lucani ecc. che, chissà perché, non avevano unitariamente apprezzato l’arrivo dei “liberatori”.
Durante la mia scuola elementare il mio maestro raccontava con sussiego che, di fronte agli ordinatissimi battaglioni piemontesi, quelli di Franceschiello, per seguire il ritmo cadenzato delle marce, e non sapendo distinguere la sinistra dalla destra, quando marciavano invece di “uno, due” dicevano “cu’pilo e senz’u pilo” (avendo legato un filo allo scarpone sinistro per distinguerlo dal destro)! Insomma come dire: la sapienza contro l’ignoranza!
E’ evidente che se i piemontesi e i garibaldini erano stati i “liberatori”, coloro che invece erano stati “liberati”, e cioè i “meridionali”, non potevano essere altro che gli “oppressi” da un regime autoritario e liberticida, per di più un regime assai connesso alla devozione religiosa ed alle feste ad essa connesse, sia quelle di lontana origine pagana, come quelle cristiane. Orrore!
Ma col tempo alcuni attentissimi e coraggiosi storici sono andati alla riscoperta di una storia sepolta negli archivi di stato; e sono stati trovati migliaia di documenti inediti e raccapriccianti, che raccontano una storia profondamente diversa. Una storia di stragi, di stupri di massa, di orrori compiuti dai “liberatori” ai quali fece seguito una guerra (che oggi chiameremmo di resistenza) operata dalle squadre dei cosiddetti briganti.
In questa luce, i briganti di cui si parla nel preciso libro di Riccardi, ci appaiono nella loro disperazione e anche nella loro ferocia (Riccardi non fa sconti ad una parte o all’altra) ma ripristina un equilibrio in cui le motivazioni dei contadini depredati dalle terre, massacrati a migliaia, trovano il loro giusto posto. Nel libro appaiono figure totalmente sconosciute ai più: nobili provenienti da altre regioni (come il conte Edwino di Sanssonia (Carlo Mayer), arruolatisi nell’esercito borbonico; e poi letterati, artisti che con entusiasmo andavano a difendere il Sud.
Alcune citazioni del libro scritte dai vincitori fanno rabbrividire.
Dice ad esempio Nino Bixio (p.195), in una lettera alla moglie, mentre si trovava a san Severo.
“Abbiamo visitato alcuni paesi della provincia del Molise…che paesi! So potrebbe  chiamare dei veri porcili!. Prima che questi paesi giungano allo stato di civiltà in cui siamo noi…abbisognano di lunghi anni… Questo insomma è un paese che bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farsi civili!”
In tale contesto ci consola la lettera di Peppino Garibaldi a Adelaide Cairoli, scritta da Caprera (p.187): un Garibaldi, a quanto pare, tormentato dai rimorsi:
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò oggi non rifarei la via dell’Italia meridionale, temendo di esserre preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”.
E concludiamo con le parole del garibaldino Giovanni Nicotera (a quanto pare pentito anche lui), che, da sole meritano l’acquisto di questo interessantissimo libro (p.185):
“Il governo borbonico aveva il gran merito di preservare le nostre vite e le nostre sostanze, merito che l’attuale governo non può vantare. Le gesta alle quali assistiamo (repressione dell’esercito piemontese, n.d.r.) possono essere paragonate a quelle di Tamerlano, Gengis Khan, Attila.”
E concluderei con una frase di “sinistra”, quella di Antonio Gramsci che, in L’ordine Nuovo del 1920 dice:
“….settecentomila civili massacrati su una popolazione totale di nove milioni di abitanti, conquecentomila cittadini arrestati, sessantadue paesi incendiati, centinaia di migliaia di patrioti deportati nei campi di sterminio piemontesi. Tutto ciò fu l’unità d’Italia” 
E poi ogni tanto qualcuno parla a vanvera della “questione meridionale”
C.L.

Tutti i nostri problemi hanno un peccato originale: l’unità d’Italia

Tutti i nostri problemi hanno un peccato originale: l’unità d’Italia 

di GILBERTO ONETO

Fonte: L'Indipendenza, Quotidiano on line http://www.lindipendenza.com 

 

Parecchi anni fa l’ambasciatore Sergio Romano aveva pubblicato uno straordinario libricino dal significativo titolo di Finis Italiae.  Vi si sosteneva,  con esempi e considerazioni concretissime, che l’unità d’Italia, dopo essere stata raggiunta con i metodi truffaldini e maneschi che tutti conoscono, era stata conservata e giustificata dal “Partito risorgimentalista”  privilegiando due modi di operare apparentemente contrastanti e alternativi: c’era chi voleva salvaguardare l’unità “col ferro e col fuoco” e chi invece convincendo la gente della sua bontà. Alla prima fazione sono appartenuti tutti i “padri della patria”, gli eroi delle patrie battaglie,  gli amanti delle baionette e dei cannoni, delle guerre e delle avventure coloniali, tutti quelli che – da Crispi a Mussolini – hanno preteso di forgiare il carattere nazionale italiano con l’asprezza delle trincee, delle bombe e dell’eroismo mortifero del “chi per la patria muor, vissuto è assai”. Nella seconda fazione  militano quelli che invece han  cercato di fare gli italiani nelle scuole, nelle caserme, con i “sabati fascisti”, gli inni e tutte le palle retoriche con cui hanno riscritto la storia e inventato culture condivise. Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, il primo partito sembra aver perso la sua spinta (anche se ogni tanto si inventa qualche bellicosa e patriottica “missione di pace”) a vantaggio del secondo che si è scatenato con televisioni e campionati di calcio. Senza grande successo: non si trasformano le patate in carciofi raccontando balle e così i popoli della penisola non sono diventati italiani.
Analizzando il fallimento delle due scuole di pensiero (si fa per dire), Sergio Romano individuava un terzo strumento che si cominciava a utilizzare per riuscire dove gli altri due avevano fallito: l’unificazione europea. Ipotizzava la possibilità (che poi si è puntualmente verificata) che i patrioti cercassero di smorzare ogni differenza o pulsione autonomista e particolarista all’interno del calderone europeo, sperando di poter scaricare su un contenitore più grande tutte le contraddizioni di quello più piccolo. “Che senso ha dividerci, quando ci stiamo tutti unendo in Europa?” è il mantra che da decenni viene salmodiato.
Ma non è il solo marchingegno che è stato messo in campo. I patrioti hanno utilizzato almeno altri tre progetti “unificanti”: 1 – la diluizione di ogni differenza tramite massicci trasferimenti di popolazione (dal Sud al Nord, dalle campagne ai centri urbani, e poi dall’estero in Italia) per annacquare ogni identità in un meticciato suscettibile di ogni imposizione e vessazione; 2 – l’acquisto del consenso di una ampia fetta di popolazione in grado di condizionare le scelte elettorali mediante tutta una serie di marchingegni di welfare peloso (stipendi pubblici, pensioni facili, prebende e stipendi, posti politici eccetera); 3 – con l’utilizzo disinvolto delle organizzazioni criminali  ampliando a dismisura il loro raggio di azione dal Meridione a tutta la repubblica. Lo sdoganamento delle associazioni criminali è stato uno degli atti più (s)qualificanti del Risorgimento: in cambio della libertà di azione e di nuovi “mercati”, queste sono diventate il più sicuro baluardo del patriottismo italiano.
Insomma, non serve più fare guerre o cercare di indottrinare con la lettura forzata del libro Cuore: l’unità d’Italia si difende distribuendo stipendi e pensioni, riempiendo la Padania di foresti possibilmente prolifici e molesti e consegnando l’economia settentrionale alle varie mafie meridionali. La ciliegina sulla torta è la gioia di appartenere alla patria europea dei finanzieri, dei burocrati e degli usurai. Assieme al tricolore si sventoli il pentalfa moltiplicato per dodici!
Le cronache di questi giorni confermano la cura: territori invasi da frotte di molesti, disordine e criminalità, produttori sempre più oberati dal peso del mantenimento dei parassiti, mafie e camorre che spadroneggiano, politici corrotti e collusi e l’Europa che “ci insegna a stare al mondo”.
In tanti sciagurati si impegnano a preservare e rafforzare l’unità  dello Stato italiano. Il vero problema non sono però pidocchi, foresti, ladri e picciotti ma l’unità politica della penisola. Quello è il peccato originale, la “madre di tutte le nequizie”: tutti gli altri difendono l’unità perché sanno benissimo che possono sopravvivere solo grazie a essa. Liberiamoci dalla prigione unitaria e potremo risolvere tutti i problemi che essa ha generato. Indipendenza!

Continuano le presentazioni del corposo e prezioso volume sul Monferrato



Continuano le presentazioni del corposo e prezioso volume sul Monferrato edito da Lorenzo Fornaca, la prossima avverrà nella suggestiva cornice del Castello di Gabiano.
A tutt'oggi è da ritenersi l'opera sul Monferrato più esauriente che sia stata pubblicata, sia dal punto di vista della divulgazione storica culturale artistica e paesaggistica, per la molteplicità degli argomenti affrontati e correlati, sia per la qualità editoriale di notevole pregio, per la ricchezza dell'iconografia, il prestigio e l'attendibilità dei suoi autori e collaboratori.
Un'opera che difficilmente sarà possibile ripetere e non credo possa avere eguali, non certo nel medio periodo, considerando anche le ripercussioni della grave crisi che ha colpito ovviamente anche il settore editoriale ed impedirà di ripetere simili investimenti, per cui acquisire questo volume, per coloro che ancora non lo posseggono, significa assicurarsi un piccolo investimento culturale senza eguali e che diverrà sempre più prezioso assumendo valore nel tempo. Consigliato a tutti coloro che vivono ed amano il Monferrato e per coloro che intendono scoprirlo e valorizzarlo.


L'editore Lorenzo Fornaca con Claudio Martinotti Doria, uno degli autori del volume, che ha curato i capitoli sui Templari in Monferrato ed i rapporti del Monferrato con Genova


Il Comune di Gabiano si prepara per accogliere la presentazione del prestigioso volume Monferrato Splendido Patrimonio nella cornice del suo antichissimo Castello

L’appuntamento avrà luogo sabato 27 ottobre, alle ore 15.00, al Castello di Gabiano; il libro vede coinvolti più di quarantacinque studiosi sotto l’egida dell’editore Lorenzo Fornaca. Oggetto: un territorio straordinario e ricco di risorse, il Monferrato.

Il Comune di Gabiano ed il Castello di Gabiano organizzano con la collaborazione della Provincia di Alessandria, la Provincia di Asti, il comune di Casale Monferrato, di Aqui Terme e con l’intervento del circolo culturale "I Marchesi del Monferrato”, un incontro di grande interesse storico-culturale per storici, adepti e semplici appassionati di questo così complesso e affascinante “suol d’Aleramo”.


   Il Castello di Gabiano visto da Ovest, risale come origini all'Alto Medioevo poi ceduto nel XII secolo dall'imperatore Federico Barbarossa al marchese di Monferrato


Come afferma il suo curatore, il libro vuole essere soprattutto un dono ai più affezionati lettori, “quelli che mi seguono partecipi e attenti da anni alla scoperta di tesori poco noti provenienti da una terra unica al mondo”.

I saggi, realizzati da docenti universitari, storici e studiosi, annoverano tra i temi le numerose eccellenze del Monferrato, dal cibo ai nobili vitigni che avvolgono le sue colline, dai castelli ai paesaggi, dai miti alle epiche gesta di figure leggendarie.

Tra le personalità che interverranno alla presentazione, citiamo i rappresentanti degli enti patrocinatori e alcuni degli autori: Prof. Giuliana Romano Bussola, Prof. Carlo Caramellino, Avv. Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro, Mons. Vittorio Croce, Prof. Gianfranco Cuttica di Revigliasco, Prof. Marco Devecchi, Dott. Bruno Draccone, Dott. Claudio Galletto, Prof. Aldo Gamba, Mons. Francesco Mancinelli, Prof. Peter Mazzoglio, Prof. Dionigi Roggero.

Un momento che vuole essere stimolante e conviviale allo stesso tempo, gli ospiti saranno invitati infatti a condividere quasi una “tavola rotonda” con i relatori, a seguito della quale potersi intrattenere degustando i vini immensi prodotti nelle cantine del Castello di Gabiano abbinati a prodotti locali, visitando il suo parco ed il rarissimo labirinto giardino.

Un momento da non perdere per scoprire quanto ancora occorre conoscere del Monferrato, dalla sua profonda cultura ai suoi luoghi di grande fascino rappresentati soprattutto dai piccoli centri, dalle dimore storiche, dal paesaggio attorno e le sue tradizioni.

Area di influenza politico miliatare del marchesato di Monferrato nel Medioevo

Da un racconto di Edgar Allan Poe traiamo ispirazione per mettere in guardia la casta del potere politico ed economico italiano che corre più rischi di quanto non creda

La maschera della “morte rossa” nei palazzi del potere: obiettivo, la Casta 

Fonte: L'Indipendenza, Quotidiano on line http://www.lindipendenza.com
 

di DANIELE VITTORIO COMERO

 

Una chiave di lettura per interpretare i fatti politici di questi giorni, a Milano come a Roma e Torino è in un tetro racconto di Edgard Allan Poe: “La maschera della morte rossa “.
Tutto ruota intorno all’allegoria della morte rossa, rappresentata da una terribile epidemia di peste che si diffonde portando devastazione in Europa, nel tardo medioevo.
Il racconto tratta la vicenda umana e politica di un potentissimo principe, con possedimenti e ricchezze enormi. Il suo nome è Prospero, ed è convinto che la sua ricchezza e il suo potere lo rendano praticamente invulnerabile.
Il principe Prospero visto il diffondersi della peste decide di rinchiudersi in un suo sontuoso e immenso castello con una compagnia di amici scelti. Sicuro di essere più forte di quel male, che aveva come emblema l’orridezza del sangue, che cominciava coi dolori acuti, poi macchie rosse sul corpo e specialmente sul viso della vittima, che la mettevano al bando dell’umanità.
Il principe aveva pensato a tutto, per chiudersi al sicuro nello splendido palazzo, accumulando tutti i mezzi del piacere: grandi riserve di cibo, un buon numero di buffoni di corte, degl’improvvisatori, dei ballerini e ballerine, dei musicisti, insomma il bello sotto tutte le forme e il vino.
Fuori nel contado la Morte rossa dilaga, dentro il potente proprietario si è circondato di tutte quelle belle cose, con la sicurezza dei sigilli apposti a tutte le porte in ferro.
Però, c’è sempre l’imponderabile, la morte è ovunque e giunge inaspettata anche all’interno di quel rifugio, proprio quando il principe decide di dare una festa verso la fine del quinto mese, mentre il flagello infieriva più rabbiosamente che mai nel principato.
Il principe Prospero volle regalare ai suoi mille amici rinchiusi con lui nella fortezza una festa, un grande ballo in maschera, di una magnificenza rara. Aveva preparato tutto con cura, allestendo appositamente sette sale di vari colori, nell’ultima ha posto un’enorme pendola che scandiva minacciosamente le ore.
Quando l’orologio cominciò a scoccare la mezzanotte, il ballo e le licenziosità si fermano. Tutti si guardano attorno con aria spaventata, aspettandosi qualcosa di insolito e terribile. L’attenzione cade su di una maschera, disgustosa e terribile, avvolta da capo a piedi in un sudario macchiato di sangue. Il principe fu percorso da un brivido, chiede a gran voce di smascherare l’intruso, ma nessuno osa toccarlo. La maschera rossa prosegue il suo cammino verso l’ultima stanza, rincorsa dal principe con la spada sguainata. Giunta nell’ultima sala, la figura si gira ed affronta il suo inseguitore, che con un grido disumano cade a terra, morto. Allora un gruppo di partecipanti si avventa e strappa il mantello allo sconosciuto. Con orrore tutti si accorgono che sotto non c’è alcuna forma tangibile.
Subito dopo la Morte rossa lì colpisce tutti, uno dopo l’altro, inesorabilmente. L’orologio cessa di segnare il tempo, i bracieri si spengono. La fortezza diventa così la grande tomba del principe Prospero, come imperituro monito ai “potenti”.

Morale: la Casta politica pensa di proteggersi chiudendosi dentro i palazzi del potere. Palazzo Montecitorio a Roma, palazzo Lombardia o palazzo Marino, a Milano, ne sono un bel esempio. L’isolamento non protegge dai rischi, ma crea più pericoli di quanto riesca in verità ad allontanarne. E’ più saggio stare in mezzo al popolo, la sola vera fortezza di difesa dai nemici.

Gli intellettuali sono più corrotti dei politici ed è questo fatto che non fornisce speranze al nostro paese

Gli intellettuali sono più corrotti dei politici 

di Massimo Fini

 Fonte: Il Fatto Quotidiano  http://www.ilfattoquotidiano.it
Una società in cui i politici sono corrotti può recuperare, ma una società in cui gli intellettuali e i moralisti sono più corrotti di coloro cui pretendono di far la morale non può che precipitare nel caos”. Così scrivevo nel 1986 (‘C’è un’altra questione morale: gli intellettuali in malafede’, Europeo, 2.8.1986). A più di un quarto di secolo quelle parole mi paiono sinistramente profetiche. Nel più pieno caos ci siamo, viviamo in una società senza regole, che non siano i burocratismi ottusi tipici di ogni regime (sbocconcellare un panino in strada non si può, rubare a quattro palmenti sì), senza principi, senza etica, senza dignità, senza onore e senza grandezza persino nel malaffare. Lo abbiamo visto, ‘in corpore vili’, nei recenti scandali che coinvolgono i consiglieri regionali di mezza Italia. Ciò che colpisce in questi individui, al di là dell’impudenza e delle ruberie, è la loro mediocrità di uomini. Già sono dei miracolati che, in genere, non hanno alle spalle una professione, un mestiere, che non hanno mai fatto un vero giorno di lavoro in vita loro. Se hanno raggiunto nell’amministrazione pubblica posti di rilievo e ben remunerati non è certo per le loro preclare virtù ma solo ed esclusivamente per l’infeudamento in un partito. Avrebbero potuto accontentarsi. Invece si sono venduti per una cena in un bel ristorante, per una spesa al supermercato, per trarre una ragazza che non sono capaci di conquistare in modo normale.
Questi, fatta qualche debita eccezione, sono i nostri rappresentanti, a tutti i livelli. Ma, come venticinque anni fa, resto convinto che i principali responsabili della degenerazione morale in cui è precipitato in nostro Paese, siano gli intellettuali (ma sarebbe più preciso dire i giornalisti perché dopo la morte di Pasolini di intellettuali che abbiano qualche voce in capitolo non se ne vedono più in giro) che, per opportunismo, viltà e tornaconto hanno abdicato al ruolo di ‘coscienza critica’ di una società, preferendo infeudarsi in una delle tante bande che infestano questo Paese, traendone visibilità, prestigio e quattrini. Si sono comportati esattamente come quei politici su cui oggi, a babbo morto, moraleggiano. Pronti naturalmente a rivoltar per l’ennesima volta gabbana se il vento cambierà. Finirà come con Mani Pulite. Nel 92-94 era tutto un “Tonino qua e un Tonino là” come se avessero mangiato nello stesso piatto di Antonio Di Pietro (mi ricordo un famoso editoriale di Paolo Mieli, direttore del Corriere: “ Dieci domande a Tonino”). Ma passata la buriana quella stessa stampa fu complice della classe politica nel trasformare i ladri in vittime e i magistrati, Di Pietro in testa, nei carnefici e nei veri colpevoli. Così andrà anche questa volta.
Non esiste più nella nostra struttura sociale un’elite, intellettuale, culturale e morale, quella che Giorgio Bocca, quando credeva ancora in questo Paese, chiamava ‘la società degli eccellenti’ in grado di far da filtro almeno alle sguaiataggini più sfacciate. Oggi al posto degli ‘eccellenti’ dominano gli impudenti.
Massimo Fini

Viviamo dentro uno “Stato massimo”: la libertà è una chimera!

Viviamo dentro uno “Stato massimo”: la libertà è una chimera!

Fonte: L'Indipendenza, Quotidiano on line http://www.lindipendenza.com

di SANDRO SCOPPA* presidente della Fondazione Vincenzo Scoppa http://www.fondazionescoppa.it/


Uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo è rappresentato dalla crescita accelerata e rilevante delle funzioni dello Stato che, come ha scritto Ludwig von Mises, «è essenzialmente un apparato di costrizione e coercizione». Mises ha giustamente visto che «il tratto caratteristico» delle attività statali consiste nel «costringere la gente, attraverso l’applicazione o la minaccia della forza, a comportarsi diversamente da come avrebbe fatto». Il processo di espansione della sfera di intervento statale appare al momento inarrestabile. Ed è favorito dall’azione di ideologiche ostili al mercato e alla cooperazione sociale volontaria, a cui l’affermazione in campo economico delle teorie keynesiane ha dato un rilevante e rinnovato sostegno. È così che, attraverso l’attribuzione di sempre più vaste competenze in materia economica e sociale, il potere pubblico reso pervasiva la sua presenza nella società. Come è mostrato da vari elementi, lo Stato è divenuto “massimo”.

Un primo elemento su cui occorre soffermarsi è senz’altro rappresentato dalla pressione fiscale, che appare spinta ai limiti dell’esproprio. Il che viene attuato mediante un sistema tributario notevolmente complesso e articolato, che impone un numero imprecisato di tributi. Ciò ha prodotto e produce gravi conseguenze a carico delle scelte individuali e della dinamica sociale nel suo complesso. Viene impedita la realizzazione di progetti economici, perché l’imposizione li renderebbe infruttuosi. Le risorse vengono in tal modo distolte da settori verso cui i privati le avrebbero indirizzate e vengono convogliate verso settori decisi da politici e burocrati.

Altro ma non meno importante elemento è dato dal controllo da parte dello Stato dell’istruzione. C’è un regime di monopolio, che abbraccia le scuole di ogni ordine e grado e il sistema universitario, anche gli atenei gestiti da enti privati, che sono sottoposti all’autorità centrale e periferica del Ministero dell’Istruzione e assoggettati al principio di conformazione al modello statale.

C’è poi il controllo dei mezzi di informazione: i giornali, per i quali è persino previsto il finanziamento pubblico; la televisione di Stato, che rappresenta un mezzo pubblico a carico dell’erario,  ma che è posta al servizio della politica. Lo Stato controlla altresì l’economia e i fenomeni di mercato, non solo direttamente con le aziende pubbliche e ponendosi come imprenditore, ma anche sussidiando gruppi contigui alla politica, che sopravvivono proprio per i contributi finanziari dello Stato e la socializzazione delle perdite. Per effetto di ciò, interessi vari si mescolano a danno delle categorie che, senza protezione, operano sul mercato. L’ingerenza statale nell’economia si realizza anche con la limitazione della proprietà privata, che viene regolata e guidata da interventi governativi e di altre forze dotate di poteri coercitivi, ovvero imponendo la realizzazione di fini “sociali”.

A fare da cornice a tutto ciò, c’è ovviamente l’identificazione del diritto con la legislazione e l’assenza di limiti alla produzione legislativa. Il che rende onnipotente il legislatore. C’è qui il problema dell’inflazione legislativa, conseguenza della produzione politica del diritto, da parte di maggioranze mutevoli e interessate esclusivamente a tutelare i loro particolarissimi interessi. E viene in tal modo meno la certezza del diritto, «concepita come possibilità di progettare a lungo termine da parte degli individui, per quanto concerne la loro vita e gli affari privati» (Bruno Leoni).

Si comprende allora perché la configurazione dello Stato massimo costituisca una grave minaccia per la libertà individuale e di scelta tout court, che viene così notevolmente limitata. E viene limitato il confronto critico, che nella società aperta svolge una funzione imprescindibile. Viene cioè compromessa la competizione in politica, in economia e in ogni tratto della vita sociale. Ciò significa che viene inficiata la ricerca delle soluzioni che meglio resistono al confronto e che stanno alla base dello sviluppo. Come ha chiarito Friedrich A. von Hayek, la competizione non è una lotta di tutti contro tutti, bensì un processo che fa emergere ciò che è opportuno fare e ciò che non lo è. Lo Stato non dispone di alcuna superiorità conoscitiva. Il gruppo di uomini che lo rappresentano hanno sempre una conoscenza inferiore rispetto a quella presente nella società. In sostanza, se il principio competitivo (e il fallibilismo) vengono sostituiti dal monopolio dello Stato e dalla presunta superiorità gnoseologica dei suoi apparati, ci priviamo di tutta la ricchezza che un processo sociale davvero aperto può produrre.

A tale situazione occorre porre rimedio. Il potere pubblico deve essere limitato; il che non equivale a farne a meno. Come Mises ha rilevato, «quel che caratterizza il punto di vista liberale è l’atteggiamento nei confronti della proprietà privata e non l’avversione per la “persona” dello Stato»; mentre Hayek ha aggiunto: «Il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere interamente eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia […] di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri». Il potere pubblico è pertanto insopprimibile. Tuttavia lo stesso non può assumere le dimensioni dello Stato massimo, né sostituirsi ai consociati in quello che essi possono fare autonomamente, ma deve limitarsi a svolgere una funzione di servizio nei confronti della libera cooperazione sociale volontaria. Ossia: al potere pubblico deve essere demandata la “produzione di sicurezza”, ma i bisogni devono essere soddisfatti tramite la libera cooperazione sociale.

*Tratto da Liber@mente n. 5/2012

Non c'è solo Equitalia, ma anche le Poste ecc, sono enti estorsivi ...

Non c'è solo Equitalia, ma anche le Poste ecc, sono enti estorsivi ...

di Claudio Martinotti Doria

Quel carrozzone estorsivo che risponde al nome di Poste italiane mi ha accolto al mio riento a casa dopo qualche giorno trascorso dai parenti in montagna con un paio di piccole e assai sgradite sorprese.

In primo luogo ho scoperto che se non sei a casa e non possono consegnarti direttamente una raccomandata, siccome vai tu a prendertela a spese tue nella sede della posta, con una logica che non fa una grinza per un alcolista demente e schizzato, devi pure pagare una tassa per poterla ritirare, una sorta di tassa per la pernanenza della lettera in giacenza presso di loro. Del resto chi potrebbe dubitare che si tratta di un servizio e che quindi deve essere doppiamente remunerato, prima dal mittente e poi dal destinatario, quest'ultimo non vedeva l'ora di ricevere la raccomandata!

Poi ho riscontrato che per pagare un bollettino ad una associazione di volontariato, la tassa era aumentata da 1,10 (già esosa) a 1,30 euro, alla faccia dell'inflazione ufficiale minimale sbandierata pubblicamente, ed a conferma dell'inflazione percepita, che è di circa il 20 per cento annuo, vedasi benzina, gas, sigarette, ecc..

Meno male che quasi tutte le Onlus hanno ormai un IBAN cui poter effettuare un bonifico on line a costo zero o rasente lo zero, altrimenti questi parassiti delle poste lucrerebbero alla grande sui versamenti di solidarietà, che già sono difficoltosi e quindi rari in questi tempi di crisi, ma diverrebbero pure irritanti, sapendo che a volte il 10 per cento ed oltre di quanto si versa va a finire nelle casse di questo carrozzone che simula di fornire servizi ed invece è solo un estorsore monopolistico.

Povera Italia, paese indegno ed ormai al collasso, destinato ad implodere su se stesso.