Slittamento di paradigma. Paradossi, nonsense e pericoli di una svolta storica
di Piero Pagliani - 19/02/2023
Fonte: Sinistra in rete
Nell'analisi che segue enuncio quelli che mi sembrano dei
dati di fatto, tiro alcune somme, pongo una domanda per rispondere alla
quale avanzo un'ipotesi sull'oggi e due sul domani concludendo con
un'assunzione che in modo irrituale espongo alla fine e non all'inizio.
In specifico:
Primo dato di fatto: la guerra contro Kiev ha sancito la fine del monopolio statunitense della violenza planetaria.
Secondo
dato di fatto: la guerra stessa ha neutralizzato le sanzioni contro la
guerra perché ha ampliato istantaneamente il campo d'attrazione russo.
Terzo dato di fatto: La Russia ha trasformato in una guerra sistemica quella che per lei è alla base una guerra esistenziale.
Prima
conclusione: gli Stati Uniti stanno giocando la propria egemonia
globale sul terreno più favorevole al proprio avversario, quello che lo
ha sempre visto vincitore.
Ipotesi dello sfasamento cronologico: Lo
sviluppo ineguale e i meccanismi del circuito
globalizzazione-finanziarizzazione hanno suddiviso il mondo in due parti
con processi di accumulazione disallineati, cosa che ha portato a una
sfasatura rispetto al loro posizionamento nella crisi sistemica:
economie finanziarizzate quelle più mature (Occidente collettivo) ed
economie reali quelle più giovani (Sud collettivo).
La domanda
fondamentale: si tratta solo dello scontro tra blocchi con sviluppo
disallineato (cosa che lo avvicinerebbe a un classico conflitto
interimperialistico) o da questo conflitto sistemico uscirà
(obbligatoriamente?) uno scenario socio-economico che poggia su basi
diverse?
Quinto dato di fatto: una nazione oggi può essere egemone
globalmente solo a costi altissimi e quindi per un periodo molto
limitato di tempo.
Ipotesi sulla conseguenza del quinto dato di
fatto: dallo scontro sistemico attuale uscirà un ordine multipolare,
cioè non ruotante attorno a un unico centro egemone.
Ipotesi
derivata: nel mondo multipolare i rapporti sociali ed economici saranno
sensibilmente diversi da quelli che hanno dominato fino ad oggi, oppure
il mondo multipolare si esaurirà in un nuovo e più ampio scontro.
Assunzione:
Se si rimetterà al centro di questa architettura l'accumulazione senza
(un) fine tutte le contraddizioni riemergeranno, ancora più gigantesche e
in condizioni che renderanno la loro soluzione ancora più difficile.
1.
L'ammiraglio statunitense Robert Bauer, presidente del Comitato
militare dell'alleanza Atlantica, ha dichiarato alcuni giorni fa che la
Nato «è pronta per un confronto diretto con la Russia». Questa
dichiarazione segue di pochi giorni la previsione del generale a 4
stellette Mike Minihan riguardo una guerra con la Cina tra due anni.
Immediatamente dopo il segretario della Nato, Jens Stoltenberg ha
iniziato a preparare il terreno per trascinarci piano piano nel delirio
ventilando che sebbene la Cina non sia un avversario della Nato, «la sua
crescente assertività e le sue politiche coercitive hanno delle
conseguenze». Parole che, in un gioco di squadra, si inserivano nella
scia delle accuse di Ursula von der Leyen contro Pechino, rea di voler
«rimodellare l'ordine internazionale a proprio vantaggio [così che]
dobbiamo rafforzare la nostra resilienza», sottraendoci in modo
crescente alla dipendenza dal commercio con la più grande economia
mondiale a parità di potere d'acquisto (PPP) [1].
Seppure la minaccia
di confronto diretto con la Russia e l'ipotesi di guerra con la Cina
sembrino due follie o addirittura due nonsense, tuttavia hanno entrambe,
separatamente e congiuntamente, una logica. O meglio una doppia logica i
cui due versanti non sono sempre semplici da discernere, sia per la
confusione di interessi che essi rappresentano, sia per la situazione
caotica della politica statunitense.
Le due dichiarazioni hanno evidentemente degli scopi, non sono state rilasciate con leggerezza.
Uno
di essi è mantenere i membri della Nato in stato di soggezione tramite
una sorta di mobilitazione permanente e l'evocazione continua di nemici
comuni. E' una mossa classica, prima l'Unione Sovietica, poi il
terrorismo, oggi la Russia e domani la Cina. Tuttavia ripetere la stessa
mossa in condizioni drasticamente mutate può portare a risultati
opposti a quelli sperati.
Io sono convinto che alle varie cancellerie
europee arrivino (anche) notizie veritiere su cosa sta succedendo nel
mondo e in Ucraina in specifico [2]. La domanda più immediata è allora: a
parte il governo polacco benedetto da Radio Maria, quanti paesi della
Nato se la sentono di fare una guerra senza speranza alla Russia per
difendere gli interessi di alcune élite cosmopolite che fanno capo agli
Stati Uniti e distruggere definitivamente i propri di interessi?
Ce
la sentiremo di difendere la traballante egemonia mondiale di un Paese
disastrato, che sta perdendo la sua ciambella di salvataggio, cioè il
predominio del Dollaro, e che ci sta spingendo alla rovina assieme a lui
e prima di lui? [3]
Ce la sentiremo di andare a combattere a
migliaia di chilometri di distanza, in Ucraina e nel Mar Cinese
Meridionale, minacciando l'integrità della Russia e della Cina nei loro
stessi giardini di casa se non addirittura sul loro stesso territorio e
sui loro mari? Che tradotto vuole anche dire: ce la sentiremo di sfidare
per l'ennesima volta le lezioni della Storia, proprio mentre la
congiuntura storica stessa è tutta a nostro sfavore?
2. Le risposte dipendono dal concorso di ciò che succede in varie dimensioni.
Una
dimensione è legata al caso (qualche incidente può sempre esserci
quando si gioca con l'alta tensione, qualche disastro naturale può
sempre avvenire), mentre un'altra dimensione è legata alla personalità e
alla caratura dei governanti occidentali, purtroppo drammaticamente
bassa in termini di rettitudine, preparazione, capacità di analisi, e
consiglieri di cui si circondano. Possiamo chiamarle “gruppo di
dimensioni A” (da “aleatorie”, anche se in realtà sono semi aleatorie,
dato che raramente i “disastri naturali” sono esclusivamente naturali ed
è il sistema che seleziona le classi dirigenti, le coopta). Un'altra
dimensione riguarda i rapporti di forza militari tra la potenza delle
parti in conflitto. La chiameremo “dimensione V” (da “violenza” - credo
che sia il termine più onesto). Collegata ad essa abbiamo i rapporti di
forza economico-finanziari che costituiscono la “dimensione D” (da
“denaro”). Infine abbiamo la differenza delle loro strutture sociali e
politiche, una dimensione che non è meccanicamente deducibile dalla
dimensione D, ma è ovviamente ad essa collegata; la chiameremo
“dimensione T” (da “territorio”). Alla base di tutto ci sono i
differenti rapporti sociali (chiamati spesso, in modo inesatto, “modelli
di sviluppo”).
Collettivamente possiamo allora chiamare il compito
di analisi “AVDT” e consiste nello sbrogliare il groviglio esistente
individuando dove agiscono, come agiscono e come evolvono le varie
dimensioni sopra accennate, descrivendo al meglio tramite esse le parti
che si contrappongono, i motivi della contrapposizione (le sue origini
storiche e logiche) e, infine, cercare di capire cosa uscirà da questo
confronto, non per divinazione ma per applicazione della razionalità
all'analisi dei processi in essere.
Un compito difficile, ma per
fortuna ci sono lavori che aiutano a non brancolare del tutto nel buio.
Sto parlando delle classiche analisi di Lenin, di Rosa Luxemburg, di
Karl Polanyi, di Giovanni Arrighi e Samir Amin, della coppia Shimshon
Bichler-Jonathan Nitzan, di David Harvey, di Jason Moore, di Gianfranco
La Grassa e di Michael Hudson e, in Italia, delle recenti proposte
interpretative di Raffaele Sciortino, Pierluigi Fagan, Gianfranco
Formenti, del gruppo Brancaccio-Giammetti-Lucarelli, per fare alcuni
nomi e, di nuovo, di Michael Hudson e di altri autori, spesso apparsi su
Sinistra-in-rete, che coi loro contributi permettono di gettare luce su
un aspetto o l'altro di questo complesso problema [4].
Purtroppo,
non essendoci un organismo coordinante, questi contributi non riescono a
consolidarsi in una lettura, per l'appunto, organica. E questo è un
problema squisitamente politico. Se la guerra in Ucraina ha fornito la
scusa per ampliare e approfondire l'emarginazione e addirittura la
criminalizzazione delle voci dissenzienti, la nostra capacità di opporci
a quello che ormai a tutti gli effetti è un regime totalitario, nel
senso che impone una visione totale del mondo (sociale, politica,
economica, scientifica e valoriale), è indebolita dalla suddivisione in
una miriade di “voci” che non si coordinano nelle modalità di
presentazione e rimangono scollegate [5]. Queste voci presentandosi
prive di un moderatore politico che quanto meno le inquadri e le metta
in correlazione le une con le altre, appaiono isolate anche quando
concordano tra loro e anche quando sono offerte in un unico involucro,
come ad esempio un medesimo portale (cosa in sé meritoria). Anche questo
è un segno dei tempi.
Oltre che a rimandare alla bibliografia (che
si trova agevolmente sul web) dei singoli autori sopra citati e a
raccomandare la visita a portali come questi, l'esposizione che segue è
in forma di note dove le varie dimensioni saranno implicite e non
chiamate per nome.
3. La Nato che affronta direttamente la Russia
e muove guerra alla Cina è un'idea folle. Tuttavia è veramente il sogno
proibito dei crazy freaks neo-liberal-con al potere attualmente a
Washington. Per gli ambienti statunitensi meno psicopatici è invece una
minaccia per cercare di compattare gli alleati, far vedere al mondo che
non si intende cedere il posto di comando e infine per spaventare Mosca e
cercare di farle accettare un compromesso ed evitare il completo
collasso dell'Ucraina (con eventuale spartizione tra Russia, Polonia,
Ungheria e Romania) e quindi l'umiliazione dell'Alleanza Atlantica.
Una
richiesta di compromesso che Mosca ha già rinviato al mittente perché
giudicata poco seria, specialmente dopo l'ammissione occidentale
(Hollande e Merkel riguardo gli accordi di Minsk) che noi tradiamo i
patti in modo premeditato (da parte Russa potrebbe essere una scusa, o
meglio un utilizzo ai propri fini della sbalorditiva provocazione
franco-tedesca istigata dalla Nato).
Bisogna anche sottolineare che
le politiche di sicurezza nazionale svolgono un ruolo di potente
barriera unitaria protezionistica militare ed economica. Da questo punto
di vista, per gli Stati Uniti il conflitto attuale è un mezzo per
perseguire un fine economico più ampio dell'ovvio arricchimento
dell'apparato industriale-militare: cercare di re-industrializzarsi ai
danni principalmente dell'Europa.
Dualmente, l'innalzamento di una
barriera unitaria protezionistica militare ed economica è stata per la
Russia e la Cina una reazione obbligata all'aggressività statunitense,
che ha creato ex novo percorsi che non erano previsti, ha accelerato
tendenze latenti che avevano altre tempistiche o sbloccato processi che
altrimenti difficilmente avrebbero visto la luce. E tutto questo si
riversa e riverbera nella configurazione sociale, economica e politica
dei due principali Paesi competitor degli Stati Uniti.
Siamo di
fronte alla “larger picture”, cioè al quadro di quanto succede al di
fuori dell'Ucraina, il quadro che spiega la guerra e che a sua volta è
influenzato da ciò che avviene sui campi di battaglia. Per inserire il
conflitto armato stesso nella larger picture occorre per prima cosa,
accettare quanto segue:
Primo dato di fatto: la guerra contro Kiev ha sancito la fine del monopolio statunitense della violenza planetaria.
Questo
è uno dei monopoli fondamentali del dominio mondiale. Gli altri sono
quello dell'accesso alle fonti energetiche e alle altre risorse
fondamentali (come il settore chimico-agricolo-farmaceutico), quello dei
sistemi finanziari e di pagamento, quello della cultura e
dell'informazione/comunicazione e infine quello dell'innovazione
scientifica e tecnologica. Monopoli diversi ma collegati tra loro.
Questo collegamento spiega la famosa “resilienza” (termine che detesto) della Russia:
Secondo
dato di fatto: la guerra stessa ha neutralizzato le sanzioni contro la
guerra perché ha ampliato istantaneamente il campo d'attrazione russo.
E'
un'osservazione che vale in questo caso, non in generale. Un paradosso,
nel senso di contraddizione reale, che non può essere né concepito né
spiegato se non si ha una visione sistemica degli eventi. Infatti gli
esperti occidentali di scuola canonica (economisti, politologi,
geostrateghi e chiromanti d'altro tipo) si sentono spersi: “Le sanzioni
non funzionano. Ma come?”. E cercano spiegazioni nelle minuzie.
Il fatto è che attorno a questa guerra tutto il sistema-mondo si muove, e velocemente, per un terzo motivo:
Terzo dato di fatto: La Russia ha trasformato in una guerra sistemica quella che per lei è alla base una guerra esistenziale.
Se
non si capisce, o si fa finta di non capire, che per la Russia questa
guerra è esistenziale sarà un disastro di ampiezza mai vista perché le
guerre esistenziali la Russia le ha sempre vinte indipendentemente dal
prezzo da pagare. Non solo dobbiamo ricordarci di Napoleone, di Hitler o
dei Cavalieri Teutonici, ma è meglio che Varsavia e i Paesi baltici si
ricordino di come sono finite le mire espansionistiche di Sigismondo III
e della sua Confederazione Polacco-Lituana durante il “Periodo dei
Torbidi” quando pure la Russia versava in stato di debolezza [6].
Ma
Mosca è anche perfettamente consapevole che questa guerra si inserisce
diritta nel cuore della crisi sistemica ed è quindi destinata a
rivoluzionare il sistema-mondo. Basta rileggersi uno qualsiasi dei
discorsi di Putin dell'ultimo anno. Anche gli Stati Uniti lo sanno
perfettamente e ciò lascia sbalorditi, perché la potenza egemone non
poteva concepire una strategia peggiore:
Prima conclusione: gli Stati
Uniti stanno giocando la propria egemonia globale sul terreno più
favorevole al proprio avversario, quello che lo ha sempre visto
vincitore.
Ciò che è stupefacente è che questo esito era stato
ampiamente previsto con molta precisione da uno dei maggiori geopolitici
statunitensi, Georg Kennan, uno dei “padrini” della Nato, che già nel
1997 aveva avvertito: «L'opinione, per dirla senza mezzi termini, è che
l'espansione della NATO sarebbe l'errore più fatale della politica
americana nell'intera era post-guerra fredda. Ci si può aspettare che
una tale decisione infiammi le tendenze nazionaliste, antioccidentali e
militariste dell'opinione pubblica russa, abbia un effetto negativo
sullo sviluppo della democrazia russa, riporti l'atmosfera della guerra
fredda nei rapporti Est-Ovest, e spinga la politica estera russa in
direzioni decisamente non di nostro gradimento» [7].
Durante la
guerra esistenziale contro Napoleone la Russia si compattò attorno allo
zar Alessandro I Romanov. Durante la guerra esistenziale contro Hitler
la Russia si compattò attorno al segretario del Partito Comunista Josif
Stalin. Oggi nella guerra esistenziale contro la Nato, la Russia si è
compattata attorno al presidente Vladimir Putin. Difficilmente si può
sostenere che non fosse prevedibile.
Questa strategia suicida dice
pressoché tutto dello stato misto di disconnessione epistemologica e
dissonanza cognitiva della leadership occidentale. Uno stato ormai
patologico dovuto a un gioco di hubris e di disperazione che avvitandosi
una sull'altra rendono impossibile l'elaborazione di un percorso
alternativo, di una via di fuga non distruttiva.
4. Se dunque la
nazione russa si compatta attorno ai suoi leader per combattere una
guerra esistenziale, attorno alla guerra in Ucraina in quanto guerra
sistemica la larger picture si muove.
Si pensi, ed è un solo esempio,
alla recente “Dichiarazione dell'Avana” dei banchieri centrali,
presidenti e parlamentari di 25 Paesi riuniti a Cuba il 27 gennaio
scorso. E' un programma per la creazione di un blocco planetario «led by
the South and reinforced by the solidarities of the North».
«Il
Congresso riconosce l'opportunità critica offerta dalla presidenza
cubana del Gruppo dei 77 più la Cina per guidare il Sud fuori dalla
crisi attuale e incanalare gli insegnamenti della sua Rivoluzione verso
proposte concrete e iniziative ambiziose per trasformare il più ampio
sistema internazionale». «La liberazione economica non sarà concessa ma
conquistata».
Quando ci entrerà in testa che non ci sopporta più
nessuno e facciamo di tutto per non essere sopportati? Quando capiremo
che la maggior parte del mondo, in Ucraina ci vuole vedere umiliati,
anche chi all'ONU vota secondo creanza o pressione?
La ribellione al
cosiddetto “ordine internazionale” ha come protagonisti Paesi che si
sentono minacciati e Paesi che si sentono soffocati dall'architettura di
potere occidentale. Il verbo “sentire” è però impreciso, perché le
minacce occidentali sono da tempo aperte, esplicite, spudorate, così
come lo è la rapina. Dietro a questo disastro c'è l'abnorme
finanziarizzazione dell'economia occidentale che è stata la via d'uscita
“naturale” (in senso capitalistico) dalla crisi di sovraccumulazione
degli anni Settanta. Ovviamente esiste un rapporto tra la disconnessione
dell'economia dai valori reali e la disconnessione del pensiero
occidentale dalla realtà. Lo studio dei suoi particolari è un tema
seducente ma purtroppo non ho sufficienti conoscenze per affrontarlo e
lo lascio quindi ad altri [8].
Il grosso ostacolo a una “revisione”
interna all'Occidente della sua politica, suicida oltre che omicida, è
dunque un blocco cognitivo e culturale connesso all'esasperante livello
di finanziarizzazione raggiunto dall'economia. La bolla finanziaria
incombe come un mostruoso ordigno nucleare pronto a scoppiare. Nel
tentativo di depotenziare lo scoppio, le élite finanziarie obbligano
l'ambiente esterno al centro capitalistico occidentale ad estrarre
quanto più profitto e a sequestrare quanta più ricchezza sociale sia
possibile per devolverli al centro egemone in crisi in cui la rendita
finanziaria ha sostituito l'estrazione di profitto alimentando la
sovraccumulazione, e parimenti obbligano l'Occidente stesso a
un'operazione di auto-cannibalizzazione che consiste nell'avvitarsi in
politiche di austerity e deflazione salariale e nella privatizzazione
selvaggia del dominio pubblico (welfare, capitale sociale fisso,
servizi).
Se l'inizio della crisi sistemica fu segnalato dal decennio
di stagflazione (stagnazione con inflazione, superata dall'avvio della
finanziarizzazione dell'economia), oggi, dopo poco più di mezzo secolo,
nello show-down della crisi concorrono stagnazione, inflazione e
finanziarizzazione, un triangolo devastante esasperato dallo
scardinamento della globalizzazione dovuto allo scontro sistemico
stesso.
Oggi la finanziarizzazione non può più essere un rimedio
perché è stata utilizzata fino all'eccesso (come già avvertiva Thomas
Friedman nel 2004 sul New York Times: “gli elefanti possono volare, ma
solo per poco tempo” [9]). Non solo, ma il Paese dove oggi sono
concentrati i mezzi di pagamento mondiali, la Cina, è largamente al di
fuori del raggio d'azione politico imperiale e quindi della possibilità
di far fagocitare le sue risorse dal sistema finanziario occidentale
ormai fuori controllo.
Ecco allora un disperato tentativo imperiale
di re-industrializzazione che essendo ostacolato dalla
neo-compartimentazione dell'economia mondiale alimentata dagli scontri
geopolitici, avviene ai danni dei vassalli in Europa e in Giappone e
deve fare i conti con ritardi tecnologici, con mancanza di materie prime
e con perdita di know how [10].
Negli Stati Uniti si rendono conto
dell'impossibilità di una strategia coerente e solida per mantenere
l'egemonia mondiale. Esclusa una guerra nucleare dalla quale i generali
sanno perfettamente che gli Stati Uniti uscirebbero totalmente
distrutti, l'unica speranza sarebbe un collasso interno della Russia e
della Cina, inverosimile per mille ragioni, storiche, geografiche,
antropologiche, culturali, economiche e politiche ampiamente studiate.
L'unica
regione che è ripetutamente collassata nella Storia è stata l'Europa,
il continente più violento del pianeta, suddiviso in mille poteri e con
la possibilità idro-orografica di fare e disfare mille confini. Gli
Stati Uniti si trovano in una situazione, anche geografica, più
vantaggiosa di noi, ma il suo sistema economico-sociale ha assunto da
subito un andamento “estrovertito”, cioè dipendente dalla conquista
diretta o indiretta di crescenti spazi esterni, nonostante spesso si
parli delle tendenze “isolazioniste” statunitensi. L'espansionismo è un
fenomeno che era comprensibile per la piccola Inghilterra ma è
abbastanza sorprendente in una nazione che nasce e si consolida su spazi
enormi (“confederazione” e “impero” erano termini intercambiabili per i
fondatori degli Stati Uniti). La spiegazione più verosimile è che esso
sia dipeso dalla grande capacità di accumulazione degli Stati Uniti
messa definitivamente in moto a livello internazionale proprio dal
periodo protezionistico che seguì quella Guerra Civile in cui furono
sconfitti gli interessi legati alla preminenza dell'impero britannico e
alla triangolazione atlantica (manufatti inglesi scambiati con schiavi
africani, schiavi africani scambiati con prodotti tropicali americani,
prodotti tropicali americani scambiati con manufatti inglesi). E' la
ragione per cui considero la fine della Guerra Civile Americana l'inizio
dell'era contemporanea, o meglio ancora dell'era “attuale”.
5.
La necessità di “estroversione” degli Stati Uniti si scontra ora con la
resistenza di due enormi competitor che storicamente non sono dipesi da
un'esigenza simile. Ciò che sovente viene chiamato “imperialismo russo” e
“imperialismo cinese” sono in realtà relazioni economiche
internazionali di natura differente. Ad esse viene dato l'appellativo di
“imperialismo” per pigrizia, per comodità, per incapacità di concepire
fenomeni diversi da quelli che hanno caratterizzato l'Occidente nella
sua particolare traiettoria storica. Le cose stanno in modo differente e
non casualmente Giovanni Arrighi intitolò la sua ultima monografia
“Adam Smith a Pechino” e non “Karl Marx a Pechino”. Per quanto riguarda
la Russia mancano analisi precise che comunque non dovrebbero
sottostimare l'influenza di oltre 70 anni di bolscevismo. La stessa
reazione di Putin alla shock therapy messa in atto da Eltsin ha
risentito, sebbene in modo altalenante, di quella tradizione e
dell'attaccamento della popolazione russa ad essa (innanzitutto ai
servizi statali e all'assistenza sociale, ma anche ideale, a giudicare
dal fatto che il Partito Comunista della Federazione Russa col 19% è il
secondo partito [11]).
L'ultima grande stagione di estroversione
statunitense è stata la cosiddetta “globalizzazione”, «another name for
the dominant role of the United States», come affermò candidamente Henry
Kissinger in una conferenza al Trinity College di Dublino il 12 ottobre
del 1999. Ma la globalizzazione ha avuto come esito inintenzionale
proprio la crescita dei grandi competitor strategici degli Usa e dei
competitor minori che attorno ad essi si stanno aggregando. Questo ha
portato a un deterioramento della globalizzazione e a una
neo-compartimentazione del sistema-mondo dove le economie giovani e
dinamiche stanno da una parte e quelle mature e obsolescenti dalla parte
opposta.
Ipotesi dello sfasamento cronologico: Lo sviluppo ineguale e
i meccanismi del circuito globalizzazione-finanziarizzazione hanno
suddiviso il mondo in due parti con processi di accumulazione
disallineati, cosa che ha portato a una sfasatura rispetto al loro
posizionamento nella crisi sistemica: economie finanziarizzate quelle
più mature (Occidente collettivo) ed economie reali quelle più giovani
(Sud collettivo)[12].
Il deterioramento della globalizzazione ha
provocato quello dei processi di alimentazione delle prime da parte
delle seconde. Se la globalizzazione serviva a sopperire a ciò che non
potevano più fare le singole società nazionali occidentali né il loro
assemblaggio/coordinamento nell'economia-mondo centrata sugli Stati
Uniti, ovvero “pompare energia” sufficiente dai processi di creazione
del valore a quelli di accumulazione monetaria, il suo scardinamento sta
obbligando il centro dominante a ricorrere alla “accumulazione per
espropriazione” ai danni dei suoi stessi vassalli. Ma facendo ciò gli
Stati Uniti si stanno ritraendo dalla posizione di Paese “egemone” per
assumere le vesti di Paese “dominante”. Se l'egemonia è sempre
“corazzata di coercizione”, oggi gli Stati Uniti devono usare un massimo
di forza dato che ormai godono di un minimo di consenso, pur avendo
ancora una notevole presa culturale [13]. Detto in termini generali, il
problema che si è trovato di fronte l'Occidente è stato l'impossibilità
di inglobare altre economie-mondo nella propria, un'impossibilità di
tipo geopolitico (la sconfitta nel Vietnam è forse stato il suo segnale
più precoce).
Il problema che il mondo invece si trova oggi di fronte
è proprio l'impossibilità dell'economia-mondo occidentale di coesistere
con altre economie-mondo, un'impossibilità che ha le sue radici nella
logica dei processi di accumulazione che si sono storicamente
strutturatati in Occidente.
L'Occidente è quindi in preda a un giro
vizioso perfetto: i tentativi di bloccare l'ascesa dei competitor
inducono un indebolimento della sua economia e un approfondimento della
crisi e questo diminuisce la sua capacità di contrastare i competitor. O
l'Occidente cambia strategia, ovvero accetta di negoziare la propria
posizione in un mondo multipolare, pagando ovviamente un prezzo in
termini di privilegi, comunque destinati a sparire con la forza, o la
situazione diventerà sempre più disperata. E questo è pericolosissimo.
Il cambio di strategia deve quindi essere rapido.
La disperazione che
serpeggia tra le élite occidentali ha infatti già fatto evaporare le
loro residue capacità diplomatiche/egemoniche, quasi che si fosse ormai
consapevoli che è meglio essere espliciti e brutali dato che non c'è più
possibilità di far identificare il bene degli Usa col bene
dell'Occidente e il bene dell'Occidente con quello di tutti.
Se si
leggono i rapporti dell'FMI e delle altre istituzioni preposte
all'ordine mondiale occidentale, si vede un quadro di desolazione che
grazia solo pochi Paesi [14]. La maggior parte delle nazioni del mondo
sono considerate un “problema”. Problema che deve essere risolto con
macellerie sociali e, in definitiva, con l'aggravamento del problema
stesso, in un giro vizioso a beneficio dei soliti pochissimi noti.
Se
durante la reaganomics un Paese in via di sviluppo dopo l’altro dovette
ricorrere ai prestiti delle banche di New York e Londra che riciclavano
i petrodollari, accettando di pagare tassi d’interesse inauditi, mentre
oggi invece la coda è a Pechino e anche a Mosca, il motivo è proprio
questo: in Cina e in Russia non sono considerati come dei problemi e dei
polli da spennare. Il BRICS, il BRICS+, la SCO, l'Unione Economica
Eurasiatica, trattano i Paesi come soggetti legittimi, con esigenze e
aspirazioni legittime.
Cos'altro è l'architettura monetaria che da
alcuni anni viene studiata da Sergej Glazyev, il responsabile per
l'integrazione e la macroeconomia della Commissione Economica
Eurasiatica, l'organo esecutivo dell'Unione Economica Eurasiatica, e che
provvisoriamente possiamo definire “Diritti Speciali di Prelievo
Multipolari”, se non una sorta di Bancor, quella moneta orientata al
debito, cioè ai Paesi che devono svilupparsi, anche in deficit, e non
sottoposta a una singola nazione, proposta da Keynes a Bretton Woods e
rifiutata a favore del Dollaro (il gold-dollar exchange standard),
ovvero una moneta internazionale orientata al credito e al sostegno
geopolitico di una parte sola, gli USA, che allora erano la più grande
potenza creditrice del mondo?
Il BRICS, il BRICS+, la SCO e la UEE
sono impetuosi corsi d'acqua che finiranno per confluire in un unico
fiume, assieme al G77, la ridestata Organizzazione dei Paesi non
Allineati. Ridestata, che lo si voglia o no, dall'Operazione Militare
Speciale russa in Ucraina. Un fiume rappresentabile (e non certo
metaforicamente) con le Nuove Vie della Seta, la Belt and Road
Initiative (BRI) cinese, alla quale già aderiscono 140 Paesi in Asia,
Europa e America Latina. Un'area potenzialmente allargabile a quell'80%
di Paesi che non applicano nessuna sanzione alla Russia.
6. Gli
Stati Uniti, o meglio le sue élite, o meglio ancora le sue élite
neo-liberal-con legate allo strapotere della finanza e/o a una mentalità
eccezionalista, le élite cresciute, spesso anche anagraficamente, e
diventate potentissime con la crisi sistemica, guardano a questi
processi non capendoli, considerandoli semplicemente degli insulti a un
ordine “naturale” che non poteva e non doveva essere perturbato.
E li
guardano sempre più impotenti e spaventate. E questo è molto
pericoloso, perché può portarle ad atti disperati di cui nemmeno
riuscirebbero a calcolare tutte le conseguenze, per via della loro
arroganza e dalla loro inesistente, insufficiente o inadatta
preparazione culturale e intellettuale.
Che ciò sia evitato dipende
soprattutto da come agirà quella parte degli Stati Uniti - e quella
parte dei suoi interessi - che vede meno pericoloso e più conveniente
adattarsi a un mondo multipolare che cercare di lanciarsi a testa bassa
contro il muro di contraddizioni politiche, economiche e militari che la
crisi e la sua gestione neoliberista hanno eretto. Si farebbe per lo
meno guadagnare al mondo tempo prezioso anche se una soluzione più
duratura richiederà un patto che ponga la società al centro. E lo stesso
vale per l'Europa.
A questo punto si passa a un altro tema d'analisi che deve rispondere alla domanda seguente:
La
domanda fondamentale: si tratta solo dello scontro tra blocchi con
sviluppo disallineato (cosa che lo avvicinerebbe a un classico conflitto
interimperialistico) o da questo conflitto sistemico uscirà
(obbligatoriamente?) uno scenario socio-economico che poggia su basi
diverse?
Innanzitutto dobbiamo domandarci se tutti questi soggetti
nazionali che si stanno ribellando all'ordine globale occidentale
sperano che la Russia, o la Cina se per questo, prenda il posto degli
Stati Uniti come nazione egemone. La risposta molto semplice è No. Ma
questo non sembra nemmeno essere nelle intenzioni. Saggiamente, perché
la Storia è arrivata a un punto particolare:
Quinto dato di fatto:
una nazione oggi può essere egemone globalmente solo a costi altissimi e
quindi per un periodo molto limitato di tempo.
E' un dato storico.
Si pensi all'egemonia statunitense entrata economicamente in crisi dopo
meno di trent'anni, e si sta parlando di una potenza di primissimo
livello che alla fine della II Guerra Mondiale concentrava quasi tutti i
mezzi di pagamento mondiali e aveva una produttività che surclassava il
resto del globo messo assieme.
La Russia e la Cina vedono
perfettamente cosa sta succedendo agli Stati Uniti (ad esempio al suo
Dollaro, una volta padrone del mondo). E non vogliono ripetere
l'esperienza. Comunque per la Russia i costi sarebbero inaffrontabili se
volesse sostituirsi agli USA (tra l'altro litigherebbe subito col suo
principale alleato, la Cina, a cui si applica lo stesso ragionamento).
Ne segue un'ipotesi:
Ipotesi sulla conseguenza del quinto dato di
fatto: dallo scontro sistemico attuale uscirà un ordine multipolare,
cioè non ruotante attorno a un unico centro egemone.
Se ciò è
confermato, come molte cose fanno pensare, ci sarà (o dovrebbe esserci)
di conseguenza un drastico cambio di paradigma sia nei rapporti
internazionali sia nei rapporti economico-sociali interni alle singole
nazioni, due aspetti dialetticamente collegati, perché da cinquecento
anni a questa parte un'economia-mondo è proceduta sempre attorno a un
centro egemone, si identificava con esso.
Ipotesi derivata: nel mondo
multipolare i rapporti sociali ed economici saranno sensibilmente
diversi da quelli che hanno dominato fino ad oggi, oppure il mondo
multipolare si esaurirà in un nuovo e più ampio scontro.
In Russia la
guerra stessa sta facendo rivedere il “modello” economico. È troppo
presto per un giudizio, ma le cose stanno cambiando, ad esempio riguardo
al ruolo dello Stato. Sono movimenti da tener d'occhio in modo critico.
Siamo
di fronte a una ribellione planetaria che obbligherà i futuri studiosi a
rivedere la periodizzazione storica e qualche persona non riflessiva o
con scarsa capacità di raziocinio potrebbe chiedersi se io, che sono e
mi considero occidentale, faccio il tifo per una parte. Di sicuro non
faccio il tifo per l'ipocrisia dei bombardatori “umanitari”, per chi
ritiene che mezzo milione di bambini morti in Iraq sono “un prezzo
giusto”, per chi dal 1945 ad oggi ha provocato con le sue guerre 20
milioni di morti, per chi a Washington dava l'ordine di bombardare con
droni matrimoni in Afghanistan, per chi ha massacrato milioni di civili
in Vietnam. E non faccio il tifo per chi sventola la svastica.
Faccio
allora il tifo per il compimento di un processo storico che da oltre
due decenni ritengo inevitabile? Che senso avrebbe? Sarebbe come fare il
tifo per il moto di rotazione della Terra attorno al proprio asse.
Sarebbe del tutto insensato. Certo, quando torna la luce del giorno si
possono fare cose impossibili durante la notte al buio. Ma, per
l'appunto, tutto dipende da cosa si fa.
E' troppo presto per
prevedere che tipo di architettura multipolare nascerà dalla ribellione
in corso contro il plurisecolare ordine internazionale occidentale.
Posso
solo fare ipotesi in base alla Storia e alla logica, ma credo che
nessuno possa onestamente dire che le cose sono chiare. Ci separano
ancora anni da una bozza di progetto alternativo sufficientemente
precisa, e anni per implementarlo, anni che saranno pieni di eventi
difficili da prevedere. Anni in cui questo conflitto si amplierà e di
conseguenza si approfondirà. Un decennio? Due decenni?
Sulla carta dovrebbe uscirne un sistema più equo. Ma quali livelli di equità sono necessari?
Una cosa per me è certa:
Assunzione:
Se si rimetterà al centro di questa architettura l'accumulazione senza
(un) fine tutte le contraddizioni riemergeranno, ancora più gigantesche e
in condizioni che renderanno la loro soluzione ancora più difficile.
Non
tifo dunque perché venga il giorno. Il Sole sorgerà da solo, non ha
bisogno di incoraggiamenti. Io posso solo sperare che durante la notte
si smetta di uccidere, si cessi di provocare sofferenze e che prevalgano
il buon senso e la pietà.
Tifo invece perché durante il giorno, per
parafrasare Karl Polanyi, si riesca a trovare il modo perché la società
con mercato (cosa naturale) prenda il posto della società di mercato
(cosa innaturale, dove i rapporti tra esseri umani sono sostituiti dai
rapporti tra merci).
Altrimenti, come si suol dire, in poco tempo
saremmo da capo a quindici e tutte queste sofferenze sarebbero servite
solo a mettere alla luce un essere ancor più mostruoso.
«Superare il
capitalismo è dunque non soltanto “correggere la ripartizione del
valore” (ciò che produce solo un immaginario “capitalismo senza
capitalisti”) ma anche liberare l’umanità dall’alienazione
economica»(Samir Amin).
NOTE
[1] Qui le dichiarazioni di Bauer.
Qui le dichiarazioni di Minihan. Qui le dichiarazioni di Stoltenberg.
Per quelle della von der Leyen si veda qui e qui. I discorsi di Ursula
von der Leyen sono casi di studio esemplari sul tema “ipocrisia”.
Notevole, ad esempio, questo passaggio: «Il sabotaggio del Nord Stream
ha dimostrato che dobbiamo assumerci maggiori responsabilità per la
sicurezza della nostra infrastruttura di rete». Realmente fantastico:
persino i sassi, anche quelli americani, sanno che questo sabotaggio (e
disastro ambientale) è stato opera di Stati Uniti/Nato. Ai sassi che
ancora non lo sanno consiglio l'inchiesta investigativa del Premio
Pulitzer Seymour Hersch. Questa inchiesta è piena di dettagli che
possono essere conosciuti solo da “insider”. Che alcune “gole profonde”
abbiano permesso in questo momento a Hersh di produrre il suo “scoop”,
la sua “bombshell”, è evidente sintomo di una lotta interna
all'establishment statunitense. Mi è immediatamente ritornato in mente
lo scandalo Watergate e la sua copertura da parte di Bob Woodward e Carl
Bernstein per il “Washington Post” (da sempre legato alla CIA) e dallo
stesso Hersh per il “New York Times”. In quel caso si è saputo che la
“gola profonda” era niente meno che il vicedirettore della CIA, Mark
Felt.
Per quanto sia incredibile, persiste ancora un mito condensato
nella celeberrima frase «È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci
niente! Niente!» (Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film di
Richard Brooks L’ultima minaccia, 1952): la (libertà di) stampa può
mettere in ginocchio il potere. Vedremo in un'altra nota che fine ha
fatto la libertà di stampa negli USA e in Occidente, ma anche all'epoca
del Watergate ci voleva ben altro che un'inchiesta-bomba, come ha
ammesso la stessa editrice del “Washington Post”, Katharine Graham: «A
volte la gente ci accusa di “aver abbattuto un presidente”, cosa che
ovviamente non abbiamo fatto e non avremmo dovuto fare. I processi che
hanno causato le dimissioni [di Nixon] erano costituzionali». E persino
dallo stesso Woodward: “La mitizzazione del nostro ruolo nel Watergate è
arrivata al punto di assurdità, in cui i giornalisti scrivono ... che
io, da solo, ho abbattuto Richard Nixon. Totalmente assurdo”.
Per
mettere in ginocchio il potere ci vuole una rivoluzione o un altro
potere che vuole scalzarlo, eventualmente “utilizzando” ottimi
giornalisti (o comprandone di spregiudicati o vili, cosa che avveniva
fin dai primordi della professione come ci racconta Rossini nella sua
opera lirica “La pietra di paragone”).
Il fine dell'estromissione di
Nixon è ancoro dibattuto negli Stati Uniti (l'anno scorso c'è stato il
cinquantenario dello scandalo). Io sono convinto che si volesse impedire
il suo disimpegno dal Vietnam. Per altri non è così, ma è la stessa
caoticità delle forze e dei decisori statunitensi che non permette una
lettura univoca.
Tornando alla von der Leyen, nei suoi interventi si
possono notare anche stupidaggini terminologico-concettuali come «la
guerra brutale della Russia». La signora von der Leyen sa indicarci una
guerra che non sia stata brutale? Forse quella del Vietnam col 67% di
vittime civili? O quella in Iraq col 77%? Tutte le guerre sono brutali!
Si
noti che il termine composto “guerra della Russia” è accompagnato da
due tic, da due automatismi. Il primo è, appunto, aggiungere l'aggettivo
“brutale”, il secondo è aggiungere l'aggettivo “non provocata”
(unprovoked). Da linguista e scienziato cognitivista geniale qual è,
Noam Chomsky ha subito commentato: «Of course, it was provoked.
Otherwise, they wouldn’t refer to it all the time as an unprovoked
invasion. By now, censorship in the United States has reached such a
level beyond anything in my lifetime».
Per quanto riguarda invece la
potenza economica dei contendenti, la Cina supera del 20% gli USA per
PIL calcolato in PPP e di 8 volte gli UK (noi siamo al 12° posto). Ma
nonostante il confronto sulla base del PPP sia più preciso rispetto a
quello in base ai valori nominali, tuttavia è incompleto. Come la stessa
RAND Corporation ammette «[Il] PIL fornisce solo un limitato quadro del
potere. Dice poco sulla composizione dell'economia, come ad esempio se è
guidata da settori di punta o è invece dominata da quelli vecchi e in
declino». Lo stesso discorso riguarda il budget per la difesa (cfr. RAND
Corporation, “Measuring National Power”, 2005).
Ma se si prendono
sul serio questi “caveat” notiamo un ulteriormente aggravamento della
posizione statunitense dato l'altissimo grado di finanziarizzazione
della sua economia che significa ridotte capacità produttive reali. Si
pensi solo alla produzione statunitense legata all'industria militare
comparata a quella Russa. Inoltre, la logica di produzione, guidata dai
profitti privati e non dall'efficacia del risultato, spinge i produttori
a sviluppare sistemi d'arma complicatissimi e costosissimi ma operabili
con difficoltà nei conflitti reali contro un avversario alla pari.
[2]
I dati catastrofici per le forze armate ucraine, ancor più allarmanti
se confrontati con le perdite russe inferiori di un ordine di grandezza,
fuoriescono ora non solo dagli ambienti del Pentagono ma anche da
quelli del Mossad e non sono nascosti nemmeno dalla BBC. Per quanto
riguarda l'economia, l'FMI ha dichiarato che nonostante la Russia sia la
nazione più sanzionata della Storia il suo PIL è più alto di quello
della Germania. In compenso il PIL dei bellicosi e revanscisti UK è in
zona negativa. Inflazione, fallimenti, disoccupazione, collasso dei
servizi pubblici, strette sulle pensioni, il quadro europeo è disastroso
e con prospettive foschissime. Non oso nemmeno pensare a cosa succederà
quando gli Stati Uniti ci obbligheranno alle sanzioni contro la Cina:
dopo la perdita dell'energia a buon mercato russa andremo incontro alla
perdita delle merci a buon mercato cinesi. Al di là di ogni altra
conseguenza, la produzione di profitto in queste condizioni sarà
impossibile a meno di far ritornare i lavoratori ai tempi di Dickens. E
in un sistema capitalistico il profitto è la molla dell'economia reale.
Voglio
far notare incidentalmente che un rapporto speciale dell'ONU sulla
povertà negli UK già comparava la situazione del 2019 alle situazioni
descritte da Dickens:
«Ad alcuni osservatori potrebbe sembrare che il
Dipartimento del lavoro e delle pensioni sia stato incaricato di
progettare una versione digitale e sterilizzata del laboratorio del
diciannovesimo secolo, reso famigerato da Charles Dickens, piuttosto che
cercare di rispondere in modo creativo e compassionevolmente ai bisogni
reali di coloro che affrontano una diffusa insicurezza economica in
un'epoca di profonde e rapide trasformazioni indotte dall'automazione,
dai contratti a zero ore e da una disuguaglianza in rapida crescita» (UN
Report of the Special Rapporteur on extreme poverty and human rights:
Visit to the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, pag.
5). Ed è del tutto inutile consolarci con scuse come l'uscita degli UK
dalla UE: Italia, de te fabula narratur.
La situazione degli Stati
Uniti non è molto più rosea, se non dal punto della forza geopolitica
relativa e quindi della loro capacità di far pagare il più possibile la
crisi a noi. Ma mentire è ormai una questione di vita o di morte. E si
mente in modo così spudorato ed esagerato che gli esperti si grattano
scettici la testa: “ 'Too good to be true’ jobs report draws skeptics on
data quirks”, titola “The Philadelphia Inquirer” il 3 febbraio scorso,
un articolo che riporta le stime di Bloomberg che parlano di un aumento
di oltre mezzo milione di posti di lavoro in Gennaio, cosa che
porterebbe il tasso di disoccupazione addirittura ai livelli più bassi
dal 1969, cioè da inizio crisi! L'Inquirer fa notare però che si tratta
di un dato “aggiustato” e che la stessa Bloomberg ammette che «Su base
non rettificata, le buste paga sono in realtà diminuite di 2,5 milioni
il mese scorso» (“On an unadjusted basis, payrolls actually fell by 2.5
million last month).
[3] I BRICS stanno elaborando un sistema di
pagamenti alternativo al Dollaro, notizia che non si trova nei media
occidentali ma che potete trovare sul media outlet indiano “Business
Standard”.
Comunque il “Financial Times” ci informa che le due più
grandi economie dell'America Latina, Brasile e Argentina, hanno iniziato
la preparazione di una moneta comune, che si dovrebbe chiamare “Sur”,
per incrementare il commercio regionale e “ridurre la dipendenza dal
Dollaro”.
L'Arabia Saudita sta considerando di vendere petrolio in divise diverse dal Dollaro.
La Cina sta trattando per comprare energia dai Paesi del Golfo in Yuan.
Le
banche centrali di Russia e Iran alla fine dello scorso gennaio hanno
firmato un accordo per connettere le banche dei due Paesi attraverso un
sistema alternativo allo SWIFT.
Intanto le riserve cinesi in bond governativi statunitensi sono diminuite in un anno di 92 miliardi di dollari.
Ovviamente
l'Euro non se la passerà meglio: il vice-ministro russo delle Finanze,
Vladimir Kolychev ha dichiarato che entro l'anno la quota di Euro nei
Fondi Nazionali Russi sarà azzerata nell'ambito di una revisione della
composizione del fondo che alla fine ammetterà solo Rubli, Yuan e oro.
Per
un'analisi generale recente si veda il rapporto “The Future of the
Monetary System”, pubblicato niente meno che dal Credit Swiss e redatto
da un team diretto da Zoltan Pozsar, un autore che consiglio di seguire.
[4]
Su un versante politico-filosofico dobbiamo aggiunge Gramsci come
classico (la fondamentale nozione politica di “egemonia” è sua) e
Costanzo Preve come pensatore contemporaneo.
Questi autori non dicono
le stesse cose, né hanno le stesse preoccupazioni. Ad esempio, se Lenin
e la Luxemburg sono dei politici, Arrighi è un economista e storico,
Shimshom e Bichler sono economisti, Harvey è un geografo mentre Moore si
occupa di sistemi socio-ecologici. Ma se invece di dare al loro
pensiero una lettura tutta interna alla dimensione delle idee,
incasellando i loro ragionamenti sui rami di un albero col tronco ben
piantato sottosopra con le radici nel cielo, si cercano di capire i
problemi concreti, materiali, su cui si sono concentrati, e di
localizzare sia i problemi che i punti di vista, (localizzare in senso
storico e geografico), allora oltre ai punti di divergenza si potranno
notare anche gli elementi comuni senza necessariamente rischiare di
cadere nell'eclettismo. Specie se si traguarda la loro lettura coi
problemi che devono essere affrontati oggi. Per parafrasare Marx, non
bisogna dividere in quattro le idee, i concetti, per collocarli in una
tassonomia accademica («Prima di tutto, io non parto da “concetti”,
quindi neppure dal “concetto di valore”, e non devo perciò in alcun modo
“dividere” questo concetto», Marx, “Glosse marginali al Manuale di
economia politica di Adolph Wagner”).
[5] Riguardo lo sprofondamento
in un regime da Ministero della Verità orwelliano, si pensi innanzitutto
a Julian Assange. O si pensi a Seymour Hersh, il più grande giornalista
investigativo statunitense, il Premio Pulitzer che svelò il massacro di
My Lai e i bombardamenti segreti della Cambogia durante la guerra del
Vietnam e denunciò le torture di Abu Ghraib. Autore di inchieste che
comparivano in prima pagina sul “New Yorker” e sul “New York Times”,
oggi è emarginato come un paria essendosi opposto alle versioni
ufficiali degli attacchi chimici in Siria, del caso Skripal e del
sabotaggio del Nord Stream. Si pensi ancora al giornalista britannico
Graham Phillips, accusato di “crimini di guerra” per aver detto che il
mercenario britannico in Ucraina Aiden Aslin era, per l'appunto, un
mercenario. Gli hanno anche bloccato il conto in banca. Alla giornalista
tedesca Alina Lipp oltre che congelare il conto in banca hanno
sequestrato il computer e rischia la galera con l'accusa di aver
“diffuso notizie false atte a turbare l'ordine pubblico” per non essersi
uniformata alla copertura dei media Minculpop sulla guerra. Sorte
simile per la cineasta francese Anne-Laure Bonnell, acclamata nel 2016
persino dal “New York Times” per un suo documentario sul Donbass e oggi
esclusa da ogni evento cinematografico con la colpa di voler continuare a
dire la verità sul Donbass. Ha anche perso il posto all'università
parigina dove insegnava. Il giornalista italiano Giorgio Bianchi è
entrato nella kill list dei servizi segreti ucraini che appare nel sito
“Myrotvorets” (“Il pacificatore”), senza che il nostro ministero degli
Esteri si sia sentito in dovere di protestare.
La cosa più inquietante è la velocità con cui siamo passati dal pluralismo all'intolleranza.
[6]
«A noi non interessa un mondo senza la Russia», ha dichiarato Putin, ma
questo è il sentire del 99% dei Russi e lo hanno dimostrato in 1.000
anni di storia. Che quella in Ucraina sia una guerra esistenziale, ai
Russi glielo abbiamo fatto capire con abbacinante chiarezza dichiarando
esplicitamente: 1. che la guerra in Ucraina è stata deliberatamente
preparata per anni, tradendo ogni accordo, per indebolire la Russia; 2.
che vogliamo abbattere il legittimo governo che i Russi hanno eletto; 3.
che vogliamo smembrare la Russia come abbiamo fatto con la Jugoslavia;
4. che odiamo o ci è estraneo tutto ciò che è russo.
[7] George F. Kennan, “A Fateful Error”, The New York Times, 5 febbraio 1997.
[8]
Riguardo questo tema posso fare solo alcune considerazioni di metodo.
La classica dottrina della “verità” si basa sulla definizione
aristotelica di “adaequatio rei et intellectus” dove il soggetto che
parla (intellectus) è distinto dalle cose (res) di cui questo soggetto
parla. In tempi moderni, questa distinzione è stata rielaborata dal
logico tedesco Gottlob Frege in quella tra “Sinn”, cioè “senso”, e
“Bedeutung”, cioè “riferimento”, e l'interpretazione “realistica” del
concetto di “riferimento” era sottintesa anche nella semantica formale
del grande logico e matematico polacco Alfred Tarski. Ma col
post-strutturalismo (Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Jacques Lacan,
Michel Foucault, ecc.) il “riferimento” viene relativizzato (o
“intenzionalizzato”) abbandonandone l'interpretazione “realistica”. La
semiotica post-strutturalista di Umberto Eco, ad esempio,
riallacciandosi alla “semiosi illimitata” di Charles Sanders Peirce,
sostiene che l'enunciato “La neve è nera” è rifiutato non perché si
riferisce erroneamente a uno stato di cose, ma perché altrimenti
dovremmo «riorganizzare le nostre regole di comprensione”, dato che
questa affermazione romperebbe una “unità culturale”» (“Trattato di
semiotica generale”, Bompiani, 1975 § 2.5). L'interpretazione diventa un
riferimento interno in una sorta “antinomia del mentitore”
metodologica. La critica post-strutturalista, che ha lati interessanti e
altri cialtroni, specialmente quando mima il rigore delle scienze
esatte, ha condotto a quelle posizioni relativistiche che oggi sono
sfociate nei concetti di “narrazione” e di “post-verità”.
Già nel 1994 Noam Chomsky era esterrefatto da questa deriva:
«Se
finisci per dirti: “è troppo difficile occuparsi dei problemi reali” ci
sono un sacco di modi per non farlo. Uno di essi consiste nel
disperdersi in affari di scarsa importanza. Oppure impegnarsi in culti
accademici completamente avulsi dalla realtà e che costituiscono un
riparo al doversi occupare delle cose come stanno. E' pieno di
comportamenti di questo genere, anche all'interno della sinistra. … Oggi
nel Terzo Mondo predomina un senso di profonda disperazione e di resa.
Il modo in cui si è estrinsecato questo atteggiamento, nei circoli colti
che hanno contatti con l'Europa, è stato di immergersi completamente
nelle ultime follie della cultura parigina e di concentrarsi totalmente
su di esse. Per esempio, se dovevo parlare di attualità, anche in
istituti di ricerca che si occupassero di aspetti strategici, i
partecipanti volevano che li traducessi in vaneggiamenti postmoderni.
Per fare un esempio, piuttosto che sentirmi parlare dei dettagli
dell'azione politica statunitense in Medio Oriente, cioè a casa loro –
che è una cosa sporca e priva d'interesse – preferivano sapere in che
modo la linguistica moderna fornisse un nuovo paradigma argomentativo
riguardo gli affari internazionali, capaci di soppiantare il testo
poststrutturalista. Questo li avrebbe davvero incantati... . Tutto ciò è
deprimente.» (“Keeping the Rabble in Line: Interviews With David
Barsamian”. Questo passaggio è citato opportunamente da Alan Sokal e
Jean Bricmon nel loro “Imposture intellettuali” (Garzanti 1999) nel loro
tentativo di “mettere in guardia la sinistra da se stessa” (Nota: quasi
30 anni dopo, come stiamo vedendo, il Terzo Mondo è meno disperato e
vede la possibilità di sottrarsi agli artigli dell'Occidente e alle sue
“follie parigine” sempre più fuori controllo).
Non era necessario che
finisse così male, ma così è stato, per questioni storiche: questo modo
di concettualizzare fa comodo al Potere, perché la narrazione, la
post-verità, è in mano a chi controlla i media, a chi gestisce il “soft
power”. Il “politicamente corretto” fa parte di questi esiti: non è
corretto dire “negro” (piano linguistico), ma ciò non evita che la
stragrande maggioranza relativa di condannati a morte negli USA sia
composta da “neri” (piano della realtà). Il grande sforzo ideologico di
politici e mass media è convincere il pubblico a lasciar perdere lo
stato dei fatti e a concentrarsi solo sul linguaggio. Le contraddizioni
devono essere espunte dal linguaggio non dalla realtà. Si potrebbe
pensare che quanto meno è un inizio. No! E' già la fine, pura forma
senza sostanza.
Allo stesso modo la sinistra si è progressivamente
concentrata sugli aspetti più superficialmente “culturali” del
conflitto, privilegiando le sottoculture e la difesa dei diritti (e dei
bisogni) individuali e di gruppi specifici che non creano nessun reale
fastidio, sostituendo con tutto ciò la visione materialista del mondo e
la difesa dei diritti e dei bisogni sociali e alienandosi le simpatie
popolari a beneficio della destra. Secondo Michael Hudson il tradimento
dei propri patti costitutivi è il compito e la ragion d'essere attuale
dei partiti di sinistra. Questa deriva era stata ampiamente prevista da
Pier Paolo Pasolini. E' significativo che negli eventi per il centenario
della sua morte si sia glissato su questo aspetto del suo pensiero o lo
si sia ridotto a fatto di costume o a polemica.
Purtroppo lo
scollamento economico e culturale dalla realtà ha indotto equivoci anche
in parecchi compagni che assieme ad abbagli sulla globalizzazione si
sono messi a teorizzare sul “capitale immateriale”, sulla “infosfera” e
sul “lavoro cognitivo” in modi che troppe volte riecheggiavano i vuoti
slogan accattivanti dell'avversario.
Faccio notare che a volte
persino gli studi statunitensi di geostrategia erano, anche se solo
parzialmente, influenzati dall'approccio, diciamo così,
“finanziarizzato-poststrutturalista” (si veda ad es. Ashley J. Tellis,
Christopher Layne, “Measuring National Power in the Postindustrial Age”,
Foreign affairs (Council on Foreign Relations), January 2001.
Una
volta messi in circolo questi guasti culturali, agendo sulla
de-concettualizzazione promossa dalla “pedagogia progressista” e
sull'ideologizzazione indotta da infotainment e tecniche di marketing
centrata sull'identificazione di desiderio individuale e diritto,
contando sull'ignoranza imposta dalla censura e da un sistema
d'informazione uniformato e normalizzato e infine garantite da un
meccanismo di punizione-premiazione che obbliga al conformismo
ideologico e politico, le élite dominanti hanno trascinato nel loro
stato di disconnessione epistemologica e dissonanza cognitiva il corpo
della società, pressoché nella sua interezza.
[9] Thomas Friedman, “The 9/11 Bubble”. The New York Times, 2 dicembre 2004.
[10]
La decentralizzazione negli Usa delle industrie europee comporterà
anche un'emigrazione di forza lavoro qualificata e uno
avvilimento/smantellamento del ciclo istruzione-ricerca-sviluppo nel
Vecchio Continente.
[11] Ovviamente occorre tener conto dei dati
anagrafici. Ricordo che nel referendum del 1991 la media di chi chiese
il mantenimento dell'Unione Sovietica fu di circa l'80% dei votanti. E
faccio anche notare la cautela con la quale Putin ha affrontato il tema
dell'aumento dell'età pensionabile (da 60 a 65 anni per gli uomini e da
55 a 60 per le donne).
[12] Lo sviluppo ineguale è indotto dal fatto
che l'accumulazione si basa su differenziali di sviluppo (economici,
finanziari, culturali, politici e geopolitici), sia all'interno delle
singole società sia tra Paesi e blocchi di Paesi. Per il concetto di
“differenziali di sviluppo” e il loro ruolo nei conflitti si può vedere i
miei “La logica della crisi” in “Dopo il neoliberalismo”, a cura di C.
Formenti, Meltemi 2021 e “Al cuore della Terra e ritorno”, 2013, in due
volumi scaricabili gratuitamente qui e qui.
[13] L'espressione
“pompare energia” è usata da Fernand Braudel nel suo “La dinamica del
capitalismo”, Il Mulino, 1988, pag. 63: «Il capitalismo è, per natura,
congiunturale, cioè si sviluppa in rapporto- alle pressioni esercitate
dalle fluttuazioni economiche... .[P]enso che nella vita mercantile
tendesse ad affermarsi solo un tipo di specializzazione: il commercio
del denaro. Il suo successo però non è mai stato di lunga durata, come
se l'edificio economico non fosse in grado di pompare energia fino a
queste alte vette».
Il concetto di “accumulazione per espropriazione”
è stato introdotto da David Harvey rielaborando idee di Rosa Luxemburg,
Fernand Braudel e il noto capitolo del Capitale di Marx sulla
cosiddetta “accumulazione originaria”, interpretata, come da altri
esponenti della scuola del sistema-mondo, come un processo in realtà
ricorrente. Si veda “The 'new' imperialism: accumulation by
dispossession”. Socialist Register 40, 2004, pp. 63-87.
La fondamentale elaborazione gramsciana del concetto di “egemonia” si trova, come è noto, nei “Quaderni del carcere”.
[14]
Senza contare che una nazione ricca come la Libia, la più sviluppata
dell'Africa, è stata devastata deliberatamente dall'Occidente (compresa
vergognosamente l'Italia di cui era la maggior alleata nel
Mediterraneo).
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