La condanna di Trump e la terza guerra mondiale
La condanna di Trump ha coinciso temporalmente con la nuova e più pericolosa escalation della guerra ucraina. Non certo un caso. Una ovvietà, ma va pur detta. Così, mentre Trump veniva condannato, la Casa Bianca dava luce verde all’Ucraina per colpire il territorio russo con le armi degli Stati Uniti. Escalation alzo zero.
Sì, Biden ha posto restrizioni, cioè che restano in vigore le limitazioni per le batterie missilistiche ATACMS, più a lungo raggio, e che il permesso è dato solo per scopi difensivi, ma come spiega il New York Times, le “implicazioni sono chiaramente molto più ampie”.
Né conta nulla il fatto che le restrizioni pregresse fossero state già violate da Kiev. Erano violazioni mirate e non conclamate, da oggi gli attacchi in territorio russo hanno il pieno consenso degli Usa e possono darsi in forma più massiva.
I Paesi europei, ovviamente, si stanno accodando. A Mosca, altrettanto ovviamente, inizia a montare la rabbia e sui media, e altrove, si sollecita una risposta adeguata. Una pressione che la leadership russa può gestire, ma fino a un certo punto.
Trump: la condanna e l’orizzonte carcerario
La condanna di Trump, da questo punto di vista, è stata simbolica. Non solo perché ha sostenuto la necessità di un negoziato con la Russia, ma perché, come ha dimostrato nel corso della sua presidenza (nella quale non ha iniziato nessuna guerra), si è proposto di tenere a freno l’isterica aggressività del partito della guerra imperiale, che è bipartisan e acefalo – nel senso letterale della parola per i burattini politici e nel senso che le menti sono altrove.
Nonostante la condanna, Trump è candidabile, per dire un’altra ovvietà, e lo sarebbe anche se andasse in carcere, opzione all’orizzonte. Certo, come scrive Politico, secondo “la saggezza comune” non dovrebbe finire in prigione perché è la sua prima condanna e il crimine che gli è ascritto è “tra i più lievi” per la giurisdizione di New York, sede del dibattimento, e peraltro si tratta di un crimine non violento.
Ma tanti pubblici ministeri interpellati dal cronista del media in questione hanno affermato l’opposto e ciò rende l’idea del clima, da cui la possibilità che per Trump si aprano davvero le porte della prigione, opzione peraltro non remota.
Come non remota è la possibilità che faccia la fine di Kennedy o di al Capone, che in carcere è stato assassinato (da qui la controversia mediatica, che appare banale ma non lo è, sulla possibilità che la sicurezza segua l’ex presidente anche nell’eventuale restrizione).
Tutte ovvietà, ci perdonino i lettori, ma erano pur da dirsi. Come è da dirsi che la terza guerra mondiale, già iniziata da tempo a bassa intensità, inizia a prendere una forma più consolidata. Non appare un caso, in tal senso, che, nelle stesse ore, l’aviazione anglosassone abbia bombardato lo Yemen come non faceva da tempo.
Un segnale dell’intensificarsi dello sforzo bellico, pur se inutile nella sostanza. Meno inutile l’attacco massivo al ponte di Kerch da parte delle forze ucraine che, se fosse riuscito, avrebbe avuto un alto significato simbolico in questo giorno cruciale. Ma è fallito. È riuscito, invece, l’incendio che ha divorato la villa di Putin di Altai…
En passant, si può notare che né Xi Jinping né Putin hanno presenziato i funerali di Ebrahim Raisi, nonostante la rilevanza dell’Iran per Cina e Russia (hanno inviato delegazioni).
Forse i due leader avevano paura del maltempo, che aveva già causato l’abbattimento dell’elicottero del presidente iraniano, lo stesso maltempo che ha costretto a un atterraggio di emergenza anche l’elicottero del presidente armeno Nicol Pashinyan il giorno dopo il suo ritorno da Teheran, uno dei pochi capi di Stato a presenziare alla cerimonia funebre e, per questo, ricevuto con grande onore dall’ayatollah Khamenei (in seguito, Pashinyan ha avuto una conversazione telefonica con Putin, accompagnata da un telegramma, prassi inusuale).
Il processo e la Giustizia
A proposito del processo di Trump, è superfluo sottolineare che aveva una forte connotazione politica, come dimostra anche il capo di imputazione, cioè una falsa documentazione delle spese elettorali, avendo il suo staff registrato come spese elettorali i soldi dati alla pornostar Stormy Daniels perché tenesse segreta la scappatella col Tycoon.
Simpatico notare che i media Usa che oggi esultano perché un potente è stato condannato, a dimostrazione che la Giustizia è uguale per tutti, sono gli stessi che hanno eluso in ogni modo di approfondire il caso delle rete pedofila gestita da Jeffrey Epstein, caso per il quale è stata indagata solo la complice Ghislaine Maxwell, essendo Epstein defunto in carcere (a proposito di quanto scritto in precedenza su Trump).
Nessuno dei media oggi trionfanti ha chiesto conto dei tanti clienti del duetto a cui i minori e le minori venivano dati in pasto, dal momento che nelle rubrica del defunto figurava un po’ tutto il gotha degli Stati Uniti, comprese le grandi penne dei giornali, delle Tv e i loro padroni.
Sul processo ci limitiamo a riferire quanto ha scritto Mak Davis su Newsweek: “Non era un’affermazione superficiale dire che [Trump] non avrebbe potuto avere un processo equo sull’isola di Manhattan [dove peraltro era allocata la frequentatissima magione di Epstein e dove conveniva il gotha di cui sopra… ndr]. Ogni oscuro sospetto nutrito dagli scettici è stato confermato”.
Se la liquidazione, per via giudiziaria o meno, di Trump andrà a compimento, è possibile che avvenga lo stesso anche per la spinta volta a rimuovere Biden, perché anch’egli, a suo modo (e certo con forza molto – molto – minore), è un molesto-modesto freno al partito della guerra, come dimostra il niet alla luce verde a Kiev opposto fino a ieri.
Antagonisti irriducibili, i destini di Trump e Biden corrono però in parallelo, come segnalano gli allarmi sulla possibile rimozione di quest’ultimo apparsi negli ultimi giorni sui siti trumpiani più lucidi. Simul stabunt, simul cadent. Vedremo.
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