Al vertice di Ramstein l’Occidente non trova l’accordo sui tank da fornire a Kiev
Si è tenuto ieri a Ramstein, in Germania, l’ottavo incontro del gruppo di circa 50 Paesi a guida USA – comprendenti i membri della NATO e altri partner – per discutere delle prossime mosse per supportare sul campo l’Ucraina, anche e soprattutto in vista della prossima offensiva russa di primavera. All’incontro presso la base militare americana di Ramstein – coordinato dal sottosegretario alla Difesa americano, Lloyd Asutin – hanno preso parte i ministri della Difesa delle nazioni che supportano Kiev e si è discusso dei prossimi aiuti bellici e finanziari. Tuttavia, il gruppo è apparso diviso in quanto la Germania ha rifiutato, per il momento, di fornire i suoi carrarmati Leopard 2 all’Ucraina, temendo un inasprimento pericoloso dello scontro col Cremlino. La decisione di inviare i tank al Paese est europeo risulta però fondamentale ai fini dei risultati sul campo, in quanto i Leopard sono ritenuti i più adatti a far passare Kiev dalla difesa all’attacco. È chiaro, dunque, che il fronte occidentale non si limita più a fornire a Kiev “armi difensive” perché l’obiettivo è diventato quello della vittoria sul campo, mentre la possibilità di un negoziato di pace è completamente sfumata. Questo è anche il motivo per cui il fronte di Paesi più favorevole a Kiev – capeggiati da Polonia e Gran Bretagna – sarebbe disposto a fornire i mezzi corazzati all’Ucraina senza il consenso di Berlino, violando però in questo modo i contratti di fornitura che stabiliscono che la Germania può impedire ai Paesi a cui li ha venduti di cederli a terzi.
È caduto nel vuoto, dunque, l’ordine di Zelensky di fornire mezzi pesanti al suo Paese: «il Cremlino deve perdere. Se avete i tank, dateceli», aveva affermato durante il videocollegamento con il vertice. La decisione del partito socialdemocratico del cancelliere Olaf Scholz – restio a un coinvolgimento militare della Germania – di non fornire i tank ha fatto infuriare l’opposizione: «i danni per la reputazione del Paese dopo questo atto di rifiuto sono incalcolabili», ha asserito Joahnn Wadepaul della CDU. Intanto, il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha fatto sapere che la Germania valuterà attentamente la questione e prenderà una decisione a breve, dopo aver valutato le scorte di carrarmati. La Germania «bilancerà tutti i pro e i contro prima di decidere cose del genere. Sono molto sicuro che ci sarà una decisione a breve ma non so quale», ha affermato ai giornalisti. Ma la Germania non è la sola ad avere titubanze: anche gli stessi Stati Uniti, infatti, hanno escluso di fornire i loro carri armati Abrams a Kiev, nella speranza che fosse l’Europa – la Germania in particolare – ad accollarsi l’onere: «non ha senso fornire gli Abrams», ha spiegato in un briefing la vice portavoce della difesa Sabrina Singh, citando tra l’altro problemi di manovrabilità, rifornimenti, manutenzione e sottolineando che i Leopard sono invece «diversi».
Se da un lato, la Germania frena sull’invio di materiale bellico offensivo a Kiev, dall’altro, c’è chi vorrebbe accelerare i tempi, fornendo all’Ucraina armi sempre più letali: il fronte dei “falchi” è costituito da nove Paesi – Gran Bretagna, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Slovacchia – che, a poche ore dall’inizio del vertice, in un comunicato congiunto hanno dato vita al “Patto di Tallinn”, con cui si impegnano a donare all’Ucraina una serie di armi «senza precedenti», tra cui «carri armati, artiglieria pesante, difesa aerea, munizioni e veicoli da combattimento di fanteria». Il gruppo ha anche promesso di voler sollecitare gli altri alleati e partner «a seguire l’esempio».
Dal canto suo, il segretario della Difesa americano, Lloyd Austin, ha consigliato di non concentrarsi troppo su «un mezzo solo» – i carrarmati – in quanto si è detto convinto che il pacchetto da 2,5 miliardi di dollari recentemente approvato da Washington sarà comunque sufficiente a dare a Kiev un vantaggio sul campo di battaglia: «È il momento di non cedere, non indugeremo e non esiteremo ad aiutare l’Ucraina: questo è un momento decisivo per Kiev e per tutto il mondo», ha asserito. Abbandonate del tutto le prospettive per un negoziato di pace, dunque, gli Stati Uniti non mirano solo a vincere sul campo di battaglia, ma hanno palesato addirittura l’intenzione di aiutare Kiev a riprendere la Crimea, che ha aderito alla Russia nel 2014 tramite un referendum. Poco prima del vertice in Germania, infatti, la portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, ha affermato che «la Crimea è parte integrante dell’Ucraina e Kiev ha tutto il diritto di riprenderla». Il che, se si concretizzasse, porterebbe ai massimi il livello dello scontro, con gli USA che continuano a trascinare indirettamente in guerra il continente europeo.
Il Cremlino, per mezzo del suo portavoce Dmitry Peskov, ha dichiarato che il dispiegamento di carri armati occidentali innescherebbe conseguenze «inequivocabilmente negative», perché «tutti questi carri armati richiederanno sia manutenzione che riparazioni, e così via, quindi inviarli aumenterà i problemi dell’Ucraina, ma non cambierà nulla per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi da parte russa». Ancora più dura la reazione della portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova che ha detto che l’Occidente si sta calando sempre di più nel conflitto in Ucraina: «Consideriamo tutto questo come un’istigazione aperta e provocatoria da parte dell’Occidente e un aumento della posta in gioco nel conflitto, che porterà inevitabilmente a maggiori vittime e a una pericolosa escalation».
Escluso ogni tentativo di negoziato, la guerra non potrà che continuare a oltranza, intensificandosi ancor di più nel caso di attacchi alla Crimea, a causa del supporto in questo senso degli Stati Uniti: secondo un rapporto del New York Times, infatti, l’amministrazione statunitense sta valutando di inviare a Kiev armi per colpire la penisola. In tal caso, si avrebbe l’escalation probabilmente più pericolosa dall’inizio del conflitto che potrebbe sfociare in conseguenze imprevedibili con tutti i rischi in termini economici e di vite umane che ciò comporta.
[di Giorgia Audiello]
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