Perchè i Rockefeller cercano di distruggere gli agricoltori?
di William Engdahl - 18/12/2014
Fonte:
controinformazione
Per
gran parte del secolo scorso, la cultura pop occidentale ha
sistematicamente denigrato e sminuito quella che dovrebbe essere la
professione più onorevole di tutte. Chi lavora la terra giorno dopo
giorno per produrre il cibo che mangiamo ha troppo spesso assunto lo
stesso stato sociale della terra che dissoda. Nessuno si pone
una semplice domanda: cosa faremo una volta che avremo fatto fuori tutti
gli agricoltori? Alcuni ingenui cittadini diranno: “Ma abbiamo la
produzione industrializzata; ormai non c’è più bisogno di lavoro
agricolo manuale.”
E i numeri sono davvero notevoli. Prendiamo gli
Stati Uniti. Nel 1950 la popolazione totale era di 151.132.000 persone,
di cui 25.058.000 agricoltori: poco più del 12% della forza lavoro
totale. C’erano 5.388.000 aziende agricole con una dimensione media di
87 ettari. Quarant’anni dopo, nel 1990, gli USA avevano una popolazione
di 261.423.000, di cui meno di 3 milioni agricoltori: appena il 2,6%
della forza lavoro. Il numero delle aziende si era ridotto a 2.143.150,
ovvero una perdita del 60%, ma la dimensione media era diventata di
187 ettari.
La rivoluzione agricola dei Rockefeller
A
chi fra noi si rapporta con la carne, i latticini e gli ortaggi solo
al supermercato, viene detto che questo è un grande successo: la
liberazione di quasi 23 milioni di lavoratori agricoli verso impieghi
urbani e una vita migliore.
Ma non ci vengono raccontati i veri
effetti sulla qualità del cibo, prodotti dalla meccanizzazione e
dall’industrializzazione dell’agricoltura in America da quando la
Harvard Business School,
grazie a donazioni della Fondazione Rockefeller, dette inizio al cosiddetto agrobusiness:
la conversione dell’agricoltura in un business a puro fine di lucro e verticalmente integrato, sul modello del cartello petrolifero Rockefeller.
Dopo
gli anni ’50, negli USA l’allevamento di maiali, vacche, bovini e
pollame diventò gradualmente industrializzato. I pulcini vennero
confinati in spazi così minuscoli che potevano appena stare in piedi.
Per farli crescere più in fretta vennero riempiti di antibiotici e
nutriti di mais e soia OGM. Secondo il Consiglio per la Difesa delle
Risorse Naturali, l’80% degli antibiotici venduti negli Stati Uniti
viene usato negli allevamenti animali, non dagli esseri umani. Gli
antibiotici vengono somministrati agli animali mescolati al cibo o
all’acqua, per accelerare la crescita. Dopotutto, il tempo è denaro.
Gli
agricoltori tradizionali, com’era stato mio nonno in Nord Dakota,
vennero in gran parte fatti lasciare la terra dalle politiche del
ministero per l’agricoltura, che hanno favorito l’industrializzazione
senza curarsi della qualità del cibo risultante. I trattori diventarono
macchine mastodontiche computerizzate, guidate dal GPS. Un trattore
così poteva essere telecomandato e fare il lavoro di molti agricoltori.
Il risultato finanziario è stato favoloso… per gli industriali come
ADM, Cargill, Monsanto e per i venditori come Kraft, Kelloggs, Nestle,
Unilever, Toepfer e Maggi. Il modello americano di agrobusiness
Rockefeller-Harvard venne globalizzato a partire dai negoziati del GATT
tenutesi in Uruguay a fine anni ’80 per la liberalizzazione del
commercio, nei quali l’Unione Europea abbandonò la tradizionale
protezione degli agricoltori locali per favorire il libero commercio.
Mentre
i negoziati del GATT stavano per dare ai giganti statunitensi
dell’agrobusiness quello che volevano (ovvero la libertà di violentare
l’UE e altri mercati agricoli con i loro prodotti industriali, e di
distruggere milioni di agricoltori europei che avevano coltivato la
terra con passione per generazioni) mi recai a Bruxelles per
intervistare da giornalista un burocrate UE di alto livello,
responsabile per l’agricoltura. Sembrava ben istruito, era multilingue,
danese di nascita. Ebbene, questi argomentò in difesa del libero
commercio, dichiarando: “Perché dovrei pagare tasse in Danimarca per
permettere agli agricoltori bavaresi di restare sul mercato con i loro
appezzamenti minuscoli?”
La risposta, che allora tenni per me, è:
semplicemente perché l’agricoltore familiare tradizionale è il solo
adatto a fare da intermediario tra noi e la natura e a produrre cibo
sano per gli uomini e gli animali. Nessuna macchina può sostituire la
devozione e passione personale che ho visto ogni volta in tutti gli
agricoltori che ho incontrato, i quali davvero si prendono cura del
loro bestiame e raccolto.
Ora la stessa gente molto ricca e molto
arida, quelli che io chiamo gli “oligarchi americani”, sta
sistematicamente facendo tutto il possibile per distruggere la qualità
del cibo. Chiaramente, secondo me,
lo sta facendo con
l’obiettivo di ridurre la popolazione. Non c’è altra ragione per cui la
Fondazione Rockefeller spenderebbe centinaia di milioni di dollari
(esentasse) per sviluppare tecniche OGM e supportare Monsanto e altri
giganti della chimica come DuPont, ben sapendo di avvelenare lentamente
la popolazione verso una morte prematura.
Pesticidi e depressione
Questo
è stato dimostrato in test indipendenti sugli effetti tossici sugli
animali e perfino sulle cellule umane di un embrione. Ora,
indipendentemente dagli OGM, nuovi test dimostrano che i pesticidi
chimici spruzzati sui raccolti provocano danni neurologici come
depressione, Parkinson e perfino suicidio sugli agricoltori che li
spargono. L’Istituto Nazionale Statunitense di Scienze della Salute
Ambientale ha condotto un importante studio su 89.000 agricoltori e
altri applicatori di pesticidi in Iowa e Nord Carolina. Il gigantesco
studio ha concluso che “l’uso di due classi di pesticidi, (fumiganti e
insetticidi organoclorurati) e di 7 pesticidi individuali […] era
associato con i casi di depressione.
(http://dx.doi.org/10.1289/ehp.1307450
La ricerca ha collegato l’uso
prolungato dei pesticidi a maggiore incidenza di depressioni e
suicidi. Anche una dose notevole in un breve periodo raddoppia il
rischio di depressione.
Dopo aver taciuto i sintomi neurologici
per anni, gli agricoltori e le loro famiglie hanno cominciato a
parlare. Lorann Stallones, epidemiologa e professoressa di psicologia
alla Colorado State University, afferma: “C’è stato un cambiamento, in
parte perché ci sono più persone che dicono di essere state mentalmente
debilitate.” Vedi:
Scientific American-High Rates of Suicide, Depression, Linked to Farmers.
L’epidemiologa
Freya Kamel e i suoi colleghi hanno riportato che, tra 19.000 casi
esaminati, quelli che avevano usato insetticidi organoclorurati avevano
fino al 90% di probabilità in più di essere diagnosticati con
depressione. Per i fumiganti il rischio era maggiore dell’80%.
In
Francia, secondo uno studio pubblicato nel 2013, gli agricoltori che
usano erbicidi hanno una probabilità quasi doppia di essere in
trattamento per depressione rispetto a quelli che non li usano. Lo
studio, condotto su 567 agricoltori francesi, ha trovato che il rischio è
ancora maggiore dopo 19 anni di applicazione di erbicidi.
In
breve, stiamo distruggendo il valore nutritivo del cibo che mangiamo e
stiamo distruggendo anche gli agricoltori rimasti a coltivarlo. E’ una
ricetta perfetta per l’estinzione della vita sul pianeta. E non è
un’esagerazione.
Credo fermamente che gli agricoltori biologici
onesti e consapevoli dovrebbero ricevere notevoli agevolazioni fiscali,
per incoraggiare altri coltivatori a lasciarsi alle spalle il
grottesco modello dell’agrobusiness e tornare a coltivare e allevare
come facevano fino a pochi decenni fa. Al contempo si dovrebbe imporre
un’elevata tassazione agli agricoltori che usano prodotti chimici
dimostrati tossici, come il Roundup di Monsanto, o i neonicotinoidi
come Confidor, Gaucho, Advocate e Poncho della Bayer, o Actara,
Platinum e Cruiser della Syngenta, giusto per citarne alcuni tra i più
venduti.
Al contrario, i nostri governanti nell’UE e negli USA
fanno di tutto per scoraggiarlo: cosa in effetti molto stupida, a meno
che, ovviamente, alcuni aridi oligarchi drogati dal potere, seduti
sulla cima della loro montagna a guardare con disprezzo noi comuni
mortali, abbiano deciso che è proprio quello che vogliono. In questo
caso, è compito nostro smettere di rivolgerci alla montagna e guardare
cosa noi stessi abbiamo accettato come normale, quello che sta
lentamente uccidendo noi e gli agricoltori che ci nutrono. Forse è
arrivato il momento di cambiare questa situazione malata.
*F.
William Engdahl è un consulente e docente di rischi strategici;
laureato in politologia alla Princeton University e autore di
best-seller sul petrolio e la geopolitica.
Fonte:
Journal-neo Traduzione: Anacronista