Con la Striscia di Gaza per gran parte ridotta a un cumulo di macerie e tendopoli, con l’80% degli edifici distrutti, tra cui le infrastrutture sanitarie e idriche, la possibilità che potesse diffondersi qualche virus era alta. E tanti avevano avvisato in tal senso, denunciando da mesi il dilagare di malattie infettive come l’epatite, la salmonellosi, la sighellosi, con casi che stanno aumentando in modo “spaventoso”. E ora, dopo undici mesi di devastazione totale, è tristemente arrivato anche il primo caso di poliomielite, che ha colpito un neonato di Deir Al-Balah, lasciandolo parzialmente paralizzato.
Media e istituzioni di tutto il mondo si sono mobilitati come mai prima d’ora affinché Israele concedesse una tregua per dare il via alle vaccinazioni anti-polio e scongiurare un’epidemia del virus. Un appello così forte e così condiviso che desta qualche perplessità, e non perché la poliomielite non sia di per sé una gravissima malattia infettiva, ma bensì perché le bombe sganciate dall’esercito israeliano a Gaza finora sono state decisamente più assassine. E dunque, in un mondo più umano ci si sarebbe aspettato tanto e giusto fermento per un cessate il fuoco ben prima che si manifestasse la poliomielite.
Una finta tregua a metà
Tuttavia, è cronaca recente che Israele ha accettato una tregua a metà, al fine di vaccinare oltre 640mila bambini. Non si tratta di certo di un cessate il fuoco vero e proprio, anzi. La prima interruzione dei combattimenti prevede tre giorni di relativa tranquillità in zone definite e ad orari stabiliti, dove per l’appunto stanno avvenendo le vaccinazioni, somministrate dal personale sanitario internazionale. Il primo a smentire la notizia di una cessazione delle ostilità è stato proprio il premier Benjamin Netanyahu, che ha ribadito la concessione “dei soli corridoi umanitari per la vaccinazione dei bambini a Gaza”.
C’è da chiedersi cosa avverrà nel futuro immediato della Striscia, se le bombe continueranno a piovere dal cielo, uccidendo uomini, donne e bambini senza alcuna distinzione. Ipotesi plausibile, dato che il primo ministro d’Israele pare non essere minimamente intenzionato a mettere fine alla guerra, nonostante mezzo milione di persone abbia protestato nelle piazze d Tel Aviv contro di lui. Quello che probabilmente cambierà sarà che ai 16mila bambini uccisi dall’esercito israeliano finora, se ne aggiungeranno altri, ma vaccinati contro la poliomielite.
Perché Israele ha permesso la vaccinazione
Nonostante tutte le perplessità del caso, la somministrazione dei vaccini anti-polio agli abitanti minorenni della Striscia è attualmente in corso, con le tutte le difficoltà che comporta una missione del genere in una zona devastata, priva di strutture sanitarie, devastate dalle bombe e con un personale medico che deve stare attento a evitare le tante insidie che nasconde questo inferno in terra.
Tuttavia, c’è un aspetto da tenere in considerazione. Israele ha una particolare ragione per preoccuparsi di questa malattia infettiva tanto contagiosa e incurabile. Ebbene, il Paese ha almeno 175.000 bambini vulnerabili, figli degli ultra-ortodossi, o haredim in ebraico, noti per la loro opposizione alle vaccinazioni. Come si legge su Foreign Policy, autorevole rivista statunitense per gli esteri, “gli haredim rappresentano il 17% degli ebrei israeliani e il primo ministro Netanyahu ha bisogno del loro supporto per rimanere al potere”. Dunque, dietro la decisione apparentemente umana e clemente, ci sarebbe una motivazione politica ben più strutturata e convincente.
Il governo di Bibi “ha esentato centinaia di migliaia di ultra-ortodossi dal programma di vaccinazione di Israele contro la polio”, così come contro morbillo, parotite, rosolia, pertosse e HPV, “nonostante la minaccia per la salute pubblica nazionale e globale rappresentata da queste malattie prevenibili con il vaccino”.
Il virus della poliomielite è stato trovato già nelle prime settimane di luglio nelle acque di scarico della Striscia e, difatti, i soldati dell’IDF di ritorno da Gaza hanno ricevuto delle vaccinazioni di richiamo. Queste dosi aggiuntive però, proteggono i soldati dal contrarre la polio, ma non impediscono loro di riportarla in Israele, “trasformandoli di fatto in pericolosi vettori di questa malattia incredibilmente contagiosa”.
Tutta l’attenzione mediatica rivolta al primo caso di poliomielite è stato un fatto quantomeno curioso, soprattutto per chi segue assiduamente la drammatica cronaca di guerra da undici mesi a questa parte. La polio distrugge le cellule neurali colpite e può portare alla paralisi degli arti, come del resto è accaduto a migliaia di bambini palestinesi sopravvissuti ai bombardamenti, ma rimasti mutilati per sempre. Ma se è la polio ciò che serve per mettere in evidenza gli orrori che affrontano i civili a Gaza, la comunità internazionale ha l’ennesima occasione per aprire gli occhi.
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