Il Financial Times, la Meloni latitante e la crisi irreversibile della Seconda Repubblica
Quando si legge il Financial Times si legge il quotidiano che trasmette delle direttive all’establishment politico europeo.
Questa testata è il simbolo di quegli ambienti della finanza anglosassone che dominano la politica internazionale da molti decenni.
Soprattutto dominano la politica italiana e per avere un esempio di come questo quotidiano sia il portavoce di determinati poteri che trasmettono determinati ordini si può ricordare il famoso articolo nel quale si intimava a Silvio Berlusconi nel 2011 di lasciare il governo “in nome di Dio”, non di certo però il Dio della Bibbia e della cristianità ma forse un altro agli antipodi di questo.
Lo stesso accadde quando negli anni successivi ci furono degli avvicendamenti a palazzo Chigi di una serie di presidenti del Consiglio che non avevano ricevuto nessuna legittimazione popolare quali Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni che condividono tutti e tre il fatto di essere membri del gruppo Bilderberg, una delle numerose società segrete dell’establishment internazionale.
In questa occasione, il quotidiano in questione è tornato a parlare per pubblicare un articolo dal titolo piuttosto esaustivo, ovvero “La luna di miele è finita: la manovra di Giorgia Meloni mette alla prova le difficili relazioni con gli investitori.”
In realtà, se la si dovesse dire tutta non c’è mai stata alcuna “luna di miele” tra la pasionaria di Fratelli d’Italia e le alte sfere della finanza internazionale.
Giorgia Meloni non era altro che la ruota di scorta della politica italiana e non è mai stata seriamente presa in considerazione per diventare presidente del Consiglio negli anni passati da questi poteri.
La mappa della politica italiana era stata designata per assegnare un ruolo di opposizione controllata alla Lega e al M5S che hanno assolto al ruolo dal 2010 al 2019, con il testimone del M5S passato alla Lega dopo il 2016 mentre al PD, era stato assegnato il ruolo di perno politico dello stato profondo in Italia.
Successivamente il testimone dell’opposizione controllata è stato passato a Fratelli d’Italia che però non ha mai raggiunto la popolarità degli altri due partiti perché la sua leader non ha mai assunto posizioni realmente sovraniste, a meno che non si voglia considerare come sovranista qualche uscita estemporanea in qualche talk show alla ricerca di facili consensi.
La Meloni negli anni passati si atteneva alle indicazioni che pervenivano da Londra e Bruxelles per quello che riguarda l’agenda, soprattutto economica, da seguire.
Il pareggio di bilancio introdotto da Mario Monti, sicario del gruppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale, veniva da lei definito come un presupposto imprescindibile nella politica economica nazionale, e l’uscita dalla moneta unica non veniva minimamente messa in discussione.
Del resto, non poteva essere altrimenti. Fdi non è altro che un satellite della vecchia Alleanza Nazionale fondata da Gianfranco Fini che già nel lontano 1995 aveva iniziato a frequentare degli ambienti alquanto lontani dalla tradizione della cosiddetta destra sociale.
C’è un articolo a questo proposito di quell’anno del Corriere della Sera intitolato “Fini a Londra: polemica sul Times, Colazione alla Rothschild” nel quale si racconta di come Gianfranco Fini fosse andato in visita a Londra per incontrarsi con la famiglia di banchieri più potenti d’Europa e del mondo.
L’articolo del Corriere su Fini in visita dai Rothschild
E una volta che la ex destra sociale divenuta ormai destra neoliberale si era seduta al tavolo dei Rothschild ha finito con non l’alzarsi più da lì.
Giorgia Meloni è stata comunque chiamata negli ultimissimi anni per riempire, senza successo, l’enorme buco che si era creato con la dipartita di consensi di Lega e M5S. Mentre veniva allestita l’operazione di marketing della Lega sovranista nel 2013 per intercettare un bacino di consensi sempre più numeroso nei confronti della moneta unica, gli ambienti dello stato profondo italiano si tenevano la Meloni in panchina per provare a sostituire la precedente opposizione divenuta poi maggioranza controllata.
La irreversibile crisi della liberal-democrazia
Ora però c’è un sostanziale elemento di novità nel balletto della democrazia liberale e dei suoi “leader” telecomandati che non può essere trascurato e che ha fatto saltare tutti i precedenti equilibri.
Si è incrinato definitivamente quel rapporto di fiducia tra il popolo e ciò che c’è dentro le istituzioni e in questo ha giocato un ruolo del tutto decisivo la farsa pandemica.
La farsa pandemica ha rimosso ogni velo che era stata calato sulla politica. Se essa in un primo momento ha dimostrato la povertà di spirito delle masse raggirate da una enorme bugia, successivamente ha fatto emergere però una sempre più radicale presa di coscienza delle masse stesse sull’inganno alla base della liberal-democrazia.
Quando verso la fine del 2020 e soprattutto nel 2021 il popolo ha visto che qualunque esponente politico parlasse lo faceva per sostenere la farsa pandemica e per sostenere la visione autoritaria distopica di un altro dei numerosi club fondati dalla famiglia Rockefeller, quello di Davos, le persone sono giunte ad una semplice conclusione.
Il gioco della democrazia liberale è un gioco truccato. Esso è un gioco, per dirla con l’espressione dello storico canadese Allen Carr, di pedine nel gioco nel quale i veri poteri che stanno dietro tale forma di governo distribuiscono i ruoli e ognuno recita la parte assegnata.
Le massonerie si profondono in lodi per questo sistema non certo perché esso faccia gli interessi del popolo come ipocritamente dichiarano ma piuttosto perché è perfetto invece per fare i loro.
Ciò non vuol dire che a volte il gioco non possa saltare come accaduto negli Stati Uniti quando si presentò Trump che fece saltare il duopolio tra democratici e repubblicani gestito dal governo segreto di Washington.
Questo non è ancora accaduto in Italia ma ormai per chiunque dotato di effettive capacità analitiche in termini del funzionamento della politica è semplicemente chiaro che il gioco si è interrotto e gli equilibri del passato sono impossibili da mantenere.
La classe politica italiana si è spesa tutta negli anni precedenti per consegnare l’Italia al carnefice di Davos. Non c’è stato un solo politico o partito che si sia opposto realmente al piano di quei poteri massonici che volevano distruggere il Paese simbolo della tradizione cristiana e greco-romana.
Zaia lo disse chiaramente. C’è il Nuovo Ordine Mondiale da attuare e le persone debbono farsene una ragione.
I piani però non sono andati come previsto. L’establishment italiano si è risvegliato in un mondo che non va più nella direzione auspicata da Klaus Schwab.
Davos è persino decaduto e l’ultimo forum è stato disertato da quei potenti che un tempo invece facevano la fila per presenziare.
Non c’è stato il tanto agognato accentramento di poteri a livello globale. Si è messo in moto piuttosto il meccanismo inverso. Le nazioni tornano le protagoniste della storia e il disegno del Nuovo Ordine Mondiale appare completamente sfumato e rinviato molto più in là con il tempo.
La classe politica italiana è rimasta in tale guado. Convinta che ci sarebbe stata la manifestazione di una governance globale si ritrova invece come una foglia al vento in balia di eventi storici avversi per essa.
Giorgia Meloni: ultima spiaggia dello stato profondo italiano
Giorgia Meloni è stata chiamata come ultima “risorsa”. Non c’era più nessuno disponibile per andare a palazzo Chigi.
Se un tempo c’era la ressa e la rissa per baciare la pantofola di Londra e di Israele, passaggio necessario dal 92 in poi per diventare presidenti del Consiglio, oggi si verifica il curioso fenomeno del ciapa no.
Si fa a gara per non sedersi su quella poltrona e non bere l’amaro calice. Giorgia Meloni non aveva particolarmente voglia di assolvere a questo ruolo di presidente-kamikaze.
Già lo scorso anno si dimostrava in pubblico molto nervosa e con grossi occhiali scuri per nascondere le occhiaie provocate da una fila di notti insonni.
Quando è entrata a palazzo Chigi è iniziato un altro gioco. Quello di non stare dentro il palazzo. Ormai è semplicemente chiaro a tutti che le interminabili visite all’estero di Giorgia Meloni sono un pretesto per non occuparsi degli affari di governo e non dover mettere la faccia sui dossier più scottanti.
Quando non è possibile ricorrere ai viaggi all’estero, si mette invece in scena un’altra strategia, quella del marketing di basso profilo mutuato direttamente dalle televendite di materassi.
Questo stile comunicazionale è po’ il leitmotiv di tutta la Seconda Repubblica nella quale uscita di scena la politica con la P maiuscola e gli interessi del Paese si è deciso di sostituire entrambi con artifici comunicativi per obnubilare e ipnotizzare le masse.
Le campagne pubblicitarie però sono come le bugie. Hanno le gambe corte e durano molto poco soprattutto quando queste vengono ripetute in continuazione nel corso degli anni.
Giorgia Meloni non può quindi pensare di cavarsela con delle passerelle a Lampedusa assieme alla Von der Leyen per raccontare ai lampedusani esasperati e sommersi di immigrati clandestini la favola dei confini “europei”.
Allo stesso modo però la Meloni non può pensare di ingannare per sempre anche i vecchi referenti di quel potere finanziario globale che attraversa una profonda crisi.
L’articolo del Financial Times è stato scritto per questo. È stato scritto per comunicare alla Meloni che gli ambienti della City vogliono che venga eseguita una manovra di austerità sulla falsariga di quelle precedenti e che non devono essere varati dei provvedimenti che mettano a rischio gli interessi di uno status quo che comunque non può più essere mantenuto.
Il paradosso attuale è proprio questo. C’è un sistema e degli equilibri che non possono essere più preservati perché la storia ha preso una piega del tutto inaspettata per questi signori.
Piuttosto che la manifestazione del Grande Reset e di tutto ciò che c’era dentro, si è messo in moto un processo che mette fine a quelle strutture e a quegli apparati che erano stati costruiti per garantire il potere della finanza e delle banche.
Nonostante questo passaggio decisivo che ha avviato una crisi dell’UE e della sua moneta artificiale, l’euro, sempre più profonda, ci sono ancora alcune forze dentro il precedente sistema che non vogliono mollare la presa.
Una di queste è il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che continua nella sua bolla quirinalizia a ripetere le vecchie frasi a favore della integrazione e dell’invasione di massa nonostante il Paese sia saturo da Nord a Sud e non ne possa più di vedere le proprie strade invasi da clandestini spesso usciti direttamente dalle patrie galere africane.
La probabile dissoluzione della Repubblica dell’anglosfera
A questo punto, la Meloni si ritroverà tra l’incudine del martello sovranazionale che le chiede di fare ciò che non può essere più fatto e che era stato già abbandonato da Draghi, ovvero l’esecuzione del PNRR, e il martello popolare stufo di un’agenda che ha portato il Paese alla rovina sociale, economica e culturale.
Viene da chiedersi quale sarà la strada che intraprenderà il presidente del Consiglio. A nostro avviso, sarà quella della terra di mezzo dove finirà per scontentare entrambe le parti fino a quando lei stessa non cercherà qualche incidente di governo per togliere il disturbo e tornare a fare o la leader di un piccolo partito, ammesso che sopravviva alla tempesta, oppure rifugiarsi a Bruxelles come vorrebbero fare molti di coloro che siedono sugli scranni di Montecitorio che sanno che la legislatura potrebbe finire da un momento all’altro.
L’Italia dovrà andrà in questa fase? Lo scenario che sembra più probabile è quello di un aggravamento della crisi delle istituzioni liberali fino ad un loro completo decadimento.
I partiti sono immersi fino al collo nei debiti e il vecchio referente del globalismo, il PD, viaggia sempre più spedito verso una scissione favorita anche dalla sua debole e inadeguata leader, Elly Schlein.
Questa fase è estremamente simile sotto certi aspetti a quella che portò alla fine del liberalismo in Italia nei primi anni 20 e a quella che portò alla fine della Russia oligarchica alla fine degli anni 90.
È una fase di transizione dove molti attori attuali spariranno e usciranno di scena sostituiti da nuovi interpreti che avranno poco in comune con la tradizione precedente e i suoi principi.
L’Italia sta attraversando un’altra di quelle sue fasi storiche che dopo molto patire potrebbero riportarla finalmente sulla strada della rinascita e della riscoperta della sua vera identità, calpestata e oppressa dalla Repubblica liberale creata dall’anglosfera nel 1946-48.
Un grandissimo cerchio storico si sta per chiudere e vivere in questa fase attuale fino a pochi anni fa sembrava un calvario, mentre adesso potrebbe essere un grande privilegio nel quale c’è un bivio storico unico per questa grande nazione.
Il vecchio sistema politico che era stato costruito per volontà dell’impero americano sta venendo meno perché l’impero stesso sta uscendo dalla storia.
È in questa fase che ci sarà probabilmente la grandissima opportunità di tornare a vedere un’Italia finalmente sovrana e indipendente. Un’Italia che ricordano le vecchie generazioni e che quelle nuove non hanno nemmeno mai visto.
Si dovrà ripartire dai fondamentali storici e morali di questa nazione ma ciò che conta non è nemmeno questo.
Ciò che conta è che domani l’Italia potrebbe avere per le mani finalmente l’opportunità che attendeva da tanto e troppo tempo.
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