Dopo la folle corsa verso l’elettrico, ora le lacrime tardive degli industriali
Lo shock di Volkswagen che valuta chiusure. Il panico degli industriali italiani: “così il sistema crolla”. E Urso vuole spendere altri 140 milioni per le colonnine
Difficile dire quale sia la notizia più scioccante tra le due arrivate questa settimana dalla Germania e di cui si sta ampiamente parlando in questi giorni: il successo di AfD alle elezioni regionali in Sassonia e Turingia, o Volkswagen che sta valutando di chiudere uno o più stabilimenti (sarebbe la prima volta in quasi 90 anni di storia), nell’ambito di una ristrutturazione che punta a ridurre i costi di 10 miliardi di euro da qui al 2026.
La frenata
I dati mostrano la stessa tendenza da diverse settimane. Ferme al palo le vendite di auto elettriche, settore su cui le case automobilistiche europee hanno puntato a tal punto da non avere nulla da obiettare quando, pochi mesi fa, l’Ue ha messo al bando quelle a combustibile a partire dal 2035. Ma il mercato dell’auto in generale langue. Chi poteva permettersi di passare all’auto elettrica, l’ha fatto. Ma gli incentivi non bastano ad allargare la platea dei potenziali acquirenti. E gli investimenti sull’elettrico hanno portato su anche i prezzi delle auto a benzina e diesel.
Dopo aver assecondato e anzi cavalcato la conversione alla mobilità elettrica, approfittando di generosi sussidi statali e di una strategia di marketing a costo zero, perché affidata alla narrazione a media e governi unificati sui cambiamenti climatici causati dalle attività umane, ora gli industriali dell’automotive piangono, perché si sono accorti che la torta non è abbastanza ampia e quella che c’è, se la pappano le case automobilistiche cinesi, più competitive grazie al controllo delle materie prime e ai minori costi del lavoro.
Ma in definitiva possono prendersela solo con la loro ristretta visione. Qualcuno aveva avvertito, nel nostro piccolo, insieme a poche altre voci nel deserto, da anni avvertiamo che con le politiche green finiremo per dismettere la nostra industria per regalarla ai cinesi.
I marchi più importanti hanno raffreddato i loro entusiasmi sull’elettrico, qualcuno come Volkswagen si prepara a chiudere impianti e mandare a casa i lavoratori, mentre è notizia di ieri, riportata da Bloomberg, la frenata di un’altra nota casa automobilistica, Volvo (del gruppo cinese Geely), sui veicoli elettrici, dopo il crollo della domanda: abbandonato l’obiettivo di vendere solo auto elettriche entro il 2030, in anticipo di cinque anni sul bando Ue.
Il panico
Sì, l’automotive europeo rischia di sparire. Tra i più attivi in questi giorni a lanciare l’allarme il presidente di Unindustria Cassino, Francesco Borgomeo, che ieri ha anche avanzato l’ipotesi di una inedita mobilitazione: gli industriali dell’automotive sono pronti ad “una proposta da portare a tutti i partiti” e pensano ad “una manifestazione degli imprenditori dove si va a dire: o cambiate lo scenario, o vi diamo le chiavi delle aziende: leviamoci dalla testa l’idea che il sistema si salva, così il sistema crolla“.
E ovviamente batte cassa, chiedendo “strumenti straordinari” per la transizione: lo stop alla cassa integrazione a fine anno “sarà lo scacco matto, al 31 dicembre si chiudono le aziende”. Ma a questo punto, dubitiamo che cig e incentivi possano bastare. Se non si esce dalla follia green, il settore non si salva.
La riforma carburanti
E la politica italiana? Sta raccogliendo i segnali del mercato e dell’industria? Sembrerebbe di no, a giudicare dal decreto che contiene la riforma della rete carburanti discusso ieri in Consiglio dei ministri, ma slittato per “approfondimenti”. La bozza presentata dal ministro Adolfo Urso, infatti, secondo quanto anticipato dalle agenzie di stampa, stanzia ben 140 milioni di sussidi per impianti di ricarica elettrica, oltre a misure poco comprensibili come l’abolizione dell’obbligo di esporre la differenza di prezzo tra self e servito (mentre resterebbe l’inutile cartello con le medie regionali).
Sbagliare è umano, ma perseverare?
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