Fonte: Stampa Libera http://www.stampalibera.com
Articolo di Jacopo Castellini * Link [1]
Minnesota, Tennessee, Iowa, South Carolina e Georgia.
Questi sono i primi stati che si stanno preparando alla morte del
dollaro e al collasso del governo federale. Come? Permettendo ai loro
cittadini di utilizzare oro, argento o altri metalli preziosi come mezzo
di pagamento e autorizzando la creazione di monete emesse dagli stati,
alternative o complementari al greenback.
Infatti, “in caso di iperinflazione, depressione, od altre calamità economiche relative al crollo del Sistema della Federal Reserve…le finanze dello Stato e l’economia privata precipiterebbero nel caos”, afferma Glen Bradley, deputato repubblicano del North Carolina
e promotore, nel 2011, di una proposta di legge che introduce una
moneta locale ancorata alla riserva aurea. Ma se il potere d’acquisto
del dollaro Usa è in costante dimuzione a causa della politica
inflazionistica della FED, quello di metalli preziosi come oro ed
argento è in continuo aumento.
Mike Pitts, deputato repubblicano del South Carolina
ha presentato una proposta di legge che permette di utilizzare
qualsiasi moneta d’oro o d’argento (persino il Peso filippino o il
Krugerrand sudafricano) come mezzo di pagamento, basandosi su peso e
taglia. Pitts ritiene che la proposta (sostenuta da altri 12 deputati)
possa arginare quella che definisce “una crisi economica di portata
storica”. Anche i deputati repubblicani dello Stato di Washington
lo hanno seguito nel gennaio scorso, presentando una legge che rende
legale l’utilizzo di monete auree ed argentee come forma di pagamento
basata sul loro valore di mercato e anche in Idaho vi sono fermenti in
questa direzione.
Come lo Utah Gold and Silver Depository, che sta valutando la creazione di un sistema di carte di debito collegato alle riserve di metalli preziosi.
Proprio il parlamento dello Utah
è stato il primo, il 4 marzo 2011, a muoversi in questa direzione,
votando a grande maggioranza (47 deputati contro 26) una legge che
restituisce valore legale alle monete d’oro e d’argento ed introduce la
possibilità per lo stato di coniare una moneta alternativa al dollaro.
Da un punto di vista fiscale, le monete auree ed argentee (come la Gold e la Silver Eagle
coniate dalla Zecca Usa) vengono equiparate al dollaro, eliminando così
anche le tasse sul loro possesso. Una decisione radicale, perché
attacca frontalmente la FED, oltre a richiamare fermenti secessionisti e
localistici. Ma soprattutto mostra come la sfiducia nel dollaro non sia
più un comportamento ‘antiamericano’, bensì un sentimento reale. Oggi
la maggior parte degli americani (e degli elettori conservatori) sta
cominciando a capire che il denaro creato dal nulla da Fort Knox non è
più motore di sviluppo. Un ritorno al gold standard – la moneta
ancorata ad una riserva aurea – trova facilmente sostegno in tutto il
paese, a fronte del fatto che, dalla nascita della FED nel 1911, il greenback ha perso almeno il 90% del suo valore iniziale.
Se altri stati proseguiranno in questa direzione, si assisterà ad un effetto domino
in grado di rivoluzionare in poco tempo l’economia americana. Il potere
dei banchieri centrali diminuirebbe con l’aumentare degli stati
‘ribelli’, liberando i cittadini americani dalla schiavitù del debito. Oltre a quelli citati, anche Colorado, Montana, Missouri, Indiana, New Hampshire, Oklahoma e Vermont stanno rivalutando la loro dipendenza dalla stampante di Bernanke.
Ma
nel grande pentolone a stelle e strisce, c’è addirittura chi si sta
preparando al collasso dello stesso Governo Federale. Nel marzo scorso,
il parlamento del Wyoming ha mancato per soli tre voti
l’approvazione di una legge che prevedeva non solo l’istituzione di una
propria moneta, ma anche di un proprio esercito e persino l’acquisto di
una portaerei.
Il modello primario per quanti aspirano ad una maggiore autonomia da Washington è però il North Dakota. Unico stato ad avere una propria banca centrale, non ancorata al sistema della Federal Reserve,
il North Dakota non conosce crisi né disoccupazione. La sua banca
centrale è pubblica, non privata, ed utilizza gli utili della riserva
frazionaria per finanziare progetti di sviluppo, investimenti pubblici e
prestiti a tassi d’interesse bassi, concedendo finanziamenti equi anche
agli studenti (oggi principali sostenitori di Occupy Wall Street
anche a causa dello strozzinaggio bancario nei loro confronti). Un
esempio di economia virtuosa – che potrebbe presto essere seguito anche
da California, Ohio e Florida – reso possibile da una
classe dirigente all’altezza della fiducia degli elettori. All’epoca
della nascita della FED, infatti, al governo dello Stato vi era la Nonpartisan League,
che invitò l’elettorato (in gran parte contadino) a non fidarsi dei
banchieri di Wall Street. E anche se ciò le è valso l’accusa di
‘populismo’, il tempo ha dato ragione al buon senso.
Lo stesso buonsenso alla base del programma politico di Ron Paul, che rischia di realizzarsi anche senza la sua elezione alla Casa Bianca.
Difensore
della scuola economica austriaca e animatore dello spirito originario
dei Tea Party, Ron Paul ha centrato la sua campagna per le primarie
repubblicane sullo slogan End the Fed. Il senatore del
Texas è una mosca bianca nella politica americana per la coerenza con
cui porta avanti le sue idee sin dagli anni ’70, ma soprattutto perché
propone un concetto veramente ‘rivoluzionario’: difendere e attuare la
Costituzione americana.
La
carta costituzionale degli Usa, infatti, non prevede una banca centrale
federale, tasse federali, forze di polizia federali, agenzie federali,
né intromissioni di Washington negli affari interni degli stati
dell’Unione o dei suoi cittadini. Ma il sogno americano dei padri
pellegrini si è trasformato in un incubo. Il National Defense Auctorization Act
– che autorizza l’arresto e l’incarcerazione per un tempo illimitato di
chiunque su ordine presidenziale, anche in assenza di reato – e l’ordine esecutivo 12919
– che permette di fatto l’instaurazione della legge marziale e
conferisce pieni poteri al Presidente – sono gli esempi più emblematici
di quanto gli Usa siano diventati oggi un regime totalitario.
Oltre
a ciò, gli Usa sono diventati uno stato del Terzo Mondo e la
popolazione paga lo scotto dell’aver affidato ad una banca privata
(quale è la Federal Reserve) la creazione della moneta. Le cose sono
peggiorate a partire dal 1971, anno in cui l’allora presidente Nixon
abolì la riserva aurea come parametro di riferimento per l’emissione
monetaria. Un enorme vantaggio, secondo i greenbacker, che ritengono che il denaro fiat
(cioè privo di riserva di riferimento) sia un antidoto a qualsiasi
crisi deflattiva e garantisca al governo disponibilità infinita di
liquidità. Il debito che viene creato con la produzione di moneta non
sarebbe un problema (come non lo è per i seguaci di Keynes) perché
continuamente rifinanziato dal governo in cambio di nuova liquidità. Un
circolo vizioso in cui il debito diventa impagabile per sua stessa
natura e la produzione di nuovo debito positiva perché permette la
produzione di nuovi beni. Ma è davvero così?
Da
Nixon in poi, il denaro fiat ha permesso al governo Usa di moltiplicare
all’infinito le spese militari e il numero di conflitti bellici in cui
ha coinvolto il mondo. Guerre mirate ad affermare il dollaro come moneta
mondiale di fatto, condotte contro ‘stati canaglia’ rei di volersi
emancipare dall’ordine globale americano. Come Gheddafi, che stava
lavorando per introdurre il dinaro d’oro (fondato su
riserva aurea e con un valore aureo intrinseco) come valuta comune dei
paesi africani. Un progetto che – insieme alla creazione di istituzioni
economiche alternative a FMI e Banca Mondiale, quali il Fondo Monetario
Africano e la Banca Africana – avrebbe radicalmente sbilanciato gli
equilibri economici mondiali, attirando in Africa la maggioranza degli
investitori.
Il
debito creato con lo scopo di finanziare guerre e assicurare i
salvataggi finanziari non ha alcuna finalità produttiva ed è stato la
principale causa della crisi iperinflattiva in atto. Basti pensare che
il debito pubblico Usa durante i primi tre anni dell’amministrazione
Obama ha subito un incremento superiore a quello raggiunto dalla nascita
degli Usa al suo insediamento. Queste spese, inoltre, sono
economicamente e socialmente dannose. Le guerre, infatti, hanno spesso
comportato l’occupazione militare di paesi stranieri e quindi la
sottrazione di giovane manodopera, mentre i salvataggi finanziari
(quando le banche ‘aiutate’ non siano fallite ugualmente) tengono in
vita un sistema bancario che (attraverso il prestito ad interesse)
sottrae ricchezza e mina la sopravvivenza stessa degli individui (come
dimostrano i migliaia di americani privati di una fissa dimora in questi
ultimi anni).
Tutto questo non sarebbe stato possibile con l’ancoraggio del dollaro all’oro (gold standard),
che avrebbe posto dei limiti effettivi alla possibilità di spesa del
governo ed arginato il rischio di bancarotta degli Usa. Niente
imperialismo, niente salvataggi bancari, niente lievitazione dei tassi
di interesse. Nessuna possibilità, per i dirigenti della FED, di
prestare denaro a tassi agevolati alle banche amiche o di creare dal
nulla 15 trilioni di dollari (come denunciato [2] da Lord Blackheath alla Camera dei Lords britannica) per depositarli in banche straniere, come la Royal Bank of Scotland o la HSBC.
Mai come oggi, quindi, il programma di Ron Paul è stato più attuale:
chiudere la FED, tornare al gold standard e alla possibilità di
emissione monetaria per i singoli stati. Ma anche porre fine a tutte le
guerre imperialiste (è l’unico candidato ad aver espresso contrarietà ad
un intervento contro l’Iran). E ripristinare i diritti individuali,
abolendo le leggi liberticide che minano la libertà di opinione o di
scelta terapeutica e sottomettono il cittadino all’arbitrio governativo.
Proprio per questo, il senatore del Texas è il candidato che riscuote
il maggior successo tra le giovani generazioni (nonostante l’anzianità)
ed in particolare tra i delusi dalla politica di Obama, oltre ad aver
ricevuto il maggior numero di donazioni dai veterani e dai militari sul
fronte, per la sua politica non interventista. Non sorprende, dunque,
che la sua candidatura riscuota un notevole successo, tanto da spingere i
principali organi d’informazione a boicottarlo. Infatti, nonostante
abbia quasi sempre ottenuto posizioni di rilievo nelle primarie dei
singoli stati, i notiziari televisivi di quasi tutte le emittenti
dimenticano spesso di citarlo, nominando il primo, il secondo e… il
quarto classificato (quasi sempre Romney, Santorum…. e Gingrich), ma non
il terzo (Paul). Amnesia collettiva?
Ma i boicottaggi non sono solo mediatici. Sono molti i casi di frode a danni di Ron Paul e dei suoi delegati
in quasi tutti gli stati in cui si è votato, oltre a vere e proprie
intimidazioni. Di recente il Presidente del GOP (le primarie
repubblicane) Michael McDonald ha minacciato i delegati del Nevada di
non farli partecipare alla convention di Tampa (che dovrà ufficializzare
la candidatura presidenziale) se avessero scelto Ron Paul. Eppure
l’ultrasettantenne Paul, che ad oggi è l’unico avversario di Romney, non
sembra affatto rassegnato alla sconfitta. Anzi. La settimana scorsa i
votanti del Maine, dove i risultati del primo caucus erano
stati invalidati, hanno assegnato a Paul 21 delegati su 24. Stessa sorte
per il Nevada (22 delegati contro i 3 di Romney), ma anche il Minnesota
e l’Iowa (dove la vittoria è stata attribuita prima a Romney, poi a
Santorum e solo infine a Paul, quando ormai i riflettori mediatici erano
indirizzati altrove). Un successo non da poco, in una battaglia che
tutti i giornali e tv dicono già vinta dall’ex governatore del
Massachussets. Infatti qualcuno, anche sulle colonne di quei giornali
che finora hanno trattato Paul come un appestato, si sta già chiedendo
se sarà davvero Romney il candidato dei repubblicani (clicca qui [3]).
Comunque vada a finire la guerra per la nomination, lo Zio Ron ha già vinto.
Le sue idee stanno dilagando in tutti gli stati. La FED è giorno dopo
giorno sempre meno credibile, mentre cresce il numero di stati che
vogliono seguire l’esempio del North Dakota.
Ron Paul emerge sempre di più come l’uomo giusto al posto giusto, nel momento storico giusto. In un suo recente articolo [4] ,
Maurizio Blondet evidenzia come da tempo si stia tentando di costruire
un sistema finanziario e valutario alternativo al denaro fiat della FED e
alla finanza creativa. Le stesse banche, infatti, si sarebbero accorte
che l’oro è l’unico collaterale veramente sicuro in un sistema in cui i
debiti privati rischiano veramente di non essere ripagati. L’oro infatti
non rischia di essere mangiato dall’inflazione, ha un proprio valore
intrinseco ed è un bene esigibile nei confronti del debitore. Le banche
centrali, contrariamente alla tendenza generale a conferire il proprio
oro alla BIS (Banca dei Regolamenti Internazionali), hanno ritirato
negli ultimi mesi una quantità di oro complessiva di 635 tonnellate. In
particolare, sarebbero i paesi emergenti i principali attori su questa
nuova scena, che rischia di lasciare in disparte proprio gli Usa:
Messico, Turchia, Argentina, Ucraina. Ma soprattutto la Russia, ricca di
giacimenti aurei. E la Cina, che ha vietato l’esportazione di oro e sta
massimizzando l’estrazione e la raccolta di quello nazionale, con
l’obiettivo di fare dello Yuan la nuova moneta di riferimento
internazionale fondata sul tallone aureo . Manovre che acquisiscono
maggior significato nell’ottica dei nuovi rapporti tra Pechino e Tokyo
per la creazione di un redback e nell’accordo tra i BRICS (Brasile,
Russia, India, Cina, Sudafrica) per la creazione di una banca
internazionale per gli investimenti comuni, alternativa alla Banca
Mondiale e al FMI.
Una
vendetta non da poco da parte del Celeste Impero, che si era visto
rifilare tonnellate di lingotti di tungsteno placcati d’oro come
pagamento dei buoni del Tesoro Usa. Ma anche una rivincita per Muhammar
Gheddafi, che forse ha pagato il fio per aver mosso le sue pedine troppo
presto.
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