Ignavia E Sudditanza Morale Assoluta
https://www.tragicomico.it/2610-2/?nm=confirmed&nk=1318-dc1b4cc390
La parabola del genere umano sul pianeta Terra è piuttosto complessa e bizzarra. Dopo milioni di anni di civiltà e civilizzazione, siamo sostanzialmente ritornati a quell’atavico punto di partenza, in cui il fine ultimo della vita era rappresentato dalla volontà di non morire. Se l’uomo delle caverne si trovava, per la maggior parte del suo tempo, intento a produrre embrionali riflessioni su come evitare la morte per avvelenamento, assideramento o infezione, l’eccessiva civilizzazione ci ha trascinati fino ad un punto in cui i pensieri legati alla nostra sopravvivenza occupano una parte considerevole delle nostre giornate e delle nostre esistenze.
Se proviamo a riflettere su quali pensieri sorgono con maggior frequenza nella nostra mente in quest’era postmoderna, ci rendiamo immediatamente conto di quanto i nostri sforzi intellettuali e spirituali appaiono rivolti a fugare dalla nostra mente il terrore legato ad un’ipotetica minaccia – spesso molto presunta – che potrebbe abbattersi, come una scure, su di noi. È in questo stato di paura che l’ignavia inizia a mettere radici, dando vita ad una sudditanza morale assoluta.
Scegliamo gli alimenti da consumare in base a sedicenti dottrine scientifiche che promettono di allungare la nostra permanenza sul pianeta di qualche settimana. Leggiamo infinite pagine di fandonie per comprendere come invecchiare più lentamente. Nascondiamo la testa sotto la sabbia alla prima difficoltà e rinunciamo ad affrontare tutte quelle infinite battaglie, morali e sociali, che davvero ci rendono umani, per paura di uscirne sconfitti.
Siamo come fuscelli in balia di un vento che cambia direzione con estrema facilità, assorbiti da un Sistema dove la delega è la costante dell’agire umano. Deleghiamo tutto a tutti pur di non prenderci la briga di agire, di muoverci dalla nostra stasi, di affrontare la furia degli elementi senza quel riparo di cartapesta che ci appare oggi come l’unica salvezza. Ogni aspetto della nostra vita viene sempre più delegato nelle mani di presunti esperti che si occupano della formazione dei nostri pensieri, della composizione del nostro menù culinario quotidiano, della ridefinizione di nuove etiche e della risoluzione di quelle problematiche apparenti che ci sembrano irrisolvibili, ma solo quando le osserviamo attraverso il filtro della delega stessa.
La nostra quotidianità ha ormai apertamente travalicato i confini della pigrizia, fino ad assumere i contorni dell’ignavia: dantesca condizione di inerzia perpetua che ci porta a non assumere mai un’autentica posizione responsabile nei confronti della vita. Cristallizzati in una condizione immobile, attendiamo che lo Stato-Balia ci dica cosa dobbiamo mangiare domani, quali tendenze dobbiamo seguire, da quali patologie e sindromi siamo affetti e quali farmaci dobbiamo consumare avidamente per rimanere al passo con un’epoca storica che viaggia tanto veloce da tornare sempre all’identico punto di partenza.
Senza rendercene conto, sopprimiamo il nostro istinto all’azione, rimanendo prigionieri di giornate tutte uguali, dove le uniche differenze sono rintracciabili nello scenario esterno, abilmente dipinto da quel Potere che genera per noi un surrogato di vita dai colori sgargianti.
“Terrorizzati da un tempo liquido che
ci scivola tra le dita senza lasciare traccia, saturiamo la nostra vita
di appuntamenti, scadenze e doveri per avere l’illusione di vivere di
più. Anestetizzati da turni massacranti e giornate tutte uguali,
riempiamo la casa di oggetti evanescenti strappati con le unghie
all’ultimo Black Friday per fingere di non vedere i vuoti che ci
circondano. Con la mente affogata nei social, nell’alcol, negli
psicofarmaci e in rapporti take away, riempiamo le pause di niente per
impedirci di pensare.
Il rischio, d’altronde, è enorme.
Scoprire che tutto quel che ci circonda è solo un gigantesco velo di
Maya adagiato sul Grande Nulla.”
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
La nostra ignavia
non è solo fisica, ma è autentica rinuncia intellettuale di fronte alle
verità assolute che le fonti di informazione ci propinano giorno dopo
giorno, senza che sorga mai il minimo dubbio o che nasca dentro di noi
la volontà di affrontare una discussione critica in merito.
Mettere in discussione
quanto ci viene detto rappresenta ormai un oltraggio alla nostra
ignavia funzionale, perché implica il coraggio di confrontare dati, di
sviluppare un’idea che non sia eterodiretta e di guardare oltre quella
cortina di cartapesta che ci fa sentire al sicuro, di fronte al rischio
di perdita e di esclusione sociale.
Accade così che quando un sedicente esperto ci dice di rinchiuderci in casa, noi lo facciamo senza battere ciglio, in attesa che lo stesso esperto sconfessi se stesso e ci inviti a uscire, persino quando le condizioni esterne sono peggiori di quelle che avevano generato la reclusione. Nemmeno riusciamo più a cogliere le contraddizioni in quanto ci viene detto e proposto, perché il nostro processo di delega ha ormai raggiunto lo status di sudditanza morale assoluta.
Abbiamo ceduto il controllo del nostro corpo e dei nostri pensieri a qualcun altro e fatichiamo a riprenderlo, anche quando l’overdose di imposizioni entra in palese cortocircuito di fronte ad una realtà dei fatti che, spesso, fatica ad adattarsi al bizzarro complesso di dottrine sociali, culturali e sanitarie che ci vengono propinate con evangeliche intenzioni. Possiamo tranquillamente asserire che l’assenza di pensiero critico è direttamente proporzionale al nostro bisogno di appartenenza.
“La maggior parte della gente non si
rende nemmeno conto del proprio bisogno di conformismo. Vive
nell’illusione di seguire le proprie idee ed inclinazioni, di essere
individualista, di aver raggiunto da sé le proprie convinzioni; e si dà
il fatto che le sue idee siano le stesse della maggioranza.”
(Erich Fromm – “L’arte di amare”)
Vincere la nostra ignavia è possibile e doveroso ed è parte di un processo spirituale che parte dalla riappropriazione di ciò che è nostro e dallo smettere di delegare i nostri pensieri, le nostre emozioni e il nostro corpo a terze parti, soprattutto se non troppo disinteressate. Un atteggiamento che però non è da intendersi come un voto al solipsismo più assoluto. In quanto esseri umani siamo destinati a tessere profonde e utili relazioni reciproche, a chiedere aiuto quando ne abbiamo bisogno e ad ascoltare saggi consigli. Ma la nostra natura più intima ci urla tuttavia a gran voce di prendere decisioni, di pensare in maniera autonoma e indipendente, di provare piacere oltre la paura e di agire fermamente, per fare in modo che quanto non ci piace intorno a noi possa lentamente trasformarsi e progredire.
Spesso scegliere di non scegliere è la peggior scelta possibile. Soprattutto se diventa una consuetudine.
Ogni volta che rinunciamo ad operare una scelta in autonomia, perdiamo
un piccolo pezzettino della nostra indipendenza, della nostra libertà e
del controllo che abbiamo sulla nostra vita. Viviamo troppo aggrappati
alla nostra comoda ignavia in attesa delle risposte e dei diktat altrui.
Quando lo psicologo avrà risolto le nostre problematiche di coppia.
Quando la maestra di nostro figlio gli avrà detto cosa deve mangiare.
Quando l’evangelico virologo da salotto ci avrà suggerito i farmaci che possiamo assumere.
Quando il politico di turno ci avrà spiegato quale categoria di esseri umani dobbiamo rifuggire ed emarginare.
Quando le emittenti televisive a pagamento avranno stabilito il nostro vestiario e il mutato il nostro modo di parlare.
Quando tutto questo sarà realtà… cosa sarà rimasto di noi?
Saremo di nuovo al punto di partenza, andremo in giro con addosso il senso di nausea che quell’ignavia perenne, creata ad arte per narcotizzarci, suscita in noi. Saremo nuovamente dei cavernicoli, questa volta di un’era iper-civilizzata, dove la paura di non morire, di non ammalarci e di sentirci accettati ha ucciso il piacere di vivere per scopi ben più nobili, o, quantomeno, per il gusto della vita stessa.
Tragicomico
Nessun commento:
Posta un commento