Il Critical Raw Materials Act delinea il futuro estrattivo europeo
Motivi geopolitici e interessi economici, il Critical Raw Materials Act delinea il nuovo futuro estrattivo europeo dimenticando i rischi ecologici e sociali. L’Europa torna alle miniere per cercare nuove materie prime, ma soprattutto, terre rare e minerali. Diversificare le importazioni è l’imperativo imposto dalle tensioni globali con la Cina, costruire impianti di raffinazione e ricercare nel sottosuolo europeo le materie prime necessarie alla ‘transizione ecologica’ è l’obiettivo. Questo il piano esplicitato nel Critical Raw Materials Act, il pacchetto di misure che la Commissione Europea ha illustrato a metà marzo di quest’anno. Analizzandolo ci si fa un’idea del piano per la Transizione europea, ma non delle conseguenze ecologiche della nuova frontiera del capitalismo verde, che rimangono fuori dall’analisi.
Perseguire l’autonomia dal mercato cinese
L’obiettivo esplicitato nel documento è quello di garantire un approvvigionamento “sicuro, diversificato e sostenibile” delle cosiddette materie prime critiche, ovvero i metalli e i minerali fondamentali per la transizione energetica e per le tecnologie digitali. Ma, nella pratica di quest’epoca di semi-guerra fredda, significa di fatto cercare di avviare un percorso di autonomia dal mercato cinese, leader del settore sia per l’estrazione che per la lavorazione della maggior parte di questi materiali. Una dipendenza che, dopo i blocchi alla produzione dell’era pandemica e le rotture della globalizzazione a seguito delle tensioni tra Occidente, Russia e Cina, fa paura. Soprattutto in un contesto mondiale di polarizzazione e di ritorno alle armi.
Quella che viene chiamata “transizione energetica” é anche il nuovo, enorme, business del futuro prossimo, che chiamerà a cambiare paradigmi commerciali ed estrattivi in tutto il mondo. L’Europa ne è un punto focale, avendo stabilito di voler passare in tempi più rapidi possibili da un sistema energetico basato sulle fonti fossili ad uno basato sull’elettrificazione e la decarbonizzazione dell’economia. Per farlo occorre avere a disposizione in grande quantità prodotti di ogni tipo: macchine elettriche, impianti fotovoltaici, pale eoliche, batterie di ogni tipo. E poi le nuove tecnologie: l’industria digitale, l’aerospaziale, i settori della difesa, microchip, robotica, digitalizzazione. E, data la situazione globale, anche tante armi, anche queste tecnologicamente avanzatissime. Il tutto si traduce in un aumento esponenziale della domanda di metalli “critici”. Rame, nichel, litio, grafite, manganese, cobalto, zinco, silicio, solo gli elementi alla base di questa transizione.
I consumi forsennati di materie prime critiche della nuova economia
Entro il 2035 in Europa, teoricamente, si smetteranno di vendere auto a diesel e benzina. Ma un’automobile alimentata con una batteria al litio contiene una quantità di rame pari a due volte e mezzo quella di una macchina a combustione. Una pala eolica offshore utilizza circa nove volte la quantità di metalli e terre rare di un impianto a gas per la generazione di energia. La dimensione della rete elettrica globale dovrebbe raddoppiare nei prossimi decenni, richiedendo un enorme quantità di rame, acciaio e alluminio.
Intanto, già ora, la domanda globale non fa che aumentare, a causa del boom delle nuove tecnologie, della crescita della popolazione mondiale e di quella economica di molti Paesi, che comprensibilmente vogliono godere delle stesse tecnologie e degli stessi agi di quello che era considerato il Primo mondo.
Stiamo passando dall’era del petrolio a quella dei minerali. Le terre rare sembrano quindi essenziali per rendere possibile questo futuro. Un futuro che cercano di dipingere green, eco-friendly, in nome della lotta al cambiamento climatico. Un futuro che però rischia di essere verde solo sulla carta, se si punta a sostituire il fossile con l’energia elettrica “rinnovabile”, senza mettere in discussione i modi di produzione e il sistema ultra-consumistico proprio del capitalismo avanzato. La separazione delle terre rare e la loro raffinazione è infatti un processo lungo e particolarmente inquinante.
La competizione geopolitica per le Terre rare
Oltre il 70% della produzione di cobalto mondiale é in mano alla Repubblica Democratica del Congo (RDC), con l’Indonesia che si classifica in un lontano secondo posto. Eppure le società cinesi controllano 15 delle 19 miniere di cobalto della RDC, ed il 97% delle forniture indonesiane. Stessa storia per la grafite, di cui la Cina detiene il 70% della fornitura mondiale.
La raffinazione é un altro dei problemi che affligge l’Europa: la Cina é il leader indiscusso nella raffinazione di un’ampia gamma di minerali, controllando l’85% della raffinazione delle terre rare. Un esempio: l’Australia é il principale estrattore di litio al mondo, ma ne esporta la maggior parte in Cina, che detiene il 70% della capacità mondiale di raffinazione.
Infine il governo cinese continua a stoccare materia prima, detenendo il 93% delle scorte mondiali di rame, il 74% di quelle di alluminio. Europa e Occidente, invece, ne hanno pochissime.
In quest’epoca di de-globalizzazione a blocchi, i paesi produttori di materie prime che possono permetterselo cominciano a esercitare un severo controllo sulle attività estrattive. Lo chiamano resources nationalism, ed é ciò che sta spingendo vari paesi dell’America Latina a nazionalizzare le miniere di terre rare, o il Myanmar e l’Indonesia ad aumentare le restrizioni sull’export di stagno e nichel.
I contenuti del Critical Raw Material Act
Sono principalmente tre gli obbiettivi stabiliti nel regolamento che l’UE si sta dando per far fronte alla sua dipendenza da altri paesi entro il 2030.
- Almeno il 10% delle materie prime critiche consumate nell’UE dovrà essere estratto in miniere made in Europe.
- Almeno il 40% delle materie prime critiche consumate nell’Unione dovrà essere raffinato in Europa.
- Almeno il 15% delle materie prime critiche consumate nel continente dovrà arrivare da attività di recupero o di riciclo.
Obiettivi ambizioni, considerando che al momento l’estrazione di materie prime critiche interna copre appena il 3% del fabbisogno europeo, che in Europa mancano quasi del tutto le industrie di raffinazione nonché gli impianti per il riciclo.
Il documento esplicita che sono 34 le materie prime considerate critiche, di cui sedici vengono considerate “strategiche”. Si parla anche di differenziare le importazioni, cercando nuovi accordi commerciali coi paesi produttori. Sempre entro a fine decade, non più del 65% del consumo annuale potrà essere soddisfatto da un singolo stato. Per evitare poi che eventuali blocchi commerciali o problemi politici lascino le industrie europee all’asciutto.
Nel critical raw act vengono anche semplificate e velocizzate le normative per i progetti estrattivi, ossia permesse corsie preferenziali per una lista ristretta di progetti strategici di estrazione – ancora da definire – per i quali verranno concesse autorizzazioni rapide, in grado di ridurre a soli due anni i tempi di realizzazione e attivazione dei siti, rispetto agli attuali 10. Si punta a migliorare il coordinamento tra gli stati membri per avere una fotografia europea delle miniere, e si punta alla creazione di accademie universitarie per sviluppare le competenze necessarie all’estrazione.
La mappatura dei siti é già in corso, e sta prendendo nuovo slancio in questo anno. Il concetto di sicurezza nazionale sul fronte dell’approvvigionamento di materia prima dovrà essere considerato superiore a quello della convenienza economica. Piuttosto stringendo accordi con aziende extra-continentali, ma legate politicamente all’emisfero “occidentale”, pur di rendersi più autonomi dalla Cina e dalla sua sfera di influenza.
La prossima frontiera, già in corso in altre aree del mondo, è la ricerca e l’estrazione di minerali sui fondali marini. Pratica in parte già iniziata e devastante per l’ecosistema complesso dei fondali marini, visto che si basa anche sull’ampio uso di esplosivi. I costi ambientali generali saranno enormi, ma ben poco se ne parla del regolamento europeo. Le miniere infatti hanno un prezzo, sociale, ambientale, ecologico. E se la soluzione non é estrarre dall’altra parte del mondo e importare i materiali raffinati in Europa, forse sarebbe necessario riflettere sul futuro ben poco verde che stiamo dipingendo.
[di Monica Cillerai]
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