Cosa c’entrano inquinamento e plastica con il calo delle nascite
9 Giugno 2023
Secondo Arthur Bloch, umorista e scrittore statunitense, «quando c’è bisogno di toccare ferro o legno, ci si accorge che il mondo è fatto di alluminio e di plastica». Su quest’ultimo punto è impossibile dargli torto: probabilmente la maggior parte degli oggetti che in questo momento ci circondano – se non tutti – contiene o è fatta di almeno una componente plastica. D’altronde i dati dicono che ogni anno produciamo più di 380 milioni di tonnellate di plastica, e che circa la metà di questa è destinata a scopi monouso. Significa cioè che finisce per essere utilizzata per pochi momenti, anche se la sua presenza continua a gravare sul pianeta per centinaia di anni.
Non è sempre facile e immediato rendersi conto della (quasi) eternità della plastica. Probabilmente perché questa non si presenta sempre come ce la immaginiamo: bottiglie e bicchieri, contenitori, sacchetti. Succede invece che alcune sue piccolissime particelle si stacchino dall’oggetto ‘madre’, per una serie di ragioni, e vaghino inosservate fuori e dentro di noi. Si tratta delle microplastiche, minuscoli pezzi di materiale, solitamente inferiori ai 5 millimetri, che si originano in diverso modo: possono essere rilasciate direttamente nell’ambiente – ad esempio durante il lavaggio di capi sintetici, o per abrasione degli pneumatici durante la guida o perché contenute intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo – o vengono prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste e reti da pesca.
Oltre a rappresentare un grosso problema per l’ambiente, in cui si disperdono, per merito delle ricerche scientifiche condotte negli ultimi anni si è scoperto che le particelle di plastica si annidano in diverse parti del corpo umano. Perfino nello sperma.
Come la plastica danneggia l’apparato riproduttivo (e non solo)
Si tratta di una conclusione recente a cui è giunto uno studio pubblicato sulla rivista internazionale Science of the Total Environment, portato a termine dagli esperti di due diverse università italiane, quella di Salerno e quella di Napoli. «Il nostro lavoro ha messo in evidenza la presenza di microparticelle di plastica in 6 campioni su 10 di liquido seminale di uomini sani e non fumatori, residenti in un’area ad alto impatto ambientale della Campania. Si tratta di 16 diversi frammenti di microplastiche di dimensioni comprese tra i 2 a 6 micron, ossia più piccoli di un granellino di pulviscolo», ha commentato Luigi Montano, uro andrologo a capo delle analisi. Una scoperta drammatica visto che «le microplastiche sono estremamente dannose, procurano danni in particolare agli organi riproduttivi, che sono fortemente sensibili all’interferenza di elementi chimici». Tant’è che «le cellule spermatiche sono in grado di percepire prima e in modo quantitativamente rilevante l’impatto dell’inquinamento sul corpo».
Come spiega Montano, «le vie più probabili di accesso delle microplastiche al seme umano sembrerebbero avvenire attraverso l’epididimo (struttura intorno al testicolo) e le vescicole seminali, che sono più facilmente suscettibili a processi infiammatori e che possono favorire, dunque, una maggiore permeabilità».
Quello individuato dal team di esperti italiani non è comunque un caso isolato.
Le due stesse università, nel mese di gennaio, si sono accorte della presenza di microplastiche in campioni di urine di sei donatori sani, uomini e donne di età compresa tra i 16 e i 35 anni, e residenti tra Salerno e Napoli. Nel frattempo un team internazionale di ricercatori ha pubblicato uno studio che, per la prima volta, ha dimostrato che queste particelle sono così piccole da riuscire a superare la barriera emato-encefalica: in altre parole, hanno la capacità di penetrare nel cervello, aumentando il rischio che questo sviluppi infiammazioni, disturbi neurologici o malattie neurodegenerative – come l’Alzheimer. Ma in realtà negli anni gli scienziati hanno trovato piccoli pezzettini di plastica anche nel nostro sangue e perfino nella placenta umana. Questo perché, in generale, oltre al fatto che di plastica ce n’è in grande quantità, e che questa si degrada facilmente – tant’è che può essere riciclata pochissime volte -, i frammenti riescono ad entrare nel nostro corpo in maniera piuttosto facile e variegata: spalmandoci una crema per il viso, mangiando o, semplicemente, respirando.
Quello che più preoccupa i ricercatori è il modo in cui tali corpi estranei possano, in particolare, influire sulla fertilità, sia femminile che maschile. Nel primo caso, secondo le analisi condotte da Antonio La Marca, professore associato di ostetricia e ginecologia nel dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, l’inquinamento incide negativamente sull’ormone chiamato ‘antimulleriano’, quello cioè prodotto dalle cellule dell’ovaio e che stabilisce il livello potenziale di fertilità della donna. Più quest’ultima è stata esposta a concentrazione di agenti inquinanti, più basso è risultato il livello dell’indicatore.
Nel secondo caso, la ricerca ha appurato che nella riproduttività dell’uomo, inquinamento e microplastiche impattano principalmente in due modi: abbassando la qualità dello sperma, e riducendone la sua quantità. Montano dice che «negli ultimi 46 anni il numero medio di spermatozoi si è dimezzato in tutto il mondo», e che dal 2000 questa tendenza ha iniziato a subire un’accelerazione. «La capacità riproduttiva dell’uomo è veramente ad alto rischio. Un problema enorme, su cui ancora non c’è consapevolezza né a livello sanitario né a livello politico».
Il crollo demografico passa anche da qui
In effetti, anche se il nostro Governo ha fatto della lotta al calo demografico uno dei suoi principali cavalli di battaglia, non sembra essere totalmente consapevole di tutte le cause che hanno portato – e continuano a farlo – al crollo delle nascite.
Istat, sulla base dell’ultimo censimento e dei dati presi dagli uffici anagrafe, dice che al primo gennaio del 2022 in Italia eravamo 58,9 milioni (-253 mila abitanti rispetto all’anno precedente). Una tendenza che, riferiscono le stime, entro il 2070 ci porterà ad avere circa 12 milioni di abitanti in meno. Se per certi versi il fatto che sulla Terra saremo sempre meno ha i suoi vantaggi – soprattutto per il benessere dell’ambiente e la distribuzione delle risorse – per le economie mondiali il calo demografico è invece un pugno nello stomaco. Significa dover contare su una popolazione sempre più vecchia, e su un sistema sociale, previdenziale e sanitario sempre più povero e debole.
È vero, come hanno ribadito le amministrazioni che si sono susseguite fino ad ora, che la denatalità è principalmente frutto di un sistema che non mette uomini e donne nella condizione di mettere al mondo un figlio. Chi decide di diventare genitore deve fare i conti con l’occupazione femminile, spesso incompatibile con la cura del neonato, con gli alti costi e i pochi posti degli asili nido, con il lavoro precario, e così via. Problematiche che il Governo sta provando a risolvere con agevolazioni, assegni e la promessa di politiche più inclusive. Ma non basta – e qui arriviamo al punto – perché c’è una causa che l’esecutivo sta ignorando: il ruolo dell’inquinamento sulla fertilità. Se da una parte alcune coppie decidono spontaneamente di non riprodursi per motivi ambientali (evitare ulteriore inquinamento al pianeta o evitare che i figli si ritrovino a vivere in un clima che si prospetta sarà particolarmente ostile), dall’altra, e su questo gli esperti sono stati chiari, cambiamento climatico ed emissioni di sostanze chimiche, che lo aggravano, stanno influendo sulla fertilità. Secondo la Società Italiana di Andrologia ad oggi un italiano su dieci è infertile proprio per questi motivi. Gli stessi, però, nei confronti dei quali l’attuale Governo si è più volte mostrato disinteressato e, in alcuni casi, restio.
Benessere ambientale e fertilità, un legame ignorato
Qualche settimana fa la Commissione Europea ha proposto un nuovo regolamento sugli imballaggi in plastica, che intende abolire, tra le altre cose, le confezioni monouso per frutta e verdura di peso inferiore a 1,5 chilogrammi. Ma in Italia si sono subito sollevate voci contrarie. Come quelle di Coldiretti e di alcuni politici, tra cui l’eurodeputato della Lega Angelo Ciocca, che è intervenuto al Parlamento europeo mostrando una confezione di insalata in busta e denunciando lo sbaglio della Commissione europea: a suo dire eliminare gli imballaggi plastici avrebbe ripercussioni negative sull’economia nazionale.
Ma è ormai piuttosto chiaro – almeno a noi – che combattere il calo demografico significa anche ripulire la Terra da quanta più plastica possibile. Invece, il nostro Paese, oltre ad ostacolare pratiche green, condanna chi si schiera a favore: è il caso degli ecoattivisti, che nonostante la disobbedienza civile non violenta, sono finiti nella rete dello stigma sociale e della repressione. A tal punto che, lo scorso aprile, in Italia i militanti di Ultima generazione sono stati accusati dalla Procura di Padova di costituire un’associazione a delinquere.
In generale, la strada intrapresa dai Paesi europei, e non solo (come dimostrano i casi di repressione negli Stati Uniti), segna un punto di rottura tra i governanti e chi agisce per contrastare la crisi ecologica. Lo scorso aprile, il governo Meloni ha presentato al Senato un disegno di legge che amplierebbe la possibilità di arresto in flagranza degli ambientalisti in caso di imbrattamento di beni culturali o paesaggistici. Da dicembre 2021, gli attivisti di Ultima generazione hanno collezionato in Italia 2mila denunce e 90 fogli di via, a fronte di 120 proteste realizzate.
Eppure Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, ha dichiarato che queste persone vanno protette, perché «abbiamo bisogno di loro ora più che mai». Probabilmente perché la nostra stessa sopravvivenza dipende dalla salute dell’ambiente e dal rispetto che gli portiamo. Anche perché, quello che gli riversiamo addosso, trova la strada di tornarci dentro, proprio come fa la plastica.
[di Gloria Ferrari]
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