Fonte: L'Indipendenza, Quotidiano on line http://www.lindipendenza.com
di ENZO TRENTIN
La capacità di scatenare reazioni polemiche e dissensi, soprattutto quelli che minacciano di tradursi in spese o altri pericoli, fa tutt’uno con il potere. In aggiunta agli altri investimenti politici che negli anni settanta e ottanta del secolo scorso la comunità economica (non esclusivamente, ma prevalentemente statunitense) ha sponsorizzato la crescita di istituzioni come la American Legal Foundation, la Capital Legal Foundation, il Media Institute, il Center for Media and Public Affairs e l’Accuracy in Media (AIM). Si può ben dire che tutte queste istituzioni hanno lo scopo specifico di scatenare attacchi polemici.
La American Legal Foundation, organizzata nel 1980, si è specializzata in azioni legali per violazione del principio di correttezza e per diffamazione a sostegno delle “vittime dei media”. La Capital Legal Foundation, registrata nel 1977, fu lo strumento con cui Scaife condusse l’azione legale per diffamazione di Westmoreland contro la CBS, un’azione conclusasi con un indennizzo di 120 milioni di dollari. [vedere V. Walter Shneir e Miriam Shneir. Beyond Westmoreland: The Right's Attack on the Press. The Nation, 30 marzo 1985.]
Una diversa e più vecchia macchina deputata a innescare tali reazioni di dissenso, sia pure nell’ambito di un progetto di più vasta portata, è la Freedom House, che Noam Chomsky e Edward S. Herman nel loro libro dal titolo La fabbrica del consenso analizzano in quella che è stata regolarmente considerata la prova dell’«atteggiamento ostruzionistico» dei media nei confronti del potere costituito e recensiscono uno studio della Freedom House in cui viene argomentata tale accusa. In realtà anche in questo caso il comportamento dei media rispecchia le aspettative del modello della propaganda statale statunitense e le principali tesi avanzate cadono sotto il peso delle stesse prove presentate per sostenerle. Da un esame più ravvicinato di questa accusa si mostra che è anch’essa priva di fondamento: una volta corrette le “esclusive” della Freedom House, si scoprì che i servizi dei media sono professionalmente apprezzabili, ed è la Freedom House a mostrare un livello grave di incompetenza. Il fatto che tale studio sia stato preso sul serio e abbia costituito il punto di partenza di molte discussioni successive è davvero inquietante.
Ciò premesso, guardiamo all’ultimo rapporto annuale della Freedom House: «New York, 1 maggio 2012. La libertà di stampa è leggermente aumentata in Italia con le dimissioni di Silvio Berlusconi da premier, ma il Paese resta tuttavia ‘parzialmente libero’, anche a causa dell’influenza del Cavaliere. [...] Il nostro Paese è un raro esempio di nazione non ‘libera’ in Europa occidentale e si posiziona al pari di Guyana e Hong Kong…». Insomma, sembrerebbe sia tutta colpa del “Cavaliere” se non ci sono standard democratici apprezzabili nei mezzi d’informazione italiani, trascurando, di fatto, il sistema dei finanziamenti pubblici cui quasi tutti questi media accedono.
Ancora il Monti che dal 2005 è international advisor per Goldman Sachs, dal 2010 è presidente europeo della ben nota Commissione Trilaterale fondata nel 1973 da David Rockefeller, nonché membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg. Non dobbiamo sorprenderci di questo. I potenti, quelli veri, hanno sempre utilizzato figure di questa levatura, si pensi a Ronald Reagan. È stato il 40º presidente degli Stati Uniti d’America, in carica dal 1981 al 1989. In quegli anni il presidente si presentava alla televisione per far pesare il proprio fascino su milioni di persone. Se i media osavano criticare il “grande comunicatore” venivano inondati da lettere di dissenso.
Riferendosi ai frequenti errori di Reagan, George Skelton, corrispondente dalla Casa bianca per il Los Angeles Tìmes, disse: «Tu racconti l’episodio una, due volte, e ricevi in cambio un sacco di lettere che ti dicono “te la stai prendendo con lui, anche voi giornalisti fate errori”. A questo punto i direttori fanno sì che questi episodi non vengano più fuori. Sono vere e proprie intimidazioni» (Citato in Hertsgaard, «How Reagan Seduced us).
Ronald Reagan affascinava in tv leggendo discorsi scritti dal suo staff ma personalmente non era in grado di esprimere alcuna opinione articolata e di improvvisare un discorso o tenere una conferenza. Era un bluff.
È degno di nota che il fatto sia ora tacitamente ammesso; nell’istante in cui il “grande comunicatore” non fu più di alcuna utilità come simbolo, i media lo misero silenziosamente da parte. Dopo otto anni di finzioni sulla “rivoluzione” operata da Reagan, nessuno si sognava di domandare al suo artefice una qualche opinione su qualunque argomento, perché era scontato che, come sempre, non ne avesse nessuna. Quando Reagan fu invitato in Giappone in qualità di ex presidente, i suoi ospiti restarono sorpresi e, dato il congruo compenso che ricevette, anche un po’ stizziti, scoprendo che non era in grado di tenere conferenze stampa o di parlare su un qualunque tema. La loro perplessità suscitò qualche commento divertito sulla stampa americana: i giapponesi credevano a ciò che i media avevano riportato negli Stati Uniti su quella figura straordinaria, fallendo nel comprendere i meccanismi della misteriosa mente occidentale.
Ai soggetti su indicati vanno aggiunti vanno aggiunte le società di rating.
Come si vede, quindi, non sempre le classifiche sono oggetto di studi attendibili, e troppo spesso i giudizi inducono a porsi la domanda non tanto retorica cui prodest – letteralmente: a chi giova?
Si tratta, in realtà, anche della nota strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. «Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali» (vedasi Armi silenziose per guerre tranquille). Mentre per intero questo nostro paese ha l’espressione dell’urlo di Monk, vive una propria tragedia, acuita dai minacciosi sottintesi del premier Monti; il periodico Executive Intelligence Review segnala come la realtà stia sconvolgendo i piani dei decisori UE, i cui schemi nascono già superati dalla crisi finanziaria e bancaria. Intanto che il Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM) e il Patto Fiscale devono essere ancora ratificati, le banche e i loro portavoce – che sorpresa! – stanno già strillando che l’ESM non è sufficiente e c’è bisogno di un mega-fondo di salvataggio bancario.
Ma fanno i conti senza l’oste. In primo piano c’è l’incertezza sulla permanenza della Grecia nell’euro, poi la crisi bancaria e la protesta che sta montando in Spagna, la sconfitta dei partiti filo-EU in Germania e Italia e il referendum in Irlanda il 31 maggio.
In Europa, l’ex primo ministro francese Michel Rocard ha proposto, in un’intervista a Radio Classique Public Senat il 10 maggio, che la Francia dia l’esempio alle altre nazioni introducendo per prima la separazione bancaria. «Se si gestiscono i depositi degli altri e dell’economia non si devono prendere rischi. Questo dovrebbe essere proibito», ha detto Rocard. «Il divieto c’è stato per 70 anni, grazie a Franklin Roosevelt nel 1933, poi è stato tolto. Si chiamava Legge Glass-Steagall, un nome che spesso ricorre. Tra il 1995 e il 2000 è stata abrogata, sia negli Stati Uniti che in Europa, e da allora ogni cinque anni è scoppiata una grave crisi finanziaria».
Gli avversari di Glass-Steagall non hanno argomenti validi e cambiano soggetto, sostenendo che essa «non avrebbe impedito la bancarotta di Lehman Brothers» e ora, non avrebbe impedito che J.P. Morgan perdesse anch’essa circa 2 miliardi di US$. Giusto. Ma avrebbe isolato il settore bancario commerciale, permettendo alle grandi banche d’investimento e ai loro hedge funds di scegliere liberamente di fallire senza mettere a repentaglio la società.
La politica di Hollande sarà anche influenzata dall’esito delle elezioni politiche del 10 e del 17 giugno. Dopo il voto, l’Assemblea Nazionale e il Senato dovranno ratificare proprio il trattato che Hollande sostiene di voler cambiare. Ma come? In Germania, la ratifica parlamentare dello stesso trattato e dell’ESM, originalmente prevista per il 25 maggio, potrebbe slittare a dopo le elezioni francesi. Il governo di Angela Merkel potrebbe accettare qualche tipo di modifica, ma è da vedere se questa sarà sostanziale o solo un cambiamento cosmetico per ottenere i voti della SPD e permettere a Hollande di agitare uno scalpo.
In tutti questi sommovimenti, però, al cittadino comune non è dato districarsi. Avere gli strumenti per analisi quanto meno vicine alla realtà. Troppi attori del “torrente informativo” sono interessati a creare rumori di fondo tesi all’indecifrabilità. Se c’è un progetto per uscire da questo ginepraio esso non può che iniziare rielaborando ciò che storicamente fece la grandezza dell’Europa medievale legata alla complessità istituzionale che per secoli ha visto un gran numero di città libere, regioni indipendenti, federazioni, piccoli regni, comuni rurali e leghe.
È dunque necessario cominciare dal basso riformando gli Statuti degli Enti locali imperniandoli almeno su tre cardini:
1) La GARANZIA che la Sovranità di ogni cittadino è inalienabile, inviolabile ed imprescrittibile per diritto naturale;
2) I REFERENDUM deliberativi di iniziativa popolare senza quorum;
3) La REVOCA del mandato per tutti i ‘rappresentanti’.
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