Nel governo israeliano ora si discute apertamente la pulizia etnica finale di Gaza
3 Gennaio 2024
Durante le riunioni dei vari partiti alla Knesset – il parlamento israeliano – due dei principali partner governativi di Netanyahu hanno proposto la loro soluzione alla questione palestinese: spostare l’intera popolazione araba in Egitto. A dirlo non sono politici qualunque, ma il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, entrambi esponenti di partiti di estrema destra. Le dichiarazioni dei ministri israeliani, per quanto sconcertanti, non riescono davvero a stupire. Non è la prima volta che piani simili vengono proposti da esponenti di assoluta rilevanza nel mondo intellettuale, politico e imprenditoriale israeliano, ma soprattutto non è possibile fare a meno di notare gli innumerevoli segnali lanciati dall’ideologia sionista, che volge la propria attenzione verso un unico grande scopo: attuare una vera e propria pulizia etnica nei confronti del popolo palestinese. Il governo Netanyahu e i suoi alleati paiono infatti ben lontani dallo sposare la proverbiale soluzione dei due popoli due Stati, e sembrano piuttosto puntare con forza a fare piazza pulita dei palestinesi, mentre l’Occidente sta a guardare.
Dopo l’agghiacciante proposta dei ministri nazional-sionisti, le vere intenzioni israeliane paiono sempre più chiare e sembrano piuttosto lontane dalle continue dichiarazioni di Netanyahu di volersi limitare a sradicare la «minaccia terroristica» di Hamas, tra l’altro smentite ripetutamente dagli esorbitanti numeri di vittime e feriti che emergono quotidianamente. I piani di pulizia etnica sono alla luce del sole sin dall’inizio dell’escalation dei conflitti inaugurata il 7 ottobre, ma in verità sono facilmente riscontrabili all’interno della stessa ideologia del sionismo revisionista, da cui nasce l’idea di Grande Israele come quell’entità politica corrispondente a uno Stato ebraico che dovrebbe insediarsi tra le due rive del Giordano (e dunque non solo in Palestina). Dello stesso revisionismo è figlio, fa bene ricordarlo, il Likud di Netanyahu, che per quanto vesta spesso una maschera più moderata poggia le sue radici proprio in questo movimento ebraico di stampo fascista. È bene ricordare anche che “sionismo” non significa necessariamente questo; nel corso della storia vi sono state più forme di quell’ideologia politica che mira alla costituzione dello Stato di Israele, che non necessariamente portavano al cinico annientamento di una diversa realtà etnica, politica e geografica, eppure oggi l’ideologia predominante è quella revisionista.
È doveroso sottolineare che associare la parola “fascismo” al sionismo revisionista non è una presa di posizione, ma un dato di fatto. Nel suo monumentale Secolo Breve, Eric Hobsbawm (che, ricordiamolo, veniva da una famiglia ebrea) scriveva che il fascismo italiano “esercitò una qualche influenza in direzioni insospettate come su Vladimir Jabotinsky, fondatore del ‘revisionismo’ sionista”; e visti i vari segnali lanciati da Israele negli ultimi mesi, affiancare il termine “fascismo” all’attuale forma di sionismo prevaricante potrebbe risultare addirittura generoso. L’Indipendente ha sempre sottolineato con forza come le azioni condotte da Israele a tutto miravano meno che alla costituzione di un terreno solido su cui edificare la pace. Questo giornale è stato tra i primi e unici a trattare dettagliatamente la questione, facendo da cassa di risonanza a tutti i campanelli di allarme che sono suonati in questo ultimo periodo. Il piano di pulizia etnica israeliano, contro cui la relatrice dell’ONU Francesca Albanese ha lanciato un forte appello, era già visibile dalle condizioni atroci in cui Israele lasciava Gaza a pochi giorni dalla guerra, senza cibo né acqua, ed è stato rimarcato dai grotteschi annunci immobiliari dell’agenzia Harry Zahav.
Il piano di pulizia etnica era in atto sin dal principio, ma è stato confermato dalla pubblicazione di un rapporto a cui L’Indipendente ha dedicato un focus. Le basi per un disastro umanitario non solo ci sono tutte, ma sono già pienamente operative. Non a caso, il Sudafrica ha recentemente denunciato Israele davanti al tribunale dell’Aia, accusandolo di stare compiendo un autentico genocidio. Di fronte a queste continue azioni di repressione condotte da Israele, i Paesi del BRICS hanno già espresso la loro ferma condanna, mentre salvo casi isolati o specifici, il blocco Occidentale ha avuto una reazione fin troppo timida. Nonostante ciò, le proposte dei ministri del governo di Netanyahu non sono passate inosservate, tanto che il portavoce del Dipartimento di Stato USA, Matthew Miller, ha rilasciato una dichiarazione in cui vi si allontana con forza. Alla dichiarazione di Miller è seguita quella di Ben Gvir su X, in cui il ministro sostiene che «la migrazione di centinaia di migliaia da Gaza permetterebbe ai residenti israeliani della striscia di tornare a casa e di vivere in sicurezza».
Dopo l’ennesima riprova delle vere intenzioni di Israele, vista anche la condanna di Miller, si può sperare che l’Occidente si svegli e muti il proprio approccio alla questione. Il tempo dopo tutto stringe, e dopo i continui attacchi, le vittime palestinesi hanno toccato almeno quota 22.313, mentre i feriti hanno raggiunto almeno i 57.296. Come annunciato dal ministro della difesa, inoltre, Israele sta allargando il conflitto, operando attivamente sui fronti libanese e siriano, sui quali ha ucciso alti ufficiali e importantissimi esponenti di Hamas.
[di Dario Lucisano]
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