La
lettura di questo esaustivo articolo di storia contemporanea che vi propongo è
a dir poco raccapricciante ed angosciante, suscita emozioni devastanti. L’argomento
trattato è di quelli che raramente vengono affrontati se non minimizzandoli,
nonostante siano passati settant’anni dagli avvenimenti descritti, perché
rimossi anche dalla storiografia per motivi di convenienza politica e di pusillanimità.
Si parla delle truppe coloniali francesi capeggiate dal generale Juin che nel
’43/44 hanno compiuto numerosi crimini di guerra in Italia, prevalentemente
stupri di massa, ma anche saccheggi, violenze e devastazioni gratuite, comportamenti
aberranti peggiori di quelli nazisti e con ripercussioni ancora più gravi per
le decine di migliaia di vittime sopravvissute (molte sono state uccise dopo gli
stupri, altre si sono suicidate successivamente) che hanno avuto la vita rovinata
per sempre.
Gravissime
le responsabilità dei comandanti e politici francesi che sono rimasti impuniti
e senza nessuna conseguenza neppure alla reputazione e carriera, anzi ne hanno
tratto vantaggi.
Il
tutto con l’aggravante che i francesi in massima parte sono stati pure
collaborazionisti dei nazisti, per parecchi anni, e sono stati ritenuti alla
fine della guerra come alleati da tutto l’Occidente, e trattati da potenza
vincitrice, alla pari di Inghilterra e Stati Uniti, un trattamento
assolutamente discriminatorio rispetto a quello riservato all’Italia, che dal
settembre ’43 aveva firmato l’armistizio e combattuto a fianco delle truppe
alleate, ma fu sempre trattata con diffidenza e pregiudizio, considerata come
nazione nemica e sconfitta. Se vi furono voltafaccia ed ambiguità italiche, ve
ne furono altrettante e forse anche più gravi da parte francese, ma soprattutto
nessuna violenza nazifascista è paragonabile a quella esercitata dai francesi
durante la guerra in Italia, ed il fatto che su di essa sia sceso il silenzio
mediatico e storiografico è di una gravita inaudita che grida vendetta al cielo.
Sebbene siano trascorsi settant’anni è doveroso almeno divulgare questi
avvenimenti ed inchiodare moralmente i francesi alle loro responsabilità ed
affermare il diritto degli italiani ad additarli come colpevoli per i crimini
commessi in quel periodo e considerarli peggiori dei nazisti per i loro
aberranti comportamenti bellici, che hanno nascosto e persino negato, cercando
di minimizzarne la gravità. Oltre ad essere stati considerati degli infami e
derisi e denigrati, noi italiani abbiamo anche dovuto subire dai francesi
umiliazioni e violenze inaudite, proprio da parte di un popolo che durante la
guerra non mi pare si sia distinto in particolari virtù anti-naziste, ma semmai
in massima parte collaborazioniste, e quindi avrebbe dovuto essere trattato
analogamente al popolo italiano, che quantomeno durante la guerra non hai mai
commesso simili atrocità.
Claudio Martinotti Doria
La verità nascosta delle “marocchinate”, saccheggi e stupri delle truppe francesi in mezza Italia
di Andrea Cionci - 16/03/2017
Fonte: La Stampa
Il fatto che un regista italiano
di film porno abbia potuto girare una pellicola hard su una delle pagine
più mostruose vissute dalla nostra popolazione civile durante la
Seconda guerra mondiale, offre la caratura di quanto questi misfatti
siano stati rimossi dalla coscienza morale collettiva. L’episodio del
remake porno de La Ciociara di
Vittorio De Sica, che ha suscitato un’interrogazione parlamentare e una
lettera pubblica al premier Gentiloni, offre piuttosto l’occasione di
raccontare, documenti alla mano, tutta la verità relegata per oltre
settant’anni nei sotterranei della storia, indicando i numeri reali, i
colpevoli e i personaggi di primissimo piano - tra cui lo stesso Charles
De Gaulle - che ne furono i diretti responsabili.
Il film “La ciociara”
“Marocchinate”: con questo termine
si sono tramandati gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le
violenze di ogni genere perpetrate dalle truppe coloniali francesi
(Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana, dei
prigionieri di guerra e perfino di alcuni partigiani comunisti. La
storiografia tradizionale, le poche volte che ne ha trattato, ha
circoscritto questi orrori a qualche centinaio di episodi verificatisi
nell’arco di un paio giorni nella zona del frusinate. Le proporzioni,
tra numeri e gravità dei fatti, furono di gran lunga superiori. E a
breve – lo annunciamo in esclusiva - sarà aperto un procedimento penale
internazionale, ai danni della Francia, per iniziativa di un avvocato
romano.
Soldati nordafricani del Cef
1 Cos’era il CEF
Nel 1942, gli americani sbarcano
ad Algeri e le truppe coloniali francesi del Nord Africa, fino ad allora
agli ordini della repubblica filonazista di Vichy, si arrendono senza
sparare un colpo. Il generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia
occupata dai tedeschi e capo del governo francese in esilio “Francia
libera”, allora, attinge a questo personale militare per creare il Cef:
Corp Expeditionnaire Français, costituito per il 60% da marocchini,
algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un
totale di 111.380 uomini ripartiti in quattro divisioni. Vi erano però
dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i
cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in
reparti detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela
diretta. Erano in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus
arabo, vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori
(djellaba) e sandali di corda. Erano equipaggiati non solo con le armi
alleate (mitra Thompson cal. 45 mm e mitragliatrice Browning 12.7 mm) ma
anche con il tipico pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una
loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne
collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese).
Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in
Algeria che, da collaborazionista dei nazisti, era passato alle
dipendenze di De Gaulle.
2 Primi impieghi, prime violenze
Gli stupri delle truppe marocchine
cominciano già nel luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli
832 magrebini del 4° tabor aggregato agli americani che sbarcano a
Licata, compiono saccheggi e violentano donne e bambini presso il paese
di Capizzi, vicino Troina. Come riporta lo storico Michelangelo
Ingrassia, i siciliani reagirono uccidendone alcuni con doppiette e
forconi.
Il
16 maggio 1944, a Polleca, De Gaulle, con il generale Juin, quarto da
sinistra. In secondo piano, in borghese, il Ministro della Guerra
3 I marocchini aggirano Cassino risalendo i monti
Come noto, gli Alleati, risalendo
l’Italia senza troppe difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla
Linea Gustav, dove i tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu
il generale Juin, sin dall’inizio, a proporre ai colleghi statunitensi
Clark e Alexander l’aggiramento del caposaldo nemico. Dopo tre battaglie
sanguinosissime e prive di risultato gli Alleati avallarono la proposta
di Juin il quale aveva scoperto che il monte Petrella, a est di
Cassino, era stato lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In
quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto
farcela. Infatti, con l’operazione “Diadem” (l’ultimo assalto collettivo
degli Alleati) i goumiers riuscirono a sfondare la Linea Gustav e,
attraversando l’altipiano di Polleca, si lanciarono verso Pontecorvo.
Kesselring, comandante tedesco in
Italia, per tamponare lo falla, inviò i suoi Panzegrenadieren insieme a
reparti italiani della Rsi, (Gnr di Frosinone) i quali, dopo accaniti
combattimenti, dovettero soccombere. E’ accertato che gli ultimi soldati
tedeschi rimasti a Esperia si suicidarono gettandosi da un burrone per
non finire decapitati come altri loro commilitoni catturati. Questo
avveniva mentre i marocchini cominciavano a violentare moltitudini di
donne, uomini e bambini sull’altopiano di Polleca.
Il generale Alphonse Juin
4 La popolazione non comprende il pericolo
Sebbene siano conosciuti i
manifesti della propaganda fascista (alcuni disegnati da Gino Boccasile)
che mettevano generalmente in guardia la popolazione dalle truppe di
colore alleate, il partigiano e storico ciociaro Bruno D’Epiro racconta
che già prima della battaglia di Esperia un ricognitore tedesco aveva
lanciato sui monti Aurunci volantini che incitavano la popolazione a
fuggire dalle prevedibili violenze delle truppe nordafricane. Molti
bambini furono evacuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana e inviati
nelle colonie di Rimini, ma la maggior parte della popolazione ciociara,
stanca della guerra, si limitò ad aspettare, con rassegnato distacco,
il passaggio dei liberatori. Scriveva Renzo De Felice che “l’8 settembre
aveva fatto perdere agli italiani qualsiasi volontà di partecipare
attivamente alle vicende belliche”. Alberto Moravia, all’epoca sfollato
nel frusinate, ne “La Ciociara”, descrive bene questo sentimento di
rassegnata apatia facendo dire alla protagonista: ”Per noi bisogna che
qualcuno vinca sul serio, così la guerra finisce”.
5 Comincia l’inferno
Alla ritirata dei nazifascisti,
vari paesi della Ciociaria vennero occupati dai franco-coloniali del
Cef. Questo fu l’inizio di un assurdo calvario. Ad Ausonia decine di
donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che
tentavano di difenderle. Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime
Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni
subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due
uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200
goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. A Esperia
furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti. Anche
il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due
ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera.
Morirà due anni dopo per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una
ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo,
verrà ammazzata. A Polleca si erano rifugiati circa diecimila sfollati,
per lo più donne, vecchi e bambini in un campo provvisorio. Qui si toccò
l’apice della bestialità. Luciano Garibaldi scrive che dai reparti
marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e anziane; gli
uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra,
evirati o impalati vivi. Una testimonianza, da un verbale dell’epoca,
descrive la loro modalità tipica: “I soldati marocchini che avevano
bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa,
colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola
cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa
30 metri dalla casa e violentata mentre il padre, da altri militari,
veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti
terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al
genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato
sugli stessi”. Riportiamo solo alcune di queste atrocità per fornire
un’idea di massima.
Civili in Ciociaria
6 Malattie veneree, orfani e suicidi
I comuni coinvolti nel Lazio
furono anche Pontecorvo, Campodimele, S. Oliva, Castro dei Volsci,
Frosinone, Grottaferrata, Giuliano di Roma e Sabaudia. Migliaia furono
le donne contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e
spesso contagiarono i loro legittimi mariti. Così come migliaia furono
quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la
guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose. Molte delle
donne “marocchinate” furono poi scansate dalla comunità, a causa dei
pregiudizi di allora, ripudiate dalle famiglie e, a centinaia, finirono
suicide o relegate ai margini della società. Una scia di sofferenze
fisiche e psicologiche, quindi, che si trascinò per decenni.
7 Colpevoli anche i soldati francesi bianchi
Non solo truppe di colore. Da
documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i
francesi bianchi parteciparono alle violenze: a Pico furono, infatti,
violentate 51 donne (di cui nove minorenni) da 181 franco-africani e da
45 francesi bianchi. Dato questo episodio e considerando che francesi
europei costituivano il 40% di tutto il Cef, risulta limitativo
addossare la responsabilità delle violenze ai soli goumiers marocchini.
Anche gli americani sapevano di questi fatti: solo in un paio di casi
tentarono debolmente di frenare i goumiers. Scrive Eric Morris in “La
guerra inutile” che, ancora vicino a Pico, gli uomini di un battaglione
del 351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro
comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per
combattere i tedeschi, non i goumiers”.
8 I comandanti non intervengono, fino in Toscana
Massimo Lucioli, co-autore,
insieme a Davide Sabatini, del primo completo studio sulle marocchinate
“La ciociara e le altre” (1998), spiega: “Dato il coinvolgimento dei
bianchi, non presenti nei reparti goumier, si può affermare che i
violentatori si annidavano in tutte e quattro le divisioni del Cef.
Forse anche per questo, gli ufficiali francesi non risposero ad alcuna
sollecitazione da parte delle vittime e assistettero impassibili
all’operato dei loro uomini. Come riportano le testimonianze, quando i
civili si presentavano a denunciare le violenze, gli ufficiali si
stringevano nelle spalle e li liquidavano con un sorrisetto”. Questo
atteggiamento perdurò fino all’arrivo in Toscana del Cef. Qui
ricominciarono le violenze a Siena, ad Abbadia S. Salvatore, Radicofani,
Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico d’Orcia, Colle Val d’Elsa.
Perfino membri della Resistenza dovettero subire gli abusi. Come
testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: ”Ad Abbadia contammo ben
sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro
familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta.
Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da
sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre proteste, risposero
che era tradizione delle loro truppe coloniali ricevere un simile premio
dopo una difficile battaglia”.
9 50 ore? Il proclama di Juin
Infatti, un comunicato attribuito
al generale Juin ai suoi uomini, recita: ““Soldati! Questa volta non è
solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa
battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i
migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete.
Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni
costo. Quello che vi ho detto è promesso e mantengo. Per cinquanta ore
sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico.
Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò
che prenderete”. L’autenticità di questo proclama è stata spesso messa
in dubbio, ma Juin, come si legge nei trattati giurisprudenziali
dell’epoca, poteva riferirsi legittimamente a una antica norma del
diritto internazionale di guerra che prevedeva il “diritto di preda
bellica”, tra cui lo stupro. Tant’è che le vittime furono, in fretta e
furia, dopo la guerra, risarcite con minimi compensi economici solo
attraverso un procedimento amministrativo, invece che dopo un regolare
processo penale. Gli indennizzi furono erogati prima dai francesi e poi
dallo Stato italiano. Con ottime probabilità, il proclama di Juin è,
quindi, da ritenersi autentico.
Secondo Lucioli, questo discorso
fu poi diffuso ad arte per limitare nello spazio-tempo le violenze che,
de facto, durarono ben più di 50 ore: dal luglio ’43 all’ottobre ’44
quando i franco-coloniali lasciarono l’Italia e si imbarcarono per la
Provenza ancora occupata dai nazisti. Solo nell’imminenza del ritorno in
Francia, alcuni dei violentatori furono puniti. Un partigiano della
brigata rossa “Spartaco Lavagnini” ricorda: “Sei marocchini vennero
fucilati sul posto perché avevano violentato una donna. Il capitano
(francese n.d.r.) ebbe a dirmi: “Questa gente sa combattere benissimo,
però meno ne riportiamo in Francia, meglio è”. Poco prima che i
marocchini toccassero il suolo provenzale, i loro comandanti, quindi,
avevano deciso di riportarli severamente all’ordine tanto che non si
registrarono mai violenze ai danni di donne francesi. Una volta in
Germania meridionale, invece, potranno dare nuovamente sfogo ai loro
istinti sulle donne tedesche, come riportano alcuni recenti studi.
Segno, quindi, che le efferatezze di queste truppe avrebbero potuto
essere certamente controllate e disciplinate.
Un reparto di Goumiers marocchini
10 Le responsabilità di De Gaulle
Un fenomeno di queste dimensioni
che si è protratto per dodici mesi, in mezza Italia, che ha interessato
un numero elevatissimo di persone, non poteva essere sottaciuto o
nascosto ai comandanti. “E’ evidente – continua Lucioli - che vi sono
responsabilità a livello gerarchico-militare e politico mai indagate.
Innanzitutto, i generali di divisione del CEF : Guillaume, Savez, de
Monsabert, Brosset e Dody i quali, non solo non hanno impedito le
violenze, ma le hanno incentivate: prima dell’attacco in Ciociaria,
infatti, le truppe coloniali erano state tenute consegnate in recinti di
filo spinato, lontano dai loro bordelli, evidentemente, per aumentarne
l’aggressività. Ma il principale responsabile della barbarie è da
ricercarsi, per un principio di responsabilità gerarchica, nel
comandante in capo di Francia libera, Charles De Gaulle, che – è provato
– durante il culmine delle violenze, si trovava, insieme al suo
Ministro della Guerra André Diethelm, proprio a Polleca presso il
casolare del barone Rosselli, eletto a quartier generale avanzato del
Cef. Vi sono fotografie inoppugnabili e anche un suo discorso che tenne,
in loco, in quei giorni. Le violenze accadevano, quindi, sotto ai suoi
occhi”.
Va anche ricordato che, quando
alcuni marocchini a Roma violarono due donne e le gettarono poi da un
treno in corsa, uccidendole, l’”Osservatore romano” e “Il Popolo”
aprirono una accesa polemica, denunciando chiaramente le violenze che si
verificavano ovunque i marocchini si fossero accampati. A questi
rispose il giornale delle truppe francesi in Italia “La Patrie”,
minimizzando l’accaduto. Ancora una volta, quindi, De Gaulle non poteva
non sapere. Impossibile pensare, anche, che i comandanti alleati
ignorassero quegli eventi.
11 I numeri delle vittime
Emiliano Ciotti, presidente
dell’Associazione Vittime delle Marocchinate, fornisce i numeri di
questo massacro: “Nella seduta notturna della Camera del 7 aprile 1952
la deputata del PCI Maria Maddalena Rossi denunció che solo nella
provincia di Frosinone vi erano state 60.000 violenze da parte delle
truppe del generale Juin. Dalle numerose documentazioni raccolte oggi
possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di violenze,
numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dell’epoca
riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte
medicare, sia per vergogna o per pudore, preferì non denunciare. Facendo
una valutazione complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate
in Sicilia e terminate alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare
con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, ognuna, quasi
sempre da più uomini. I soldati magrebini, ad esempio, mediamente
violentavano in gruppi da due o tre, ma abbiamo raccolto testimonianze
di donne violentate anche da 100, 200 e 300 uomini. Oltre alle violenze
carnali , vi furono decine di migliaia di richieste per risarcimenti a
danni materiali: furti, incendi, saccheggi e distruzioni”.
Mezzi tedeschi distrutti sulla strada di Esperia
12 La rimozione storica
Nonostante le pubblicazioni del
professor Bruno D’Epiro, cittadino di Esperia che fu il primo, a livello
locale, a interessarsi in maniera organica a questi misfatti, a parte
qualche articolo successivo e qualche raro documentario, la storiografia
nazionale ha lasciato pressoché unicamente al film di Vittorio De Sica
“La Ciociara”, il difficile ruolo di trasferire al grande pubblico
qualcosa sulle marocchinate. Fino agli anni ’90, poi, come scriveva al
sindaco di Esperia lo storico belga Pierre Moreau, nulla del genere era
mai apparso sulla letteratura storica in lingua inglese, francese e
olandese. La memoria di queste aberrazioni è, tuttavia, ancora una
ferita aperta nei luoghi che furono colpiti. Nel 1985, a Esperia, fu
organizzata una manifestazione di riconciliazione tra tutti i reduci
della guerra. Solo i francesi non furono invitati, in quanto
espressamente “non graditi”. Il cimitero di guerra di Venafro, che
ospita i caduti del Cef, sovente, ancor oggi, vede la propria insegna
marmorea imbrattata di vernice da mani ignote.
13 Il prossimo procedimento legale ai danni della Francia
L’avvocato romano Luciano
Randazzo, già noto per aver fatto riaprire casi riguardanti le Foibe e
l’esecuzione di Mussolini, dichiara: “Anni fa assistetti una povera
signora che, durante la guerra, era stata “marocchinata” ed ebbi modo di
conoscere da vicino quei drammi: era tutta povera gente. Nel 2003, una
tv francese mi intervistò, valutando se si potesse intraprendere
un’azione legale verso l’Associazione d’arma dei goumiers “Koumia”. Fino
ad oggi, cosa ha fatto lo Stato italiano per chiedere i giusti
risarcimenti ai francesi? Nulla. Ecco perché, a breve presenterò un
ricorso presso il Tribunale Militare di Roma e presso la Corte
internazionale, ai danni della Francia”.
La storia delle marocchinate non è ancora chiusa.
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