Testa vinco io, croce perdi tu
di Roberto Pecchioli - 04/09/2022
Fonte: EreticaMente
Il noto sondaggista Enrico Crespi sostiene che alle
elezioni politiche del 25 settembre l’astensione potrebbe raggiungere il
50 per cento. Afferma altresì che la percentuale di cittadini davvero
interessati al processo elettorale non supera il dieci per cento. Forse
esagera, ma anche un acuto indagatore di flussi elettorali come Renato
Mannheimer indica un assenteismo record, soprattutto tra i giovani. Il
partito che non c’è – quello di chi non andrà a votare – sarà di gran
lunga il più numeroso.
Un ottimo affare per il sistema, che
sull’indifferenza – più o meno ostile – dei cittadini basa buona parte
del suo potere. I politici e i loro danti causa, i poteri finanziari e
le centrali transnazionali, si fregano le mani soddisfatti: meno
votanti, meno oppositori visibili. Il sistema liberale si basa
esattamente sulla depoliticizzazione delle masse, ma non si deve dire.
La più importante vittoria del sistema è l’assenza dei giovani: missione
compiuta.
Lo sanno bene gli organizzatori delle manifestazioni
dell’ultimo biennio a favore delle libertà e contro il green pass: i
capelli grigi dominavano. Le ultime generazioni sono state condizionate
al conformismo (travestito da finta trasgressione funzionale al sistema)
e alle dipendenze. Dallo sballo, da sostanze tossiche, ma anche da
specchietti per le allodole come la passione per i marchi, le griffes,
la cura maniacale del corpo, l’individualismo più greve spacciato per
libertà.
Il circo elettorale mostra tutta la sua inanità, la sua
natura di stanca procedura dominata dal denaro, volta a far legittimare
dal popolo un sistema che chiude inesorabilmente gli spazi della
libertà, per sua natura critica, contrapposizione, discussione. E’ il
paradosso della società aperta teorizzata da Karl Popper, cara ai finti
filantropi e veri manipolatori delle coscienze come George Soros. La
società è aperta, ma solo a chi ne condivide i fondamenti. Per gli altri
c’è l’accusa di intolleranza, bollata come “discorso di odio” punito
per legge. Nessuna differenza con i regimi del passato: nessuno ha mai
vietato di parlar bene di chi comanda….
L’esito elettorale è una
partita truccata il cui esito è il lancio di una moneta la cui regola è:
testa vinco io, croce, perdi tu. Tutti i partecipanti alla corsa
dichiarano gli stessi obiettivi, condividono la medesima agenda
eterodiretta. Agli oppositori e alle tesi divergenti è concesso lo
spazio minimo e contingentato – gravato da sarcasmo, supponenza, non
dissimulato fastidio – per poter affermare che libertà e democrazia
formale esistono ancora.
Sconfitto è il popolo italiano, i suoi
interessi e il suo futuro. Un popolo privato di coscienza comune,
incapace di uno scatto di orgoglio e di dignità, impoverito e ignorante.
Due terzi di cittadini incapaci di comprendere un testo di media
difficoltà: qualcuno ha lavorato per fare di noi una plebe senz’anima,
egoista, con lo sguardo miope fisso al presente e puntato verso il
basso. Questa è la fotografia dell’Italia reale. Ovvio che vinca chi
tiene in pugno le classi dirigenti finanziarie, economiche, culturali e
politiche, in ordine decrescente di importanza.
Il nostro popolo è
docile, male informato e poco incline al pensiero critico, ma gli resta
l’istinto. Ha capito che la politica non è la soluzione bensì il
problema e si comporta di conseguenza. Non è necessario compulsare i
programmi per rendersi conto che sulle scelte economiche, finanziarie,
l’agenda internazionale, la politica energetica, l’inflazione – balzata
al dieci per cento – i temi del lavoro, sulle scelte sanitarie (virus,
vaccini e green pass) le ricette sono pressoché sovrapponibili. La lotta
è tra un gatto grigio e un grigio gatto. La posta in palio riguarda
gruppi – bande o cricche – in lotta per occupare le numerose poltrone
che contano, dal parlamento in giù, tra enti pubblici, aziende
partecipate e altri ben remunerati centri di potere.
Se la sbrighino
tra loro, pensano milioni di persone e non si può dar loro torto. Lui è
il gatto e io la volpe, siamo in società, dice la canzone di Edoardo
Bennato. Di noi ti puoi fidar, prosegue. Molta gente non si fida più.
Tuttavia un pezzo di Italia – i ceti garantiti, chi ha rendite, chi vive
del denaro di tutti – ha ogni interesse al proseguimento del presente
stato di cose. La disgrazia è che a votare saranno soprattutto loro, le
cui contrapposizioni sono interne al sistema. La zuffa è per la
divisione della torta. Ecco perché è indifferente che vinca testa o
croce, le facce della stessa moneta, posseduta e controllata da padroni
che non si presentano agli elettori. Comandano tenendo al guinzaglio gli
uni e gli altri.
La destra, il centro e la sinistra del sistema,
mille sfumature di grigio che non cambiano l’aria che tira, e
soprattutto evitano come la peste di dire sgradevoli verità. La più
spaventosa è che in alto ci vogliono morti: epidemie, inoculazioni di
prodotti sconosciuti (a noi), propaganda a favore dell’eutanasia,
mancate cure. Il più grande ospedale della Liguria ha rinviato di altri
tre mesi gli interventi chirurgici “non essenziali”. L’esito sarà una
mortalità più elevata e, per chi può, il ricorso alla sanità privata.
Non
è un caso che manchino medici, infermieri, tecnici di laboratorio, né
assunti né formati, mentre le università sfornano a ritmo incessante
laureati in giurisprudenza, scienze della comunicazione, legioni di
sociologi ed esperti delle più bizzarre discipline. I costi relativi
alla sanità potrebbero essere facilmente reperiti tagliando le spese
militari per le missioni all’estero in qualità di camerieri (paganti)
dell’impero americano, aiuti e armi all’Ucraina e sfrondando gli enormi
costi dell’accoglienza di clandestini indesiderati. Se non avviene, è
perché “vuolsi così dove si puote ciò che si vuole”.
Comunque, su
questa terra siamo troppi, parola del ministro Cingolani, voce dal sen
fuggita a dimostrazione che il potere vuole la nostra morte. Dai fatti
“occorre trarre significazione”, per Nicolò Machiavelli, ma la volontà e
la capacità di farlo sembrano scomparse. Intanto si sdogana la farina
di insetti ad uso alimentare e il prelibato cibo del futuro è nel menù
degli asili emiliani e romagnoli. Delikatessen progressiste.
Nessuno
dice che la crisi energetica è iniziata ben prima della guerra e delle
rovinose auto-sanzioni, tanto è vero che Eni – partecipata dallo Stato
ma in mano a fondi speculativi – ha realizzato sette miliardi di
profitti in pochi mesi. Tacciono sulle triangolazioni per cui il gas
russo arriva a prezzi maggiorati dopo essere transitato dai paesi che
intrattengono relazioni commerciali con Mosca. Sulla nostra pelle. Le
bollette non sono impazzite: aumentano in base a un disegno preciso di
impoverimento di massa e di distruzione del tessuto produttivo.
Il
potere sfrutta l’ingenuità, la buona fede popolare, incredula che i suoi
capi, per quanto pessimi, siano criminali e i governi abbiano per scopo
il male dei popoli. La nuda analisi dimostra che è così, ma non vi è
peggior sordo di chi non può sentire, assordato da una comunicazione a
senso unico, in cui spettacolo, pubblicità, propaganda, indottrinamento e
realtà sono indistinguibili.
Quali cambiamenti possono determinare
le elezioni di un paese periferico, privo di sovranità economica,
militare, monetaria, energetica come l’Italia? Tutt’al più, una modesta
ridistribuzione delle poche risorse disponibili (il resto è di
lorsignori, a prescindere) a favore dei ceti o gruppi sociali di
riferimento della parte vincente.
Nessuno dice verità evidenti se non
avessimo gli occhi chiusi e le orecchie tappate, ad esempio che il
mitico Piano di Resilienza è un prestito di denaro creato dal nulla
dalle istituzioni finanziarie che ci tengono legati, da restituire con
interessi, dopo essere stato utilizzato secondo la volontà del
prestatore, non del mutuatario. Nel frattempo, inverno al freddo,
serrande abbassate e la beffa: l’Istat afferma che la disoccupazione è
calata a luglio. Per merito della stagione turistica, conteggiando chi
ha svolto attività per poche ore e mettendo nel conto tutte le forme –
assai fantasiose – di precariato inventate dagli economisti di servizio.
Si tace anche sui redditi di troppi lavoratori, così bassi che è
preferibile il reddito di cittadinanza, rivelatosi, al netto di truffe e
illegalità, un potente incentivo all’ozio o al lavoro nero.
Nessuno
parla della vergogna della privatizzazione di beni comuni come l’acqua;
gli adoratori della costituzione “più bella del mondo” dimenticano
modifiche terribili come il pareggio di bilancio e solo pochi outsider
ignorati o derisi puntano il dito contro il divieto europeo degli “aiuti
di Stato”, ovvero la proibizione di una politica industriale e sociale
autonoma per spendere come ci pare il denaro frutto del nostro lavoro.
Nessuno
spiega come affrontare l’avanzata dei robot e dell’intelligenza
artificiale che distrugge altri posti di lavoro; i temi sensibili sono
nascosti come polvere sotto il tappeto. Gli uni si baloccano promettendo
una mirabolante diminuzione delle tasse – giusta e auspicabile, ma
impossibile nel merito e nel metodo, giacché la tassa piatta, uguale per
tutti (la chiamano flat tax così non capiamo il senso), per quante
contorsioni verbali inventino i suoi promotori, viola la progressività
dell’imposizione sancita dalla costituzione. La Corte Costituzionale,
presieduta dall’eterno Giuliano Amato – un pilastro dei poteri
forti-avrà gioco facile a cassarla. Altri esaltano le devianze, come
Enrico Letta in un improvvido tweet, e vogliono togliere i figli ai
genitori fin dall’asilo. Indottrinati prima di imparare a leggere e
scrivere, il sogno totalitario si fa realtà.
La giungla delle leggi
sul lavoro è intoccabile quanto il potere delle burocrazie, rifugio e
privilegio dei folti ceti garantiti, entusiasti sostenitori del sistema
vigente. Silenzio raggelante sulla sovranità monetaria: nessuno tocchi
le sacre “autorità monetarie”; nessuno dica che il dramma del debito
impagabile, l’impossibilità di una politica monetaria, la corda stretta
attorno al collo di Stati, popoli, governi, imprese, cittadini è il
frutto della follia criminale di aver affidato a banche private
l’emissione monetaria.
Nessuno osi affermare che Mario Draghi, il
banchiere dei banchieri, il direttore generale del Tesoro al tempo della
svendita dei beni pubblici nel 1992 successiva al crollo della lira
provocato dalla speculazione, non ha affatto il compito di salvare
l’Italia, ma di consegnarla ai suoi colleghi finanzieri e alle
oligarchie del denaro. L’agenda Draghi.
Scarsissimo o nullo anche il
dibattito sull’identità digitale dei cittadini – cioè la riduzione a
cifra di ognuno di noi – in Italia affidata al ministro Colao, altro
esponente dell’iperclasse globalista. Silenzio sul passaporto vaccinale
che la colonia Italia chiama allegramente green pass, ovvero sulla
concreta libertà di movimento e di vita, la proprietà del corpo fisico
rivendicata già dal diritto romano (habeas corpus).
Di che cosa
stanno parlando, dunque, gli aspiranti a sedere in parlamento e formare
la governance, l’amministrazione dell’esistente non per conto degli
elettori ma dei poteri di fatto, il pilota automatico evocato con
sincerità dal Drago? La classe politica è piena di seguaci di Ludwig Von
Wittgenstein, per il quale “ciò di cui non si può parlare si deve
tacere”, un invito al silenzio sconcertante in campo speculativo,
intollerabile in politica.
Nessuno stupore se le verità accuratamente
taciute celano il gigantesco inganno del potere; nessuna meraviglia se
la democrazia rappresentativa rappresenta tutt’altro che il popolo
sovrano e il cappio al collo del nostro e popolo conduce
all’impiccagione.
Sceglieremo tra gatti grigi e grigi gatti. Testa,
vinceranno loro, croce perderemo noi. TINA, there is no alternative, non
c’è alternativa, dicono. Come alla morte…
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