Di Comidad
Purtroppo noi italiani ci facciamo sempre
riconoscere. Tutte le altre democrazie occidentali vibrano di ardori
guerrieri, concedono a Kiev di usare le armi atlantiche per colpire il
suolo russo, parlano persino di inviare truppe sul terreno; qui da noi
invece la Meloni invita alla prudenza, Tajani dice che non siamo in
guerra con la Russia, Salvini canta “Blowin’ in the wind” e si mette
addirittura a insultare Macron e Stoltenberg. Insomma, una sguaiata
esibizione della propria strizza, e giustamente il professor Parsi se ne
indigna sulle colonne del “Foglio”.
Comunque Parsi non deve disperare: dopo le
elezioni europee, una volta passato il rischio di regalare voti alle
opposizioni, vedrà che i leader del governo di destra torneranno alla
piena disciplina atlantica; anche perché nelle cose importanti il
governo conta poco ed il Consiglio Supremo di Difesa è presieduto da
Mattarella, al quale Crosetto deve rispondere.
A smentire le volgarità di Salvini c’è nientemeno la parola di Putin in persona, che in una conferenza stampa ha
dichiarato di aver incontrato Stoltenberg quando questi era nel governo
norvegese, per risolvere con lui questioni inerenti al Mare di Barents;
ebbene, a detta di Putin, in quegli incontri Stoltenberg non gli aveva
mai dato l’impressione di soffrire di demenza. Se non è un demente
Stoltenberg, si potrebbe legittimamente arguire che a dispetto
dell’evidenza non lo sia neppure Macron; perciò possiamo dormire sonni
tranquilli.
Bisogna
quindi smetterla una buona volta con questo malvezzo di mettere in
dubbio la sanità mentale dei nostri leader. Anche nei confronti del
presidente argentino Javier Milei sono circolate calunnie del genere,
tanto che si è arrivati a chiamarlo “el loco”, il pazzo. Fortunatamente
il Fondo Monetario Internazionale si è incaricato di rimediare a questa
pioggia di sospettosa malevolenza, pubblicando un rapporto molto lusinghiero nei
confronti dei risultati dei suoi primi mesi di governo. Il rapporto FMI
ha avuto molta risonanza sui media ed ha avallato le ricette economiche
liberiste. Ovviamente non potevano mancare i soliti incontentabili
“precisini” che hanno osservato che nel rapporto FMI non c’è una sola
affermazione circostanziata, che si tratta esclusivamente di generiche
sviolinate senza pezze d’appoggio. In particolare risulta fumoso il
paragrafo sulla politica fiscale, in cui si cantano lodi, ma non ci si
dice mai dove Milei sta prendendo i soldi.
Il
liberalismo non è una dottrina che brilla per concretezza; anzi pare un
po’ ingenua l’idea di una separazione tra i poteri (esecutivo,
legislativo e giudiziario); il potere infatti se ne frega di tutte le
separazioni e distinzioni giuridiche, e tende ad essere trasversale alle
istituzioni, al pubblico ed al privato, e persino al legale ed
all’illegale. Il conflitto di interessi (ma sarebbe meglio dire
l’intreccio di interessi pubblici e privati) è ciò che conferisce
incisività, sostanza e vischiosità al potere, dandogli le occasioni per
fare cordate d’affari. Negli USA le commistioni e le porte girevoli tra
il congresso, le agenzie federali e le multinazionali sono ad un livello
irraggiungibile per qualsiasi altro paese; però anche nella nostra
umile Italietta ci diamo da fare.
A Leonardo ex Finmeccanica si sono succeduti due presidenti provenienti dalla direzione dei servizi segreti; ora invece alla presidenza di Leonardo c’è un ex ambasciatore.
Lo Stato è una finzione giuridica ed un’etichetta solenne con cui
indicare regimi o sordidi sistemi di potere; ma oggi la statualità non
c’è più nemmeno come narrazione, perciò la porta girevole tra carriere
pubbliche e private non soltanto non delegittima un funzionario dello
Stato, ma addirittura gli conferisce prestigio personale ed un alone di
competenza.
A differenza del vaniloquente neoliberalismo attuale, il liberalismo classico di Montesquieu e di Locke riusciva
almeno ad esprimere un concetto concreto, e cioè che politica e fisco
sono due nomi diversi per la stessa cosa; infatti i parlamenti dovevano
servire appunto a questo, a limitare il potere del re di tassare i
proprietari.
Nessuno oserebbe tassare le multinazionali, tantomeno
Milei, che va a scodinzolare da Zuckerberg e dagli altri potenti; perciò
puoi tassare solo i poveri, con lo strumento più rapido e sicuro,
quello delle imposte indirette. Milei ha aumentato le tasse sui carburanti,
tanto che in pochi mesi il prezzo è più che raddoppiato, siamo già al
115%. Quando i poveri devono comprare benzina o nafta non hanno la
possibilità di scaricare su nessuno il maggior costo, perciò alla fine è
il prelievo sul reddito dei poveri a reggere il sistema. Il bello è
che, in base alla narrativa mediatica, la destra sarebbe anti-tasse
mentre la sinistra è pro tasse; ma è tutto giocato sull’equivoco di
indicare come “tasse” solo quelle dirette, dimenticandosi dell’IVA e
delle accise, cioè le tasse che pagano solo i poveri, visto che sono
l’ultimo anello della catena e non possono rivalersi scaricando il costo
su altri.
Tutta la fiaba liberista a questo si riduce:
spostare il carico fiscale dai ricchi ai poveri tramite le imposte
indirette. La stessa cosa che ha fatto la Thatcher in Gran Bretagna,
come risulta dalla documentazione reperibile sul sito della Fondazione Thatcher.
Ovviamente la sedicente “sinistra” si presta
all’equivoco e partecipa alla pantomima. C’era pure il ministro Padoa
Schioppa (lo stesso che voleva rieducarci alla “durezza del vivere”), il
quale diceva che le tasse sono bellissime e bisogna pagarle con gioia.
Certo, perché si può tagliare all’infinito sulla sanità pubblica, ma ci
deve pur essere qualcuno che paga per le armi da inviare in Ucraina.
C’è
un nucleo arcano e misterico della scienza economica, quel segreto
innominabile che viene rivelato solo a pochi iniziati, ed è appunto lo
sfruttamento fiscale dei poveri; il che, detto in linguaggio ancora più
tecnico e criptico, significa che alla fine ci sono sempre i fessi che
pagano. Ed è giusto così, altrimenti i potenti non potrebbero
permettersi il lusso della propria demenza.
Di Comidad
06.06.2024
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