di Claudio
Martinotti Doria
Alcuni
storiografi e saggisti affermano che la storia spesso si ripete, che
è ciclica e quindi a rotazione, con qualche variante, ripropone
simili eventi e fenomeni.
La
teoria interpretativa più diffusa è che l’umanità non sa
apprendere dalla storia e ripete in continuazione gli stessi
comportamenti ed errori; forse questo è uno dei motivi che induce a
sottovalutare l’importanza dello studio della storia, rendendola
ostica a gran parte della popolazione, alimentando così un beffardo
circolo vizioso: l'ignoranza della storia ne favorisce il ripetersi.
Partendo
da queste considerazioni, persino elementari per la loro semplicità,
ho potuto riscontrare una impressionante analogia tra il periodo di
degrado, malcostume e corruzione degli ultimi decenni che stiamo
vivendo a livello politico istituzionale in Italia (in particolare
negli ultimi anni in cui sembra si gareggi nel dimostrare che non c’è
limite al peggio, all’infamia ed immoralità), con il periodo che
venne denominato della “Cattività Avignonese”, durato una
settantina di anni, iniziato quando nel 1309 il papato si trasferì
da Roma ad Avignone in Provenza, che sebbene giuridicamente
appartenesse ai d'Angiò che regnavano su Napoli, era sotto
l'influenza del regno francese di Filippo IV il Bello, (forse l’unica
qualità che gli si poteva attribuire, a volersi sforzare).
Re
Filippo IV di Francia è quello dello “Schiaffo di Anagni” che
provocò in tempi brevi la morte di papa Bonifacio VIII; è quello
che perseguitò gli ebrei, li espulse dalla Francia e li spogliò
delle loro proprietà; è quello della congiura ordita con false
accuse per distruggere i Templari e derubarli delle loro immense
ricchezze; è quello che avviò l’uso sistematico della tortura per
estorcere confessioni come strumento finalizzato ai propri scopi di
avidità e potere (che poi venne adottato dall’Inquisizione e portò
successivamente al rogo centinaia di migliaia di persone, soprattutto
donne scomode); è quello che secondo la tradizione popolare venne
colpito dalla maledizione di Jacques de Molay, ultimo gran maestro
dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio che nel 1314 andando al rogo
pare la pronunciasse contro di lui e la sua stirpe e contro il papa
francese Clemente V suo complice, che morirono entro pochi mesi.
Cercherò
di descrivere cosa avvenne in quel periodo, attingendo a piene mani
dalla storica statunitense Barbara Wertheim Tuchman (1912-1989), che
con competenza e passione ha scritto dettagliati libri divulgativi di
storia medievale, con un particolare occhio di riguardo alla vita
quotidiana della popolazione più umile, e alla quale attribuirono
ben due premi Pulitzer per i suoi meriti di studiosa e ricercatrice.
La
sede pontificia di Avignone divenne a tutti gli effetti uno stato
temporale di ostentata e
sontuosa ricchezza derivante dalla pratica illimitata della simonia,
(la
compravendita delle cariche).
Tutto
quanto era possibile, tutto quello
che veniva richiesto, che poteva essere oggetto di desiderio, TUTTO
divenne oggetto
di vendita: ogni carica, incarico,
ufficio, nomina, dispensa, sentenza, perdono, assoluzione,
annullamento
di matrimonio
(divorzio
antesignano),
riconoscimenti e disconoscimenti di paternità, ecc.. Persino
la minaccia di scomunica era divenuta strumento di ricatto ed
estorsione. Soprattutto il più
grande affare
divenne la vendita delle indulgenze, che
erano commerciate,
oltre che
dal clero,
da
un esercito di venditori erranti che percorrevano in lungo e in largo
ogni territorio rivolgendosi anche ai ceti più umili.
Era messa in vendita qualsiasi
cosa potesse far presa sull’immaginario e sul desiderio di lenire
la sofferenza ed acquisire meriti
per assicurarsi il consenso e la benevolenza divina,
compresi
concetti astratti ed ipotetici cui
si potesse dare una forma scritta o di oggetto da portare con sé
o esporre in casa (dagli
amuleti alle pergamene contenenti improbabili perdoni ed indulgenze,
merce falsa ed
a costo rasente lo zero, legata
alla presunta salvezza dell’anima e
difesa dalle forze magiche e maligne).
Una
infinità di false
e spesso ridicole reliquie, tutto
era mercificato e sfruttava la
diffusa corruzione, la credulità popolare
e la paura dell'ignoto, e
portava montagne di denaro alla Santa Sede di Avignone ed a coloro
che ricevevano da essa qualsiasi incarico ecclesiastico o
che millantavano credito.
E
non dovete considerarla una metafora, era proprio una montagna di
denaro e beni preziosi nel senso letterale e visibile del termine.
Chi entrava negli uffici papali vedeva decine di addetti che
contavano il denaro o valutavano oggetti preziosi. Era l’attività
principale che precedeva il deposito del denaro, oro e pietre
preziose, presso i banchieri lombardi ed ebrei (ad Avignone si
contavano una cinquantina di banche), oppure vedeva ostentare una
impressionante ricchezza negli edifici, nelle cerimonie, nel vestire,
nei banchetti e feste che venivano organizzate, che contrastava
nettamente con la sporcizia ed il fetore della città.
Avignone
divenne a tutti gli effetti una città da tanti disprezzata ma anche
molto frequentata e descritta da parecchi autori, artisti, letterati,
cronisti, critici e teologi dell'epoca e di quelle successive come la
capitale dell'iniquità, del vizio e di ogni nefandezza. Una città
oltretutto poco civilizzata in quanto priva di infrastrutture
fognarie e servizi pubblici di pulizia e manutenzione, per cui era
famosa per l'olezzo nauseabondo che emanava e la caratterizzava e che
la rendeva ancora più immonda agli occhi dei viaggiatori.
Inevitabilmente
la corruzione ed il malcostume si propagarono alla gerarchia
ecclesiastica, in particolare tra l’alto clero: vescovi,
arcivescovi, cardinali, abati, canonici, prevosti e priori; meno nel
basso clero come i curati, suddiaconi, vicari, cioè i preti di
campagna o i frati di clausura od itineranti, sia perché avevano
meno occasioni ma, soprattutto, perché erano a stretto contatto con
la popolazione più povera e bisognosa, per cui fornire assistenza ed
esempio di moralità era insito nella loro missione; ne erano immuni
solo gli eremiti e gli anacoreti (gli unici ancora in odore di
santità).
Neppure
l’ordine fondato da San Francesco ne fu esente. Proprio per
l'iniziale netto distacco dalla corrotta Avignone, divenne
catalizzatore di donazioni da parte della nobiltà e dei ricchi
mercanti e banchieri, perché sembrava offrire esempi di purezza e
santità vissuta. Ebbe pertanto fortuna e raccolse immense ricchezze,
ma paradossalmente, in netta opposizione rispetto alle disposizioni
ed aspirazioni del suo fondatore, nel periodo avignonese divenne una
congregazione ricca ed agiata, a tal punto che in alcuni conventi i
servitori erano più numerosi dei confratelli, i quali vestivano sai
e mantelli impellicciati, portavano gioielli, mangiavano e bevevano
smodatamente, prestavano denaro ad usura, frequentavano le case dei
nobili come loro consiglieri e cappellani, seducevano donne sole (il
celibato era divenuta una burla, soprattutto nell'alto clero), ecc...
Siccome
ogni carica era comprata ed andava quindi al miglior offerente, anche
in giovanissima età, ad esempio figli non primogeniti di famiglie
nobili, spesso incapaci ed ignoranti, assolutamente inadeguati al
ruolo acquisito, la situazione degenerò oltremisura provocando molto
malcontento nella popolazione.
Nonostante
la chiesa invadesse ogni settore della vita civile e politica
dell’epoca, divenendo parte integrante della vita di ognuno, era
inevitabile che una simile condizione di degrado morale ed
istituzionale alla lunga provocasse reazioni di repulsione.
Come
spesso avviene, le prime reazioni si verificarono in chiave
parossistica, parodistica, sarcastica, derisoria, ecc., con cerimonie
e feste dissacranti e sbeffeggianti, a scopo di divertimento e
dileggio, passando poi a movimenti pauperistici o sette mistiche che
invocavano riforme radicali, come i “ pastorelli” (una sorta di
movimento isterico di massa) ed i “fraticelli” che predicavano un
ritorno alla povertà del cristianesimo primitivo espropriando la
chiesa di tutti i suoi beni (potete immaginarvi le reazioni ad
Avignone), oppure l’abbandono di ogni legame materiale per
dedicarsi esclusivamente all’ascetismo ed alla spiritualità.
Da
queste avvisaglie fino ad arrivare a reazioni aggressive e violente
il passo può essere breve, e l’esito è generalmente la
repressione, dapprima tramite scomuniche (di scarsissima efficacia)
per poi divenire violenta, fino all’esecuzione dei più facinorosi
e rappresentativi, che venivano impiccati ed esposti lungo le strade.
La
violenza era abituale in un secolo come il XIV che nacque fin da
subito con presagi di sventura e vere e proprie tragedie e proseguì
molto peggio, al punto da essere definito da molti storici come uno
dei più tragici della storia dell’umanità. Tra le tragedie di
quel secolo vi furono pessime condizioni meteo, come freddo e piogge
eccessive, che provocarono frequenti carestie ed epidemie (iniziò
anche quella che venne poi definita la “Piccola Era Glaciale” che
perdurò alcuni secoli), devastanti terremoti e gravose guerre con
seguito di scorrerie, razzie e saccheggi e pesanti imposizioni
fiscali per finanziarle.
La
violenza si manifestò sia aggredendo alti prelati, banchieri e
piccoli feudatari ed in alcuni casi uccidendoli, e sia ribellandosi
ai potenti locali, rifiutandosi di svolgere i servizi imposti dalla
servitù della gleba e di lavorare i campi e di portare le merci in
città, peggiorando ancor più la crisi causata dalla carestie.
Furono
soprattutto le città, i borghi ed i villaggi dell’entroterra,
lontane dalle vie di comunicazione fluviale (i corsi d’acqua erano
il maggior mezzo di trasporto delle merci) a patire maggiormente la
fame e gradualmente persero abitanti ed importanza, fino in molti
casi a scomparire dalle cartine geografiche e dalla storia dopo la
Morte Nera del 1347-51, cioè la più grave epidemia di peste
(esplosa contemporaneamente in entrambe le forme più letali, la
bubbonica e la polmonare) che devastò l’Europa e l’Asia
uccidendo circa un terzo dei suoi abitanti e sconvolgendo i rapporti
sociali, economici, politici ed istituzionali.
Se
si considera che già in precedenza la mortalità infantile era di
circa il 50 per cento, si può facilmente capire come la colossale
epidemia abbia dato il colpo di grazia alla società dell'epoca per
alcune generazioni, inaridendo campi e comunità intere e facendo
credere a molti cronisti che fosse ormai giunta la fine per
l'umanità, punita per i suoi peccati.
A
limitare le ripercussioni delle carestie e delle grame condizioni di
vita nelle città, che altrimenti sarebbero state devastanti per la
società dell’epoca, concorsero le varie associazioni, ordini e
confraternite civiche, soprattutto settoriali, paragonabili alle
successive (di secoli) Società di Mutuo Soccorso, una specie di
assicurazione volontaria e solidaristica organizzata per corporazioni
di appartenenza.
Queste
organizzazioni non solo fornivano aiuto finanziario in caso di
difficoltà oggettive, ad es. per malattie ed infortunio, furto o
processo, ma provvedevano ai funerali, cerimonie, feste, ricreazione,
fornivano assistenza legale e consulenze professionali, compivano
anche atti di mecenatismo artistico e funzionale per la manutenzione
della città.
A
questi servizi auto-organizzati ed alla solidarietà complessiva si
aggiungeva il cosiddetto “soldo di Dio”, carità ed elemosine che
tutti i nobili ed i mercanti (sollecitati dalla chiesa) effettuavano
sia ai poveri sia per mantenere in esercizio ospedali ed ospizi. E
tutto quanto descritto avveniva in un'epoca nella quale il concetto
di Stato era ancora ben lungi dal formarsi, mentre nella nostra epoca
in troppi sono convinti che lo Stato sia sempre esistito e non se ne
possa fare a meno e sia la soluzione di tutti i problemi, come se la
società lasciata a se stessa fosse incapace di provvedere.
Le
analogie con il periodo che stiamo vivendo sono vistose, basta
sostituire al clero avignonese del XIV secolo sopra descritto la
casta politica italiana (ma non solo) attuale, comprendendo sia i
politici che il loro numeroso seguito ed i banchieri, i cui
comportamenti non sono dissimili da quelli avignonesi, seppur in
termini moderni. Le reazioni popolari che molto probabilmente ci
saranno e che iniziano a manifestarsi (vedasi ad es. il Movimento 9
dicembre), forse inizialmente saranno più pacifiche rispetto al
medioevo, ma non potrei garantirlo nel lungo periodo.
Sono
situazioni pericolose, quelle attuali, che derivano dalla perdita del
senso della realtà, della dignità,
del pudore, del
limite, della misura, del buon senso, da parte della casta politica
burocratica e finanziaria,
e di una patologica
vessazione fiscale e burocratica
ed un eccessivo
lassismo monetario e finanziario che
ha favorito una classe di banchieri privi
di scrupoli.
Nel
lungo periodo queste condizioni deleterie
probabilmente
porteranno
sfaceli e devastazioni come nel XIV secolo, seppur con altre modalità
e per altri motivi, ma a soffrire maggiormente, esattamente come
allora, saranno sempre le classi più povere e vulnerabili, con
l'aggravante che le conseguenze
negative saranno meno circoscritte di quelle avignonesi.
Per cui sarebbe saggio prepararsi
al peggio.
Nessun commento:
Posta un commento