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"Ciò che insegui ti sfugge, ciò cui sfuggi ti insegue" (aneddotica orientale, paragonabile alla nostra "chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane")

"Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare soldi. E poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere nè il presente nè il futuro. Sono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto."
(Dalai Lama)

"A l'è mei mangè pan e siuli, putòst che vendsi a quaicadun" (Primo Doria, detto "il Principe")

"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Mahatma Gandhi

L'Italia non è una nazione ma un continente in miniatura con una straordinaria biodiversità e pluralità antropologica (Claudio Martinotti Doria)

Il proprio punto di vista, spesso è una visuale parziale e sfocata di un pertugio che da su un vicolo dove girano una fiction ... Molti credono sia la realtà ed i più motivati si mettono pure ad insegnare qualche tecnica per meglio osservare dal pertugio (Claudio Martinotti Doria)

Lo scopo primario della vita è semplicemente di sperimentare l'amore in tutte le sue molteplici modalità di manifestazione e di evolverci spiritualmente come individui e collettivamente (È “l'Amor che move il sole e le altre stelle”, scriveva Dante Alighieri, "un'unica Forza unisce infiniti mondi e li rende vivi", scriveva Giordano Bruno. )

La leadership politica occidentale è talmente poco dotata intellettualmente, culturalmente e spiritualmente, priva di qualsiasi perspicacia e lungimiranza, che finirà per portarci alla rovina, ponendo fine alla nostra civiltà. Claudio Martinotti Doria

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Patriă Montisferrati

Patriă Montisferrati
Cliccando sullo stemma del Monferrato potrete seguire su Casale News la rubrica di Storia Locale "Patriă Montisferrati", curata da Claudio Martinotti Doria in collaborazione con Manfredi Lanza, discendente aleramico del marchesi del Vasto - Busca - Lancia, principi di Trabia

Come valorizzare il Monferrato Storico

La Storia, così come il territorio e le sue genti che l’hanno vissuta e ne sono spesso ignoti ed anonimi protagonisti, meritano il massimo rispetto, occorre pertanto accostarsi ad essa con umiltà e desiderio di apprendere e servire. In questo caso si tratta di servire il Monferrato, come priorità rispetto a qualsiasi altra istanza (personale o di campanile), riconoscendo il valore di chi ci ha preceduti e di coloro che hanno contribuito a valorizzarlo, coinvolgendo senza preclusioni tutte le comunità insediate sul territorio del Monferrato Storico, affinché ognuna faccia la sua parte con una visione d’insieme ed un’unica coesa identità storico-culturale condivisa. Se ci si limita a piccole porzioni del Monferrato, per quanto significative, si è perdenti e dispersivi in partenza.

Sarà un percorso lungo e lento ma è l’unico percorribile se si vuole agire veramente per favorire il Monferrato Storico e proporlo con successo come un’unica entità territoriale turistico culturale ed economica …

La libertà di parola finisce sotto inquisizione. Sarà un crimine esprimere qualsiasi opinione contraria al pensiero dominante

 GLI ORRORI DELLA SANTA INQUISIZIONE - YouTube

 

La libertà di parola finisce sotto inquisizione. Sarà un crimine esprimere qualsiasi opinione

https://www.miglioverde.eu/la-liberta-di-parola-finisce-sotto-inquisizione-sara-un-crimine-esprimere-qualsiasi-opinione/

 

 

di NEIL LOCK

Nel Regno Unito esiste un disegno di legge sulla “sicurezza on-line”, attualmente in discussione in Parlamento,  il cui nome è stato recentemente – e un po’ stranamente – cambiato da “danni on-line” a “sicurezza on-line”. Osservando sempre più da vicino ciò che sta accadendo, ho scoperto che questo è solo un particolare di un’ondata crescente di violazioni governative dei nostri diritti e delle nostre libertà. Le misure COVID e i regolamenti ambientali sono altri due aspetti. E ce ne potrebbero essere altri ancora.

Ma comincerò con il disegno di legge sulla sicurezza on-line. Qui la “scheda informativa” del governo di circa due mesi fa. Ho anche dato un’occhiata all’analisi che ha fatto e alla risposta che ha dato a questo disegno di legge l’avvocato Francis Hoar, datata 26 maggio 2022.

Libertà di parola online: la situazione attuale

Le normative vigenti in materia di comunicazioni via Internet e social media nel Regno Unito si basano su principi di common law. Esiste un confine relativamente chiaro tra i reati penali, come le minacce di morte, e i semplici illeciti, come pronunciare parole offensive senza l’intenzione di causare molestie, allarme o angoscia.

Tra i fornitori di servizi, si distingue tra un “editore” (qualcuno che è in grado di rivedere e modificare le dichiarazioni fatte prima della pubblicazione) e una “piattaforma” (qualcuno che si limita a fornire una struttura per la pubblicazione da parte di altri). Un editore è responsabile del contenuto di ciò che pubblica, a prescindere. Su una piattaforma, chi posta è responsabile del contenuto che carica. Ma la piattaforma stessa non ha alcuna responsabilità per i contenuti, a meno che e fino a quando non sia stata informata di tali contenuti. A quel punto, il gestore della piattaforma può valutare le conseguenze di lasciare o togliere il contenuto in questione. E prendere una decisione.

Un tale sistema è sicuramente imperfetto. Ma fino ad oggi sembra essersi rivelato tollerabilmente funzionante.

Quello che stanno facendo

 

Ma ecco che ora arrivano i sostenitori del disegno di legge sulla sicurezza on-line, con una serie di proposte nuove e molto complicate. In primo luogo, vogliono obbligare le società di social media ad implementare dei sistemi per monitorare i post che potrebbero essere “pericolosi”. Inoltre, tutte le aziende che rientrano nel campo di applicazione del disegno di legge saranno tenute ad effettuare valutazioni del rischio per identificare la probabilità che gli utenti carichino contenuti illegali sul loro servizio.

In secondo luogo, vogliono conferire all’Ofcom, una organizzazione burocratica che si occupa di regolamentazione nel Regno Unito, il potere di monitorare la conformità alle disposizioni del disegno di legge e di imporre multe molto severe alle aziende ritenute inadempienti. Di conseguenza, le piattaforme finirebbero per essere ritenute responsabili dei contenuti che pubblicano, anche quando questi non saranno portati alla loro attenzione. Tuttavia, non esiste una definizione chiara e oggettiva della linea di demarcazione tra ciò che deve essere rimosso e ciò che non deve esserlo. È probabile che le piattaforme diventino molto più inclini a rimuovere preventivamente i contenuti, con la motivazione che potrebbero violare qualche norma. Invece di “pubblicare e vedere che succede”, è probabile che il loro atteggiamento di default diventi “censurare e restare al sicuro”.

In terzo luogo, i sostenitori del disegno di legge vogliono creare un reato di “comunicazione dannosa”. In questo modo sarà un crimine esprimere qualsiasi opinione per la quale esista il rischio reale che qualche persona adulta possa subire “danni psicologici pari almeno a un grave disagio”. Ma cosa si intende esattamente per “grave disagio”? E chi deve giudicare? Deve essere lasciato ai sentimenti soggettivi di coloro che si sentono lesi da questa “comunicazione dannosa”? Certamente no! Perché oggi in molti luoghi, e soprattutto nelle università americane, ci sono lobby che considerano l’espressione di qualsiasi punto di vista diverso dal loro come una causa di disagio. E si spingono fino a cercare di vietare qualsiasi espressione di tali punti di vista all’interno delle loro bolle, utilizzando metodi come il “de-platforming”. Portata alla sua logica conclusione, questa misura finirebbe per vietare l’espressione di tutti i punti di vista che non sono in accordo con i dogmi politici della maggioranza del giorno.

Questo standard di “rischio di danno pari a un grave disagio” non solo è soggettivo, ma metterà anche molte persone indubbiamente innocenti a rischio di censura molto più di quanto non faccia la legge esistente, che richiede che una comunicazione sia almeno “gravemente offensiva” prima che possa costituire un reato.

Combinando tutte e tre queste proposte, è chiaro che nessuna opinione espressa su una piattaforma web o sui social media sarà al sicuro dalla censura. I gestori delle piattaforme hanno così tanto in gioco che probabilmente si sentiranno spinti ad adottare la modalità “in caso di dubbio, rimuovi”. Ma anche se non fosse così e le parole venissero lasciate in circolazione e il caso arrivasse in tribunale, quest’ultimo dovrebbe esprimere un giudizio politico sul fatto che una comunicazione sia davvero dannosa e se possa essere giustificata o meno dall’interesse pubblico. Non è questo il compito dei tribunali.

 

In quarto luogo, si vuole creare un altro reato penale di “falsa comunicazione”. Per farlo scattare sarà sufficiente la prova di un “danno non banale”. Sarà molto difficile difendersi da accuse del genere, soprattutto quando l’affermazione fatta sia effettivamente vera, ma contraria al dogma del giorno. L’accusato si troverà in una situazione simile a quella delle vittime dell’Inquisizione! L’effetto probabile è che molte piattaforme censureranno di routine qualsiasi discussione, anche puramente fattuale, su qualsiasi argomento controverso, se non volge a favore della linea dell’establishment del momento (rappresentata dalla linea dell’Ofcom).

Chi di noi, ad esempio, si oppone all’agenda “zero emissioni nette”, perché non ci sono prove concrete che dimostrino, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le emissioni umane di anidride carbonica abbiano causato o possano causare danni significativi al clima globale, può aspettarsi di essere “cancellato” e di veder cancellati i propri commenti o post. Anche se il caso arrivasse in tribunale, il tribunale si troverebbe nella posizione di dover giudicare la veridicità o meno della dichiarazione fatta. Cosa che quasi certamente non sarebbe in grado di fare, e molto probabilmente non sarebbe nemmeno disposto a fare.

C’è ancora un altro punto importante. Il pubblico in generale ha un vantaggio considerevole nel permettere a tutti i punti di vista di essere espressi liberamente, compresi quelli offensivi, quelli di parte, quelli impopolari e quelli che sono semplicemente sbagliati. Se le persone non sono esposte a tutti questi punti di vista, come potranno mai acquisire l’abilità di analizzare criticamente le idee, per vedere se reggono o meno? Come svilupperanno l’abilità di contrastare le idee sbagliate con argomentazioni ragionate?

In quinto luogo, esiste una categoria di “contenuti prioritari”, materiale già illegale che, secondo la scheda informativa del governo sul disegno di legge, “tutte le piattaforme che rientrano nel campo di applicazione del disegno di legge dovranno rimuovere in modo proattivo”. Eppure sembra che il governo sarà in grado di cambiare la definizione di “contenuto prioritario” in qualsiasi momento, senza che il Parlamento o chiunque altro possa contestare o modificare la definizione.

In sesto luogo, la legge non si applicherà solo agli editori e alle piattaforme, ma anche ai motori di ricerca. La scheda informativa è piuttosto riservata su quali saranno gli impatti sui motori di ricerca, dice solo che “avranno doveri personalizzati incentrati sulla minimizzazione della presentazione di risultati di ricerca dannosi per gli utenti”. Questo potrebbe significare quasi tutto! A un estremo, potrebbe richiedere solo che i motori di ricerca non violino inavvertitamente la legge mostrando estratti di “contenuti prioritari”. Dall’altro, potrebbe costringere i motori di ricerca a effettuare una vera e propria censura e a non mostrare i link alle pagine che ritengono possano violare una norma. O addirittura a togliere dall’elenco, o a ridurre la priorità di, tutti i link a piattaforme che ritengono non affidabili.

In settimo luogo, l’ultima versione del disegno di legge contiene alcune modifiche piuttosto strane, ovvero dovrebbero proteggere i contenuti “democratici” e “giornalistici”. Cosa siano esattamente tali contenuti e cosa no, mi aspetto sia un’area molto grigia. (Ad esempio, un articolo che evidenzia gravi difetti della democrazia e suggerisce cambiamenti radicali può essere considerato un “contenuto democratico”? Questo stesso articolo si qualificherebbe per una di queste due protezioni?)

Il diavolo si nasconde nei dettagli, ma sospetto che molte piattaforme saranno riluttanti ad accettare che i contenuti scritti da persone comuni possano essere protetti da una di queste due voci. Mentre le opinioni di persone famose andranno bene. Se ciò accadesse, violerebbero il nostro diritto all’uguaglianza di fronte alla legge.

Come lo stanno facendo

 

Per tornare alla scheda informativa. C’è un sacco di correttezza politica e di piagnistei sul fatto che tutto questo non sia così negativo come sembra. Ma si tratta solo di un’operazione di facciata.

Mi sono ritrovato a digrignare e stringere i denti quando ho letto: “La libertà di espressione sarà protetta perché queste leggi non mirano a imporre una regolamentazione eccessiva o la rimozione di contenuti da parte dello Stato, ma a garantire che le aziende abbiano i sistemi e i processi necessari per assicurare la sicurezza degli utenti”. Ma, come ho osservato in precedenza, l’effetto probabile di queste leggi è che nessuna opinione espressa sul web o sui social media sarà al sicuro dalla censura, e molte piattaforme censureranno di routine qualsiasi posizione espressa su un argomento controverso che non sostenga la linea dell’establishment. Le piattaforme che censurano e quelle coraggiose che non lo fanno diventeranno “camere dell’eco” separate, senza possibilità di comunicazione tra loro. Questo non è certo proteggere la libertà di espressione!

Non sono stato molto più felice quando ho letto che hanno “modificato la legislazione per non rinviare oltre il potere di introdurre sanzioni penali in caso di mancato rispetto delle comunicazioni informative”. In altre parole, le aziende diventeranno passibili di sanzioni penali quasi subito dopo l’approvazione della legge, senza che ci sia il tempo di sperimentare procedure per affrontare la nuova situazione. Quindi, nel momento in cui sarà approvata questa legge, tutte le nostre libertà online saranno praticamente scomparse. È un altro segno della fretta con cui l’establishment sta distruggendo le nostre libertà.

L’Ofcom “sarà in grado di applicare sanzioni penali contro i senior manager che non si assicurino che la loro azienda si conformi alle richieste di informazioni dell’Ofcom, o che deliberatamente distruggono o nascondono informazioni, se le aziende non prendono sul serio le nuove regole”. “L’autorità di regolamentazione avrà i poteri necessari per intraprendere azioni appropriate contro tutte le aziende che rientrano nel campo di applicazione, indipendentemente dalla loro sede. Questo è essenziale data la natura globale di Internet”.

Capite dove si va a parare? Significa che, non appena inizierà il regime di censura legalizzata, le aziende più piccole, con meno risorse per affrontare tutta la trafila e la burocrazia, si troveranno in grave svantaggio. E qualcuno pensa che una violazione così eclatante dei nostri diritti, e così conveniente per l’establishment globalista, non verrà ripresa da altri governi e non promuoverà l’adozione di leggi simili in altri luoghi? Quindi, i governi stranieri cominceranno a giocare d’anticipo e ad attaccare le società di servizi con sede nel Regno Unito.

Mi aspetto che solo le aziende più grandi e più favorevoli all’establishment saranno in grado di sopravvivere a questo doppio colpo. Il mercato mondiale della fornitura di servizi Internet e dei social media sarà limitato a una manciata di grandi aziende globali e politicamente corrette. Lungi dalla concorrenza che le spinge a servire i clienti come dovrebbero, quelle aziende dai nomi simili a Facebook e Twitter finiranno per occupare posizioni di mercato ancora più dominanti di quelle attuali. E i “piccoli” ci rimetteranno. Ancora una volta.

Mi preoccupa anche la possibilità che le piattaforme siano autorizzate a rimuovere i contenuti pubblicati prima dell’entrata in vigore della legge. Questo mi sembra equivalente al rogo dei libri.

Inoltre: “I siti web degli editori di notizie non rientrano nel campo di applicazione della normativa sulla sicurezza online”. Che cos’è esattamente un “editore di notizie”? E se non lo si è già, come si fa a diventarlo? A me sembra uno stratagemma per radicare gli editori di notizie esistenti nelle loro posizioni di privilegio e proteggerli dai concorrenti emergenti.

I requisiti per i motori di ricerca sono particolarmente preoccupanti. Infatti, è probabile che consentano un secondo livello di gatekeeping, bloccando di fatto l’accesso del pubblico in generale ai contenuti che vanno contro i dogmi politicamente corretti. Non c’è il rischio, ad esempio, che i motori di ricerca vengano sottilmente modificati per ostacolare l’accesso ai siti web di organizzazioni che promuovono le libertà civili, come Together o Liberty?

Qualunque siano le motivazioni alla base di questa proposta di legge, è evidente che i suoi proponenti non considerano affatto importante la libertà di parola per la gente comune. Vogliono sostituire un quadro giuridico tollerabilmente funzionante con uno che incoraggia attivamente la censura delle idee che non sono mainstream e “approvate”. Ed è improbabile che i nostri “rappresentanti” eletti ci aiutino molto, se non per nulla. Perché i membri del parlamento, essendo essi stessi spesso soggetti ad attacchi (giustificati o meno) sui social media e su Internet, avranno ragioni egoistiche per sostenere la legge. E quindi, per distruggere la libertà di parola degli “elettori” che dovrebbero “rappresentare”.

Se passerà, la legge sulla sicurezza on-line avremo una pessima legge. Mi viene in mente il famoso detto di Edmund Burke: “Le cattive leggi sono la peggiore specie di tirannia”.

Ed ecco, ora, una riflessione divertente per voi. Il governo non sarebbe in violazione delle sue stesse proposte di regolamentazione, pubblicando – o anche solo avendo pubblicato – il contenuto specifico di questa scheda informativa? L’affermazione “queste leggi non mirano a imporre una regolamentazione eccessiva o la rimozione di contenuti da parte dello Stato” non è essa stessa una “falsa comunicazione”? In realtà, si tratta della minaccia dello Stato di colpire le Big Tech con un grosso bastone, per assicurarsi che rimuovano i contenuti che lo Stato vuole rimuovere. Non c’è alcuna differenza di risultato tra questo e la rimozione dei contenuti da parte dello Stato. Quindi, considero la dichiarazione quantomeno disonesta. E la disonestà del governo nei confronti del popolo non dovrebbe mai essere tollerata in nessuna democrazia degna di questo nome.

Inoltre, questa stessa affermazione non è forse anche una “comunicazione dannosa”, perché favenire i nervi e infuriarsi gli animi di chiunque abbia a cuore i diritti umani e le libertà? Compreso me..

Una cultura della sicurezza ad ogni costo

 

Tutto questo ci viene venduto con il pretesto di “mantenere le persone al sicuro”. La sicurezza, definita come “la condizione di essere protetti o di non poter causare pericoli, rischi o lesioni”, è una buona cosa, non è vero?

La mia risposta è: beh, a volte. Ovviamente, a parità di altre condizioni, è meglio essere al sicuro da un determinato pericolo che esserne esposti. Ma le altre condizioni non sono sempre uguali. Se ci sono costi associati alla riduzione dell’esposizione a un particolare pericolo, è lecito chiedersi quanto sia sensato spendere per evitare quel pericolo. La risposta dipenderà dal rapporto tra questi costi e la probabilità e la gravità della perdita dovuta al pericolo. E poiché alcuni individui sono più avversi al rischio di altri e la percezione dei diversi rischi varia, la decisione ha sempre un elemento soggettivo.

Inoltre, quando i governi emanano leggi per promuovere un particolare ideale di sicurezza, ci saranno sempre vincitori e vinti. L’apparente aumento della sicurezza di un uomo, ad esempio, può significare la rovina del sostentamento di un altro uomo. Si pensi, ad esempio, agli effetti di questa legge sulla sicurezza on-line su coloro che si guadagnano da vivere pubblicando su argomenti controversi.

Eppure, sempre più spesso, i governi sono arrivati a trattare la sicurezza come una divinità, qualcosa da venerare e il cui culto deve essere imposto a tutti gli altri. Sembra che ormai si consideri auspicabile un livello di sicurezza più elevato, anche quando i costi sono di gran lunga superiori ai benefici oggettivamente prevedibili, e a prescindere dagli effetti negativi che potrebbero essere causati ad alcuni individui o gruppi di persone.

A peggiorare le cose, i governi sono sempre propensi a sbagliare nel senso di limitare eccessivamente le restrizioni. Questo perché gli individui che prendono le decisioni otterranno il plauso dei loro colleghi se le restrizioni avranno (o sembreranno avere) successo. Tuttavia, questi stessi individui non sono tenuti a rispondere delle conseguenze per le persone che il governo dovrebbe servire, e non pagheranno il conto. È la gente comune che finirà per subire le restrizioni eccessive e per pagarne i costi. Il risultato è una cultura della sicurezza a tutti i costi, che favorisce, e tende ad aumentare, il livello di prevaricazione e tirannia del governo.

Non è solo nel campo della libertà di parola che questa cultura è dilagante. I dossi, le chicane e le riduzioni striscianti dei limiti di velocità sulle strade, che abbiamo subito nel corso di 20 anni e più, non hanno portato a una riduzione dei decessi sulle strade del Regno Unito come quella ottenuta nei decenni precedenti. I decessi sulle strade sono rimasti pressoché invariati dal 2011 al 2019, eppure i limiti di velocità hanno continuato a essere progressivamente inaspriti. Tutto questo ha rallentato i nostri viaggi e reso la guida più faticosa. Ha anche ridotto la nostra libertà di movimento e aumentato il livello generale di frustrazione nelle nostre vite.

Il rischio e l’agenda verde

 

È dimostrato che i governi britannici che si sono succeduti hanno deliberatamente favorito questa cultura della sicurezza ad ogni costo. Il più importante è stato il rapporto del 2002 del Gruppo di collegamento interdipartimentale sulla valutazione del rischio (ILGRA), che ha di fatto riscritto il principio di precauzione per sancire un atteggiamento del tipo “se c’è un dubbio su un rischio, il governo deve agire”. Ne ho parlato in un articolo qui. Il rapporto dell’ILGRA stesso è qui. È da notare che l’ILGRA ha iniziato il suo lavoro nel 1994, non molto tempo dopo che il governo britannico aveva sottoscritto una agenda  verde assolutamente estremista al vertice di Rio del 1992, e che il documento fa esplicito riferimento alla Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo nella sua sezione di sintesi.

Lo scopo del principio è “creare un impulso a prendere una decisione nonostante l’incertezza scientifica sulla natura e la portata del rischio”. E volevano invocare il principio “anche se la probabilità di un danno è remota”. Hanno inoltre affermato che “il principio di precauzione comporta una presunzione generale secondo cui l’onere della prova si sposta dal regolatore che deve dimostrare il potenziale danno al creatore del pericolo che deve dimostrare un livello di sicurezza accettabile”. E hanno usato impropriamente un aforisma attribuito a Carl Sagan dicendo che: “L’assenza di prove di rischio non dovrebbe mai essere confusa con la prova dell’assenza di rischio”.

In questo modo, hanno gettato via ogni pretesa di analisi e valutazione dei rischi obiettiva e imparziale. Hanno anche invertito l’onere della prova, richiedendo agli imputati (cioè a noi, che vogliamo fare cose come riscaldare le nostre case e guidare le nostre auto) di dimostrare un risultato negativo. E hanno di fatto decretato, in contrasto con il nostro diritto alla presunzione di innocenza, che l’assenza di prove di colpevolezza non è una prova di assenza di colpevolezza. A noi scettici dell’agenda verde è stato negato, per decenni, il diritto a un’audizione equa e pubblica. E i nostri esperti sono stati molestati e, in alcuni casi, hanno perso il lavoro o sono stati costretti a lasciare del tutto il loro campo. Non è forse questa una forma di malafede del governo britannico, e di altri, nei confronti delle persone che dovrebbero servire?

E non è solo sul versante dell’esagerazione dei rischi che il governo britannico ha dato prova di malafede per quanto riguarda l’agenda verde. Ha anche reso impossibile valutare oggettivamente i costi e i benefici delle azioni proposte per “mitigare” il rischio del cambiamento climatico. Ecco come hanno fatto. Prima del 2009, utilizzavano una misura basata sul “costo sociale del carbonio” (il costo totale per tutti gli interessati degli effetti delle emissioni di anidride carbonica nel Regno Unito) per calcolare i danni previsti derivanti dalle emissioni umane di anidride carbonica nel Regno Unito. Questo è abbastanza corretto, a patto che il costo sociale sia calcolato con precisione. Ma nel 2009 hanno abbandonato questo sistema a favore di un sistema chiamato “curve di mitigazione/adattamento”. Questo ha reso, in pratica, impossibile rispondere alla domanda: “Quanto danno causerebbero le emissioni di CO2 se non facessimo nulla per ridurle?”. Una domanda a cui bisogna rispondere prima di poter valutare se esiste un problema reale o meno!

Parafrasando cinicamente, la loro argomentazione sembra essere stata: “Sappiamo di non poter fare un’analisi costi-benefici credibile che giustifichi qualsiasi azione politica in merito. Ma siamo già impegnati in un’azione politica. Quindi, inventeremo dei numeri che corrispondano agli impegni e speriamo che nessuno se ne accorga”. Si trattava di un chiaro caso di politica mascherata da scienza. Ho scritto un articolo che svela ciò che hanno fatto, e molto altro, qui. E anche nel 2019, quando è stato pianificato di andare avanti a pieno ritmo con il progetto “zero emissioni nette” nel Regno Unito, non c’è stata alcuna analisi obiettiva, quantitativa e imparziale dei costi-benefici delle conseguenze per la popolazione.

È giusto dire che, con le sue azioni in materia, il governo britannico ha dato prova di estrema malafede nei confronti dei cittadini.

QUI IL Link all’originaleTRADUZIONE DI PIETRO AGRIESTI

 

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