Baratto, Massimo Fini: è una forma di resistenza al predominio del denaro
Avrebbe bisogno di moltissimo tempo per svilupparsi, rimane una forma di nicchia
Il baratto, nelle forme moderne, “è una forma di resistenza simbolica ed evidente al predominio del denaro”, ma rimane confinata “come forma di nicchia”. Per potersi sviluppare come fenomeno di massa, innanzitutto non dovrebbe essere “avversato dai grandi poteri mondiali” e poi “avrebbe bisogno di moltissimo tempo. Tempo che non ha, perché sarà preceduto dal collasso del sistema economico ‘produci, consuma, crepa’”. Lo scrittore e giornalista Massimo Fini commenta così con il VELINO le nuove tendenze che vedono un aumento di forme di baratto, grazie anche a siti specifici su internet.
Fini ha scritto diversi saggi sui mali della modernità, a partire da “La ragione aveva torto?” del 1985. Nel suo libro “Il denaro, ‘sterco del demonio’” e in molti suoi articoli, si è occupato anche del baratto e del passaggio da questo sistema a quello della moneta. “Il denaro – ha osservato -, che in Europa appare sotto forma di oro, in Africa sotto forma di conchiglie, nasce come intermediario nello scambio per evitare le triangolazioni del baratto, e per semplificare tutta la situazione. C’è un geroglifico nelle piramidi egiziane dove uno per avere una focaccia deve prima andare da un altro, perché quello che ha lui non interessa a quello che ha la focaccia, e quindi fare una triangolazione. E così il denaro resta sostanzialmente per molto tempo un utile mezzo di scambio. Il problema si pone quando la moneta, da intermediario dello scambio di questo tipo, diventa invece un bene in sé".
"È stato fatto - ha spiegato lo scrittore - un calcolo di recente: fatto 100 per tutto il denaro circolante nel mondo (tutte le forme, intendo, e sostanzialmente il credito), con l’1% di questa somma compri tutti i beni e i servizi del mondo. Il resto che cos’è? È una scommessa sul futuro talmente lontano che è diventato inesistente”. In questo senso, la cultura contadina, come le culture nate fuori dall’Europa, hanno sempre avuto un certo sospetto verso il denaro, e hanno conservato forme di baratto. “Il denaro – ha ricordato - è sempre stato visto con molta ostilità dai nostri progenitori medioevali e da tutte le culture che noi poi siamo andati a colonizzare. Se prendiamo l’Africa nera, per esempio, gli africani non volevano saperne di denaro: loro vivevano in un’economia di autoconsumo e di baratto. E allora che cosa fecero i colonialisti per convincerli ad entrare nel sistema del denaro? Imposero una tassa su ogni capanna, per cui ognuno doveva procurarsi un surplus, e lì inizia la storia dello scambio attraverso il denaro e non più attraverso un baratto”.
In questo senso, Fini ha ricordato che c’è una bella poesia di un poeta africano che dice “come erano belli i tempi quando se io avevo sale e tu pepe io ti davo sale e tu pepe senza stare a pensare se il sale valeva più del pepe o il pepe più del sale”. “Questa – ha sottolineato lo scrittore - era la forma del baratto puro, senza fini di lucro. Per alcune migliaia di anni siamo andati avanti con il sistema del dono contro dono, prima che entrasse in auge la moneta”. Il pensiero va al fatto che oggi ci sono anche altre forme di baratto, non necessariamente dichiarate, e alcune le viviamo tutti i giorni. L’esempio classico è la dinamica alla base del social network: in cambio della nostra visibilità e della possibilità di gestire una rete di contatti, ognuno di noi inserisce i contenuti sulla piattaforma.
Per i detrattori dei social network, questo più che un baratto, è una forma di lavoro non retribuito. “Tutto l’apparato virtuale – ha sottolineato da parte sua lo scrittore -, al di là del fatto che ci guadagnano i soliti noti, è una sottrazione al tempo reale, perché tu invece di vedere una persona reale finisci per parlare con non si capisce bene chi”. E in questo scambio, gli utenti non si rendono conto di barattare il bene più prezioso, ossia il tempo. Per Fini, “il tempo è il vero valore dell’esistenza, e gli antichi ne erano ben consapevoli. Non erano dominati dalla mitologia del lavoro che viene dalla Rivoluzione industriale. Il contadino e l’artigiano lavoravano per quanto gli bastava, il resto era tutta vita”. Insomma, ha ribadito l’autore di “La ragione aveva torto?”, “la crescita all’infinito è un concetto che esiste solo in matematica, non nell’economia reale”.
In questo senso, il baratto è una forma di resistenza, ed è un retaggio legato al mondo contadino. “È ovvio – ha evidenziato lo scrittore - che l’esigenza primaria è la terra, perché la terra dà il cibo. Verrà il giorno in cui andremo da un benzinaio e diremo: ‘Mi dia 60 euro di benzina”. E quello risponderà: ‘Euro?… mi dia piuttosto una gallina e tre uova’”. Un ritorno a un’economia “reale”, con riferimenti concreti e tangibili che ha molti teorici. “Ci sono correnti di pensiero – ha concluso Fini -, soprattutto americane (essendo gli Stati Uniti la punta di lancio di questo modello sono anche quelli che esprimono per primi degli anticorpi), parlano di bioregionalismo e di neocomunitarismo, cioè di un ritorno graduale, ragionato a forme di auto-produzione e autoconsumo che passano attraverso il recupero della terra, ridimensionando drasticamente l’apparato industriale finanziario”.