Benvenuti nel Blog di Claudio Martinotti Doria, blogger dal 1996
"Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", motto dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Pauperes commilitones Christi templique Salomonis
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L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)
Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)
Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )
La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria
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Come valorizzare il Monferrato Storico
… La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.
Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …
Recuperare il giusto concetto di «aristocrazia»
di Francesco Lamendola - 03/03/2008
Fonte: Arianna Editrice http://www.ariannaeditrice.it
La parola greca aristokratía non significa, come alcuni pensano, "governo dei nobili" (in senso ereditario), bensì, semplicemente, "governo dei migliori": deriva, infatti, dal sostantivo áristos, "il migliore", e dal verbo kratéo, "io domino".
Per gli antichi, a cominciare da Platone, l'idea che la società dovesse essere governata dalle persone migliori era talmente ovvia, da non meritare neppure una particolare spiegazione. Ma poi, con la Rivoluzione francese, la parola "aristocrazia" è diventata impronunciabile e, ancora oggi, suona poco meno che come una parolaccia. Se vi vuole evidenziare l'atteggiamento antipatico, pretenzioso e sforzatamente ricercato di qualcuno, gli si affibbia l'epiteto di "aristocratico", e quello può considerarsi marchiato a fuoco per sempre.
Eppure, se andiamo a consultare un vocabolario della lingua italiana - per esempio, lo Zingarelli - non tardiamo ad accorgerci che esiste almeno un significato della parola "aristocrazia", che non è né quello di designare il governo esercitato da un particolare ceto, né, tanto meno, quello di designare la classe dei nobili in quanto tale; ma che indica, semplicemente, «il complesso delle persone meglio qualificate per svolgere una determinata attività».
Altro che parolaccia: questo è puro buon senso. Eppure ci siamo allontanati da ciò che è evidente, abbiamo smarrito il buon senso, rincorrendo affannosamente parole d'ordine populiste e demagogiche: e il risultato è stato una aristocrazia alla rovescia, una prevalenza dei peggiori, ossia dei più incompetenti, fannulloni e presuntuosi.
Predicando un egualitarismo irresponsabile e cialtrone, abbiamo scatenato gli istinti peggiori insiti nella natura umana: l'invidia verso chi è migliore, il rancore contro chi vale di più, l'odio per ciò che emerge in virtù dei propri giusti meriti. C'è stato, e prosegue tuttora, un linciaggio morale delle persone di valore: linciaggio che incomincia fin dai banchi di scuola, ove lo studente più intelligente e volonteroso è etichettato come "sgobbone", "secchione" e via dicendo, e additato al disprezzo dei compagni.
Pervasa da un sinistro, demoniaco bisogno di irridere il bene e pascersi dello spettacolo offerto dal male, la società moderna ha scoperto che scandalizzare il prossimo è una bella cosa e che, per riuscirci, la strada più sicura da battere è quella di una esaltazione sistematica delle qualità umane peggiori e una denigrazione, altrettanto sistematica, delle migliori (cfr. il nostro precedente articolo Dobbiamo reimparare a indignarci davanti ai seminatori di scandali, sempre sul sito di Arianna Editrice).
Siamo arrivati, così, all'assurdo che non solo i peggiori occupano posti di responsabilità, mentre i migliori, spesso, vengono misconosciuti ed emarginati; ma, addirittura, che tale pratica distruttiva viene eretta al valore di principio e di norma, ed è proclamata ai quattro venti come il nuovo Vangelo della modernità.
Ciò che ha reso intollerabile, storicamente, il predominio dell'aristocrazia come classe sociale, è stata la sua evidente inadeguatezza a svolgere il proprio compito di classe dirigente: non a caso Foscolo, nel carme Dei sepolcri, descrive i nobili del suo tempo come dei morti viventi, preoccupati solo di soddisfare le proprie mollezze. Ma una aristocrazia dello spirito, una aristocrazia delle responsabilità e delle competenze, è necessaria a qualunque società voglia conservare un certo grado di ordine e di efficienza e, soprattutto, di tensione spirituale e di rispetto per se stessa. Una società come la nostra, dove anche di fronte ai fallimenti più clamorosi non si trova mai qualcuno disposto ad assumersi le proprie responsabilità; una società dove i Bassolino se ne vanno solo se la magistratura li mette sotto inchiesta, e non perché le montagne di spazzatura inevasa stiano lì a testimoniare la gestione disastrosa della cosa pubblica, è una società priva di ogni dignità e basata su una aristocrazia alla rovescia, su un "governo dei peggiori".
Sostiene Platone nel primo libro de La Repubblica (traduzione di Francesco Gabrieli, Firenze, Sansoni Editore, 1950; 1990, pp. 29-30):
"«Dunque, o Trasimaco, non è ormai chiaro che nessun'arte o governo procura ciò che è utile a sé, , ma, come dicevamo da un pezzo, procura e prescrive l'utile dei sottoposti, cercando quindi il vantaggio di chi è inferiore e non di chi è superiore. Appunto per questo, caro Trasimaco, io ho detto poco fa che nessuno volontariamente governa e si pone a raddrizzare gli affari degli altri, ma richiede una mercede, per il fatto che chi si propone di ben esercitare la sua arte, non fa mai né prescrive il suo meglio, quando prescrive secondo l'arte, ma quello del sottoposto. Per questa ragione, come pare, coloro che accondiscendono a governare devono avere una mercede, o ricchezze o onori, o una pena se non governano».
"«Che cosa intendi dire, o Socrate?- domandò Glaucone. - Perché quelle due rimunerazioni le conosco, ma non comprendo invece la pena che dici e di cui parli come fungesse da mercede».
"«Non comprendi allora, dissi, la ricompensa dei migliori, per cui i più valenti governano quando consentono a governare. Non sai dunque che l'amore degli onori e della ricchezza sono ritenuti e sono effettivamente biasimevoli?»
"«Certo»,disse.
"«Perciò allora né per ricchezze né per onori i buoni vogliono governare: infatti non vogliono né apertamente richiedere una mercede per la loro attività, perché non li dicano mercenari, e neppure prenderla essi stessi di nascosto, giovandosi della carica, perché non li diano ladri; e neppure, ancora, si lasceranno allettare dagli onori, perché non ne sono cupidi. Bisogna allora che essi, se accettano di governare, si prospettino una necessità e una pena: per cui l'andar al governo volontariamente e non sottostare a una necessità rischia di esser giudicata una cosa turpe. Ora, massima pena, se uno non voglia governare lui stesso, è l'esser governato da uno moralmente da uno inferiore: per questo timore mi pare che governi, quando governa, la gente di qualità, e allora va al potere considerandolo non cosa buona o in cui possa trovar vantaggi, ma come una necessità, e non potendo affidarlo a dei migliori o uguali. Per cui, se esistesse una città di persone valenti, c'è rischio che in essa si gareggi per non governare, come attualmente si gareggia per governare: e così si può veder chiaramente che un capo vero e genuino non è fatto per cercare il proprio utile, bensì quello dei governati. Di modo che chiunque si rendesse conto di questo preferirebbe ricevere utilità da altri piuttosto che ave seccature procurandola ad altri. Che dunque il giusto sia l'utile di chi è superiore, io non lo concedo in nessun modo a Trasimaco».
Dal brano di Platone emerge chiaramente il concetto che assumersi la responsabilità di svolgere una funzione dirigente è non tanto un diritto, ma un dovere morale cui i migliori non possono sottrarsi, pena il fatto di lasciare se stessi, e l'intera società, in balia dei peggiori. I migliori, cioè, non desiderano affatto il potere per i vantaggi che potrebbero trarne, ma esclusivamente per i vantaggi che essi possono procurare agli altri; così come il bravo medico non esercita la medicina per giovare a se steso, ma per giovare ai malati che sono affidati alle sue cure.
Ora, lo stesso tipo di ragionamento si può estendere dalla sfera della politica a quello di qualsiasi altra attività umana. In ogni attività umana, infatti, vi sono due modi di procedere: quello di chi, essendo competente, persegue il bene degli altri, ai quali tale attività è diretta; e quello di coloro che, essendo incompetenti, ma avidi e ambiziosi, sfruttano le posizioni occupate per cercare il massimo del profitto egoistico, infischiandosene bellamente del bene comune. E ciò vale non solamente per quanti occupano posti direttivi - sebbene, in tali casi, gli effetti negativi siano più evidenti e più dannosi -, ma in genere per tutti coloro che vivono in società e che esercitano una attività qualsiasi o una funzione qualsiasi: a partire dalla micro-società fondamentale, sulla quale si regge l'intera comunità, che è la famiglia.
Esercitare male la propria attività e la propria funzione, nel lavoro così come nella vita privata, significa dare continuamente scandalo, nel senso di dare continuamente un cattivo esempio, specialmente ai bambini e ai giovani. Ad esempio, sfruttare delle leggi - forse un po' troppo preoccupate di difendere a ogni costo i posti di lavoro e troppo poco interessate a difendere il bene comune -, per simulare malattie inesistenti o per poltrire, invece di svolgere degnamente i propri compiti, per i quali si riceve un salario o uno stipendio, significa danneggiare doppiamente la società: sprecando risorse materiali e dando un pessimo esempio sul piano morale.
Ecco allora che l'invito rivolto da Platone ai migliori, perché escano dal proprio comodo quieto vivere e si facciano carico di assumersi responsabilità pubbliche, appare per quello che effettivamente è: un sacrosanto incitamento a promuovere la parte altruista, seria e onesta della natura umana, affinché non prevalgano le tendenze peggiori: la pigrizia, l'egoismo, la superficialità, la furberia da quattro soldi.
Ma, si obietterà, chi sarà in grado di stabilire chi siano i migliori, perché essi possano svolgere, nella società quel ruolo utile e necessario, dal quale dipende, necessariamente, il suo buon funzionamento?
È certo una domanda legittima; ma, troppo spesso, viene strumentalizzata in mala fede, al fine di insinuare il dubbio che, non essendovi alcun criterio oggettivo di selezione dei migliori, ne consegue che il male minore, per la società, è quello di lasciare che "le cose vadano per il loro verso", ossia che si affermi chi vuole e chi può: anche se costui non possiede affatto i requisiti per aspirare ad un posto di responsabilità e se è mosso non dal senso del bene pubblico, ma dalla prospettiva di vantaggi personali.
In fondo, pensano i paladini un democraticismo e di un egualitarismo astratto e velleitario, è meglio che la società sia condotta dai mediocri, piuttosto che cada nelle mani di qualcuno che, con la scusa di essere "il migliore", aspiri al potere per creare una sorta di dittatura del merito. Poveri sciocchi, che non vedono come questa filosofia ha già consegnato la società in mano a una dittatura: la dittatura dei peggiori: dei più incompetenti, dei più cialtroni, dei più meschini. Ovunque, infatti, si assiste allo stesso meccanismo in azione, il meccanismo dell'invidia e del rancore: quando il sottotenente tormenta i soldati semplici per la stizza di non essere capitano; quando il professore fa la fronda contro il preside, perché vorrebbe essere al suo posto; quando il giornalista s'incattivisce contro tutti, perché ritiene di essere stato defraudato del posto di direttore del giornale, che, a suo parere, gli spettava; e via dicendo. E gli effetti di questa spirale perversa e distruttiva sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti.
Ovunque, chi occupa un posto inferiore odia chi sta al di sopra di lui e ne boicotta il lavoro, non perché ritiene che lo stia svolgendo male, ma perché gli brucia dovergli riconoscere una preminenza. Chi è inadempiente, lavativo e inefficiente, mobilita avvocati e sindacati per ripristinare i suoi "presunti" diritti, violati dalla sentenza iniqua, a suo dire, di qualche tribunale del lavoro; il dipendente pubblico, licenziato perché rubava il denaro degli utenti, mette a rumore mezzo mondo per farsi riassumere in servizio e pretende le scuse dell'amministrazione; il maestro o il professore pedofilo esige di rientrare in servizio con tutti gli onori e i risarcimenti del caso, oppure, in alternativa, che lo si mandi in pensione dopo averlo promosso; e così via. Di questo passo, non è certo motivo di meraviglia che tutto il meccanismo sociale risulti sempre più inceppato e screditato, sempre più deficitario, sempre più fallimentare. Gli onesti ed i seri devono fare buon viso, ogni giorno, alla incredibile sfrontatezza dei disonesti e dei manigoldi: e le leggi sembrano fatte apposta per tutelare i secondi, non certo i primi.
Non vogliamo, tuttavia, eludere la domanda circa il criterio con cui si dovrebbe stabilire quali siano i "migliori".
Precisiamo subito, intanto, che il concetto di "migliore" istituisce un comparativo di maggioranza: si è migliori rispetto a qualcun altro; non si è perfetti in assoluto.
Ciò premesso, ci sembra che i risultati dovrebbero parlare da soli, se noi avessimo ancora occhi capaci di vedere e orecchi capaci di udire. Chi svolge bene il proprio ruolo, grande o piccolo che sia, non passa inosservato; e così pure chi lo svolge male: a patto che la società non sia talmente traviata dai cattivi esempi e talmente frastornata da una demagogia chiassosa e triviale, da aver smarrito anche il grado più elementare di buon senso.
A volte, purtroppo, verrebbe da pensarlo.
Che altro bisogna pensare, ad esempio, davanti allo sconcio e drammatico spettacolo di migliaia di tonnellate di spazzatura, rimasta inevasa per anni ed anni nelle città e nei paesi della Campania, mentre però si assiste alla rielezione di quegli stessi amministratori e uomini politici che portano la responsabilità di una tale indecenza e che, fra parentesi, sono pagati profumatamente per prendere le decisioni utili e necessarie al pubblico bene?
E tuttavia, noi abbiamo sempre l'obbligo dell'ottimismo della volontà, per quanto la ragione ci inclinerebbe a un pessimismo radicale. A nulla giova, infatti, compiacersi del fatto che ogni cosa vada di male in peggio. È più utile un solo individuo il quale, nel suo piccolo ambito di vita e di lavoro, cerca di assolvere con amore, con scrupolo e passione ai propri doveri, che mille profeti di sventura, i quali null'altro sanno fare se non distribuire a piene mani, dall'altro della loro sterile "saggezza", un fatalismo che paralizza e scoraggia ogni slancio generoso, ogni desiderio di bene, e lascia le cose esattamente come stanno.
Non di simili intellettuali, imbelli e parolai, abbiamo bisogno; ma di persone umili e forti, pazienti e coraggiose al tempo stesso: che sappiano armarsi di una forza e di un coraggio che le assista, giorno per giorno, nelle piccole battaglie della vita, e, dal cui esito dipende la qualità dell'intero corpo sociale.
In altre parole, abbiamo bisogno di schiere sempre più numerose di persone serie e bene intenzionate: di aristocratici, appunto, nel senso etimologico della parola, che spargano intorno a sé il doppio beneficio della competenza e del buon esempio.
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Il danno erariale. Come difendersi dallo spreco di denari pubblici ricorrendo alla Corte dei Conti
Fonte: Aduc, Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori http://www.aduc.it
Ci sono poche cose che fanno arrabbiare il cittadino piu' dello spreco di denaro pubblico. E da noi, come sappiamo, le occasioni per arrabbiarsi non mancano. Ma cos'altro possiamo fare?
Possiamo, infatti dobbiamo, denunciare ogni spreco alla Corte dei Conti, anche se il danno erariale -ovvero la perdita, distruzione, sottrazione di beni o valori della pubblica amministrazione, oppure mancato guadagno- e' di pochi euro. E' proprio sulle piccole cifre, spese nell'indifferenza, che spesso avvengono gli scempi piu' gravi.
Oltre alle classiche "cattedrali nel deserto" (lavori pubblici mai terminati oppure eccessivamente costosi), ecco alcuni esempi che possono colpirci nel quotidiano:
- si fa ricorso contro un verbale di contravvenzione viziato ed il giudice di pace ci da' ragione. Oltre ad averci fatto perdere la giornata in tribunale, l'errore della pubblica amministrazione costa alle casse dello Stato: il mancato introito dell'importo della multa, i costi della notifica del verbale, i costi del tempo impiegato dagli agenti di polizia nell'elevare e redigere il verbale, i costi di difesa in tribunale. Insomma, una multa 'annullata' per divieto di sosta (euro 36) puo' costare ai cittadini ben oltre 100 euro di danni.
- la Rai, un consorzio di bonifica, il Comune, etc. vi intimano con una lettera a pagare un importo gia' pagato o comunque non dovuto. Anche in questo caso l'errore della pubblica amministrazione produce un danno: i costi di spedizione della lettera, il tempo impiegato per redigere la lettera, la carta, l'inchiostro, etc. Il tutto moltiplicato per il numero di cittadini a cui e' stata inviata la lettera.
Cosa e' e cosa fa la Corte dei Conti
La Corte dei conti e' un organo di rilievo costituzionale, autonomo ed indipendente da altri poteri dello Stato, che vigila sulla corretta gestione delle risorse pubbliche, sul rispetto degli equilibri finanziari complessivi, sulla regolarita', efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa.
In base all'articolo 100 della Costituzione, la Corte dei Conti svolge:
- un controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo;
- un controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato;
- un controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce una via ordinaria.
Accanto a queste funzioni, ve ne sono altre, introdotte da leggi ordinarie, che trovano il loro fondamento nell'art. 97 della Costituzione (principio del buon andamento degli uffici pubblici), nell'art. 81 (rispetto degli equilibri di bilancio) e nell'art. 119 (coordinamento della finanza pubblica). Purtroppo alcune di queste leggi (specialmente negli anni '90) hanno pesantemente -quasi irrimediabilmente- limitato i poteri di controllo e di indagine, nonche' le risorse, della Corte dei Conti. I motivi per cui la "politica" ha voluto sottrarre poteri alla Corte e' ovvio a chiunque conosca anche superficialmente il sistema clientelare di "autofinanziamento" della gran parte dei partiti politici, specialmente a livello locale: appalti, societa' partecipate, consulenze esterne, assunzioni 'truccate', spese ingiustificate, etc. Cio' non toglie che la Corte dei Conti continui a svolgere una funzione fondamentale di controllo della spesa pubblica senza la quale una democrazia rischia di degenerare in una pericolosa forma di aristocrazia partitica -per molti, questa degenerazione e' gia' molto avanzata. Sta quindi al cittadino compensare quanto piu' possibile alle limitazioni imposte, segnalando alla Corte dei Conti comportamenti della pubblica amministrazione che causano danno erariale. Un danno alle finanze pubbliche e' un danno a tutti i cittadini che, in mancanza di una efficace azione della Corte dei Conti, saranno poi costretti a porvi rimedio di tasca propria pagando piu' tasse.
Chi e' sottoposto al giudizio della Corte dei Conti
Tutti gli amministratori, dipendenti pubblici e soggetti che siano legati alla pubblica amministrazione da un rapporto d'impiego o di ufficio. Non solo gli impiegati pubblici, quindi, ma anche i titolari di incarichi elettivi (es: ministri, sindaci, presidenti di regione e provincia, etc.), incarichi onorari, e tutti coloro che svolgono funzioni pubbliche. Sono sottoposti alla giurisdizione della Corte anche:
- i soggetti estranei alla pubblica amministrazione ma inseriti in modo stabile nel proprio apparato organizzativo (es: direttori di lavori pubblici, consulenti esterni, etc.);
- gli amministratori degli enti pubblici economici (es: consorzi di bonifica, etc.) e delle s.p.a. partecipate in modo totalitario o prevalente da pubblici poteri (es: Poste, Trenitalia, Alitalia, Rai, etc.).
Come segnalare
La segnalazione (che puo' prendere il nome di "esposto", "denuncia" o quant'altro) puo' essere fatta senza particolari formalita': basta inviare una lettera raccomandata a/r alla Procura della Corte dei Conti in cui si descrivono e documentano i fatti che si ritengono dannosi per le finanze pubbliche. La segnalazione non comporta alcuna conseguenza o onere (se non il costo della raccomandata). La Corte dei Conti e' tenuta a mantenere il riserbo assoluto sulla provenienza delle segnalazioni. Questo per proteggere in particolar modo quegli impiegati pubblici piu' coraggiosi che decidono di denunciare i propri colleghi o superiori che abusano del denaro di tutti noi.
A chi segnalare
Alla Procura regionale della Corte dei Conti della Regione in cui hanno avuto
luogo i fatti denunciati. Qui tutti gli indirizzi:
http://www.aduc.it/dyn/sosonline/schedapratica/sche_mostra.php?Scheda=215219
(Pietro Yates Moretti)
Crisi delle borse? E’ il liberismo, bellezza
Fonte: ATTAC Italia, Granello di sabbia http://attac.org/indexit.htm
Per cercare di capire l'attuale situazione finanziaria, aldilà di momentanei assestamenti che vengono salutati, ogni volta, da molti analisti come segnali di ripresa e recupero che invece poi non si realizzano, occorrerebbe, forse, fare qualche passettino indietro. I primi segnali di una crisi borsistica strutturale si sono avuti nel corso del 2000, quando è apparso evidente che il ciclo dei prodotti della "new economy" si rivelava molto più corto del previsto e che, quindi, i mirabolanti rendimenti della finanza non trovavano le conferme tanto attese, al fine di proseguire nella speculazione al rialzo [Nino Galloni, altrenotizie.org ]. Da una parte, infatti, i mercati non potevano più accontentarsi di rendimenti di poco superiori ai corsi obbligazionari, perché i grandi investitori (fra cui gli stessi fondi pensione) che avevano preso impegni di valorizzazione del capitale attorno al 7% netto all'anno durante gli anni '80 - quando era questo il rendimento reale dei titoli obbligazionari - acquistavano solo azioni che garantivano il mantenimento della promessa di elevati rendimenti; dall'altra, i redditi non tenevano il passo né della produzione, né dei corsi finanziari. In particolare, in un pianeta dove il 50% della popolazione mondiale non possedeva né telefono, né allacciamento elettrico, c'era da aspettarsi un accorciamento proprio della parte più redditizia del ciclo del prodotto nuovo e innovativo; mentre, per quanto riguardava la gran parte della produzione tradizionale il compromesso era stato trovato largheggiando nei prestiti alle famiglie dei lavoratori iperflessibilzzati (che, ad esempio negli USA, avevano visto una perdita del loro potere di acquisto anche del 40%). Così i lavoratori perdevano salario, ma destinavano una parte del prestito bancario all'acquisto di azioni con elevata redditività, potendo ripagare gli interessi e difendendo il livello dei consumi. Ma con la crisi del 2000 - aggravatasi l'anno successivo anche a seguito degli attentati dell'11 settembre - la forbice tra reddito delle famiglie dei consumatori e prodotto interno lordo si ampliava; allora il sistema bancario e finanziario inaugurò una nuova fase: quella dei derivati. Si tratta di tecniche di gestione a breve, già utilizzate nel passato, consistenti nella vendita o cartolarizzazione di crediti giudicati "difficili" e nell'utilizzo delle somme così ricavate per implementare i rendimenti delle situazioni debitorie. Ciò che è cambiato da circa sette anni a questa parte, è stato però l'uso strutturale e sistematico di tale strumento che, adesso, sta rischiando di travolgere tutto il sistema finanziario. Dopo gli esageratamente elevati rendimenti obbligazionari durante gli anni '80 (che hanno favorito l'esplosione dei debiti pubblici) e dopo il lungo periodo di euforia borsistica durante i '90 (che ha coinciso con precarizzazione e svilimento del lavoro), ecco il terzo millennio, con l'ultima, pericolosissima, spiaggia dei derivati, degli hedge funds, dei futures.
Gli Stati Uniti hanno invaso di dollari e di titoli del Tesoro i Paesi esportatori di materie prime e prodotti di largo consumo; ma negli ultimi anni India, Cina, Russia, Brasile, Venezuela e anche Francia e Germania si sono riappropriate - almeno in buona parte - della loro sovranità nazionale (così mettendo la parola "fine" sulla globalizazione, almeno come la avevamo vissuta fino all'11 settembre. Ma gli USA stanno anche perdendo una notevole guerra in medio-oriente e, conseguentemente, la loro moneta perde di credibilità. Inoltre, a Londra si specula sulle materie prime, petrolio in testa, e si prenotano quantità incredibili di petrolio cartaceo che, però, influisce sulla sua quotazione (come dice la parola "futures") e, quindi, l'economia reale subisce la struttura dei prezzi derivanti dalle esigenze di protezione dei poteri forti dalla crisi finanziaria molto di più di quanto la stessa economia reale non influenzi la finanza. La spaccatura tra reale e finanziario, quindi, è oggi completa ed i poteri forti non solo non potranno più garantire valorizzazione al risparmio della moneta, ma non sanno ancora che pesci pigliare di fronte al superamento del modello della globalizzazione che ha ancora, certamente, il suo baluardo nella finanza e nel movimento dei capitali, ma che aspetta solo la crisi finale del dollaro per riassestarsi o su una nuova valuta internazionale o su un mondo, nuovamente, di Stati nazionali sovrani o un po' di tutte e due le cose.
E' impossibile che le borse ritrovino una pace stabile prima che la bolla speculativa dei derivati sia risolta. Ma, per tale soluzione, sono probabili solo due scenari. Il primo vede l'aumento nel numero delle banche coinvolte nei "default" che richiede ulteriore liquidità per essere gestiti; liquidità che va a far aumentare il prezzo del petrolio o di altre materie prime e dell'oro perché si scarica, in ultima analisi, proprio a Londra sui futures.
Il secondo scenario potrebbe essere costituito dagli Stati nazionali che si coordinano per trasformare la finanza dei derivati in titoli a lunghissimo termine e a moderato rendimento, che facciano da combustibile per una valuta internazionale: ovvero per grandi investimenti nella nuova infrastrutturazione del pianeta, al fine di riportare l'economia con i piedi sulla Terra. Vale a dire ricondurre la finanza al suo ruolo naturale di strumento per lo sviluppo e non – come adesso - di variabile impazzita: scarsa quando serve per la crescita e sovrabbondante in termini di speculazione e di minaccia per una sana regolazione dei mercati e degli interessi generali.
Su www.criticamente.it tratto da http://altrenotizie.org 25/3/2008
Non votate!
Di Leonardo Facco *
Questo non è un giornale per beoti. Non è lettura per statalisti di destra e di sinistra, ma nemmeno per chi ama il politicamente corretto. Di più: neppure per chi crede che debba essere la casta – con le sue comparse più o meno latrocinanti – a dover risolvere i problemi dell’umanità.
Cari lettori, questi son fogli per persone libere, responsabili, affezionate al libero mercato e all’autodeterminazione individuale. Qui non si tessono le lodi della democrazia, ma si tifa per la libertà e il “lascia fare”. Su queste pagine crediamo e difendiamo i valori forti. Non siamo utopisti, come qualcuno vorrebbe far credere, ma consapevoli che è lo statalismo ciò che fa male alla gente e non il liberismo e il liberalismo. Ve lo dimostreremo col tempo, ma – per chi non ha fette di salame sugli occhi – ci sono i dati dell’economia reale a darci manforte. Ci sono le azioni quotidiane di chi vive secondo le regole del buon senso ad avvalorare ogni nostra tesi. Frédéric Bastiat, duecento anni fa, diceva: “Lo Stato è quella finzione che fa vivere tutti alle spalle di tutti”.
Tanto per cominciare vorremmo mettervi al corrente di alcuni particolari che riguardano le quattro pagine che tenete tra le mani. “Enclave” è stampato in diecimila copie ed è distribuito gratuitamente. Questo giornale nasce dalla forza di volontà e dall’impegno di un piccolo gruppo di imprenditori che credono nelle idee libertarie. Hanno messo a disposizione dell’editore il budget necessario per pubblicare e mettere in circolazione questa testata. Il tutto senza un solo euro di contributi pubblici, contro i quali ci battiamo ferocemente. Per chiarezza lo abbiamo scritto con evidenza sotto la testata. Inoltre, “Enclave” appoggia il Movimento Libertario, un nuovo soggetto politico che fa della divulgazione culturale e dell’azionismo antistatalista i propri dogmi. Il Movimento Libertario – che non è né di destra né di sinistra, ma meglio – ha un motto: “Basta Stato, basta tasse”. Ci piace da impazzire.
Con questo primo numero la nostra battaglia è: non andate a votare! Delegittimate questa classe politica di parassiti. Qui a lato, troverete alcuni articoli dettagliati sul perché il non voto è meglio di qualsiasi voto “utile” o “inutile”. Sosteneva Lysander Spooner, americano ottocentesco: “Un uomo non cessa di essere schiavo semplicemente perché gli si permette di scegliere il suo padrone ogni quattro anni”. Vi è chiaro il messaggio? Allora buona lettura!
*
leader del Movimento Libertario http://www.movimentolibertario.it/home.php
per leggere i Fogli di Enclave di cui il testo di Leonardo Facco costituisce l’editoriale, cliccate su http://www.movimentolibertario.it/foglidienclave.php